Archive for Gennaio 16th, 2021

I tormenti di Giuseppe Conte per la crisi di governo: «Per vincere basta un voto in più»

sabato, Gennaio 16th, 2021

di Monica Guerzoni

I tormenti di Giuseppe Conte per la crisi di governo: «Per vincere basta un voto in più»

È il giorno della grande paura, dei numeri che non tornano, di Giuseppe Conte costretto a interrogarsi in corsa sulla validità della sua strategia. Svanito (per ora) il soccorso degli ex democristiani dell’Udc guidati da Lorenzo Cesa, e quindi l’ancoraggio al Ppe del «progetto politico» che il premier va offrendo ai «costruttori», a Palazzo Chigi si ragiona, pallottoliere (impazzito) alla mano.

E se la «conta» di martedì nell’aula del Senato andasse a finir male, come accadde a Romano Prodi? Se i collaboratori del presidente avessero sbagliato i calcoli? Dubbi, tormenti innescati anche dalle dichiarazioni che arrivano dal Pd. Conte si è affidato a Zingaretti e Franceschini e si è convinto che saranno leali, ma è comprensibile che sia allarmato per le dichiarazioni di alcuni dirigenti dem, secondo i quali incassare la fiducia non basta: un governo retto dai «costruttori» sarebbe troppo debole per affrontare la terza ondata di Covid e gestire il «tesoro» del Recovery.
Matteo Renzi, come alcuni dem di peso, ha fissato molto in alto l’asticella della vittoria: 161 voti, non uno di meno.

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Crisi di governo, i problemi da risolvere e le pedine da cambiare

sabato, Gennaio 16th, 2021

di Antonio Polito

Alla fine l’unica domanda che conta è questa: il prossimo governo sarà migliore? Per chi non segue le evoluzioni acrobatiche di Clemente Mastella e non ha tempo per stabilire l’esatta latitudine dell’Udc, per chi più prosaicamente ha passato il venerdì aspettando di sapere se fare la spesa per il suo ristorante o se i figli vanno a scuola lunedì, ciò che importa è la qualità delle idee e della squadra che ci guiderà nei prossimi mesi di emergenza. Ma non sembra che questo sia al centro della crisi.

Matteo Renzi ha ancora una volta scambiato la politica per virtuosismo, sottovalutando il bisogno di governo di un Paese prostrato e stanco di avventure. Non possiamo prevedere che cosa succederà martedì nell’aula del Senato, le trattative in corso sono troppo oscure e segrete. Ma se Conte riuscirà ad ottenere un voto in più dell’opposizione (giuridicamente questo gli basterebbe, anche se restasse al di sotto della soglia politica dei 161 voti) sarà perché la naturale propensione al trasformismo di molti parlamentari potrà coprirsi dietro l’emergenza nazionale, e dare così la pariglia al senatore di Rignano, che proprio grazie ai cambi di casacca aveva fatto nascere un anno e mezzo fa il suo partitino. L’unica consolazione per lui sarà di aver provato che così fan tutti, e anche i Cinquestelle, un tempo fautori del «vincolo di mandato», quando serve non fanno gli schizzinosi.

Ma se Renzi è il colpevole della crisi, non vorremmo che ora diventasse l’alibi per scansare ancora una volta i problemi seri che il governo aveva già prima della crisi. Se così avvenisse, un nuovo esecutivo giallorosso avrebbe lo stesso difetto di fabbricazione del precedente: quello di essere un governo «contro», frutto di un accordo «anti», nato per tagliare la strada allora a Matteo Salvini e stavolta a Matteo Renzi. Si spazzerebbe cioè la polvere sotto il tappeto, e l’hashtag #AvantiConConte si tradurrebbe in un #FermiConConte. È stato del resto uno degli amministratori delegati della maggioranza, Nicola Zingaretti, ad ammettere ieri che «in questo anno e mezzo di governo si sono commessi molti errori e ci sono state molte lentezze». E infatti da mesi, su richiesta del Pd, Conte aveva aperto una «verifica» proprio per correggere quegli errori: ma si è persa nella nebbia e nessuno ne ha più saputo nulla.

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Ai democratici non conviene un Conte forte

sabato, Gennaio 16th, 2021

di BRUNO VESPA

“La pietra scartata dai costruttori è diventata la pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi’. Così il Vangelo di Marco. Al Signore, oggi, il cattolico Giuseppe Conte chiede un miracolo più audace: far diventare i ‘costruttori’ stessi pietre d’angolo di una nuova maggioranza. Ogni stagione ha i suoi mercati: si chiamino ‘responsabili’ o ‘costruttori’, si tratta sempre di parlamentari che non vogliono lo scioglimento delle Camere temendo di non rientrarci. Ieri sera, nella sua casa di Firenze, Matteo Renzi era convinto che Conte non avesse ancora recuperato la maggioranza al Senato. Cesa (Udc) parla con tutti, a destra e a sinistra.

Mastella, campione indiscusso del ramo, al grido di “siamo responsabili, ma non fessi” non vuole che i ‘costruttori’ vengano portati alla tavola di Conte come ‘i polli di Renzi’. Perché anche Salvini si muove… Due democristiani d’annata come Franceschini e Guerini sono i soli a non aver partecipato al massacro del senatore fiorentino. E questo ha incoraggiato Renzi a garantire l’astensione nei voti di fiducia. Ma se il governo non raggiungesse la maggioranza assoluta, i renziani ricordano il precedente di Berlusconi: l’8 novembre 2011, sul rendiconto generale dello Stato, il governo ebbe 308 voti (e non 316) e fu mandato a casa da Napolitano.

Ma questi son calcoli che possono cambiare di ora in ora. Il vero paradosso è che – oltre ai grillini – è Zingaretti il più interessato a non andare a elezioni anticipate.

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Il Ristori 5 sulla rampa di lancio: 10 miliardi per cancellare le tasse sospese nel 2020

sabato, Gennaio 16th, 2021

di CLAUDIA MARIN

Roma – Il pacchetto Ristori 5 è di fatto sulla rampa di lancio dopo che l’altra notte il governo ha varato un nuovo scostamento da 32 miliardi di euro: nel giro di pochi giorni arriverà anche il decreto legge con le nuove misure per fronteggiare il protrarsi dell’emergenza Coronavirus. In cantiere ci sono la proroga della cassa integrazione e del blocco dei licenziamenti fino a giugno, lo slittamento dell’invio delle cartelle esattoriali fino a fine mese, in attesa di varare anche la cosiddetta rottamazione-quater, ma, principalmente, un piano di indennizzi da 10 miliardi per le imprese che hanno subito i contraccolpi della crisi e delle chiusure in corso. 

A confermare l’operazione nel suo complesso è lo stesso Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che parla di “rimodulazione della riscossione” e di nuovi interventi in arrivo. E’ il Ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, a mettere in campo, invece, l’ipotesi concreta di ulteriori 18 settimane di cassa integrazione, almeno per le piccole aziende. Senza contare l’apertura alla richiesta dei sindacati di un prolungamento del blocco dei licenziamenti, in scadenza a fine marzo, fino al 30 giugno. 

A sua volta, il Ministro Francesco Boccia spiega che il decreto Ristori 5 ha “la massima priorità” e che la crisi “non ci impedirà di correre per garantire tempi rapidi” ai nuovi aiuti ad hoc per lo sci e agli interventi “cospicui” per bar e ristoranti e su tutte le attività penalizzate dalle chiusure. Lo schema prevede infatti un nuovo Cdm subito dopo il via libera delle Camere al nuovo extra-deficit. La fetta più cospicua delle risorse messe in campo con il provvedimento in arrivo riguarda, infatti, le attività economiche rimaste chiuse o semi-chiuse in questi ultimi mesi. In ballo 10 miliardi di euro, che verrebbero utilizzati non per dare nuovi aiuti attraverso l’Agenzia delle Entrate ma per evitare il pagamento delle tasse sospese nel corso del 2020. Si tratta, però, di stabilire il criterio in base al quale le imprese potranno usufruire della cancellazione delle imposte: in gioco la perdita del fatturato del 30 per cento nel corso dello scorso anno. 

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I dubbi sul Piano/ Il governo e il miraggio dell’immunità di gregge

sabato, Gennaio 16th, 2021
Luca Ricolfi

LUCA RICOLFI

Mentre i politici sono impegnati con i giochi di palazzo, le preoccupazioni degli italiani vanno da tutt’altra parte, e girano intorno a due semplici domande: quando ci ridaranno la libertà? Sarà grazie alla vaccinazione di massa che torneremo a vivere (quasi) normalmente? 
E allora proviamo a rispondere, partendo dalle dichiarazioni delle autorità sanitarie, in ordine di tempo.
5 dicembre: «Il nostro obiettivo è l’immunità di gregge grazie al vaccino» (ministro Speranza). 
17 dicembre: «Immunità di gregge a settembre-ottobre prossimi» (Sandra Zampa, sottosegretario al ministero della Salute).
28 dicembre: «Oggi il ministro Speranza ha precisato che entro marzo raggiungeremo la quota di 13 milioni di italiani vaccinati contro il Covid-19, e quindi in estate potremo già essere molto avanti nel perseguimento dell’obiettivo immunità di gregge data dal 70%» (Sandra Zampa).
9 gennaio 2021: «Per arrivare all’immunità di gregge dobbiamo vaccinare l’80% di 60 milioni di italiani» (Sandra Zampa). 

Dunque il percorso è chiaro. Fra dicembre 2020 e gennaio 2021, molto opportunamente, le autorità sanitarie hanno spostato l’asticella dell’immunità di gregge dal 70 all’80%, presumibilmente per tenere conto della maggiore trasmissibilità di alcune varianti del virus. 

E, anche qui assai saggiamente, hanno indicato ottobre come data limite, per [/FORZA-RIENTR]evitare di trovarci di nuovo impreparati all’inizio della stagione fredda.

Se questa è la tabella di marcia, si tratta di vaccinare 13 milioni di italiani entro il 31 marzo, e 48 milioni di italiani entro il 31 ottobre. Tenuto conto del fatto che, per ora, i vaccini richiedono 2 dosi, l’obiettivo si raggiunge con circa 2 milioni di vaccinazioni alla settimana. Attualmente ne facciamo poco più di mezzo milione, quindi per raggiungere l’obiettivo dobbiamo circa quadruplicare il ritmo. Se il ritmo rimanesse quello degli ultimi 7 giorni, per il 31 ottobre i vaccinati totali (con 2 dosi ciascuno) sarebbero più o meno il 20%, ossia un italiano su 5. E l’obiettivo dell’80% di vaccinati non si raggiungerebbe mai, nemmeno in seguito (a meno si scoprisse che una sola vaccinazione basta, e che non occorre rivaccinare tutti ogni anno).

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Conte ter fermo a 152 voti, i “responsabili” costano troppo: «A noi 2 ministeri»

sabato, Gennaio 16th, 2021

di Emilio Pucci

Pagare moneta, vedere cammello. I responsabili non ci pensano proprio a passare per polli, hanno chiesto al premier Conte di vedere subito le carte, di non fermarsi alle promesse. Anche perché il Pd e M5S non ci pensano proprio a stendere un tappeto rosso ai ‘volenterosi’ che potranno anche chiamarsi ‘costruttori’ ma non sedersi nella sala dei ministri di palazzo Chigi. 

Per tutta la giornata è andato avanti un tira e molla sui numeri di palazzo Madama. Ora anche tra i più ottimisti tra i rosso-gialli abbassano l’asticella. Al momento sono 152 i sì previsti per il voto di fiducia decisivo al Senato. E’ vero come dice il costituzionalista dem Ceccanti che non servono i 161 ma andare sotto quella soglia rappresenterebbe un problema politico. Tesi ripetuta nel Pd, in M5S e in Leu, ma sposata anche dal premier che anche ieri ha avuto diversi contatti per preparare la conta. I responsabili non si fidano, vogliono dal presidente del Consiglio un atto concreto, gli hanno consigliato di recarsi al Quirinale per rassegnare le dimissioni, far partire le consultazioni e arrivare in Parlamento con un nuovo esecutivo. Una sorta di aut aut non tanto sui tempi, quanto sui contenuti della manovra anti-Renzi

Potere contrattuale

Conte non pensa di ricucire con il leader di Iv che ha mandato segnali distensivi annunciando l’astensione (ma il piano B è quello di uscire dall’Aula) e allora il potere contrattuale dei ‘volenterosi’ aumenta. «Conte si deve dimettere e formare un nuovo governo», dice Tabacci. «Nessuno faccia scherzi. Non siamo i polli di Renzi. Attenti cari Conte e Zingaretti, lunedì potreste avere sorprese. Noi siamo responsabili ma non fessi. Il figliuol prodigo ritorna. Nessun vitello grasso. Alcuni di noi sono a dieta», dice senza peli sulla lingua Mastella. 
E allora senza un’offerta vera (si parla dell’ex M5S De Bonis all’Agricoltura e della centrista Binetti alla Famiglia) i numeri restano in bilico. Sono 92 i senatori del Movimento 5Stelle, 35 del Pd, 8 delle Autonomie ma tra i 17 esponenti del gruppo misto non sono previsti per ora voti aggiuntivi. Ieri è stata annunciata la componente Maie-Italia23, «per costruire uno spazio politico che ha come punto di riferimento Giuseppe Conte». Ma si tratta sempre di Merlo, Fantetti, De Bonis e Cario che hanno fondato un’associazione che potrà fungere da ‘ponte’. Ai quattro si è aggiunto l’ex pentastellato Buccarella che comunque votava già per la maggioranza. Contatti in corso con altri ex pentastellati come Ciampolillo e Martelli. Altri nomi? I senatori a vita Rubbia e Piano. Altri ancora? Per ora no, perché tra i renziani in sofferenza – Comencini, Grimani, Vono, e Carbone in primis – nessuno al momento è disposto a tradire il leader. Altra cosa se saranno costretti a cadere in un precipizio. Ragionamento che da tempo porta avanti Nencini che è il più attivo nel cercare una ricomposizione tra Conte e Renzi. «Sono perplessa. Le cose potrebbero cambiare solo se ci fosse un fatto nuovo nella maggioranza, come l’ingresso dell’Udc», osserva la capogruppo del Misto, De Petris.

Clima preoccupato


Ieri dunque il clima non era euforico come quello che si respirava giovedì. «E’ una corsa contro il tempo», afferma De Bonis, «dobbiamo essere almeno in 12 al Maie, serve un colpo d’ala».

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“Italia Viva c’è, se…”. La porta è ancora socchiusa?

sabato, Gennaio 16th, 2021

Giuseppe Conte fa filtrare quello che le forze di maggioranza hanno già detto ieri: con Matteo Renzi non si può ricucire. Ma Italia Viva in blocco si mostra disponibile a voler tornare a un tavolo per dialogare. 

“Se le forze dell’attuale maggioranza ritengono che ci sia il tempo di uno scatto di responsabilità per dare una svolta all’azione di Governo, Italia Viva c’è” dice a Sky Tg24 l’ex ministra alle Pari Opportunità e alla Famiglia Elena Bonetti. “Noi abbiamo chiesto al presidente del Consiglio finalmente di occuparsi di sciogliere alcuni nodi che sono irrisolti all’interno della maggioranza di governo. Se il presidente del Consiglio pratica questa strada noi ci siamo” afferma il capogruppo di Italia Viva al Senato Davide Faraone. “Sediamoci ad un tavolo, ci sono margini di dialogo per far ripartire l’Italia” spiega al quotidiano ilDolomiti.it la senatrice di Italia Viva, Donatella Conzatti. “Tre lettere, nessuna risposta. Se il governo vuole parlare di merito, Italia Viva è pronta a fare la propria parte nell’interesse del Paese” sottolinea il deputato Luciano Nobili. Alla fine anche Matteo Renzi: “Siamo disponibili a discutere senza veti e senza impiccarsi a nessun nome perché la situazione è gravissima” dice in serata a Titolo Quinto su Raitre. 

E così via. Quanto basta per ritenere che nel partito di Matteo Renzi ci siano molti disposti a tenere la porta socchiusa in attesa di una mano tesa da parte del premier.  Per Matteo Renzi la discriminante è il Mes. Per Davide Faraone, “il Paese ha bisogno di un governo solido, per questo percorso Italia Viva ci sarà fino all’ultimo momento”.

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Nel Suk per Conte si muovono pure i cardinali

sabato, Gennaio 16th, 2021

“Ma lo sa che mi ha chiamato anche un cardinale su questa cosa qui?”. La caccia ai responsabili è aperta, le leve attivate non si limitano al più classico blandire su responsabilità, ruoli e incarichi per i senatori decisivi, ma arrivano a toccare una serie di mondi tangenti alla politica e ai famigerati responsabili, dai quali passa il destino della legislatura di Giuseppe Conte. Al Senato è Federico D’Incà a tirare le fila, a giostrare i contatti soprattutto con gli ex 5 stelle, scissionisti o espulsi che siano, perché le ruggini e le presunte indegnità del passato (rimborsopoli, remember?) si archiviano volentieri in ragione della sopravvivenza politica: “Molto meglio i responsabili di Renzi”, taglia corto Alessandro Di Battista.

Il pallottoliere, sgranato e risgranato più volte in queste ore al momento arriva a toccare quota 157, e l’asticella nonostante i tentativi si ferma lì, quattro voti in meno di quella maggioranza assoluta che sarebbe decisiva per non far capitombolare il governo. Si parte da un perimetro di 151: 92 M5s, 35 Pd, 8 dal gruppo delle Autonomie compresa la senatrice a vita Elena Cattaneo, 7 di Leu, 3 ex grillini del Misto dati per sicuri (Di Marzio, De Falco), Sandra Lonardo, il neo costituito gruppo Maie-Italia 23 che conta 5 esponenti (ci torneremo) fino ai senatori a vita Monti, Segre e Rubbia. A questi il governo è convinto di aggiungere ancora qualche ex 5 stelle, e tre o quattro senatori provenienti dalle fila di Italia viva e di Forza Italia. Non bastano.

Ed ecco che scendono in campo i cardinali. Perché diventano fondamentali i tre senatori dell’Udc, Paola Binetti, Antonio De Poli e Antonio Saccone. Fino a un anno fa il centro di Roma sarebbe pullulato di capannelli, cene riservate, incontri a ore piccole di responsabili ed esponenti del governo, con la pandemia e il coprifuoco la crisi su muove sugli smartphone e su Zoom. “Lei non sa quanti ecclesiastici mi stanno chiamando”, confida un dirigente del partito di centro, riemerso dall’irrilevanza cui era stato condannato dal tramonto degli anni berlusconiani e tornato improvvisamente decisivo. Un mondo battuto in queste ore da Dario Franceschini, vera eminenza grigia dell’operazione per il Partito democratico, uscito ieri allo scoperto: “Non c’è niente di male nel dialogare apertamente e alla luce del sole con forze politiche disponibili a sostenere il governo”. Non è il solo a tessere la tela nel mondo cattolico: mentre D’Incà è impegnato con gli ex, è Vincenzo Spadafora a battere quel terreno, forte di un lontano passato nella Margherita e di un solido bagaglio di relazioni in quell’ambiente.

Un’operazioni che oltre a messaggi e telefonate ha prodotto un fuoco di fila di dichiarazioni pubbliche. Un appello alla “responsabilità” per evitare una crisi “deleteria” e “incomprensibile” è stato lanciato dall’Azione Cattolica, insieme alla Federazione universitaria cattolica e al Movimento ecclesiale di impegno culturale, “la scelta di Iv di ritirare la propria rappresentanza di Governo contraddice il merito di migliorare ciò che si chiedeva” ma a pesare sono soprattutto le dichiarazioni del segretario generale della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti: “Trovo un forte stimolo nelle parole pronunciate dal Presidente Mattarella nel messaggio di fine anno: ‘Non viviamo in una parentesi della storia. Questo è tempo di costruttori’. Aggiungo: questo è anche tempo di speranza. Ci attendono mesi difficili in cui ricostruire le nostre comunità”. Costruttori, proprio come si definiscono i novelli responsabili, tra i quali Binetti si arruolerebbe volentieri, ma “a patto che lo faccia tutto il partito”. È per questo che il segretario Lorenzo Cesa è marcato a vista dal centrodestra, invitato ai tavoli dei leader insieme a Maurizio Lupi, ex forzista e alfaniano con un peso specifico rilevante nel mondo cattolico. Cesa resiste, chi lo ha sentito spiega che la sua è una posizione per ora ferma, ma che le pressioni si rincorrono e si accavallano, e i boatos di Palazzo accreditano un suo incontro proprio con lo stesso Conte, faccia a faccia che per ovvie ragioni non trova conferma alcuna.

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Crisi di governo, Conte e le telefonate ai «costruttori»: da Cesa a Nencini

sabato, Gennaio 16th, 2021

di Monica Guerzoni

Crisi di governo, Conte e le telefonate ai «costruttori»: da Cesa a Nencini

ANSA

Incollato al telefono a caccia di «costruttori», Giuseppe Conte si prepara alla sfida di martedì a Palazzo Madama con uno spirito che ha stupito collaboratori e ministri. «Infastidito dal ripensamento di Italia viva, ma combattivo e di buon umore», tanto che nel secondo Cdm senza Iv lo hanno visto ridere: «Quasi mi mancano le critiche abituali di Bellanova e Bonetti…». Raccontano che «non lo si vedeva così sollevato e sereno da quando si è liberato di Matteo Salvini». Era l’agosto del 2019. Un anno e mezzo dopo l’avvocato si ritrova dentro un duello politicamente sanguinoso, mors tua, vita mea. E la vita, per un premier in bilico dopo il clamoroso strappo Renzi, è trovare in volata una maggioranza solida, magari anche composta di transfughi e senatori sparsi, ma che abbia, come Conte va solennemente garantendo nelle conversazioni con gli aspiranti responsabili, «visione, dignità e forza».

È una guerra di numeri e promesse quella che si combatte tra Palazzo Chigi e Palazzo Madama, dove il professore si trova a fare i conti con antiche volpi della politica. Clemente Mastella, che punterebbe al ministero dell’Agricoltura per la moglie Sandra Lonardo. Lorenzo Cesa, che al giurista pugliese potrebbe offrire la chiave del rebus: il simbolo dell’Udc come prima pietra del progetto politico di Conte. Le trattative per un gruppo Udc ancorato al Ppe, il gruppo a cui aderisce Forza Italia in Europa, sono al punto cruciale. E Conte si va convincendo di avere un forte potere negoziale. «Ha margini ampi — conferma Gaetano Quagliariello, che pure si tiene fuori —. Non solo può promettere di conservare il seggio a chi ha paura di tornare a casa, ma può offrire anche la legislatura successiva» (qui le 5 vie d’uscita possibili).

Avendo giurato «mai più con Renzi» e sperando di poter salire al Quirinale con diverse sigle nel taschino, Conte lavora su più tavoli. Discute di responsabilità nazionale con Renato Brunetta, cerca Gianni Letta, «corteggia» Paola Binetti con l’aiuto, dicono, di qualche pezzo grosso del Vaticano, da cui arriva il sostegno di alcuni movimenti cattolici contrari al voto anticipato. Conte ha telefonato anche a Riccardo Nencini. E se l’ex viceministro socialista che consentì a Renzi di fondare il gruppo al Senato grazie al simbolo del Psi non ha sciolto la riserva, le pressioni di certo aumenteranno: Nencini ha nel cassetto il simbolo della lista di ispirazione prodiana con cui nel 2017 si candidò col Pd. Guarda caso il nome è «Insieme», che piace moltissimo al premier per la discesa in campo. Infine c’è il gruppo che nasce dalla fusione del Maie con il think tank Italia23 di Raffele Fantetti, ex Forza Italia. «Non offriamo cariche ma una prospettiva politica», sorride Merlo. E chissà se è vero che Conte abbia sentito anche Alessandro Di Battista, un tempo arcinemico e ora «a disposizione, non per forza per fare il ministro».

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Chi Rutte e chi no

sabato, Gennaio 16th, 2021
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di   Massimo Gramellini

Il frugale Rutte, l’olandese con la flessibilità di un rasoio che ci avrebbe visto volentieri in ginocchio sui ceci e senza un euro, si è dimesso prima di Conte, a due mesi da elezioni che a questo punto rischia persino di perdere. All’inizio confesso di avere provato un brivido sottile ma intenso di piacere. Oltretutto la storia che ha indotto Rutte alla resa sembra perfettamente coerente con il suo autoritratto di Torquemada della contabilità: anni fa il Fisco olandese aveva contestato a ventimila famiglie povere di avere percepito il bonus-figli senza averne i requisiti, costringendole a indebitarsi per restituirlo. Poiché adesso si è appurato che avevano ragione loro, l’amministrazione ha risarcito il maltolto con gli interessi e Rutte si è caricato l’errore sulle sue spalle da Terminator, affermando che «lo Stato di diritto deve proteggere i cittadini dall’onnipotenza dei governi». È stato allora che ho pensato a come sarebbe finita da noi una faccenda del genere. E ho subito smesso di godere.

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