DALMINE (BG). I carabinieri del Comando Provinciale di Bergamo hanno
arrestato questa mattina Francesco, il figlio 34enne di Franco Colleoni,
il ristoratore ed ex segretario della Lega Nord provinciale, trovato
senza vita ieri nel suo ristorante di Dalmine. Da subito gli
investigatori avevano detto di indagare in tutte le direzioni, perché
non convinti dall’ipotesi di una rapina finita male.
Ristoratore ucciso nel cortile di casa nel Bergamasco
L’attività di polizia giudiziaria svolta ininterrottamente
dal momento dell’omicidio dai carabinieri ha permesso di accertare che
nella mattinata di ieri dopo l’ennesimo diverbio per la riapertura del
loro ristorante, padre e figlio, cuoco del locale, hanno avuto una
colluttazione nel corso della quale il figlio ha percosso violentemente
il padre facendolo cadere a terra e facendogli sbattere la testa su una
pietra del cortile. Il presunto movente è nei cattivi rapporti familiari
e in quelli legati alla gestione del ristorante di famiglia, che sembra
non navigasse in buone acque. Una situazione difficile sulla quale si
sono abbattute le difficoltà portate dalla pandemia.
Dalmine, omicidio Franco Colleoni, il ricordo dei leghisti e lo stupore di sindaco e vicini: “Qui non c’è criminalità”
“Carmelì, mi vuoi sposare?” col pennarello sulla tuta anti-Covid l’infermiere in servizio all’ospedale di Ostuni, che ha chiesto così la mano della sua fidanzata.
Una nuova ondata dell’epidemia che metterà sotto pressione il
sistema sanitario di tutto il Regno Unito. C’è allarme tra i medici
britannici per la veloce diffusione della variante del Covid in tutto il
Paese, non solo nel sud dell’Inghilterra. Tutti gli ospedali,
avvertono, devono prepararsi ad affrontare una situazione di emergenza
in termini di ricoveri. «Non c’è dubbio che il Natale avrà ripercussioni
negative e anche la nuova variante avrà un grande impatto. Sappiamo che
è più contagiosa, più trasmissibile, quindi penso che i grandi numeri
che stiamo vedendo nel sud-est, a Londra, nel sud del Galles, si
rifletteranno nel prossimo mese, o in due mesi, nel resto del Paese»,
avverte il professor Andrew Goddard, del Royal college of physicians,
alla Bbc.
APPROFONDIMENTI
Ieri
il Regno Unito ha registrato un nuovo record di contagi da Covid,
57.725 in ventiquattr’ore, il massimo dall’inizio della pandemia. È il
quinto giorno di fila che si superano i 50 mila nuovi casi,
l’Inghilterra si conferma l’area più in crisi e Yvonne Doyle, direttrice
della Public health england, informa che «la trasmissione» del virus «è
molto alta». Le statistiche più recenti nel Regno Unito hanno rilevato
circa 24.000 ricoveri, un numero significativamente più alto del picco
primaverile con 21.683 persone curate in ospedale. La pressione sulle
strutture di Londra e del sud-est dell’Inghilterra è stata così forte
che alcuni pazienti sono stati spostati fuori dall’area. Inoltre, è la
previsione del professor Goddard, «sembra molto probabile che vedremo
sempre più casi, ovunque le persone lavorino nel Regno Unito, e dobbiamo
essere preparati per questo». Nonostante il vaccino, «il peggio deve
ancora venire», spiegano i medici, per raggiungere il picco delle
infezioni ci vorranno almeno altre due settimane mentre centinaia di
pazienti iniziano il nuovo anno in terapia intensiva. Gli ospedali che
ospitano malati Covid non hanno più letti e potrebbero essere costretti a
trasferire i pazienti nelle Midlands o in altre zone, il personale in
prima linea è in affanno perché molti hanno contratto il virus o sono
stati costretti ad autoisolarsi dopo il contatto.
Il 7 gennaio si torna al sistema dei colori delle Regioni decisi sulla base dei 21 indicatori che valutano l’andamento dell’epidemia di Sars-CoV-2. Finisce il «periodo speciale», con i giorni rossi e arancioni uguali per tutti durante le feste di Natale. Ma come si riparte? Con il livello più basso di giallo ovunque, salvo che non si anticipi la riunione della cabina di regia, prevista per ora per venerdì 8 gennaio, quando si stileranno le nuove pagelle e decideranno i nuovi colori. Infine, il 15 gennaio scade il provvedimento del governo che regola il sistema e i 21 indicatori potrebbero essere rivisti. Non solo nella direzione chiesta dalle Regioni, che spingono per inserire anche i tamponi rapidi quando si valuta la capacità di fare tracciamento. Al Ministero della Salute si sono accorti che avere fissato a 1,25 il livello minimo dell’Rt (l’indice di trasmissione del virus) per entrare nello scenario 3 con possibile passaggio a fascia arancione e a 1,50 per lo scenario 4 e la fascia rossa, può essere poco efficace. Si rischia di intervenire tardi, quando una regione è ormai in difficoltà. Il caso del Veneto, in fondo, dimostra i limiti del meccanismo.
La
regione di Zaia ha visto una diffusione del virus molto intensa,
eppure, proprio per il sistema dell’Rt, ma anche per una buona risposta
del sistema sanitario locale, è sempre rimasta gialla e questo potrebbe
non averla aiutata. Nell’ultimo report del 31 dicembre l’Rt puntuale era
a 1,07, certo allarmante perché sopra il livello critico di 1, ma non
tale da fare scattare la fascia arancione. L’8 gennaio si valuterà
l’evolversi della situazione, ma la procedura nelle settimane successive
sarà rivista. I tecnici ipotizzano di abbassare a 1,1 il valore dell’Rt
che prevede le contromisure, andando però a equilibrare questo dato con
quello dell’incidenza, vale a dire il numero di nuovi casi positivi
ogni 100mila abitanti negli ultimi 14 giorni. Il valore virtuoso prevede
di restare sotto a 50, oggi l’Italia è a 305, il Veneto a 968, il Lazio
a 285, l’Abruzzo a 168, l’Umbria a 196, le Marche a 293, la Campania a
179 e l’Emilia-Romagna a 412, per fare alcuni esempi.
Circolare
Sintetizzando: il sistema dei colori, per affrontare i mesi delicati fino a primavera, sarà reso più rigido, rendendo più tempestivo il ricorso alle fasce arancioni e rosse per le regioni in difficoltà. In parallelo, tra domani e dopodomani, il Ministero della Salute emanerà una circolare che farà ordine nel sistema dei tamponi rapidi antigenici. Ormai la valutazione del tasso di positività, sul totale dei casi testati, è totalmente disomogenea da Regione a Regione, perché non tiene conto, nei calcoli, proprio dei rapidi. Alcuni esempi: Lazio e Veneto sono tra le Regioni che ne eseguono di più al giorno, rispettivamente 40.000 e 60.000.
Matteo Renzi ignora l’appello del capo
dello Stato Sergio Mattarella e va allo scontro finale con il presidente
del Consiglio Giuseppe Conte: via i ministri di Italia Viva dal
governo.
Il
senatore di Rignano fa sapere che il 7 gennaio prossimo annuncerà
l’addio della delegazione Iv, i ministri Teresa Bellanova (Agricoltura) e
Elena Bonetti (Famiglia), all’esecutivo Conte. È la risposta al guanto
di sfida («Se è crisi, vado in Parlamento») lanciato dal premier nella
conferenza stampa di fine anno. Il tam tam si fa insistente nelle ultime
ore: i renziani sono pronti a uscire dalla maggioranza. Renzi raccoglie
la sfida di Conte e assesta uno schiaffo al Presidente della
Repubblica. In occasione del discorso dell’ultimo dell’anno, il Colle ha
spronato i partiti (in primis a Italia Viva) a «non inseguire vantaggi
di parte». Di tutta risposta ieri, Renzi (destinatario del monito del
capo dello Stato) – dalle pagine del Messaggero – ha rilanciato
l’affondo: «Se Conte vuole la conta, lo aspettiamo in Parlamento. Conte
ha detto che verrà in Parlamento. A mio giudizio ha sbagliato a chiudere
così la verifica di governo. Ma se ha scelto di andare a contarsi in
Aula accettiamo la sfida. Peraltro lo ha fatto dal pulpito di una
conferenza stampa mentre il Senato votava per la prima volta una legge
di bilancio il 30 dicembre senza possibilità di cambiarla. Uno scandalo
istituzionale. Peccato che Conte abbia preferito evitare l’Aula per
inseguire l’ennesima diretta tv». L’ex premier sguinzaglia contro
Mattarella e Conte anche il capogruppo Iv alla Camera dei deputati: «Nel
caso in cui ci saranno transfughi di Forza Italia che salveranno il
governo nessuno di noi griderà allo scandalo, ma Iv continuerà il
proprio lavoro dall’opposizione. Se il governo entra in crisi, Pd e
5Stelle sostengono che ci restano solo le urne. Il voto non è mai una
minaccia», attacca Maria Elena Boschi in un’intervista a Repubblica.
L’appello del capo dello Stato sembra caduto, dunque, nel vuoto.
Soprattutto alla luce dell’annuncio (ormai è questione di ore) del
ritiro della delegazione di ministri dall’esecutivo dal 7 gennaio.
Nelle
prossime ore si deciderà il futuro del governo. L’esperienza
giallorossa è giunta realmente al capolinea o la legislatura andrà
avanti fino a scadenza naturale? Una domanda che si stanno ponendo gli
stessi protagonisti dell’esecutivo, praticamente inermi di fronte allo
stallo politico che si è creato dopo le pretese avanzate da Matteo Renzi:
via la task force e ottenere il via libera al Mes, alle modifiche sui
progetti del Recovery Fund e all’affidamento della delega sui servizi
segreti a una persona che non sia lo stesso premier.
Sarà
dunque un gennaio piuttosto movimento per il presidente del Consiglio,
chiamato a non sprecare le occasioni dei fondi europei e a non fallire
in alcun modo la campagna di vaccinazione. A questo si aggiunge anche
l’onere di risolvere un intrigo di cui lui stesso si è
reso colpevole, rintanandosi a Palazzo Chigi e distaccandosi da quella
che è la situazione reale in cui versa il nostro Paese. L’avvocato si è
detto disponibile ad accogliere le istanze delle forze di maggioranza. L’occasione utile sarà il primo Consiglio dei ministri che dovrebbe essere convocato entro il 7 gennaio.
Il rimpasto
L’allarme potrebbe rientrare solamente se verranno accolti i rilievi dei partiti che lo sostengono. Tra le ipotesi sul tavolo resta sempre quella del rimpasto, che porterebbe al rafforzamento dello scacchiere dei ministri (ecco chi potrebbe entrare e chi rischia di uscire) e magari prevedere – come nell’esecutivo gialloverde – la presenza di due vicepremier da affiancare a Conte.
Washington – Tra dieci giorni, il 12 gennaio, gli Usa manderanno a morte Lisa Montgomery. Se l’applicazione della condanna avrà luogo, sarà la prima detenuta in un carcere federale a essere giustiziata in quasi 70 anni. Lisa Montgomery è anche l’unica donna attualmente nel braccio della morte nel Paese.
Le è stata inflitta la pena capitale per un omicidio raccapricciante
avvenuto nel Mossouri: secondo la giustizia americana nel 2004 aveva strangolato una donna incinta, aveva fatto nascere il suo bambino tagliando il pancione con un coltello da cucina e poi lo aveva rapito.
L’esecuzione era stata fissata per il mese scorso – riportano i media
– ma era stata sospesa dopo che uno degli avvocati della donna si era
ammalato di Covid. Il team legale della donna ha annunciato che avvierà
una petizione per fermare l’esecuzione.
L’ultima donna giustiziata dal governo americano è stata Bonnie Heady, condannata a morte con la camera a gas nel Missouri nel 1953.
Promesse al vento. Cifre alla mano, Carlo Calenda demolisce il piano di vaccinazione che definisce “velleitario”, boccia il governo sul Recovery plan (“una lista di buone intenzioni”) né le manda a dire sulla riapertura delle scuole dopo l’Epifania: “La didattica in presenza è possibile solo se gli ingressi sono scaglionati. Non mi pare che gli insegnanti abbiano accettato ovunque questo principio”. In uno scenario “disastroso” per il Paese, il leader di Azione riprova a suonare la campana dell’ultimo giro lanciando un appello a tutti i leader: “Mettetevi a sedere attorno a un tavolo e date vita a un governo di pacificazione nazionale”.
Onorevole Calenda, il ministro Speranza ha promesso 13
milioni di vaccinati entro marzo. Un traguardo raggiungibile, malgrado
un avvio a rilento?
“Assolutamente no. Stiamo parlando di 26 milioni di dosi
somministrate, che significa 300mila al giorno. Per questo lavoro,
occorrono 18mila persone tra medici e infermieri”.
Il governo ha stanziato risorse per l’assunzione di 3mila medici e 12mila infermieri.
“Al momento ne abbiamo 2850. E questo perché solo il 16 dicembre
Arcuri ha fatto il bando per questi 15mila sanitari in più. Intanto
bisogna vedere se si trovano, poi bisogna formarli. Ancora: bisogna
individuare posti per le vaccinazioni, non bastano gli ospedali. E serve
un sistema informatico adeguato per monitorare lo stato dell’arte. Di
fronte a tutte queste carenze, ritengo il piano del governo
velleitario”.
Non si può rimediare?
“È difficile: le operazioni andavano fatte tre mesi fa. Dato per
scontato il ritardo accumulato, è necessario intervenire per ’far
parlare’ tra loro le piattaforme vaccinali che tutte le regioni hanno ma
l’una scollegata dall’altra. E poi bisognerebbe verificare se possono
essere utilizzati nelle vaccinazioni 40mila dottori di medicina
generale, dotandoli naturalmente dei supporti necessari”.
Una vera e propria lotteria per decidere chi vaccinare tra gli anziani. È quello che sta accadendo in molte case di riposo in Germania dove
per ovviare alla carenza di dosi si è deciso di estrarre a sorte i nomi
di chi sarà vaccinato per primo. Un metodo decisamente poco scientifico
a scapito di una delle categorie, gli anziani che vivono nelle Rsa, più
duramente colpite dal Covid. Ma soprattutto, un modo per evitare di
prendere decisioni che sta inevitabilmente scatenando un fiume di
polemiche. A far scoppiare il caso è stato proprio un esperto di
politiche sanitarie: Lutz Stroppe, ex segretario di Stato alla sanità. APPROFONDIMENTI
Che
alle dieci del mattino ha scritto un tweet personalissimo: «Mia madre
di 88 anni vive in una struttura per anziani a Francoforte. La
vaccinazione contro il Covid è iniziata questa settimana. Le dosi non
sono sufficienti, ora verrà estratto a sorte chi potrà essere vaccinato
per primo. Descrivere i miei sentimenti è proibito dall’etichetta». La
notizia del macabro lancio della monetina tra chi avrà più speranze di
farcela e chi meno ha scatenato decine e decine di commenti facendo così
emergere che quello di Stroppe non è affatto un caso isolato.
I metodi sono diversi, dall’estrazione del bigliettino con il nome all’ordine alfabetico, ma comunque legati sempre e solo al fato. «Casa di riposo in Baviera: circa 30 anziani stanno insieme in una stanza e aspettano informazioni su chi verrà vaccinato e quando.
Per il momento «tutto confermato»: dal 7 gennaio le scuole italiane riapriranno. Al di là dei dubbi di esperti, presidi e governatori (che chiedono un incontro all’esecutivo), e nonostante i contagi stiano continuando la loro risalita, il governo non sembra aver intenzione di rivedere la propria decisione. Stando a quanto si apprende da diverse fonti autorevoli all’interno dell’esecutivo da giovedì prossimo le aule della Penisola torneranno a riempirsi, anche se solo per metà. Il rientro infatti sarà parziale con la didattica a distanza al 50% ovunque e orari d’ingresso scaglionati, ma solo in 11 Regioni (il cosiddetto doppio turno, con ingressi alle 8 e alle 10 e lezioni da 45 minuti).
«Arretrare
sulla scuola, significa rinunciare a un pezzo significativo del nostro
avvenire. Per questo non lo faremo» ha scritto ieri la ministra
dell’Istruzione Lucia Azzolina nella lettera che ha inviato al Consiglio
superiore della Pubblica istruzione la cui componente designata è
scaduta nei giorni scorsi e che le aveva inviato una missiva con alcune
riflessioni sul presente e sul futuro della scuola.
Il governo in
pratica, come preannunciato anche dal premier Giuseppe Conte nel corso
della tradizionale conferenza stampa di fine anno a Villa Madama
(«Auspico che il 7 gennaio le scuole secondarie di secondo grado possano
ripartire»), non sembra intenzionato a cedere ai diversi fronti aperti
dagli oppositori. Almeno fino ad oggi infatti, anche tra chi non è
d’accordo con il rientro, sono state adottate strategie diverse. Niente
ad esempio, è ancora arrivato sul tavolo della Conferenza Stato-Regioni
anche se ieri sera, il presidente delle Regioni e governatore
dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini si è detto pronto ad accogliere i
timori dei suoi colleghi e ad un confronto con il governo: «Io credo
sarebbe giusto che il governo nelle prossime ore ci riconvocasse e
insieme prendessimo una decisione, in maniera molto laica».