Archive for Gennaio 19th, 2021

Palazzo Chigi, no dei dipendenti al super aumento dello stipendio: l’offerta di 125 euro in più al mese non basta

martedì, Gennaio 19th, 2021

di Francesco Bisozzi

Il discorso di ieri a Montecitorio del premier lo hanno seguito con la coda dell’occhio, perché ai duemila dipendenti della presidenza del Consiglio in questo momento non interessa granché della crisi di governo e del destino di Giuseppe Conte. Ciò che a loro adesso interessa veramente è ottenere più soldi con il rinnovo del contratto 2016-2018. Eppure guadagnano già stipendi invidiati dal resto degli statali: occupano le scrivanie dorate della Pa. Dunque, cosa hanno da lamentarsi? Nemmeno il maxi-aumento proposto dall’Aran, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, pari a 125 euro lordi mensili, superiore per intenderci del 50% circa rispetto a quello elargito al personale non dirigente dei ministeri, è riuscito a saziare l’appetito dei dipendenti di Palazzo Chigi e a sbloccare una trattativa che si trascina da troppo tempo.

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I PUNTI CHIAVE

«Dopo 15 mesi di tira e molla, a Natale ho sottoposto il contratto all’attenzione dei sindacati, ma la mancata disponibilità alla firma da parte di Snaprecom, Sipre e Ugl, che in questo caso rappresentano nel complesso oltre il 51% dei dipendenti sindacalizzati, non ha permesso la sottoscrizione del documento. O ci ripensano o per me è finita qui. Oltre al maxi-aumento i sindacati ostili chiedono ulteriori interventi che però non sono oggetto della contrattazione», spiega il presidente dell’Aran Antonio Naddeo. Ora, il presidente Naddeo, con un passato anche lui a Palazzo Chigi, è noto per essere uno che non perde la pazienza tanto facilmente, ma questa volta sembra aver raggiunto il suo limite di sopportazione. Perché quella che sulla carta doveva essere una trattativa facile, quasi un’amichevole, si è rivelata strada facendo persino più impegnativa di quelle con comparti complessi, come quello dell’istruzione. Il rinnovo del contratto 2016-2018 dei dipendenti della presidenza del Consiglio – assieme a quello dei 300 dirigenti che è dato però in dirittura d’arrivo, al prezzo non indifferente di un aumento mensile superiore a 300 euro – costituisce l’ultimo miglio del percorso di sblocco dei contratti avviato nel 2017, un tassello piccolo ma indispensabile per riuscire a completare il mosaico dei rinnovi: mosaico che a questo punto rischia di rimanere incompiuto.

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GLI ALTRI

Rispetto ai dipendenti di Palazzo Chigi, gli eroi della pandemia, infermieri e insegnanti, con l’ultimo rinnovo del contratto hanno ottenuto anche meno di 80 euro lordi mensili di aumento, ma non raccontatelo a quelli che lavorano alla presidenza del Consiglio perché non vi staranno a sentire.

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Vaccino, la Moratti si presenta: «Per le dosi privilegiare le Regioni col Pil più alto». E Speranza la gela

martedì, Gennaio 19th, 2021

di Andrea Bassi

Sul Titanic Italia, mentre l’orchestra di governo e partiti suona in Parlamento il suo brano più riuscito, la difesa di se stesso, la prima classe, o presunta tale, chiede di poter usare tutte le scialuppe di salvataggio. Da poco insediata a capo della Sanità lombarda, dopo il dimissionamento forzato per scarsissimo rendimento del suo predecessore Giulio Gallera, Letizia Moratti ha tirato fuori il coniglio dal cilindro. Al commissario Domenico Arcuri ha scritto che nel distribuire i vaccini, la merce più rara e preziosa in assoluto di questi tempi, va privilegiato chi produce di più, chi è più ricco. Il criterio, insomma, dovrebbe essere «anche quello del Pil». Come dire: il malato lombardo, siccome vive in una Regione che produce 385 miliardi di prodotto interno lordo, ha più diritto al vaccino del cittadino lucano con i suoi miseri 12 miliardi di Pil, o di quello pugliese con i suoi 107 miliardi, o di quello calabrese con i suoi 33 miliardi, e anche di quello laziale con i suoi 196 miliardi di Pil. E non fa niente che la Sanità lombarda, oggi guidata dalla Moratti, abbia dato la peggior prova di tutto il Paese nell’affrontare la pandemia e non più tardi di ieri abbia persino dovuto ammettere che il sistema di sorveglianza dei dati è andato completamente in tilt, senza nemmeno più poter dire quanti sono i contagiati.

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Ma in premio i lombardi vanno vaccinati prima di tutti. L’ex ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ha sperato che la richiesta della Moratti fosse una «fake news». Il ministro della salute Roberto Speranza è dovuto intervenire per spiegare alla Moratti che il vaccino è un diritto «non un privilegio». Qualcuno, insomma, ancora stenta a credere. Ma è tutto vero. E anche peggio. Il governatore Attilio Fontana si è detto pronto a non presentare il ricorso contro la zona rossa nel caso in cui la proposta fosse accettata.

IL DISEGNO

Non c’è in realtà da meravigliarsi. Il tentativo di «secessione dei ricchi» dal resto del Paese è, come ha più volte documentato questo giornale, in corso da tempo. Il disegno sull’autonomia “differenziata”, solo momentaneamente riposto in un cassetto, ha esattamente questo scopo. Il Re è nudo si potrebbe dire. L’autonominata locomotiva, non vuole più il peso dei vagoni. Vuole correre da sola, anche perché sta sistematicamente perdendo terreno nei confronti delle altre regioni europee. Ma è stato il sacrificio dei vagoni, le Regioni del Sud, a determinare la forza motrice della locomotiva. Adriano Giannola, presidente della Svimez, ha calcolato che il Nord ha sottratto al Sud risorse per 60 miliardi l’anno. Soldi investiti in infrastrutture e servizi in una sola parte del Paese. Una cifra che quasi pareggia i contributi a fondo perduto previsti nel Recovery plan. Questa sottrazione ha fatto in modo che le regioni meridionali non potessero mai trasformarsi da vagoni anche loro in locomotive. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. L’Alta velocità si ferma a Salerno. Per andare da Roma a Milano si impiegano ormai solo tre ore.

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Crisi di governo, più Conte per tutti

martedì, Gennaio 19th, 2021

La chiave è in una parola, “aiutateci”, rivolta a cattolici, socialisti, liberali e, durante la replica anche a “singoli parlamentari”, disponibili, quelli che una volta venivano lapidati come transfughi, voltagabbana, insomma il partito della cadrega. L’avvocato del popolo dei tempi che furono, poi reincarnatosi come alfiere di un fronte democratico per arginare la marea sovranista, alla sua terza metamorfosi trasformista compie il capolavoro di “istituzionalizzare il suk”, con un’invocazione mai ascoltata in quest’Aula, così semplice, sentita e così spudorata. L’importante è prendere voti che, come la vil pecunia, non hanno odore, basta averli e più sono e meglio è. “Aiutateci”, unico acme lirico del discorso della crisi, in cui agita il ministero dell’Agricoltura come risarcimento per chi s’offre e la prospettiva di un “ter” dove ci sarà posto per tutti.

Almeno, in quel famoso 20 agosto, c’era un po’ di sostanza politica. C’era l’obiettivo, il rovesciamento di campo, maturato nel pathos del conflitto con Salvini, l’aspettativa degli opposti che si incontrano. Passione, emozione, rischio, ambizione di un’operazione politica, condivisibile o meno. Ma politica. E, con esso, un po’ di verve da nuovo inizio. Per carità, si è capito che con Renzi, Innominato e Innominabile, la ricucitura è impossibile, perché quel che è successo è “incancellabile”. Tutto chiaro, adamantino, compresa la malizia di non personalizzare il confronto e di accoglierne alcune richieste (la cessione della delega ai servizi) per svelarne la pretestuosità delle argomentazioni e tentare qualcuno dei suoi a rimanere in maggioranza.

Però ciò che è chiaro si ferma qui, perché il premier annuncia un cambio di maggioranza per andare avanti, ma non “quale” e “come” andare avanti, per “fare cosa”, perché la logica è il suk, meccanismo che alimenta se stesso. È il disegno politico che fa capire dove si va, il mercato autoalimenta se stesso, nel meccanismo domanda-offerta. Suadente e tentatore, oggi il premier doveva “comprare” (politicamente parlando s’intende), e dunque è troppo pretendere una visione oltre la “qualunque”. Più Conte per tutti, allora: al Pd promesso il “patto di legislatura” (sono solo sette mesi che se ne parla), e pure il proporzionale (anche qui da un anno), proporzionale che potrebbe andare bene per attrarre i transfughi del centrodestra e agli apolidi di centro che vogliono fare un gambetta di centro. Annunciato un programma sufficientemente vago per andare bene a tutti, con evergreen stra-sentiti negli ultimi vent’anni: la riforma del fisco, la mitica sburocratizzazione, più semplificazioni per tutti, un “non lasceremo nessuno indietro”. E ovviamente, un bel giuramento di fedeltà all’America di Biden, di cui il premier si dice convinto estimatore, da sempre, anche ai tempi di Giuseppi.

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Uno scarto vistoso tra ambizioni e realtà

martedì, Gennaio 19th, 2021

di Massimo Franco

Uno scarto vistoso tra ambizioni e realtà

Si nota uno scarto vistoso tra le parole gonfie di enfasi e proiettate nel futuro di Giuseppe Conte, e la realtà dei numeri parlamentari. Il suo appello di ieri a quasi tutti per ottenere i voti parlamentari mancanti per avere ancora una maggioranza in Senato è stato abile. Ma ha anche confermato la difficoltà di convincere i potenziali «responsabili», o «volenterosi», o più banalmente trasformisti, a unirsi alla sua coalizione. Lo stesso tentativo di dividere le forze politiche tra europeisti e no è apparso un po’ forzato. Si è capito che Conte tende a tenere fuori Lega e Fratelli d’Italia, e a conquistare i berlusconiani. Ma ha volutamente rimosso l’ambiguità di un Movimento Cinque Stelle nel quale le pulsioni euroscettiche continuano a esistere, come dimostra il «no» ideologico al prestito del Mes sulla sanità. Il premier punta al bersaglio immediato: sopravvivere al doppio passaggio di ieri e di oggi tra Camera e Senato con una qualche maggioranza; e utilizzarla per andare avanti con innesti che giustifichino la continuità e l’esclusione di Matteo Renzi e del suo partito, iniziatori della crisi.

La volontà di «voltare pagina»

Avere l’appoggio pieno dell’aula di Montecitorio e sfiorare lo stesso risultato a Palazzo Madama viene considerato sufficiente per proseguire senza essere costretto a dimettersi. Altri voti, il calcolo è questo, arriveranno dopo, quando i gruppi parlamentari d’opposizione si sfalderanno di fronte alle offerte di ruoli e posti. Finora, tuttavia, il tentativo non è riuscito. Deputati e senatori, i più rari, disposti a rimpolpare le file di una maggioranza che non è più tale, sono rimasti nell’ombra nonostante pressioni e manovre. Per questo il premier è passato all’appello a tutti gli «europeisti» presenti in Parlamento, senza badare al colore. Si tratta di una manovra spregiudicata, eppure legittima. Sconta la difficoltà di trovare coalizioni alternative a quella appena naufragata per mano renziana; e la volontà di «voltare pagina», come ha detto Conte, archiviando l’appoggio di Iv. Le concessioni fatte sulla riforma del sistema elettorale in senso proporzionale; la cessione della delega sui servizi segreti; la disponibilità a cambiare qualche ministro; la condivisione dei fondi del Piano per la ripresa: sono altrettante mani tese in extremis. Forse basteranno per sopravvivere; probabilmente, non per governare una fase così drammatica.

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Crisi di governo, al voto di fiducia in Senato la maggioranza spera di superare quota 155

martedì, Gennaio 19th, 2021

di Alessandro Trocino

Crisi di governo, al voto di fiducia in Senato la maggioranza spera di superare quota 155

ROMA — Giuseppe Conte ce l’ha messa tutta alla Camera, ha fatto un appello a tutti i gruppi, ha chiesto esplicitamente ai «singoli parlamentari», è arrivato fino a scandire un «aiutateci», che non è esattamente un segnale di forza, e ha citato tra le sensibilità che vorrebbe attrarre quelle «europeiste, socialiste, liberali e popolari», con chiaro riferimento ai liberali di Forza Italia e Cambiamo, ai socialisti di Riccardo Nencini, all’Udc di Lorenza Cesa. Per capire se l’appello — ma soprattutto le più convincenti telefonate a tu per tu — hanno fatto presa, bisognerà aspettare fino a oggi, quando il premier arriverà a Palazzo Madama e dopo avere incassato la maggioranza assoluta alla Camera, proverà a cavarsela anche al Senato, dove i numeri sono più complicati. Le cifre più accreditate davano la maggioranza in una forbice che oscilla tra 152 e 159 voti. Sopra i 155, dicevano fonti della maggioranza, sarebbe una vittoria.

Le previsioni

Diversi senatori ieri erano ancora indecisi, sottoposti a pressioni convergenti per evitare che la prova di forza al Senato si risolva in un bagno di sangue per il governo. Non ci sarebbe un pericolo immediato, perché è vero che la soglia dei 161 — maggioranza assoluta — è quasi irraggiungibile, ma è vero che per ora non è necessaria e che nella storia della Repubblica ci sono stati 12 governi che non la raggiungevano, a partire da quello di Alcide De Gasperi del 1947. Un dirigente del Pd si dice moderatamente ottimista: «La vicenda dei numeri è depotenziata. È chiaro che non sposta granché avere 153 o 158 voti. Più avanti, poi, si dovrà cercare di rafforzare davvero la maggioranza». Il pallottoliere di Palazzo Chigi ieri era a 156. Per consolidare il governo occorrerà aspettare qualche settimana per il rimpasto atteso (i due posti da ministro e da sottosegretario lasciati da Italia viva).

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Crisi di governo, Conte tiene liberi i posti per i centristi. La linea: oggi al Senato avanti anche sotto 155

martedì, Gennaio 19th, 2021

di Monica Guerzoni

Crisi di governo, Conte tiene liberi i posti per i centristi. La linea: oggi al Senato avanti anche sotto 155

AP

Assieme alla pochette bianca dalla piega dritta e istituzionale, Giuseppe Conte è convinto di avere nel taschino dell’abito la «matta», il re di denari che funziona da jolly. «Alla Camera siamo andati oltre le aspettative e se pure al Senato otterremo la maggioranza relativa il governo non cade — ha fatto scongiuri il premier con i ministri —. Servirà più di tempo per risolvere la crisi, ma possiamo allargare l’alleanza e rimetterci al lavoro». Al giorno del duello il professore di Palazzo Chigi arriva cautamente ottimista, molto soddisfatto per i 321 sì della Camera e sollevato per il chiarimento con il Nazareno. Per allentare la tensione innescata nel pomeriggio dalle parole di Zingaretti, che non è disposto ad «accettare tutto», c’è voluta una telefonata di Bettini. Il pontiere ha rassicurato Conte sulla lealtà dei dem e il premier, che aveva fiutato un’aria strana, gli ha spiegato come «un governo a guida Pd farebbe saltare gli equilibri nel Movimento».

La paura che Renzi faccia «altri scherzi» non si è dissolta. L’ultima notte di trattative ha portato speranze e veleni: sarà vero che il senatore azzurro Luigi Cesaro, noto alle cronache come Gigino ’a purpetta, ha bussato alla porta di Conte ed è stato respinto? Come osserva Gaetano Quagliariello «il premier può offrire una cinquantina di posti in lista alle prossime elezioni». Al momento però il «pacchetto» che il premier è in grado di proporre ai volenterosi europeisti, liberali, popolari o socialisti prevede un partito politico tutto da costruire, un patto di legislatura e il «rafforzamento della squadra». Nella sostanza un sottosegretario e due ministeri, di cui la Famiglia sarebbe stata proposta a Paola Binetti. Poi c’è la delega ai servizi segreti. Conte ha ceduto alle pressioni del Pd e si avvarrà «della facoltà di designare un’autorità delegata per l’intelligence», persona di sua fiducia.

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