Covid, terza ondata: dati e calcoli per prevenirla
mercoledì, Febbraio 10th, 2021di Milena Gabanelli e Simona Ravizza
È una domanda che ci facciamo ormai da un anno ed è ancora più importante oggi che l’Italia è in zona gialla per evitare la terza ondata e gli errori dell’estate scorsa: quali sono gli indicatori dai quali non si può prescindere per misurare l’andamento di una pandemia e prevederne l’evoluzione? Sulla base di quali numeri devono nascere i decreti che allentano o stringono le misure di contenimento del Covid? Gli scontri politici sui calcoli ci confondono: bisogna guardare l’Rt o l’incidenza totale? Cosa dicono i numeri che programmano la nostra vita, come vengono calcolati, e i pro e i contro li spiega per la prima volta Stefano Merler, il matematico epidemiologo della Fondazione Bruno Kessler che fa i conti per l’Istituto superiore di Sanità e il ministero della Salute da febbraio 2020. E li ha azzeccati tutti.
Un’analisi accurata su cui prendere decisioni politiche si basa su tre pilastri: incidenza, trasmissibilità e indicatori di gravità della malattia. È su questi valori che lo scorso autunno vengono fatte le proiezioni, finora inedite, che portano ai Dpcm di ottobre e novembre. Senza restrizioni al 20 novembre in Italia avremmo avuto 38.600 casi sintomatici al giorno (contro i 9.900 che ci sono stati), 5.250 malati in terapia intensiva (invece di 3.750) e 50 mila ricoverati (contro i 34 mila osservati).
Gli scontri politici sui calcoli ci confondono: bisogna guardare l’Rt o l’incidenza totale?
Che cos’è l’incidenza
L’incidenza totale è il numero giornaliero di casi confermati con tampone molecolare e, dal 15 gennaio, anche antigenico (quello «rapido»). Questo dato serve prevalentemente per conoscere il carico di lavoro del sistema di tracciamento dei contatti: il contact tracing è in grado di reggere – cioè di risalire a «chi può avere contagiato chi» e fare scattare le misure di isolamento – solo sotto i 50 casi settimanali ogni 100.000 persone. Più questi numeri si alzano e meno si riesce ad individuare gli asintomatici. Durante la prima ondata si trovava un infetto su 10 (9,4%), in estate 1 su 4 (24,5%), da ottobre la stima è più incerta: tra il 20% e il 40%. È il motivo per cui l’incidenza totale è poco utile per definire l’andamento dell’epidemia. Poi c’è l’incidenza di casi sintomatici (presenza di problemi respiratori o febbre maggiore a 37,5°), che rappresentano il 30% dei positivi. È un numero che aiuta di più a quantificare l’andamento del virus perché chi ha la febbre cerca sempre assistenza medica. Infine c’è l’incidenza dei casi ospedalizzati: quanti ogni giorno entrano in ospedale. I criteri di ricovero sono sufficientemente costanti nel tempo e, dunque, il dato è particolarmente valido. Anche qui però più la curva sale, e più ci avviciniamo alla saturazione dei posti letto, maggiore è il rischio di non riuscire a ricoverare dei malati che invece dovrebbero esserlo e, quindi, di avere un calcolo dei casi al ribasso, facendo venire meno la capacità di monitoraggio dell’andamento dell’epidemia. Questo valore è indispensabile anche per stabilire la tenuta del sistema ospedaliero.