Archive for Febbraio, 2021

Il piano vaccini si sdoppia. Iniziano anche gli under 55: in scuole, polizia e carceri

giovedì, Febbraio 4th, 2021

francesco grignetti

A questo punto, dopo il vertice tra il governo (dimissionario) e le Regioni, i Piani vaccinali sono ufficialmente due. Uno è quello basato sulle forniture Moderna e Pfizer e riguarda innanzitutto gli anziani. L’altro sul vaccino AstraZeneca, le cui prime forniture partono dal 15 febbraio, e riguarda gli under 55, di cui sono state definite le categorie prioritarie: si comincia con personale scolastico docente e non docente, forze armate e di polizia, personale carcerario e detenuti.

Una decisione pressoché scontata, specie dopo la precisazione dell’Agenzia del farmaco, che ha definitivamente chiuso la strada all’uso di AstraZeneca per chi abbia compiuto i 55 anni e abbia gravi patologie. «Il tetto anagrafico potrebbe essere superato in futuro dopo ulteriori valutazioni scientifiche», ha tenuto ad aggiungere il ministro della Salute, Roberto Speranza. Ma se mai accadrà, ci vorranno mesi.

E così la decisione di sdoppiare i Piani vaccinali è filata liscia, in un vertice Stato-Regioni stranamente senza asperità, o forse no, dato che i ministri Francesco Boccia e Speranza, più il commissario straordinario Domenico Arcuri, pensavano già ad altro, e i rappresentanti delle Regioni li guardavano come una reliquia del passato. «Ma la vaccinazione resti fuori dalla crisi politica», è stato l’appello di Boccia.

Ora tocca alle Regioni applicarsi, nella loro sovrana autonomia sanitaria. E se succede che nel Lazio o in Val d’Aosta s’inizia a vaccinare gli ultraottantenni l’8 febbraio, e in Sardegna invece bisognerà attendere marzo, ciò dipende esclusivamente dal capoluogo. Anche la scelta dentro i target under 55 a questo punto dipende dalle Regioni. Se chiamare prima gli insegnanti o prima i poliziotti, lo decideranno i singoli assessori regionali.

«I vaccini sono essenziali, ma anche altre opzioni sono in valutazione. Stiamo accelerando sugli anticorpi monoclonali», ha poi detto il ministro Speranza. Ieri c’erano grandi attese, infatti, anche per la seconda decisione tecnica dell’Aifa. Che in serata ha dato il via libera agli anticorpi monoclonali (in estrema sintesi: anticorpi prodotti in laboratorio, validi essenzialmente nelle prime 72 ore del contagio, molto efficaci, molto costosi, molto complicati da somministrare), ma con diversi paletti. Il principale: sarà un uso ammesso soltanto per le emergenze, in pazienti non gravi, però con prospettiva di rapido aggravamento e alta possibilità di morte. Dato che si tratta di un prodotto molto complesso, poi, la somministrazione si potrà fare solo in ospedale.

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Draghi ha un ostacolo: si chiama Conte

giovedì, Febbraio 4th, 2021

Chiudete gli occhi, e immaginate la scena. Giuseppe Conte che, in questo tornante storico, fa il discorso che non ti aspetti, compiendo quel salto, dall’antipolitica alla grande politica, nel quale la leadership cessa di essere esercizio personale del potere e diventa cura dell’interesse generale: “Signori, di fronte al drammatico appello del capo dello Stato che chiama tutti a un’assunzione di responsabilità, abbiamo tutti, e io per primo che ho cercato di onorare il compito con impegno e lealtà repubblicana, il dovere di una risposta al paese sostenendo lo sforzo di un grande patrimonio dell’Italia come Mario Draghi per uscire dalla crisi. In questo momento c’è in gioco l’Italia, qualcosa di più grande dei destini personali e noi tutti abbiamo il dovere di essere all’altezza del momento”.

E adesso, riaprite gli occhi, in una giornata straordinaria vissuta con spirito ordinario, come se il governo Draghi fosse un “ter” legato alla permanenza di questo o quel ministro, accettabile se c’è qualche politico, non accettabile se c’è qualche tecnico. O, peggio ancora, un tentativo da far naufragare come se, una volta fallito, ci fosse un dopo. Perché al fondo dell’intransigenza dei Cinque stelle, che trova a Palazzo Chigi un’attenta regia, c’è questo: l’idea che, se non parte il governo Draghi, si possa tornare alla situazione precedente, magari sperando, tesi costituzionalmente discutibile e politicamente fantasiosa, che il capo dello Stato possa rispedire alle Camere il governo precedente.

C’è qualcosa di drammatico in questo “fuori sincrono”, tra la crucialità del momento e la sua gestione, come se non fosse evidente che un’eventuale rinuncia di Draghi rappresenterebbe il collasso dell’Italia. Il segno cioè che la crisi del sistema politico trascina nel default l’intero paese: l’euforia dei mercati – mai si era visto da cinque anni a questa parte uno spread così basso – che si trasformerebbe in tragedia, la credibilità internazionale in discredito, la tenuta istituzionale in frana, perché tale è una sfiducia implicita nel capo dello Stato. Insomma, nel mondo sarebbe chiara la percezione che non c’è più nulla da fare in Italia e, probabilmente anche nel nostro paese, chiamato a votare nella campagna elettorale più costosa della sua storia, pagata al caro prezzo dei soldi sprecati del Recovery e di un rischio sanitario enorme, perché mai si sono visti comizi a un metro di distanza.

Ecco, l’incognita stupefacente nell’Italia populista è tutta in questo “fuori sincrono”, in cui i singoli tasselli hanno fatto finta di ascoltare il capo dello Stato senza riuscire a comporre il puzzle di una condivisa responsabilità. Con non poca fatica il Pd, che quella responsabilità ce l’ha nel dna, ha seguito le indicazioni del Quirinale, con la timidezza però di chi vive il momento come una dura necessità, non come un’opportunità che, in altri tempi, avrebbe proposto facendosi carico di un interesse nazionale più vasto della tutela della sua delegazione nel precedente governo. Senza tanto entusiasmo, il sostegno è arrivato anche da Forza Italia. La profonda linea di incertezza riguarda i partiti populisti. Parliamoci chiaro: Salvini che nelle corde ha solo l’orizzonte del voto è stato costretto a una apertura altrimenti avrebbe subito una “scissione” prima ancora che dei suoi parlamentari dal suo mondo produttivo del Nord, quell’Italia che lavora e che produce che davanti al falò dei mercati si armerebbe di forconi sotto via Bellerio.

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Crisi di governo: se salta anche Draghi salta il Paese

giovedì, Febbraio 4th, 2021

Un paio di settimane fa c’è stato un momento in cui ho pensato – me ne pento, me ne dolgo – che la strategia di Matteo Renzi fosse quella demente del kamikaze, che salta in aria con la sua vittima. Il rischio c’è ancora, lo vediamo dalle timide o sciagurate reazioni dei partiti all’ipotesi di Mario Draghi, ma se l’incastro riesce toccherà parlare di capolavoro. Renzi ha portato tutti, il Partito democratico, i cinque stelle, l’intera opposizione esattamente dove voleva, all’incarico all’ex presidente della Banca centrale europea, e se non ci fossero implicazioni personali, di potere e di vendetta, che sono irrimediabilmente nel sangue della vita, e se ci si fermasse un secondo a pensare, a guardare le due figurine – la figurina di Conte e la figurina di Draghi – si arrossirebbe a coltivare il più piccolo dubbio. C’è qualcuno immerso nella serenità di giudizio e in possesso delle facoltà mentali che affiderebbe il conto corrente all’avvocato di Volturara Appula invece che al banchiere romano? Ce n’è uno al mondo attrezzato meglio di Draghi a gestire i 209 miliardi del recovery fund di modo che non siano gettati in strizzatine d’occhio ma per rinsaldare le fondamenta economiche a beneficio di tutti?

Se però un senatore a testa di un partito dal due e mezzo per cento sta riuscendo a giocarsi il restante novantasette e mezzo, i giocati avrebbero da rifletterci più di un po’. Non so se sia un esercizio all’altezza delle ambizioni del Movimento cinque stelle, fin qui così giovani e già così disponibili, al governo con chiunque, a destra e a sinistra, fuori e dentro dall’Europa, ma al governo col più qualificato di tutti no. Almeno da quello che dicono stamattina. Se alcuni di loro rintracciano la testa laddove è stata collocata dalla natura, sulle spalle, il Movimento finirebbe con lo sbriciolarsi, e non sarebbe nemmeno un cattiva notizia davanti a un caravanserraglio cresciuto fra l’assemblea d’istituto e Topolinia, mentre Beppe Grillo tace giocondo, e assiste asserragliato nel blog al cataclisma della sua surreale creatura, che sta contribuendo con fervore al cataclisma del paese, e con la volenterosa e spensierata collaborazione di un elettore su tre, quanti nel 2018 si sono affidati a questi venditori ambulanti di cineserie pensando fossero il mago Magò. Non so come uno storico di domani saprà spiegare ai lettori la sbronza collettiva in cui siamo sprofondati.

Ma ancora più incomprensibile, ancora più disarmante è il collasso del Partito democratico, e lo dico con dolore poiché è l’ultimo grande partito pervaso da qualche idea del radicamento costituzionale e istituzionale della politica. Sono andati avanti fino a dodici ore fa a dire o Conte o voto, cioè con un piano A debolissimo e un piano B inesistente, oppure esistente ma devastante, come ha spiegato ieri sera Sergio Mattarella senza sbagliare una sola sillaba: lasciamo perdere la pandemia, tanto ormai le centinaia di morti quotidiane ci fanno l’effetto soporifero della statistica, ma andare a elezioni significherebbe esporsi almeno per i prossini tre mesi alle spietatezze del mercato (a cui ci siamo affidati noi, col debito, mica ci ha tirati dentro col trucco e con l’inganno uno alla Soros) e significherebbe non riuscire a presentare un progetto per il recovery almeno fino a giugno. Tanti auguri. Ecco, il Pd non aveva un piano alternativo e sebbene fosse lì da vedere, da toccare con mano: Mario Draghi. Ancora due giorni fa il segretario era impegnato a ingaggiare un duello con Concita De Gregorio, se lei fosse o non fosse radical chic, un po’ come lamentarsi della temperatura dello spumante mentre l’aereo precipita. Mi rendo conto che la similitudine è scialba, ma faccio fatica a trovare le parole a restituire lo sbalordimento. Spero escano presto dall’ipnosi, lì dentro c’è ancora gente di valore, stimabile, penso a Dario Franceschini, ad Andrea Orlando, a Peppe Provenzano, a Walter Verini, gente che deve riprendere in mano la baracca perché resti in piedi.

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A occhio e croce

giovedì, Febbraio 4th, 2021

Mattia Feltri

Rimane una sola domanda ma è da far tremare i polsi: ci staranno i cinque stelle ad appoggiare un governo di Mario Draghi? Siamo andati negli archivi a cercare i più piccoli indizi.

Allora, nel 2014 Beppe Grillo chiedeva che Draghi fosse messo sotto processo per aver portato i soldi pubblici alle banche europee. L’anno dopo lo accusava di rubare i soldi del welfare per i medesimi scopi. Nel 2017 Elio Lannutti, quello che crede che il mondo sia governato dagli ebrei, dai rettiliani e da Lucifero, diceva che Draghi è uno che taglieggia le imprese per foraggiare i banchieri.

Nel 2016 Luigi Di Maio ha invitato Draghi a «facce Tarzan». Pochi mesi più tardi ha spiegato che Draghi usava il suo bazooka per dopare un sistema ormai finito, e che avrebbe dovuto fare i conti con la realtà. Nel 2014 la sezione europea del Movimento (non so che fosse, ma esisteva) ha definito Draghi una Mary Poppins suonata che tira fuori dalla borsetta le solite vecchie ricette. Poco meno di un anno fa Alessandro Di Battista ha pregato Dio di scamparci Draghi con tutto quello che ha fatto all’Italia, prima dal Tesoro poi dalla Bce.

Nel 2015 i deputati del Movimento, con una nota, hanno detto che Draghi dava risposte surreali, da maestrina, che era pieno di conflitti d’interessi e che la sua gestione della Bce era da cieco. Gli stessi deputati, due anni dopo, hanno aggiunto che Draghi era alla canna del gas, che il Qe (l’acquisto dei titoli di Stato da parte della Banca centrale per tenere basso lo spread) non serviva a niente, e che Draghi non capiva un’acca di economia. Quindi, a occhio e croce, tutto a posto: si fa sicuro.

LA STAMPA

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Trattative e veti. L’era di Draghi comincia al buio

giovedì, Febbraio 4th, 2021

ALESSANDRO BARBERA

ROMA. Fedele alla ricerca maniacale della privacy – alla quale dovrà rinunciare in fretta – il primo atto di Mario Draghi premier è farsi beffa di un gruppo di giornalisti e filmmaker. Roma, ieri, ore sette. Sicuri di vederlo uscire di casa, una ventina di persone è sulla strada al quartiere Parioli. L’addetta alla portineria, impietosita dall’attesa in ore antelucane, esce dallo stabile e avverte tutti: «Tanto nun ce sta, se ne è andato ieri sera». Per far perdere le tracce l’ex presidente della Bce ha passato la notte in albergo.

Da quella stanza, di prima mattina, Draghi fa una lunga telefonata al commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni. Nella peggiore delle ipotesi (ovvero di un ritorno alle urne in estate) il suo governo dovrà chiudere la trattativa con Bruxelles sul Recovery Plan. Alle 12 il cerimoniale lo attende al Quirinale per incontrare Sergio Mattarella. Draghi scende dall’auto nel cortile del palazzo con qualche minuto di anticipo, visibilmente nervoso. Non ha carte, non ha borsa. Fa il controllo della temperatura, entra nell’ufficio privato del Presidente della Repubblica. Ne esce un’ora e un po’ più tardi per una breve dichiarazione. Dice che «il momento è difficile», promette «il confronto con le forze sociali» (nello stile di Carlo Azeglio Ciampi), esita quando parla dell’importanza di «uno sguardo al futuro dei giovani». Governo, Draghi accetta l’incarico da Mattarella: “Sono fiducioso che dal confronto con i partiti emerga unità e risposta responsabile”

Rispetto allo standard delle complicate conferenze stampa cui era costretto a Francoforte, è emozionato. «Faccio un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento», «auspico emerga unità». Per non mettere più paletti di quel che la situazione gli consente, evita di aggiungere l’aggettivo «nazionale». Non sa ancora se dovrà formare un governo tecnico, politico, o – come i partiti impongono come condizione al sostegno – ibrido, con i leader e qualche esperto indipendente. Sui social network (dove non ha profili, ad eccezione delle parodie) Draghi viene impiccato ad un anglicismo: «Le sfide che ci confrontano». In questi giorni su Twitter l’ex presidente Bce va forte. «Reputation Science» dice che Mario Draghi nell’ultima settimana è stato citato 260 mila volte. Merito del villaggio globale e della fama internazionale: ieri non c’era giornale straniero che non avesse almeno un titolo sull’ennesimo cambio di inquilino a Palazzo Chigi. L’effetto Draghi sui mercati: titoli in rialzo, lo spread scende

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Draghi, l’8 settembre del Movimento 5 Stelle. Così finisce il populismo di governo

giovedì, Febbraio 4th, 2021

di Antonio Polito

Draghi, l'8 settembre del Movimento 5 Stelle. Così finisce il populismo di governo

Emilio Carelli ha fatto il canarino. Come quegli uccellini che i minatori portavano con sé in galleria, e quando smettevano di cantare voleva dire che l’aria si stava facendo irrespirabile ed era ora di scappare, l’addio dell’ex anchorman al M5S è stato il segnale che il populismo di governo stava finendo. Anch’esso di asfissia, peraltro. Il governo dei Cinquestelle non è morto nelle piazze per difendere il reddito di cittadinanza, ma nel Palazzo per difendere la Catalfo, nel viluppo di un corpo a corpo per le poltrone con Renzi, cintura nera di questa arte marziale. La linea «Conte o morte» è ben presto diventata «Bonafede o morte», poi «Azzolina o morte», e perfino «Arcuri o morte», che cosa c’entri poi il manager di Invitalia col populismo Dio solo lo sa. Così, a furia di evocare la morte, essa è sopraggiunta per carenza di politica. Crudeltà della storia, o del mandato esplorativo, a certificarla un medico legale di nome Roberto Fico.

Il MoVimento, nato in nome del «vaffa», ha dunque avuto il suo 8 settembre mentreurlava «resta» ai ministri, finendo così per obbedire a quella «legge ferrea delle oligarchie» che prima o poi imborghesisce tutti i partiti rivoluzionari. Finisce così non il populismo, ma il suo governo. E forse anche la possibilità stessa, almeno per questa legislatura, di un populismo di governo. È l’esito sorprendente dell’ennesima «rivoluzione» politica all’italiana, cominciata nelle elezioni del 2013, e portata a compimento con la presa di Palazzo Chigi il primo di giugno del 2018. Quel giorno, in uno splendido pomeriggio romano, nei giardini del Quirinale dove si celebrava la Festa della Repubblica, irruppero decine di homines novi, non descamisadosma in giacca, cravatta e pochette, convinti di poter fare in Italia una «primavera araba», che avrebbe mandato a casa un’intera classe dirigente.

Si trattava di un esperimento unico nel Continente. Andava al potere un partito chenon apparteneva a nessuna famiglia politica europea; che teorizzava di non doversi alleare mai con nessuno, e poi di potersi alleare con chiunque, con la destra o la sinistra indifferentemente. Un partito eterodiretto, visto che chi lo comandava era fuori dal Parlamento; e virtuale, visto che chi lo controllava era un algoritmo (o presunto tale). Ciò che più conta, un partito convinto di potersi liberare anche dei vincoli della realtà. Questa ebbrezza raggiunse il suo acme pochi mesi dopo, nella notte del 28 settembre del 2018, quando dal balcone di Palazzo Chigi, davanti a una folla festante composta di soli parlamentari Cinquestelle,Di Maio annunciò solennemente l’«Abolizione della Povertà» grazie a uno sforamento unilaterale del 2,4% di deficit.

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Consultazioni, i colloqui di Draghi: sarà un governo tecnico o politico?

giovedì, Febbraio 4th, 2021

di Francesco Verderami

Consultazioni, i colloqui di Draghi: sarà un governo tecnico o politico?

A Draghi servirà del tempo ma Draghi non perderà tempo. Il suo governo è tutto da costruire e il suo primo giorno da presidente del Consiglio incaricato è servito anche a prendere confidenza con i riti delle istituzioni, a memorizzare le procedure del cerimoniale, a stendere la dichiarazione con cui si è presentato al Paese e al Palazzo dopo aver ricevuto il mandato da Mattarella. Se ieri non ha sentito nessun esponente di partito è perché contattarli prima non sarebbe stato corretto, avrebbe potuto prefigurare l’apertura di canali preferenziali, suscitare malintesi. Lo farà oggi, con l’inizio delle consultazioni, dopo aver ottenuto carta bianca dal presidente della Repubblica sulla composizione del governo, sul perimetro della maggioranza, sui tempi che serviranno per completare un’operazione che si preannuncia complessa. È vero, non sarà facile gestire i rapporti con i partiti, ma non fu nemmeno facile gestire il board della Bce nel passaggio più drammatico, quando riuscì a salvare l’euro e l’Europa.

Proprio quella esperienza restituisce di Draghi l’immagine di un politico più che di un tecnico. D’altronde il premier incaricato non è mai stato favorevole ai governi tecnici, ritenendo che la rappresentanza sia un valore fondamentale della democrazia. Perciò si affiderà alle consultazioni per capire quale possa essere la soluzione migliore, per questo vorrà ascoltare i partiti, ragionare sui loro orientamenti, in attesa di stabilire se optare per un gabinetto tecnico o piuttosto per una squadra con personalità politiche, così da stringere un rapporto più forte con le forze che vorranno dargli la fiducia. Lo schema di lavoro che Draghi si è dato lascia quindi supporre che svolgerà due giri di colloqui. Per avere un quadro più esaustivo, certo. Ma anche per far decantare il clima arroventato in Parlamento, per far cadere i muri dettati dal pregiudizio e dalla contrapposizione feroce, per consentire ai suoi interlocutori di prendere coscienza del tornante che l’Italia sta per affrontare e riuscire così a ottenere quell’«unità» necessaria a fronteggiare le emergenze del Paese. Perché c’è ancora chi fa finta di non capire e si trastulla in giochini di Palazzo, incurante delle parole con cui Mattarella ha ricordato che sta per scadere il decreto sul blocco dei licenziamenti e del passaggio con cui il premier incaricato ha accennato alla «coesione sociale».

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Perché ai partiti conviene sostenere il governo Draghi

giovedì, Febbraio 4th, 2021

di Mario Monti

Perché ai partiti conviene sostenere il governo Draghi

Mario Draghi (illustrazione di Stefania Cavatorta)

Con chiarezza disarmante, il presidente Mattarella ha presentato la situazione critica dell’Italia, la prospettiva che grazie all’Europa si apre e la persona che più di ogni altra è in grado, per capacità e autorevolezza, di guidare l’impegno collettivo per cogliere questa grande opportunità.

È naturale che la politica sia a disagio, per essersi inabissata da sé sotto lo sguardo dei cittadini increduli e preoccupati. E che reagisca con un moto d’orgoglio fuori tempo, di fronte a una personalità come Mario Draghi che riscuote più di molti di loro la fiducia dei cittadini; che non ha il crisma dell’urna, ma ha il carisma di una vita.

Eppure, assecondare la chiamata di Mattarella e la disponibilità di Draghi sarebbe da parte dei partiti un segno non solo di responsabilità nazionale, ma anche di lucida visione dei loro legittimi interessi di parte.

Il successo del governo Draghi si misurerà anzitutto sulla capacità di gestire meglio la crisi pandemica, il campo che meno di tutti dovrebbe essere targato politicamente. Se un partito si chiama fuori da un impegno nazionale contro il Covid-19, è improbabile che possa guadagnare voti in un Paese appestato.

Per il resto, in campo economico e sociale il governo dovrà in primo luogo recuperare i ritardi sul Recovery plan e renderlo più concreto e finalizzato. Sfida impegnativa, ma non destinata a causare impopolarità. Né dovrebbe crearne il clima economico-finanziario che nei prossimi due anni probabilmente caratterizzerà l’Europa e in essa l’Italia.

In tempi non lontani, altri governi hanno dovuto operare con urgenza e durezza per evitare che il Tesoro italiano perdesse l’accesso al mercato e che l’Italia dovesse sottomettersi alla troika, per fare riforme a lungo rimandate come quella delle pensioni, che nell’immediato comportavano costi sociali anche notevoli.

Oggi, si tratta di fare buon uso di fondi ingenti messi a disposizione dall’Europa, compito non facile ma non votato all’impopolarità. E di impiegarli non solo per investimenti, ma anche per accompagnare e rendere più accettabili le riforme strutturali decisive per la crescita, la cui urgenza ha smesso di essere percepita a causa della larghezza monetaria e della sospensione dei vincoli di bilancio.

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I tre temi di un Paese da portare fuori dalla crisi

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021
Il videocommento del direttore del Corriere della Sera – Luciano Fontana /CorriereTv
Il videocommento del direttore del Corriere, Luciano Fontana, dopo che Draghi ha accettato con riserva l’incarico di formare un nuovo governo
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Draghi, il M5S riunito. «No ai tecnici, possibile un altro governo politico». Si valuta il voto su Rousseau

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021

di Emanuele Buzzi e Alessandro Sala

Mario Draghiha ricevuto l’incarico formale per la formazione del nuovo governo. Ma avrà i numeri per la fiducia in Parlamento? Il dibattito è aperto e gli occhi sono puntati soprattutto sul Movimento 5 Stelle, che continua a detenere il «pacchetto di maggioranza» di entrambe le Camere. Se i pentastellati si sfilassero, come sembra probabile, non è detto che l’apporto di Forza Italia e dei centristi — dato per certo — possa essere sufficiente. Ma le posizioni all’interno del M5S non sembrano univoche: in mattinata, proprio mentre Draghi varcava la soglia del Quirinale, fonti interne al Movimento avevano fatto sapere che «la linea di Crimi non è condivisa».

Il M5S si divide?

Linea che lo stesso Vito Crimi, capo politico reggente del Movimento, aveva anticipato ieri sera via Facebook: «Durante le consultazioni avevamo annunciato che l’unico governo possibile sarebbe stato un governo politico. Pertanto non voteremo per la nascita di un governo tecnico presieduto da Mario Draghi». Oggi, all’assemblea dei gruppi parlamentari, iniziata attorno alle 15,30, Crimi ha ribadito il concetto, evidenziando che «qualsiasi governo dovrà passare da noi, anche per i soli emendamenti» e che pertanto «è ancora possibile ambire ad un governo politico». Ha inoltre detto che «quella del voto su Rousseau e una ipotesi da non trascurare». E ha aggiunto: «Ovviamente dico ipotesi perché dobbiamo aspettare che prima ci sia un contenuto reale da sottoporre, votare su una persona soltanto mi sembra riduttivo». Tra i 48 che si erano inizialmente iscritti a parlare all’assemblea, non risultava Luigi Di Maio: una scelta, quella del silenzio, che sembrava lasciare aperte diverse interpretazioni. L’ex leader politico ha infine aggiunto anche il suo nome. La squadra di governo è presente al completo e tra i ministri è stato Stefano Patuanelli il primo a parlare, confermandosi sulle posizioni di Crimi. Il primo a schierarsi, invece, per un sì a Draghi è invece il deputato Filippo Gallinella. Possibilista il sottosegretario uscente, Stanislao Di Piazza: «Ascoltiamo e poi vediamo». Alle 19, in ogni caso, il M5S prenderà parte ad un confronto con Pd e Leu, convocato dal leader dem, Nicola Zingaretti, per valutare se e cosa salvare dell’alleanza uscente (e come).

L’appello dei big

In mattinata Beppe Grillo aveva chiesto l’unità del Movimento, con la conferma della lealtà a Conte. E Alessandro Di Battista, che non ha ruoli parlamentari, aveva invitato deputati e senatori grillini a dire no a Draghi: «Che a votarlo sia l’establishment che lo ha sempre sostenuto». Resta da vedere se il partito resterà compatto. Le dimissioni dal gruppo parlamentare di Emilio Carelli («Il M5S ha perso la sua anima») e il suo annuncio di voler creare un nuovo «contenitore» moderato potrebbe attrarre i pentastellati contrari a un ritorno immediato alle urne, che per molti significherebbe la fine della carriera politica.

Il centrodestra

E gli altri? Un segnale di apertura a Draghi arriva dal centrodestra. Fino ad oggi le posizioni nella coalizione erano state diversificate: dopo aver chiesto con voce sola a Mattarella di prendere in considerazione l’ipotesi di uno scioglimento delle Camere, come risposta al tentativo di varare un nuovo governo Conte, Forza Italia e centristi si erano smarcati dalla linea più intransigente di Lega e Fratelli d’Italia e si erano detti disponibili a valutare il sostegno ad un esecutivo istituzionale o a un «governo dei migliori». Per non rompere l’unità della coalizione, Giorgia Meloni ha proposto agli alleati di «giocare a carte scoperte» e di fare tutti un passo indietro. Ovvero: optare per l’astensione, per permettere a Lega e FdI di non sostenere Draghi e a Forza Italia e ai centristi di non affossarlo. Silvio Berlusconi e Matteo Salvini hanno comunque detto di volere prima sentire cosa avrà da dire loro il presidente incaricato nelle consultazioni (QUI il resoconto del vertice del centrodestra svoltosi nel primo pomeriggio).

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