Archive for Gennaio, 2021

Vaccino, la Moratti si presenta: «Per le dosi privilegiare le Regioni col Pil più alto». E Speranza la gela

martedì, Gennaio 19th, 2021

di Andrea Bassi

Sul Titanic Italia, mentre l’orchestra di governo e partiti suona in Parlamento il suo brano più riuscito, la difesa di se stesso, la prima classe, o presunta tale, chiede di poter usare tutte le scialuppe di salvataggio. Da poco insediata a capo della Sanità lombarda, dopo il dimissionamento forzato per scarsissimo rendimento del suo predecessore Giulio Gallera, Letizia Moratti ha tirato fuori il coniglio dal cilindro. Al commissario Domenico Arcuri ha scritto che nel distribuire i vaccini, la merce più rara e preziosa in assoluto di questi tempi, va privilegiato chi produce di più, chi è più ricco. Il criterio, insomma, dovrebbe essere «anche quello del Pil». Come dire: il malato lombardo, siccome vive in una Regione che produce 385 miliardi di prodotto interno lordo, ha più diritto al vaccino del cittadino lucano con i suoi miseri 12 miliardi di Pil, o di quello pugliese con i suoi 107 miliardi, o di quello calabrese con i suoi 33 miliardi, e anche di quello laziale con i suoi 196 miliardi di Pil. E non fa niente che la Sanità lombarda, oggi guidata dalla Moratti, abbia dato la peggior prova di tutto il Paese nell’affrontare la pandemia e non più tardi di ieri abbia persino dovuto ammettere che il sistema di sorveglianza dei dati è andato completamente in tilt, senza nemmeno più poter dire quanti sono i contagiati.

Vaccino, Pfizer ritarda ancora le consegne delle dosi: 241 mila arriveranno mercoledì. Ira di Arcuri

Ma in premio i lombardi vanno vaccinati prima di tutti. L’ex ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ha sperato che la richiesta della Moratti fosse una «fake news». Il ministro della salute Roberto Speranza è dovuto intervenire per spiegare alla Moratti che il vaccino è un diritto «non un privilegio». Qualcuno, insomma, ancora stenta a credere. Ma è tutto vero. E anche peggio. Il governatore Attilio Fontana si è detto pronto a non presentare il ricorso contro la zona rossa nel caso in cui la proposta fosse accettata.

IL DISEGNO

Non c’è in realtà da meravigliarsi. Il tentativo di «secessione dei ricchi» dal resto del Paese è, come ha più volte documentato questo giornale, in corso da tempo. Il disegno sull’autonomia “differenziata”, solo momentaneamente riposto in un cassetto, ha esattamente questo scopo. Il Re è nudo si potrebbe dire. L’autonominata locomotiva, non vuole più il peso dei vagoni. Vuole correre da sola, anche perché sta sistematicamente perdendo terreno nei confronti delle altre regioni europee. Ma è stato il sacrificio dei vagoni, le Regioni del Sud, a determinare la forza motrice della locomotiva. Adriano Giannola, presidente della Svimez, ha calcolato che il Nord ha sottratto al Sud risorse per 60 miliardi l’anno. Soldi investiti in infrastrutture e servizi in una sola parte del Paese. Una cifra che quasi pareggia i contributi a fondo perduto previsti nel Recovery plan. Questa sottrazione ha fatto in modo che le regioni meridionali non potessero mai trasformarsi da vagoni anche loro in locomotive. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. L’Alta velocità si ferma a Salerno. Per andare da Roma a Milano si impiegano ormai solo tre ore.

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Crisi di governo, più Conte per tutti

martedì, Gennaio 19th, 2021

La chiave è in una parola, “aiutateci”, rivolta a cattolici, socialisti, liberali e, durante la replica anche a “singoli parlamentari”, disponibili, quelli che una volta venivano lapidati come transfughi, voltagabbana, insomma il partito della cadrega. L’avvocato del popolo dei tempi che furono, poi reincarnatosi come alfiere di un fronte democratico per arginare la marea sovranista, alla sua terza metamorfosi trasformista compie il capolavoro di “istituzionalizzare il suk”, con un’invocazione mai ascoltata in quest’Aula, così semplice, sentita e così spudorata. L’importante è prendere voti che, come la vil pecunia, non hanno odore, basta averli e più sono e meglio è. “Aiutateci”, unico acme lirico del discorso della crisi, in cui agita il ministero dell’Agricoltura come risarcimento per chi s’offre e la prospettiva di un “ter” dove ci sarà posto per tutti.

Almeno, in quel famoso 20 agosto, c’era un po’ di sostanza politica. C’era l’obiettivo, il rovesciamento di campo, maturato nel pathos del conflitto con Salvini, l’aspettativa degli opposti che si incontrano. Passione, emozione, rischio, ambizione di un’operazione politica, condivisibile o meno. Ma politica. E, con esso, un po’ di verve da nuovo inizio. Per carità, si è capito che con Renzi, Innominato e Innominabile, la ricucitura è impossibile, perché quel che è successo è “incancellabile”. Tutto chiaro, adamantino, compresa la malizia di non personalizzare il confronto e di accoglierne alcune richieste (la cessione della delega ai servizi) per svelarne la pretestuosità delle argomentazioni e tentare qualcuno dei suoi a rimanere in maggioranza.

Però ciò che è chiaro si ferma qui, perché il premier annuncia un cambio di maggioranza per andare avanti, ma non “quale” e “come” andare avanti, per “fare cosa”, perché la logica è il suk, meccanismo che alimenta se stesso. È il disegno politico che fa capire dove si va, il mercato autoalimenta se stesso, nel meccanismo domanda-offerta. Suadente e tentatore, oggi il premier doveva “comprare” (politicamente parlando s’intende), e dunque è troppo pretendere una visione oltre la “qualunque”. Più Conte per tutti, allora: al Pd promesso il “patto di legislatura” (sono solo sette mesi che se ne parla), e pure il proporzionale (anche qui da un anno), proporzionale che potrebbe andare bene per attrarre i transfughi del centrodestra e agli apolidi di centro che vogliono fare un gambetta di centro. Annunciato un programma sufficientemente vago per andare bene a tutti, con evergreen stra-sentiti negli ultimi vent’anni: la riforma del fisco, la mitica sburocratizzazione, più semplificazioni per tutti, un “non lasceremo nessuno indietro”. E ovviamente, un bel giuramento di fedeltà all’America di Biden, di cui il premier si dice convinto estimatore, da sempre, anche ai tempi di Giuseppi.

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Uno scarto vistoso tra ambizioni e realtà

martedì, Gennaio 19th, 2021

di Massimo Franco

Uno scarto vistoso tra ambizioni e realtà

Si nota uno scarto vistoso tra le parole gonfie di enfasi e proiettate nel futuro di Giuseppe Conte, e la realtà dei numeri parlamentari. Il suo appello di ieri a quasi tutti per ottenere i voti parlamentari mancanti per avere ancora una maggioranza in Senato è stato abile. Ma ha anche confermato la difficoltà di convincere i potenziali «responsabili», o «volenterosi», o più banalmente trasformisti, a unirsi alla sua coalizione. Lo stesso tentativo di dividere le forze politiche tra europeisti e no è apparso un po’ forzato. Si è capito che Conte tende a tenere fuori Lega e Fratelli d’Italia, e a conquistare i berlusconiani. Ma ha volutamente rimosso l’ambiguità di un Movimento Cinque Stelle nel quale le pulsioni euroscettiche continuano a esistere, come dimostra il «no» ideologico al prestito del Mes sulla sanità. Il premier punta al bersaglio immediato: sopravvivere al doppio passaggio di ieri e di oggi tra Camera e Senato con una qualche maggioranza; e utilizzarla per andare avanti con innesti che giustifichino la continuità e l’esclusione di Matteo Renzi e del suo partito, iniziatori della crisi.

La volontà di «voltare pagina»

Avere l’appoggio pieno dell’aula di Montecitorio e sfiorare lo stesso risultato a Palazzo Madama viene considerato sufficiente per proseguire senza essere costretto a dimettersi. Altri voti, il calcolo è questo, arriveranno dopo, quando i gruppi parlamentari d’opposizione si sfalderanno di fronte alle offerte di ruoli e posti. Finora, tuttavia, il tentativo non è riuscito. Deputati e senatori, i più rari, disposti a rimpolpare le file di una maggioranza che non è più tale, sono rimasti nell’ombra nonostante pressioni e manovre. Per questo il premier è passato all’appello a tutti gli «europeisti» presenti in Parlamento, senza badare al colore. Si tratta di una manovra spregiudicata, eppure legittima. Sconta la difficoltà di trovare coalizioni alternative a quella appena naufragata per mano renziana; e la volontà di «voltare pagina», come ha detto Conte, archiviando l’appoggio di Iv. Le concessioni fatte sulla riforma del sistema elettorale in senso proporzionale; la cessione della delega sui servizi segreti; la disponibilità a cambiare qualche ministro; la condivisione dei fondi del Piano per la ripresa: sono altrettante mani tese in extremis. Forse basteranno per sopravvivere; probabilmente, non per governare una fase così drammatica.

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Crisi di governo, al voto di fiducia in Senato la maggioranza spera di superare quota 155

martedì, Gennaio 19th, 2021

di Alessandro Trocino

Crisi di governo, al voto di fiducia in Senato la maggioranza spera di superare quota 155

ROMA — Giuseppe Conte ce l’ha messa tutta alla Camera, ha fatto un appello a tutti i gruppi, ha chiesto esplicitamente ai «singoli parlamentari», è arrivato fino a scandire un «aiutateci», che non è esattamente un segnale di forza, e ha citato tra le sensibilità che vorrebbe attrarre quelle «europeiste, socialiste, liberali e popolari», con chiaro riferimento ai liberali di Forza Italia e Cambiamo, ai socialisti di Riccardo Nencini, all’Udc di Lorenza Cesa. Per capire se l’appello — ma soprattutto le più convincenti telefonate a tu per tu — hanno fatto presa, bisognerà aspettare fino a oggi, quando il premier arriverà a Palazzo Madama e dopo avere incassato la maggioranza assoluta alla Camera, proverà a cavarsela anche al Senato, dove i numeri sono più complicati. Le cifre più accreditate davano la maggioranza in una forbice che oscilla tra 152 e 159 voti. Sopra i 155, dicevano fonti della maggioranza, sarebbe una vittoria.

Le previsioni

Diversi senatori ieri erano ancora indecisi, sottoposti a pressioni convergenti per evitare che la prova di forza al Senato si risolva in un bagno di sangue per il governo. Non ci sarebbe un pericolo immediato, perché è vero che la soglia dei 161 — maggioranza assoluta — è quasi irraggiungibile, ma è vero che per ora non è necessaria e che nella storia della Repubblica ci sono stati 12 governi che non la raggiungevano, a partire da quello di Alcide De Gasperi del 1947. Un dirigente del Pd si dice moderatamente ottimista: «La vicenda dei numeri è depotenziata. È chiaro che non sposta granché avere 153 o 158 voti. Più avanti, poi, si dovrà cercare di rafforzare davvero la maggioranza». Il pallottoliere di Palazzo Chigi ieri era a 156. Per consolidare il governo occorrerà aspettare qualche settimana per il rimpasto atteso (i due posti da ministro e da sottosegretario lasciati da Italia viva).

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Crisi di governo, Conte tiene liberi i posti per i centristi. La linea: oggi al Senato avanti anche sotto 155

martedì, Gennaio 19th, 2021

di Monica Guerzoni

Crisi di governo, Conte tiene liberi i posti per i centristi. La linea: oggi al Senato avanti anche sotto 155

AP

Assieme alla pochette bianca dalla piega dritta e istituzionale, Giuseppe Conte è convinto di avere nel taschino dell’abito la «matta», il re di denari che funziona da jolly. «Alla Camera siamo andati oltre le aspettative e se pure al Senato otterremo la maggioranza relativa il governo non cade — ha fatto scongiuri il premier con i ministri —. Servirà più di tempo per risolvere la crisi, ma possiamo allargare l’alleanza e rimetterci al lavoro». Al giorno del duello il professore di Palazzo Chigi arriva cautamente ottimista, molto soddisfatto per i 321 sì della Camera e sollevato per il chiarimento con il Nazareno. Per allentare la tensione innescata nel pomeriggio dalle parole di Zingaretti, che non è disposto ad «accettare tutto», c’è voluta una telefonata di Bettini. Il pontiere ha rassicurato Conte sulla lealtà dei dem e il premier, che aveva fiutato un’aria strana, gli ha spiegato come «un governo a guida Pd farebbe saltare gli equilibri nel Movimento».

La paura che Renzi faccia «altri scherzi» non si è dissolta. L’ultima notte di trattative ha portato speranze e veleni: sarà vero che il senatore azzurro Luigi Cesaro, noto alle cronache come Gigino ’a purpetta, ha bussato alla porta di Conte ed è stato respinto? Come osserva Gaetano Quagliariello «il premier può offrire una cinquantina di posti in lista alle prossime elezioni». Al momento però il «pacchetto» che il premier è in grado di proporre ai volenterosi europeisti, liberali, popolari o socialisti prevede un partito politico tutto da costruire, un patto di legislatura e il «rafforzamento della squadra». Nella sostanza un sottosegretario e due ministeri, di cui la Famiglia sarebbe stata proposta a Paola Binetti. Poi c’è la delega ai servizi segreti. Conte ha ceduto alle pressioni del Pd e si avvarrà «della facoltà di designare un’autorità delegata per l’intelligence», persona di sua fiducia.

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O votate per me o elezioni. Sintesi del Conte-pensiero

lunedì, Gennaio 18th, 2021

Il discorso del Presidente del Consiglio può essere preso in molti modi, a seconda dell’inclinazione politica personale e del grado di simpatia verso il personaggio, ma non può certo essere tacciato di poca chiarezza.

Infatti con parole sferzanti e anche assai poco abituali per la politica italiana il premier sceglie nell’aula di Montecitorio una linea durissima contro Renzi e la sua formazione politica, una linea che però ha anche come destinatari “primari” le forze di maggioranza, cioè i soggetti destinati a votare a favore del governo nelle prossime ore.

Questa linea è così riassumibile: o votate per me o vi porto tutti alle urne.

Semplice, drastico, vagamente minaccioso.

Questo il Conte di oggi in Parlamento, un professore – avvocato del popolo – primo ministro che ha piena consapevolezza della sua forza (pur relativa), ma che soprattutto ha ben chiara la debolezza altrui, una debolezza che riguarda tutti i convitati al tavolo della crisi di governo.

Ma dov’è la forza di Conte, di cui oggi abbiamo visto plastica dimostrazione?

È innanzitutto nel Virus e nella condizione di emergenza in cui versa la nazione, che gli consente di bollare come “inspiegabile” la crisi di governo.

Ma è anche nel peso specifico che comunque lui e il suo team hanno ormai guadagnato, divenendo interlocutori spesso privi di alternativa per i soggetti organizzati italiani, stante la crisi devastante in cui versano tutte le forze politiche (compreso il PD).

In cima alla piramide della “forza” però c’è proprio quest’ultimo aspetto, cioè la condizione degli altri attori in scena.

Guardiamoli un momento, per capirci meglio.

All’opposizione c’è innanzitutto Salvini, ancora il più forte nei consensi. Guida però una Lega in profondo ripensamento “ideologico” ed è ormai privo del tocco magico mostrato nelle elezioni regionali, come riscontrabile nei risultati di Emilia Romagna, Puglia e Toscana.

Poi c’è Giorgia Meloni, certamente la figura più in ascesa.

Fratelli d’Italia però è debole in questo Parlamento e comunque sconta (come Salvini) un difficilissimo rapporto con l’establishment europeo.

Infine c’è Forza Italia che si pone sempre con toni diversi da quelli degli alleati, mostrando sì coerenza con la propria metà campo, ma anche voglia di smarcarsi appena possibile.

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Conte oggi alla Camera: il discorso in diretta e le reazioni

lunedì, Gennaio 18th, 2021

di Alessandro Sala e Alessandro Trocino

Il momento del confronto è arrivato: il premier Conte ha tenuto le sue comunicazioni alla Camera (qui l’articolo che ne dà conto), con l’obiettivo di mantenere la maggioranza assoluta a Montegcitorio e di conquistare, domani al Senato, una fiducia che si avvicini il più possibile ai 161 voti (qui lo scenario illustrato da Monica Guerzoni). Dato che la Costituzione non impone che i governi siano tenuti a battesimo da una maggioranza assoluta, a Conte e ai suoi soccorritori può bastare la maggioranza semplice (o relativa). Traguardo che si conquista con un voto in più di quelli messi insieme dall’opposizione. Esistono una trentina di precedenti, compresi un paio legati all’era berlusconiana, che vincolerebbero Mattarella ad accettare — comunque lo giudichi — un simile risultato. Dal quale il premier uscirebbe automaticamente confermato al timone di Palazzo Chigi, senza bisogno di dimettersi e rinascere sotto la voce «ter» (qui l’articolo di Marzio Breda). A seguire il racconto in tempo reale della giornata politica.

Ore 15.20 – Rampelli (FdI): «Conte peggio del centrodestra nel 2018»
Conte oggi sta peggio, a numeri, rispetto a come si trovava il centrodestra nel 2018, all’indomani delle elezioni, quando risultava prima coalizione (mentre il M5S era primo partito) e non ottenne un mandato esplorativo per cercare i voti in Parlamento, non disponendo di una maggioranza propria. Lo ha fatto notare in Aula il deputato Fabio Rampelli, di FdI. «Se per il Capo dello Stato questo principio valeva ieri, lo faccia valere oggi. La tecnica di governare a dispetto dei santi oltretutto non paga perché sia il Pd che il M5s hanno perso consenso in tutte le elezioni successive al 2018 e oggi nei sondaggi il centrodestra oscilla tra il 47 e il 51%».

Ore 15.12 – Gentiloni: «La situazione italiana è preoccupante»
«La situazione italiana è preoccupante, ed è difficile per noi commentare» la situazione politica. «Ma in ogni caso speriamo di avere un interlocutore stabile, perché l’Italia sarà cruciale per il successo del Next Generation Plan e abbiamo bisogno di interlocutori stabili». E’ quanto ha detto il commissario europeo Paolo Gentiloni a proposito della crisi di Governo italiana in un’intervista a Bloomberg. «Stiamo lavorando con l’Italia e con altri 14 governi — ha aggiunto — che hanno già presentato la bozza per i fondi europei. Alcuni di questi governi sono più forti, altri più fragili: penso sia importante avere interlocutori stabili e che lavorino per la causa comune europea. E spero che questo sia il caso anche dell’Italia».

Ore 15.00 – Crimi: «Non voltiamoci indietro»
«Pieno sostegno al presidente Conte, l’Italia ha bisogno di una guida e di risposte ed è ciò che intendiamo continuare a fare, attraverso un rinnovato patto di governo. Non ci voltiamo indietro, andiamo oltre e torniamo a correre». Lo dichiara il capo politico M5S Vito Crimi.

14.33 – Scalfarotto: «Con un governo migliore l’Italia ci sarà»
«Se c’è da creare un governo migliore e non abbiamo nessuna pregiudiziale sui nomi, figuriamoci se mettiamo un veto su di lei che ha governato con la Lega poco prima di questo governo. Ma chiediamo di muoversi, di darci risposte, una visione e una strategia. Se questo c’è, noi ci siamo». Lo ha detto Ivan Scalfarotto, deputato di Italia viva, intervenendo in Aula dopo le comunicazioni del premier Conte. E ha ribadito: «Se ci sarà la possibilità di dare un governo vero a questo Paese, Iv non mancherà», sottolineando che il Conte bis è stato «un governo dei tempi ordinari, è il suo limite».

14.09 – La risoluzione della maggioranza
«La Camera dei deputati, udite le comunicazioni del presidente del Consiglio dei ministri sulla situazione politica in atto, le approva». Lo si legge nella risoluzione di maggioranza presentata alla Camera dopo l’intervento di Giuseppe Conte. Il documento, che verrà’ posto al voto con l’appello nominale dei deputati, e’ stato sottoscritto oltre che da M5S, Pd e Leu, anche dalle componenti del gruppo Misto Maie, Centro democratico e Minoranze linguistiche.

Ore 14.03 – Binetti (Udc): «Domani no alla fiducia, dopodomani vedremo…»
Paola Binetti, ex dem oggi nelle fila dell’Udc, conferma che domani al Senato non voterà la fiducia al governo Conte, ma non è detto che non possa rivedere il suo giudizio. «Sul pregresso, ovvero su quello che Conte ha fatto fino ad ora non posso dargli la fiducia — ha spiegato intervenendo in radio a Un giorno da pecora —, anche perché non gliel’ho mai data. Al prossimo giro, alla prossima occasione chissà. Domani voterò no alla fiducia al governo Conte, dopodomani vedremo…».

Ore 13.59 – Zingaretti: «Bene Conte, avanti per cambiare»
«Bene Conte. L’appello ad andare avanti per cambiare. Patto di legislatura, apertura al coinvolgimento del Paese, priorità allo sviluppo per creare lavoro, alla difesa della salute, al rafforzamento del protagonismo europeo a cominciare da Next Generation Eu. Non fermiamoci ora. Dobbiamo ricostruire la fiducia. L’Italia ha diritto alla speranza , c’è una prospettiva da perseguire per il futuro». Così il segretario del Pd Nicola Zingaretti.

13.55 – L’Udc: «Voteremo no in maniera compatta»
«Ci troviamo a smentire, per l’ennesima volta, ricostruzioni fantasiose riportate da alcuni organi di stampa oggi. L’Udc voterà compattamente NO alla fiducia del Governo Conte bis». È quanto si legge in una nota diffusa dall’Ufficio stampa nazionale dello Scudo crociato, guidato da Lorenzo Cesa.

13.52 – Azione e +Europa non voteranno la fiducia
Azione e Più Europa, come già annunciato nei giorni scorsi, confermano in Aula della Camera che non voteranno la fiducia al governo, restando all’opposizione. Lo ha detto, intervenendo durante il dibattito, Enrico Costa, che invita Giuseppe Conte a «recarsi al Quirinale per rassegnare le dimissioni».

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Crisi di governo: 66 esecutivi in 75 anni. Quanto ci costa l’instabilità politica?

lunedì, Gennaio 18th, 2021

di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

La patologia è cronica: dalla nascita della Repubblica a oggi, solo Alcide De Gasperi e Silvio Berlusconi sono rimasti in carica per i cinque anni previsti dalla Costituzione, ma entrambi hanno dovuto dimettersi almeno una volta e rifare il governo. La domanda è d’obbligo: quanto costa al Paese la nostra atavica instabilità politica e chi ci guadagna dalle crisi?

La domanda è d’obbligo: quanto costa al Paese la nostra atavica instabilità politica e chi ci guadagna dalle crisi?

Com’è andata finora

Nei 75 anni di storia repubblicana abbiamo avuto 66 governi e 29 presidenti del Consiglio e le crisi – ossia il tempo che trascorre tra le dimissioni di un governo e il giuramento del nuovo – occupano complessivamente 1.510 giorni, cioè più di quattro anni. Dal 1994, con la seconda Repubblica, si succedono 16 governi con 10 premier, durata media 617 giorni.

Tre crisi di governo portano a elezioni anticipate: Dini 1995, Prodi II 2008 e Monti 2012. Sei i rimpasti all’interno della stessa maggioranza: Prodi I, D’Alema I, D’Alema II, Berlusconi II, Letta e Renzi. Tre le nuove alleanze con cambio di maggioranza senza andare a elezioni: Berlusconi I, Berlusconi IV e Conte I. Infine tre alleanze per arrivare a elezioni alla scadenza della legislatura: Amato II, Berlusconi III e Gentiloni. Poi c’è la crisi di governo in corso innescata da Renzi. Nello stesso periodo, ovvero negli ultimi 26 anni, in Francia ci sono 5 presidenti (Mitterand, Chirac, Sarkozy, Hollande e Macron); 5 in Spagna (Gonzalez, Aznar, Zapatero, Rajoy e Sanchez), 3 cancellieri in Germania (Kohl, Schroder e Merkel).

Chi innesca la crisi ci guadagna?

La storia ci dice che chi innesca la crisi di solito non fa una bella fine. Umberto Bossi, dopo aver fatto saltare il governo Berlusconi, alle elezioni del 1996: la Lega riceve più voti – passando dall’8,4 al 10% – ma deve uscire dalla coalizione di centrodestra, dimezzando così i seggi in Parlamento (da 178 a 86). Fausto Bertinotti, artefice della crisi del governo Prodi nel ‘98: alle elezioni politiche del 2001 Rifondazione Comunista passa dall’8,5 al 5% e perde i due terzi dei seggi (da 46 a 15).

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Governo, Conte alla Camera per la fiducia. La diretta video

lunedì, Gennaio 18th, 2021

Roma, 18 gennaio 2021 – Il premier Giuseppe Conte alla Camera per chiedere la fiducia, dopo che la settimana scorsa Italia Viva ha aperto la crisi di governo con le dimissioni delle ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti e del sottosegretario Ivan Scalfarotto. Questa mattina il centrodestra ha presentato una risoluzione chiedendo le dimissioni di Conte.

Il liveblogging di Pier Francesco De Robertis

Il presidente del Consiglio non ha voluto rilasciare commenti prima del suo intervento. “Si parla nelle sedi opportune, nelle sedi istituzionali”, ha detto il presidente del Consiglio al suo ingresso a Palazzo Chigi, cartellina in mano. “C’è una crisi in corso”, quindi “la situazione non è affatto semplice”, aveva detto ai cronisti che lo avevano intercettato mentre giungeva a piedi. “Ho fiducia nei parlamentari e nel Paese”, ha quindi aggiunto.

Il discorso di Conte

“All’inizio di questa esperienza di governo, nel 2019, prefigurai un chiaro progetto politico per il Paese. Precisai che il programma non poteva risolversi in una mera elencazione di proposte eterogenee o una sterile sommatoria delle posizioni delle forze di maggioranza. Un’alleanza tra formazioni provenienti da storie, esperienze, culture di diversa estrazione e che in passato si erano confrontate con asprezza, poteva nascere solo su due discriminanti. Il convinto ancoraggio ai valori costituzionali e la solida vocazione europeista del Paese”, esordisce Conte ricordando la nascita della maggioranza di governo.

La pandemia e le scelte fatte

Ma il presidente del Consiglio ricorda anche che “agli inizi 2020” il progetto del governo si è dovuto “misurare con la pandemia che ha sconvolto in profondità la società e la dinamica stessa delle nostre relazioni”. “Affontiamo una sfida di portata epocale, si vivono paure primordiali, più spesso conosciute da generazioni del passato. Torniamo a sentirci profondamente fragili, alcune certezze radicate sono state poste in discussione. Ci siamo misurati quotidianamente come mai in passato con scienza e tecniche, con la difficoltà a fornire risposte efficaci e rapide”, dice Conte, sottolineando che l’Italia è stata la prima “in occidente” a essere costretta “a introdurre misure restrittive dei diritti della persona, operando delicatissimi bilanciamenti dei principi costituzionali”. 

“Andiamo a testa alta”

“Abbiamo operato sempre scelte migliori? Ciascuno esprimerà le proprie valutazioni”, dice ancora il premier. “Per parte mia posso dire che il governo ha operato con massimo scrupolo e attenzione per i delicati bilanciamenti anche costituzionali. Se io oggi posso parlare a nome di tutto il governo a testa alta non è per l’arroganza di chi ritiene di non aver commesso errori ma è per la consapevolezza di chi ha operato con tutte le energie fisiche e psichiche per la comunità nazionale“, sostiene Conte che quindi passa a elencare tutte le misure adottate dal suo esecutivo. Dall’assegno unico mensile a sostegno delle famiglia che partirà da luglio di quest’anno allo “storico accordo sul programma Next generation Eu, in cui l’Italia ha avuto un ruolo propulsivo”.

“Da Iv attacchi scomposti”

Conte passa quindi ad analizzare le fasi della crisi di governo, di come le ministre di Italia Viva si siano sfilate prima astenendosi dal partecipare al Consiglio dei ministri poi con le dimissioni. “Si è aperta una crisi che deve trovare qui in questa sede il proprio chiarimento in trasparenza del confronto e linearità di azione che hanno caratterizzato il mio mandato”, dice il premier sottolineando che da Iv sono arrivati “attacchi aspri e a volte scomposti”. “Le nostre energie dovrebbero essere tutte, sempre concentrate sulla crisi del Paese. Così, agli occhi dei cittadini, appaiono dissipate in contributi polemici, spesso sterili, del tutto incomprensibili. Rischiamo così tutti di perdere contatto con la realtà. C’era davvero bisogno di aprire una crisi politica in questa fase? No“, continua Conte. E ancora: “Sono qui oggi non per annunciare nuove misure di sostegno o per bozza ultima del Recovery plan ma per provare a spiegare una crisi in cui non solo i cittadini ma io stesso alcun plausibile fondamento”.

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Che succede se Conte diventa un Super Renzi?

lunedì, Gennaio 18th, 2021

Che succede se Conte diventa un Super Renzi? Non un rottamatore spregiudicato ma rottamabile, un Ulisse senza più appeal elettorale né capitale politico che non sia la periclitante fiducia di una piccola ciurma di fedelissimi, sospinti verso l’ultimo azzardo. Ma l’illusionista che mancava a questo tragico decennio di storia nazionale, il prestigiatore passato con imperturbabile naturalezza da destra a sinistra per piazzarsi, alla fine, al centro. Che succede se Conte si pianta sul cuore della democrazia italiana, facendo leva sulla popolarità gonfiata dall’emergenza, sulle profferte elettorali ai tanti senza famiglia del Parlamento, su non trasparenti maneggi con gli apparati dello Stato, sugli addentellati lobbistici, sulle simpatie vaticane? Che succede se Conte rende effettivo e credibile, occupandolo, lo spazio simbolico, fin qui potenziale, in cui si agitano senza esito tanti fermenti riformisti, popolari e liberali? Che succede se diventa la più coesa, la più centrale, la più risoluta gamba dell’alleanza giallorossa?

Questa domanda è il fantasma della crisi di governo. Tanto più inquietante quanto più è stata rimossa nelle prime ore della rottura. Quando le provocazioni sferzanti del rottamatore hanno fatto convergere d’istinto le reazioni di Zingaretti e Di Maio, uniti al grido di “avanti con Conte” e “mai più con Renzi”. Col passare delle ore, però, quella domanda è diventata un tarlo, che agita i sogni del Nazareno e non solo: cosa cambia se Conte, restando premier di un governo con poteri straordinari imposti dall’emergenza, diventa ufficialmente leader di una coalizione parlamentare e capo politico di una pattuglia di  “responsabili”, reclutati in mezzo, ma anche dentro i due poli, e destinati a trasformarsi in un partito a cui, già oggi, i sondaggi accreditano un consenso a due cifre? Cosa cambia se il nome di garanzia super partes del governo gialloverde, trasformatosi  in federatore di un’incompiuta alleanza giallorossa, assume il ruolo di un attore politico a tutto tondo?

Ad un tratto ci si rende conto che la devoluzione di responsabilità, tributata dagli alleati all’avvocato, tradisce le sue stesse ragioni: prima “usato” come mezzo per scongiurare i pieni poteri di Salvini, poi come officiante del matrimonio tra Pd e Cinque Stelle, Conte potrebbe diventare il fine stesso di una rediviva coalizione di centrosinistra. Un Super Renzi, indispensabile come il rottamatore per tenere in piedi la maggioranza, ma elettoralmente cinque o sei volte più forte, potenzialmente incontrollabile, non solo perché capace di parlare a destra e a sinistra, ma anche perché in grado di cambiare i rapporti di forza delle alleanze, ponendosi in un sistema proporzionale come l’ago della bilancia che, potendo decidere chi comanda, finisce sempre per comandare. 

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