Archive for Gennaio, 2021

Liliana Segre: “Io a Roma per dare la fiducia al governo”

lunedì, Gennaio 18th, 2021

“Sì, parto” per Roma, “per essere pronta a fare il mio dovere martedì a Palazzo Madama. Non partecipo ai lavori del Senato da molti mesi perché, alla mia età, sono un soggetto a rischio e i medici mi avevano caldamente consigliato di evitare. Contavo di riprendere le mie trasferte a Roma solo una volta vaccinata, ma di fronte a questa situazione ho sentito un richiamo fortissimo, un misto di senso del dovere e di indignazione civile”. Così la senatrice a vita Liliana Segre su ‘Il Fatto quotidiano’. “Ho deciso di dare la mia fiducia al governo – osserva – questa crisi politica improvvisa l’ho trovata del tutto incomprensibile. All’inizio pensavo di essere io che non riuscivo a penetrare il mistero. Poi però ho visto che quasi tutti, sia in Italia che all’estero, sono interdetti, increduli, spesso disgustati. Non riesco ad accettare che in un tempo così difficile – rileva – vi siano esponenti politici che non riescono a fare il piccolo sacrificio di mettere un freno a quello che Guicciardini chiamava il particulare”.
“Tutti i governi del mondo hanno dovuto procedere per tentativi ed errori. Come anche la scienza, del resto – spiega – quindi è scontato che anche il governo Conte abbia fatto errori. Però mi pare che si debba riconoscere che ha fatto nell’ultimo anno un lavoro gigantesco per reggere l’urto di un’emergenza spaventosa ed ha ottenuto una svolta storica nelle politiche europee”.

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Fotografia dell’impotenza

lunedì, Gennaio 18th, 2021

In parecchi si chiedono, abituati alla grammatica istituzionale d’antan, se Conte abbia intenzione di salire al Colle per rassegnare le dimissioni, magari dopo il discorso in Aula di domani, evitando il voto. Per poi ottenere un reincarico e a quel punto riaprire il gioco. Con Renzi, che ha messo agli atti una sua astensione, e dunque tenendolo aperto a sua volta, o magari senza Renzi perché, una volta sancita una discontinuità, a quel punto anche l’operazione responsabili può essere agevolata da una parvenza di dignità politica. Nel senso che un conto è correre in soccorso del governo in nome della cadrega un conto è salvare la faccia facendo finta che è in atto un’operazione politica: un nuovo programma, un nuovo governo, eccetera eccetera.

In parecchi, dentro il Pd, questa cosa la sussurrano sotto i fragori della linea ufficiale e anche dentro in Cinque stelle dove ormai ogni testa è un tribunale, perché, dicono, “è complicato governare con una maggioranza esigua”. La risposta, all’amletico quesito, è un brusco “no”. Conte non ha alcuna intenzione di dimettersi né prima né dopo il voto, sia della Camera sia del Senato. E non ha neanche tutta questa intenzione di salire al Colle a riferire o spiegare come andare avanti se non sarà chiamato a rapporto. L’importante è prendere un voto in più, punto, anche se a palazzo Madama martedì non si dovesse raggiungere, come probabile, la famosa soglia 161, ovvero la maggioranza assoluta. Il ragionamento del presidente parte da un assunto, il “mai più con Renzi”, accompagnato dall’eccitazione della sfida e da un mal celato rancore personale: “Gli ho offerto di tutto – va ripetendo – l’ho anche cercato due volte e non mi ha risposto, l’ho cercato anche una terza col numero oscurato di palazzo Chigi, niente”. E arriva all’arrocco come strategia, il più classico tirare a campare: incasso il voto alla Camera, sulla base di quello e in un clima di pressione ambientale vado al Senato, prendo un voto in più, comunque esso sia, anche quota 154 con i senatori a vita, e quel punto ho salvato la ghirba dimostrando che non c’è un’altra maggioranza possibile.

Il copione è già scritto: molti tireranno in ballo Mattarella, chiedendo al capo dello Stato un giudizio e un intervento di fronte a una maggioranza che maggioranza non è, fragile, risicata, politicamente inadeguata in questo contesto che richiederebbe ben altra forza e coesione. E sarà un po’ come ululare alla luna perché il capo dello Stato, questo capo dello Stato, poco può fare davanti a un presidente in carica che non ha intenzione di rassegnare il proprio mandato. Che questo andazzo gli piaccia è tutt’altro discorso, e infatti non apprezza. Così come nutre perplessità sui consigli ascoltati a palazzo Chigi, assai diversi dai propri auspici. Ma, per come sta interpretando il suo ruolo in modo notarile, Mattarella ha intenzione di entrare in campo solo se c’è una crisi conclamata, non una crisi politica strisciante.

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L’anomalia italiana. Così il premier rottama del tutto l’idea di partito

lunedì, Gennaio 18th, 2021

di RAFFAELE MARMO

La democrazia italiana, nelle sue molteplici stagioni, ha avuto avuto il suo asse portante nei partiti. E anche nella ormai lunga fase della cosiddetta Seconda Repubblica la rappresentanza politica è passata attraverso formule personalistiche discutibili – i partiti personali – che però hanno avuto, comunque sia, la forma del partito o del movimento e, soprattutto, il battesimo del fuoco elettorale. L’idea-tentazione che sta prendendo quota in queste convulse giornate, tra Palazzo Chigi e altri ambienti di riferimento del premier, è, invece, quella di un’aggregazione parlamentare direttamente a sostegno di Giuseppe Conte.

Insomma, ci troviamo di fronte a qualcosa di inedito che va oggettivamente oltre gli stessi partiti personali e che pone più di un interrogativo: il gruppo parlamentare ispirato da Conte quanto avrebbe ancora a che fare con l’idea di una democrazia fondata sui partiti?

La domanda non appaia peregrina, perché i segnali quantomeno di un superamento (per non dire fastidio) dei partiti si sono moltiplicati durante l’esperienza di questo governo. Il massimo che il presidente del Consiglio ha concesso alla politica rappresentativa è stata la riunione dei capi-delegazione (che sono suoi ministri e dunque da lui coordinati): i vertici dei leader delle forze politiche di maggioranza sono stati praticamente azzerati o vissuti con evidente contrarietà.

Ma neanche con Silvio Berlusconi, un signore che ha vinto di suo più di un’elezione, si è arrivati mai a un tale livello di antipatia per lo strumento-chiave della democrazia rappresentativa. A quale altra logica, del resto, risponde l’idea della gestione piramidale del Recovery Plan (con il comitato ministeriale e la task force manageriale) se non a quella di sottrarla alla direzione strategica delle forze politiche di maggioranza?

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Lombardia in guerra contro la zona rossa. Il lockdown costa miliardi all’economia

lunedì, Gennaio 18th, 2021

di MASSIMILIANO MINGOIA

Milano, 18 gennaio 2021 – Il ricorso al Tar della Lombardia è pronto, sarà depositato questa mattina. La Regione non cede di un millimetro e procederà per vie legali contro la decisione del governo di far scattare la zona rossa, da ieri, nella regione guidata dal leghista Attilio Fontana. Dei quasi 15 milioni di italiani sotto lockdown, oltre 10 milioni sono lombardi, un sesto degli abitanti dell’intera penisola. Nell’area che da sola produce il 22 per cento del Pil, per 368 miliardi di euro di valore, ci sono oltre 51mila fra bar e ristoranti, un quinto dei 256mila che la Coldiretti – stime di ieri – ritiene a rischio chiusura, con un fatturato dimezzato (-48%) e quasi 41 miliardi di euro in fumo. Così, il governatore, indica su Facebook l’obiettivo della dura presa di posizione della Lombardia: “Ora facciamo ricorso. Puntiamo a sederci al tavolo tecnico della modifica dei parametri, che il governo ha più volte promesso, ma mai aperto, anzi, ha stretto le soglie sugli stessi parametri e portato la Lombardia in zona rossa”.

Il presidente si riferisce all’indice Rt, che calcola la trasmissibilità del virus nel tempo in base alla curva dei casi giornalieri. Su questo fronte, nel tardo pomeriggio, scende in campo anche la vicepresidente e assessore al Welfare Letizia Moratti, che sollecita al ministro della Salute Roberto Speranza una sospensione per 48 ore, in via cautelare, dell’ordinanza sulla zona rossa.

Una sospensione in attesa dell’aggiornamento degli indici Rt basati su dati che configurerebbero per la Lombardia un livello di rischio attuale più mite. “La revisione sollecitata per martedì sulla base di questi dati – sottolinea la Moratti – potrà essere molto più puntuale e oggettiva e dimostrare il minor grado di rischio di Regione Lombardia. Si tratta di una sospensiva di 48 ore che sono certa troverà poi una conferma definitiva per l’intera Regione a seguito del ricalcolo degli indici che alla data del 16 gennaio a Regione Lombardia risulterebbe di 1,01 in decremento dall’1,17 di domenica 10 gennaio”. La nota dell’assessore è corredata da una serie di tabelle, che indicano, riferite a ieri, 15,9 nuovi positivi ogni 100 mila abitanti, 6,40 nuovi positivi per 100 tamponi e 4,51 ricoverati in terapia intensiva ogni 100 mila abitanti. Non solo. C’è anche una tabella che mostra la Lombardia al primo posto tra le Regioni per vaccini anti-Covid somministrati: 177.282.

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Patentino Covid, piano del Lazio: si userà al cinema e in palestra, ingressi agevolati

lunedì, Gennaio 18th, 2021

di Lorenzo De Cicco

Il patentino dei vaccinati Covid «potrebbe diventare come la cuffia per nuotare in piscina», dice l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato. «Chi ce l’ha entra in vasca, gli altri no. Un discrimine sano, a tutela della collettività, e che potrebbe essere utile a rilanciare i settori economici in crisi». Per esempio palestre, cinema, teatri. Spazi di vita, chiusi da mesi proprio per limitare i contagi, e che tanti smaniano di riconquistare, un po’ per volta, i titolari in primis. Fuori dalla metafora acquatica, dal governo alle Regioni, Lazio compreso, tanti si interrogano sul futuro dell’«attestato» d’immunizzazione, per chi avrà ricevuto prima e seconda dose del siero anti-virus. A Roma e nelle altre province non ci sarà una card, come invece propone in Campania il governatore De Luca. Tutto passerà da computer e smartphone: da metà febbraio il “patentino” si scaricherà sul fascicolo sanitario personale, sul sito LazioSalute, oppure tramite un’app che gli informatici della Pisana stanno già collaudando. Si accederà tramite lo Spid, il sistema d’identità digitale, le stesse credenziali già sfruttate, tra le altre cose, per i rimborsi del cashback. APPROFONDIMENTI

Flourish logo

A Flourish bar chart race


Gli spostamenti

L’attestato, dice chi sta seguendo la pratica in Regione, potrebbe essere sfruttato per gli spostamenti fuori dai confini del Lazio. Oggi l’Italia è frazionata in tre colori (col quarto, il bianco, appena decretato), ma quando la campagna di vaccinazione diventerà “di massa”, il certificato d’immunità potrebbe diventare un pass per muoversi più liberamente lungo lo Stivale. Lo stesso potrebbe valere per l’accesso a tanti settori del tempo libero, migliaia di attività oggi costrette a tenere abbassata la saracinesca. «Cinema, teatri, palestre – riprende l’assessore D’Amato – Se a livello governativo, o europeo, si opterà per un patentino, noi siamo pronti: potrebbe essere un discrimine positivo per regolare alcuni comparti. Pensiamo ai vaccini contro il morbillo a scuola: per iscriverti lo devi fare. O la cuffia in piscina: se ce l’hai entri, altrimenti no. Questo strumento potrebbe diventare cruciale quando la campagna avrà raggiunto numeri rilevanti». Forniture permettendo. «Per alcune rotte aeree, oggi vale la logica un biglietto-un tampone. Con il vaccino potrebbe accadere lo stesso per alcuni settori. Ora – conclude il responsabile della Sanità – anche noi aspettiamo di capire cosa farà il governo».

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Caso Pfizer, una beffa i contratti firmati dalla Ue: ora rischio seconde dosi

lunedì, Gennaio 18th, 2021

La corsa ai vaccini, con i Paesi di tutto il mondo che stanno sgomitando per accaparrarsi il numero più alto possibile di dosi, ha consegnato il famigerato coltello dalla parte del manico alle compagnie farmaceutiche. Quando la Commissione europea ha siglato i contratti per i 27 Paesi membri ha dovuto accettare alcune condizioni imposte dai sei gruppi con i quali ha raggiunto l’intesa. APPROFONDIMENTI


Il contratto


Una su tutte: in autunno non c’era la garanzia del risultato, ad esempio Sanofi ha rinviato a fine 2021 la conclusione della sperimentazione; AstraZeneca ha avuto dei problemi. Dunque, nessuna compagnia farmaceutica si è impegnata sull’esito finale. Questo vale anche per Pfizer che ha un vincolo nelle forniture trimestrali (per l’Italia, ricordiamolo, deve consegnare 8.749.000 dosi entro il 31 marzo, altre 8.076.00 entro il 30 giugno), ma di fatto ha totale libertà di scelta nella cadenza degli invii.

C’è di più: Pfizer sta decidendo, a sua discrezione, a quali centri di vaccinazione inviare più dosi, a quali meno. Questo sta facendo infuriare i governatori perché vi sono Regioni come l’Abruzzo e l’Umbria che non hanno una diminuzione delle forniture, altre come il Lazio che registrano un taglio del 25 per cento, altre ancora come Veneto e Friuli-Venezia Giulia che hanno visto dimezzare gli arrivi di fiale.

In questo modo, diviene complicato garantire una regolare somministrazione della seconda dose a chi è stato vaccinato. Il richiamo deve avvenire dopo tre settimane; ieri allo Spallanzani, a Roma, alcuni degli operatori hanno ricevuto la seconda iniezione. Il Lazio conta di attingere alla scorta del 30 per cento che aveva tenuto nei congelatori, ma altre Regioni potrebbero avere molte più difficoltà.

L’ufficio del Commissario straordinario per l’emergenza ieri ha confermato i numeri: «In modo del tutto arbitrario Pfizer ha deciso come ridistribuire la nuova fornitura» e «a fronte delle 562.770 dosi previste, ne verranno consegnate 398.800». «Questa decisione – si legge ancora nella nota della struttura commissariale – non condivisa né comunicata ai nostri uffici produrrà un’asimmetria tra le singole regioni».


Le dosi Pfizer in meno


Su scala nazionale il taglio è del 29 per cento, in termini assoluti Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto con circa 25mila dosi sono le regioni più colpite, poi il Lazio con 12 mila e la Puglia con 11.700. Infuriato il governatore del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, la cui regione ha subito una riduzione del 54 per cento: «È inaccettabile: penso serva un riequilibrio, dove il taglio venga spartito in modo equanime nel Paese. Ho sentito Pfizer, mi dicono che dalla settimana successiva si dovrebbe tornare alla fornitura normale, ma se non abbiamo certezze il rischio è che dovremo decidere di rallentare la campagna vaccinale».

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Conte sotto la lente di Mattarella: gli scenari che si aprono per il governo

lunedì, Gennaio 18th, 2021

di Marzio Breda

La sorte del governo, e l’obbligo del Quirinale a gestire la crisi qualora si trasformasse da virtuale in formale, dipenderà da quello che Giuseppe Conte dirà tra oggi e domani in Parlamento. E anche da come lo dirà. Ecco che cosa vuole verificare Sergio Mattarella dopo la gran confusione sui negoziati in corso, per valutare quali possibilità abbia sul serio la resistenza del premier ad abbandonare la nave semiaffondata dell’esecutivo e, nell’ipotesi di un salvataggio in extremis, di assicurarsi per il futuro una navigazione non avventurosa. Non troppo, almeno, perché in questa stagione di plurime emergenze non possiamo permettercelo. Di sicuro, per lui, c’è solo che quello di martedì non sarà l’epilogo, ma l’inizio di una nuova fase dall’esito incerto.

Negli ultimi giorni un numero variabile di «responsabili» il premier lo ha trovato, anche se non sembra arrivare alla soglia che sperava. Perciò diventa politicamente cruciale per lui vedere come si comporterà Italia viva, che ha ventilato una disponibilità ad astenersi alla prova della fiducia, formula che nella storia repubblicana è sempre stata «un atto con cui si coopera al varo di un governo» (parecchi gli esempi, basta pensare all’Andreotti III, del 1976, maturato sulla «non sfiducia» del Pci).

E qui nasce il punto interrogativo che inquieta pure il Quirinale: come parlerà Conte a Renzi? Si taglierà i ponti dietro le spalle, rivolgendosi al senatore di Firenze con l’asprezza che usò verso Salvini, il 20 agosto 2019, quando il leader leghista annichilì l’alleanza gialloverde? O ricorrerà a qualche astuzia retorica, ignorando con nonchalance (ma ne servirebbe davvero tanta) l’accusa di aver creato «un vulnus democratico», per tenere la porta aperta a un’ipotetica collaborazione con Iv, se non addirittura al recupero del vecchio patto?

Tocca al premier sciogliere questi nodi, decisivi anche per gli scenari ai quali si sta preparando il capo dello Stato, che in questa fase si astiene del tutto dall’interferire perché non sia messo in dubbio il proprio ruolo istituzionale di garanzia, nel caso la crisi diventasse conclamata e dovesse gestirla in prima persona.

Ora, dato che la Costituzione non impone che i governi siano tenuti a battesimo da una maggioranza assoluta, che è di 161 voti al Senato, a Conte e ai suoi soccorritori riuniti sotto la bandiera di un gruppo parlamentare può bastare la maggioranza semplice (o relativa). Traguardo che si conquista con un voto in più di quelli messi insieme dall’opposizione. Esistono una trentina di precedenti, compresi un paio legati all’era berlusconiana, che vincolano Mattarella ad accettare — comunque lo giudichi — un simile risultato. Dal quale, per inciso, il premier uscirebbe automaticamente confermato al timone di Palazzo Chigi, senza bisogno di dimettersi e rinascere sotto la voce «ter». Tanto che, secondo la prassi, Conte potrebbe perfino non sentirsi in obbligo di salire al Quirinale, se non per cortesia, o per proporre un rimpasto, peraltro ampiamente prevedibile.

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Crisi di governo, l’ora del giudizio: al Senato Conte punta a quota 157

lunedì, Gennaio 18th, 2021

di Marco Galluzzo

ROMA — È arrivato il momento della verità. Lunedì alla Camera, alle 12, e martedì al Senato, Giuseppe Conte si rivolgerà al Paese e ai parlamentari, cercherà per quanto possibile di ignorare Matteo Renzi, e affronterà probabilmente il momento più difficile della sua carriera politica. I numeri sono ancora ballerini, almeno quelli del Senato. Se lunedì la fiducia alla Camera è garantita, martedì a Palazzo Madama può succedere di tutto, visto che la maggioranza viene data oscillante, al momento fra 151 e 157 voti, a seconda delle scelte dei singoli e delle trattative delle ultime ore.

Sia il Pd che i Cinque Stelle continuano a fare muro contro i renziani, all’insegna del «mai più» con un soggetto politico considerato «inaffidabile e irresponsabile». Ma nel frattempo si ripetono gli appelli ai cosidetti responsabili del Senato che possono ancora condizionare il futuro politico dell’esecutivo.

Due senatori dell’Udc sarebbero in bilico, così come due esponenti di Italia viva.

Anche Nicola Zingaretti si è rivolto alle «forze democratiche, liberali e europeiste», chiedendo unità «per salvare il Paese». Ma in questo momento l’unica certezza è quella di una maggioranza relativa, al Senato, non si sa quanto solida, e in qualche modo favorita, anche se appare un paradosso, dall’astensione dei renziani.

«Tutti gli scenari sono aperti», ammette con franchezza il ministro Peppe Provenzano. Anche se Italia Viva continua a perdere pezzi, sia pure soltanto alla Camera: dopo Vito De Filippo Michela Rostan oggi voterà la fiducia. Ma al Senato per il momento il gruppo di Italia Viva continua a rivendicare compattezza. I numeri certi a Palazzo Madama, a quanto emerge anche dopo un vertice di maggioranza con il ministro D’Incà e i capigruppo, parlano di 151 senatori. Ma fra senatori a vita, incerti dell’Udc e di Italia Viva si potrebbe arrivare anche a quota 157, addirittura 158. «Il mio obiettivo non è mai stato cacciare Conte ma non sarò compartecipe di disegni mediocri, voteremo le misure che servono al Paese ma non siamo in maggioranza. Se non ha 161 voti al Senato è un arrocco quello di Conte. E ho fatto solo quello che il Pd non ha avuto il coraggio di fare, pur condividendo in privato la mia posizione», sostiene Renzi.

Ma per il Pd e M5S la colpa della crisi porta solo il nome dell’ex premier. «Una cosa è rilanciare — attacca Nicola Zingaretti — un’altra è distruggere. Se non si rispettano le opinioni degli altri, avendo la presunzione di tenere in considerazione solo le proprie, allora viene meno la possibilità di lavorare insieme». Il Pd in direzione dà il via libera al passaggio parlamentare di Conte, «è un dovere e non un diritto chiedere la fiducia», precisa il leader dem. E si aggiorna a dopo il passaggio al Senato per capire i passi successivi. «Non lasceremo mai gli italiani nelle mani di persone irresponsabili», è l’impegno di Luigi Di Maio mentre il M5S ripete ancora una volta per voce di Vito Crimi, Alfonso Bonafede e dei capigruppo, che «Renzi ha fatto una scelta molto grave che ha separato definitivamente le nostre strade».

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Il discorso di Conte alla Camera, oggi (che non sarà un processo a Renzi)

lunedì, Gennaio 18th, 2021

di Monica Guerzoni

Il discorso di Conte alla Camera, oggi (che non sarà un processo a Renzi)

Non sarà un j’accuse. L’avvocato non userà toni da processo, non tratterà Matteo Renzi come un imputato. E nell’aula di Montecitorio ammetterà di aver «fatto errori», magari anche tanti, ma non tali da giustificare una crisi al buio e la caduta del governo, mentre arriva la terza ondata del virus. «C’è in gioco il Paese» è il filo conduttore del discorso con cui Giuseppe Conte, alla prova decisiva del suo doppio mandato, spera di agguantare la maggioranza assoluta oggi alla Camera e di conquistare, domani al Senato, una fiducia che si avvicini il più possibile ai 161 voti.

Per vincere ne basta uno in più, ma il numero della maggioranza assoluta è la soglia politica e simbolica a cui il fondatore di Italia viva ha appeso le sorti del rivale: «Se non li ha è un arrocco». Sfida che il presidente del Consiglio proverà a vincere con un «discorso alto», limato fino a notte con maniacale cura per sbianchettare i passaggi più taglienti. Qualche pietruzza dalle scarpe Conte se la vuol togliere, ma non gli sembra il caso di riservare a Renzi lo stesso trattamento inflitto a Matteo Salvini il 20 agosto del 2019, dopo lo «schiaffo» del Papeete. L’aula anche domani sarà quella di Palazzo Madama, ma in un anno è mezzo è cambiato il mondo.

L’Italia piange oltre 82 mila morti di Covid e aspetta come una manna dal cielo i soldi del Recovery. Scenario che non permette polemiche sterili, però richiede chiarezza. Uscire dal governo dopo aver «posto «condizioni irrealizzabili» come il Mes è stata «una scelta grave» e il premier inviterà il leader di Italia viva ad «assumersi le sue responsabilità». Ma se bacchetterà Renzi per aver «compromesso gli interessi del Paese» in favore degli interessi politici del suo piccolo partito, ai parlamentari di Italia viva spalancherà porte e finestre.

La vigilia l’ha passata in casa, a soppesare e lucidare fino a notte ogni vocabolo del suo ecumenico appello agli italiani e a tutte (o quasi) le anime del Parlamento. Trasparenza, responsabilità, valori, «nuovo Umanesimo». E poi il ruolo dell’Europa, lo sviluppo sostenibile, la scuola, i cantieri… La riforma del fisco e quella della giustizia. A tutti, salvo ai sovranisti di Salvini e Meloni, il Conte «federatore» offrirà un «patto di legislatura». Agli europeisti, ai moderati, a chi ha creduto in Renzi e potrebbe pentirsi, ai liberali di Berlusconi, ai i 5 Stelle cacciati o usciti dal Movimento, fino al più irriducibile dei socialisti: immancabile la strizzatina d’occhio al senatore Riccardo Nencini, che può portargli in dote il simbolo del Psi.

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Morto Benjamin de Rothschild: l’erede della dinastia di banchieri aveva 57 anni

domenica, Gennaio 17th, 2021
Morto Benjamin de Rothschild: l'erede della dinastia di banchieri aveva 57 anni

Benjamin de Rothschild, il banchiere che aveva governato il gruppo fondato dal padre dal 1953, è morto, stroncato da un infarto all’età di 57 anni.

Il comunicato dell’Edmond de Rothschild Group, di cui era presidente, ha spiegato che il decesso è avvenuto venerdì pomeriggio a Pregny, in Svizzera.

De Rothschild aveva guidato il gruppo finanziario internazionale, specializzato nelle attività di asset management, private banking e private equity, che portava il nome del padre dal 1997. È un discendente della famiglia Rothschild, che ha una storia di quasi 300 anni nella gestione di banche europee. Appassionato di finanza, vela, automobili e vino, era anche un filantropo, coinvolto nell’ospedale della Fondazione Adolphe de Rothschild, ha detto la società. Lascia la moglie, Ariane de Rothschild, e quattro figlie.

Il gruppo de Rothschild, creato dal barone Edmond de Rothschild , i cui genitori sono fuggiti in Svizzera durante la seconda guerra mondiale per sfuggire alla persecuzione degli ebrei, amministra un patrimonio di 160 miliardi di euro, ha sede a Ginevra, opera in 33 Paesi e può contare su circa 2700 dipendenti. Secondo la stima di Forbes, il patrimonio di Benjamin de Rothschild era di 1,5 miliardi.

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