Archive for Febbraio, 2021

Draghi, la potenza di un’analisi che la politica voleva ignorare

giovedì, Febbraio 18th, 2021

MARIO AJELLO

Il linguaggio della concretezza e dell’autorevolezza la politica se lo era dimenticato da tempo. Ora irrompe di colpo in Parlamento con il discorso di Draghi. E il metodo del neo-premier – quadro della situazione, obiettivi strategici, conclusioni e insomma: adesso vi dico che cosa intendo fare prendere o lasciare – ha un effetto straniante per i presenti nel Palazzo ma risulta in sintonia con quanto i cittadini si aspettano dalla classe dirigente. 

Vogliono competenza, verità e coraggio nelle scelte, anche quelle impopolari come la chiusura citata da Draghi di comparti produttivi che non producono più e pesano sulle spalle della collettività. E questo approccio anti-ideologico che disarma la sterile competizione tra partiti ha percorso il filo delle parole secche e ossute che ha pronunciato ieri il premier prima di ottenere la fiducia. 

Ecco, è svanito come d’incanto – ma poi la prova dei fatti dovrà dirci se questa non è solo un’illusione – il politichese che ha tanto contribuito a creare il baratro tra il cosiddetto Paese reale e il cosiddetto Paese legale. Dai vaccini al Recovery Fund, ossia alla ripresa e alla rinascita nazionale, le priorità dell’Italia da rifare come dopo la seconda guerra mondiale sono state scalettate quasi scientificamente: un contenuto ad ogni riga del discorso. E guai a dire che Draghi è in questa sua anti-retorica il perfetto prototipo del non italiano, perché è vero il contrario: l’Italia è stata fatta e fatta crescere, nelle sue stagioni migliori, esattamente sulla base del pragmatismo delle cose e della visione asciutta della storia. 

Non a caso il capo del governo ha citato Cavour, uomo di azione, proteso verso mete ambiziose ma allo stesso tempo realizzabili. Di questo l’Italia oggi ha bisogno e questa è la ricetta Draghi, esposta davanti a un uditorio nei casi migliori disabituato e in quelli peggiori totalmente ignaro rispetto a un modo di fare politica non «farisaico» (tanto per usare l’aggettivo cui è ricorso ieri il premier a proposito delle quote rosa e che è risultato quello più cliccato sul web per capire di che cosa si tratta) e che adotta come unica discriminante non quella tra destra e sinistra ma un’altra: portare risultati oppure no. 

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Cacciari: “Fermando il virus Draghi frenerà la crisi, ma non riuscirà a fare le riforme”

giovedì, Febbraio 18th, 2021

ANDREA MALAGUTI

Bravo, ma non farà le riforme. Il giudizio di Massimo Cacciari sul primo giorno da preside della scuola Italia di Mario Draghi è benevolo, ma poco rassicurante. L’uomo non si discute, le sue possibilità di rivoltare il paese come un calzino sì. Per dirne una: «Come li metti d’accordo Forza Italia e Cinque Stelle sulla riforma della giustizia?». Non li metti d’accordo. «Appunto». Non è la paralisi (i soldi del Next Generation Eu sono nelle mani migliori possibili), ma neppure la Valle dell’Eden. Semplicemente un film diverso. Che al momento vince il premio della critica. Con una sola eccezione. Lui.

Professor Cacciari, le è piaciuto il discorso di Draghi?
«Certamente è stato un discorso più puntuale di quelli che ci eravamo abituati a sentire negli ultimi insediamenti. Ho apprezzato soprattutto la parte sulla pandemia».

Il virus come moltiplicatore delle disuguaglianze?
«La pandemia non è affatto neutrale, non colpisce tutti nello stesso modo. A pagare di più, a parte chi crepa, sonno i giovani, le donne, i lavoratori fragili. Non so se esistano dati anche da noi, ma negli Stati Uniti le statistiche dicono che i meno abbienti, le persone disagiate, sono colpite dal contagio quattro volte di più di chi sta bene».

Temo sia una statistica universale.
«Il nostro sistema di protezione è squilibrato, lo dico da mesi. Non si può affrontare la pandemia senza vedere che metà della popolazione è al sicuro mentre l’altra metà passa dai disagi gravissimi alla disperazione. Bisogna rimediare prima che salti il tappo e scoppi la rivolta sociale. Quando i licenziati usciranno da sotto il tappeto che sembra renderli invisibili avremo un problema. Non potremo ricorrere in eterno alla cassa integrazione senza mettere in crisi l’Inps e su questo tema non ho sentito dire un gran che».

Si aspettava l’emozione del gelido tecnocrate Mario Draghi?
«Ma la sua storia intellettuale e culturale – a partire dalle scuole che ha fatto e dai primi maestri che ha avuto (i gesuiti) – non è quella di un uomo gelido. Anche in Europa ha dimostrato di essere attento ai disagi e alle contraddizioni sociali».
Un tecnocrate con l’anima.

«Lasci perdere l’anima. La verità è che non esiste tecnica senza politica e chi pensa il contrario ha una visione arcaica».

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L’Italia sarà più arancione. Ora si studiano chiusure per le singole province

giovedì, Febbraio 18th, 2021

PAOLO RUSSO

ROMA. Mentre il ministero della Salute valuta se lasciare libertà di scelta agli over 55 che dovranno vaccinarsi con AstraZeneca, le varianti continuano a spaventare gli scienziati ma per ora l’Italia resta più gialla che arancione. Con la novità assoluta della Valle d’Aosta, prima regione che a fine settimana potrebbe passare in fascia bianca, quella dove tutto riapre, forse anche lo sci. Ieri sera molte regioni hanno finito di elaborare i valori dell’Rt che da oggi finiranno sul tavolo degli esperti dell’Iss. Al momento a serio rischio di passaggio dalla fascia gialla alla arancione dove bar e ristoranti sono sempre chiusi sono solo Emilia Romagna e Marche, dove del resto già la provincia di Ancona è in semi-lockdown. Le due regioni si aggiungerebbero così a Liguria, Toscana, Abruzzo, Trentino, Alto Adige e Umbria, già arancioni. Contrariamente alle previsioni Lombardia (che resta in bilico), Piemonte e Friuli mantengono invece il loro Rt sotto quota uno e domani non dovrebbero subire declassamenti.

Salvo niet del ministro della Salute, Roberto Speranza, potranno invece alzare i calici gli abitanti della Valle d’Aosta e i piemontesi che hanno la seconda casa nella Vallèe. Nella regione si stavano facendo i conti e alla fine è venuto fuori che per la 3ª settimana consecutiva i contagi sono sotto la soglia di 50 ogni 100 mila abitanti, parametro che unito al profilo complessivo di rischio basso, del quale si è fregiata la Valle da 2 settimane, consente l’ingresso nella fascia bianca istituita dall’ultimo Dpcm. Che in questo caso prevede vengano sospesi divieti e chiusure. Quindi potranno riaprire cinema e teatri, palestre e piscine e quant’altro chiuso oramai da novembre. Forse persino gli impianti di risalita, che la regione sta pensando di riattivare, perché la contestata ordinanza last minute di Speranza che ne proroga lo stop fino al 5 marzo fa rifermento al divieto del Dpcm, che entrando in zona bianca verrebbe a decadere.

Perché tutto questo accada servirà un’ordinanza del ministro che ratifichi il passaggio di fascia decretato dal monitoraggio. Altrimenti è facile si vada a un nuovo braccio di ferro con la regione, che dal 4 dicembre al 17 gennaio ha vissuto in fascia rossa. Un mezzo miracolo figlio del modello Valle d’Aosta, dicono in regione: tanti tamponi e screening mirati nelle scuole.

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La posta in palio è semplicemente la democrazia

giovedì, Febbraio 18th, 2021

MASSIMO GIANNINI

Per salvare l’Europa gli sono servite tre parole: “whatever it takes”. Per ricostruire l’Italia gliene basta una sola: “semplicemente”. Mario Draghi lo chiarisce in premessa, nel suo primo discorso al Parlamento e al Paese, interrogandosi sulla “natura” del suo governo, frutto della convergenza dei partiti rivali di quasi tutto l’arco costituzionale. Di fronte alla “varietà infinita delle formule” usate e abusate finora, il premier ripiega su quella che pare più banale ma che invece tutto riassume e tutto spiega: quello che guida non è Grosse Koalition o Larghe Intese. È “semplicemente il governo del Paese”. La formula più semplice, appunto. E tuttavia tecnicamente rivoluzionaria, in un’Italia disabituata da troppi anni a pensare ed agire in base all’interesse generale, al senso collettivo, al bene comune.

Nel tornante più ripido e insidioso della Storia, e dopo un silenzio durato una settimana esatta, il nuovo presidente del Consiglio parla per cinquantuno minuti e offre al Paese il suo manifesto per una “nuova ricostruzione italiana”. Un condensato di spirito repubblicano, che parte da un padre della Patria come Cavour e arriva ai valori profondi e alle visioni forti del secondo dopoguerra. Una lezione di politica alta, di impronta tendenzialmente “liberalsocialista”, come il premier si definisce ripensando alla scuola del suo maestro Federico Caffè, che cala i principi nella dura realtà e non confonde i risultati con gli obiettivi. Non stupisce che a pronunciarla sia il più “impolitico” dei presidenti del Consiglio, come già successe a Ciampi nel 1993. In questa nazione irrisolta capita spesso che proprio alle riserve della Repubblica tocchi il compito di preservarla e, nei momenti più bui, persino di rifondarla.

È semplice il messaggio alla politica, che il premier “prodotto” da una crisi di sistema potrebbe maltrattare e invece rispetta, negando persino il suo palese fallimento di queste ultime settimane. Di fronte alla pandemia che ci sovrasta, è il momento di condividere una “responsabilità nazionale” senza la quale non vinceremo la battaglia. Di fronte all’economia che si sgretola, nessuno deve fare passi indietro rispetto alla propria identità, ma tutti un passo avanti per rispondere ai bisogni quotidiani di famiglie e imprese. Questo chiede ai partiti che hanno scelto di entrare in un “nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione”. Semplice, per un Paese normale. Come semplice è l’ancoraggio “convintamente europeista e atlantista” di questo governo. Cos’altro dovrebbe fare, un Paese fondatore dell’Unione? E invece il concetto suona tutt’altro che ordinario, rispetto al Conte giallo-verde-rosso degli ultimi tre anni e poi a una coalizione in cui ora convivono un euroentusiasta tardivo come Di Maio e un eurofobico pentito come Salvini, ai quali il premier deve comunque ricordare che l’euro è una scelta irreversibile, che “non c’è sovranità nella solitudine”, che la Russia ci preoccupa per le libertà civili violate e la Cina per le mire imperiali illimitate.

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Renzi e Salvini, il ritorno dei due Matteo: i «gemelli diversi» ora al Senato fanno i buoni

giovedì, Febbraio 18th, 2021

di Fabrizio Roncone

Renzi e Salvini, il ritorno dei due Matteo: i «gemelli diversi» ora al Senato fanno i buoni

Arriva un whatsapp da via Solferino.

L’idea è: raccontiamo i due Matteo.

Che fanno, che dicono. È un po’ anche la loro giornata. Se Renzi non avesse spinto la crisi fin sull’orlo del burrone. Se Salvini non avesse poi accettato di entrare in questo governo.

Intanto Mario Draghi ha appena finito di parlare, e sta ancora lì incerto se sedersi o restare in piedi a prendersi tutta l’ovazione. La scena scorre sul megaschermo montato al centro del salone Garibaldi di Palazzo Madama: non se ne parla di andare a sbirciare dal vivo in tribunetta come ai bei tempi, ci fanno stare solo qui, distanziati e in piedi sul parquet che scricchiola, ma bisogna mettersi un po’ storti, con mezza testa girata verso il finestrone spalancato sul gelo di Roma, perché è sempre meglio beccarsi un raffreddore, che altro.

Renzi sbuca alle spalle.

Allegro, mai visto così allegro. Viene avanti a passi lunghi e si ferma di botto, schiocca i tacchi, fa lo spiritoso, accarezza i capelli di una portavoce, da un pizzicotto sul sedere a un funzionario: poi soddisfatto si tira su i pantaloni che gli calano perché a furia di correre la mattina qualche chilo l’ha buttato via sul serio, s’alza la mascherina per fare le faccette, attacca a parlare con tutti noi che ci mettiamo in circolo.

«Ragazzi, volete sapere se sia stato giusto aprire la crisi? No, dico: ma che meraviglia di discorso ha fatto Draghi? Dai, uno spettacolo. Draghi ha una visione».

Si volta un giovane cronista e chiede se ha sentito bene, le mascherine ovattano tutte le voci: davvero Renzi è entusiasta di Draghi? Sì, gli piace. Non ha cambiato ancora idea, se è questo il punto.

E forse un po’ lo è. «Credetemi: io sono entusiasta di contare di meno. Mi metto qui buono buono, e assisto». Renzi buono buono, vabbé. Però è un fatto che non ci reciti il mantra delle ultime settimane: dobbiamo chiedere il Mes, parlare di Alitalia, fare il ponte sullo Stretto.

Comunque: va bene, grazie, capito. Il circoletto si scioglie, ma Renzi non molla. E prosegue (qui la faccenda, in effetti, si fa piuttosto interessante): «Oh, ragazzi: vi è chiaro che nei prossimi due anni ci sarà una riorganizzazione di tutta la politica italiana? Se a sinistra si fa l’intergruppo Pd-M5S-Leu sulla linea Zingaretti-Bettini e i partiti a destra si europeizzano, al centro si apre un’area liberal democratica riformista che in Europa è rappresentata da Macron, Michel e Vestager e dove noi di Italia viva possiamo diventare forza aggregatrice».

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Draghi al Senato: «Insieme per l’amore dell’Italia». Applausi ed emozione per il premier

giovedì, Febbraio 18th, 2021

di Aldo Cazzullo

Draghi al Senato: «Insieme per l'amore dell'Italia». Applausi ed emozione per il premier

Mario Draghi e i senatori si sono fronteggiati con circospezione. È stato l’incrocio tra un presidente del Consiglio che parlava per la prima volta in vita sua all’Aula, e parlamentari incerti se applaudirlo, a rischio di interromperlo, o restare a braccia conserte, a rischio di offenderlo. Il risultato sono stati tanti applausetti, in particolare quando i vari partiti riconoscevano le proprie parole-chiave: così il Pd ha approvato il passaggio sull’europeismo, la Lega quello su rimpatri dei clandestini; quasi impietriti i 5 Stelle («non ha mai citato il reddito di cittadinanza»), mentre qualche senatore per non sbagliare ha applaudito tutto, anche quando Draghi stigmatizza la desertificazione del pianeta che agevola il passaggio dei virus dall’animale all’uomo. Davanti a lui, il sottosegretario Roberto Garofoli ha le orecchie sempre più divaricate dalla mascherina, per la gioia dei fotografi.

Freddo polare a Palazzo: tutte le finestre aperte per frenare il contagio, sussurri preoccupati su Casini finito allo Spallanzani. Mancano pure Franceschini e Di Maio, due tra gli artefici della svolta; poi viene chiarito che Federico D’Incà, grillino che vigila sui Rapporti con il Parlamento, ha contingentato i ministri per evitare assembramenti; alcuni sono di turno il mattino altri il pomeriggio, lo stesso D’Incà è sorridente e rilassato, un mese fa doveva dare la caccia ai costruttori, adesso gli basta limitare la fronda dei suoi compagni di partito insoddisfatti. A destra del premier, Giorgetti in cravatta verde e spilla con l’Alberto da Giussano simbolo della Lega secessionista. Il sottosegretario Garofoli soffre in silenzio, ogni tanto si sfiora le orecchie indolenzite.

Il discorso di Draghi è più lungo del previsto, letto da fogli pieni di caratteri fitti. I due titoli di giornata vengono fuori subito: Ricostruzione, come nel dopoguerra, con i governi di unità nazionale; «euro irreversibile», come a dire che Salvini se vuole far parte della maggioranza deve accettare questa premessa. Timidi applausi dei senatori tipo studenti spaventati ai passaggi più accademici, come quello sul coefficiente Gini, l’indice di Disuguaglianza della Distribuzione del Reddito, purtroppo in aumento per la costernazione dei presenti. Ma si vede che il professore è preoccupato di non maltrattare gli allievi. I toni sono molto diversi dai rimproveri di Napolitano ai parlamentari che lo rieleggevano, o da Renzi che con la mano in tasca esordiva a braccio: «Auspico che sia l’ultima volta che voi senatori votate la fiducia a un governo». Al contrario, Draghi precisa che questa non è la sconfitta della politica, nessuno deve fare un passo indietro, semmai un passo avanti. E vuole mostrarsi premier a tutto tondo, non solo uomo di finanza: «Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta». Finalmente un errore, Giorgetti lo corregge, i ricoverati in terapia intensiva sono duemila non due milioni. Sollievo dei senatori con una punta di maligna soddisfazione: pure Draghi è umano. I fotografi non mollano il sottosegretario Garofoli, le cui orecchie sembrano sul punto di staccarsi.

Il discorso è finito, ma la cosa non è chiara perché sull’«amore per l’Italia» al premier si è strozzata la voce per l’emozione. Nel dubbio, applausi, che crescono di intensità quando si capisce che è finita davvero. Draghi chiede timidamente: «Posso sedermi?». La presidente Casellati e la segretaria generale Elisabetta Serafin, premurose, fanno cenno di sì con la testa.

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Governo, Draghi incassa la fiducia al Senato: 262 i voti a favore, 40 i contrari

giovedì, Febbraio 18th, 2021

Il Senato accorda la fiducia al governo guidato da Mario Draghi con 262 voti a favore, 40 contrari e due astenuti. Hanno espresso la propria preferenza 304 senatori su 305 presenti, con la maggioranza fissata a quota 152. Giovedì si replicherà alla Camera e il nuovo governo sarà nella pienezza delle sue funzioni.

Nonostante la maggioranza ampia, di ben 101 voti in più rispetto alla maggioranza assoluta fissata a 161, l’ex numero uno della Bce non batte il primato raggiunto da Mario Monti nel 2011 con 281 voti a favore. Leggi Anche

Governo, Draghi al Senato: “Essenziale il coinvolgimento di Regioni e parti sociali” | La governance del Recovery al Mef

E’ stata una giornata storica per il neo presidente del Consiglio, che ha debuttato in Parlamento pronunciando a Palazzo Madama il suo discorso programmatico. Con due sfide prioritarie: guerra alla pandemia e ricostruzione del Paese, “come nel Dopoguerra”.

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Un altro orizzonte

mercoledì, Febbraio 17th, 2021

Politico, squisitamente politico. Capace di parlare al Paese del Paese, restituendo alla politica un compito all’altezza che pone la sfida immane che l’Italia ha di fronte. Con l’asciutto linguaggio della verità, scevro di oggi aggettivo, perché la realtà è più cruda di ogni aggettivo: il dolore, le cifre dei morti, i contagiati, la sofferenza di comunità spezzate, insomma l’analisi reale della situazione reale.

Il discorso di Mario Draghi, al Parlamento e al Paese, è, semplicemente, il discorso di un altro orizzonte, nella misura in cui chiama tutti a un nuovo paradigma: il nesso tra l’urgenza e l’idea di Paese, tra il rammendo dell’oggi e l’ideale di domani, la concretezza e le grandi idee, perché al fondo c’è il convincimento che, senza una visione di fondo, organica si sarebbe detto una volta, non si risponde neanche all’emergenza. Non la politica dei due tempi, ma la consapevolezza che il tema della ricostruzione può essere affrontato solo dentro questa tensione di un futuro che c’è prima che accada perché “la tragedia nella quale abbiamo vissuto per più di 12 mesi” non è “una lunga interruzione di corrente”, dopo la quale “la luce ritorna, e tutto ricomincia come prima”.È uncambiamento della struttura materiale del paese, della sua struttura sociale, della sua stessa mentalità che si affronta né con ordinaria amministrazione né con le dinamiche del patteggiamento politico. E questo è possibile perché c’è l’Italia, questa Italia, che non è un campo di macerie ma un paese “migliore di come si racconta”, e dunque ha le forze e le energie per affrontare una ricostruzione, al tempo stesso economica, sociale e morale. L’Italia, non il paese dei guelfi e dei ghibellini, della competizione muscolare degli schieramenti, della politica come casta e dell’antipolitica come demolizione, la l’Italia che, nei momenti più complicati della sua storia, ha saputo trovare la forza di rinascere.

Cifre e ideali, numeri dei contagi e riforme della sanità, bollettino di guerra sul Pil e visione dello sviluppo industriale. La novità è nel dettaglio con cui Draghi fonda la prospettiva su una chirurgica conoscenza della macchina dello Stato. Non c’è una generica riforma della scuola, ma l’attenzione, ad esempio, agli istituti tecnici, nel raffronto con gli altri paesi europei. Non una generica riforma del fisco, ma già il possibile iter di una riforma organica, ravvisando un limite degli “interventi parziali dettati dall’urgenza del momento”. Non la generica rassicurazione del più lavoro per tutti, ma interventi che sanno immaginare il nuovo mercato del lavoro in relazione ai cambiamenti del sistema produttivo. Non le primule, ma un concreto piano d’azione sui vaccini. Non i titoli sul Recovery, la le linee guida della sua concreta implementazione che, al netto dell’omaggio retorico, riscrive il precedente. Non le quote rosa, ma la creazione di parità di condizioni competitive tra i generi. Non i giovani, come eterno luogo retorico, ma come principale obiettivo della mobilitazione del paese che chiama in causa le responsabilità dei padri e il dovere di “fare per loro tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi, sacrificandosi oltre misura”.

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Lombardia zona arancione, perché la regione può cambiare colore

mercoledì, Febbraio 17th, 2021

di Stefano Landi

Lombardia zona arancione, perché la regione può cambiare colore

La road map porta dritto a venerdì. Quando i tecnici del Cts metteranno le carte sul tavolo e si capiranno i colori all’orizzonte per ogni Regione. La Lombardia da due settimane convive in un limbo non abbastanza giallo per essere certa di restarci. Venerdì scorso, l’Rt, il parametro che indica la velocità del contagio, sfiorava quota 1, ormai considerata soglia invalicabile per mantenere la fascia con le minori restrizioni. Ma da quello 0,97 di sette giorni fa qualcosa potrebbe muoversi.

In una settimana caratterizzata da un aumento medio dei casi da 11.946 a 13.714. E soprattutto con la presenza di diversi focolai sul territorio che possono muovere l’indice. Per questo dopo aver firmato l’ordinanza che prevede le quattro zone rosse nei comuni di Bollate, Castrezzato, Mede e Viggiù, il governatore Attilio Fontana aspetta di capire gli scenari della Regione: «Spero che non si debba ritornare in zona arancione. I dati non sono ancora arrivati, ma penso si debba anticipare la scadenza del venerdì. Ormai però è un dato acquisito che con le chiusure i dati migliorano e con le aperture peggiorano».

arancione e gialla

Ai piani alti del Pirellone però nessuno dà per scontato il passaggio in arancione, che implicherebbe una nuova serrata di massa per bar e ristoranti, per citare il fronte più caldo.

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Draghi, il lungo applauso del Senato al termine del discorso. Il premier: «Mi dite voi quando posso sedermi?»

mercoledì, Febbraio 17th, 2021
Il discorso del premier in Senato – Agtw /CorriereTv
“Questo e’ il terzo governo della legislatura. Non c’è nulla che faccia pensare che possa far bene senza il sostegno convinto di questo Parlamento. E’ un sostegno che non poggia su alchimie politiche ma sullo spirito di sacrificio con cui donne e uomini hanno affrontato l’ultimo anno, sul loro vibrante desiderio di rinascere, di tornare più forti e sull’entusiasmo dei giovani che vogliono un paese capace di realizzare i loro sogni. Oggi, l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere. Ma è un dovere guidato da ciò che son certo ci unisce tutti: l’amore per l’Italia”. Lo ha detto il premier, Mario Draghi, nel corso del suo intervento in Senato.
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