Archive for Febbraio, 2021

Draghi ha accettato di formare un governo. Il discorso dopo il colloquio con Mattarella

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha incaricato Mario Draghi di formare un nuovo governo, il terzo dell’attuale legislatura dopo i due esecutivi guidati da Giuseppe Conte. Draghi — con un primo breve discorso dal palazzo del Quirinale – si è riservato di accettare.

Il discorso di Draghi

«Ringrazio il presidente Mattarella per la fiducia», ha detto Draghi, che ha ricordato come, nel suo discorso di martedì, il capo dello Stato abbia inquadrato la situazione attuale, caratterizzata da una «crisi sanitaria che ha gravi effetti sulla vita delle persone, sull’economia, sulla società».

È un momento «difficile», ha riconosciuto il presidente del Consiglio incaricato, «ma possiamo fare molto»: il Paese ha bisogno di «risposte all’altezza della situazione».

Le prime sfide indicate da Draghi sono quella di «vincere la pandemia, condurre in porto la campagna vaccinale, dare risposte ai problemi quotidiani dei cittadini, rilanciare il Paese» con uno sguardo attento «alle nuove generazioni e alla coesione sociale».

Per affrontarle, ha ricordato Draghi, l’Italia ha a disposizione «le risorse straordinarie garantite dall’Unione europea».

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Draghi dice sì a Mattarella: “Momento difficile, l’emergenza richiede risposte all’altezza della situazione. Mi rivolgerò ai partiti, fiducioso che emerga unità”

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021

Paolo Festuccia

Governo, Draghi accetta l’incarico da Mattarella: “Sono fiducioso che dal confronto con i partiti emerga unità e risposta responsabile”

L’appuntamento è alle 12. E come consuetudine non c’è stato nemmeno un istante di ritardo. Oltretutto il presidente Sergio Mattarella spinge che si «arrivi subito a un governo con pieni poteri» come ha ricordato ieri nel suo intervento indicando nel nome di Draghi l’esponente giusto «per guidare un governo di alto profilo». E Mario Draghi dopo un’ora di colloquio al Colle risponde sì all’appello: sì a un incarico con riserva, con la consapevolezza del difficile momento che vive il Paese. Non a caso, lo conferma, dopo aver ringraziato il Capo dello Stato, nelle sue prime dichiarazioni: «è un momento difficile, la consapevolezza dell’emergenza richiede risposte all’altezza della situazione. Vincere la pandenia – insiste Mario Draghi – completare la campagna vaccinale, offrire risposte ai cittadini sono le sfide che ci attendono». Ma, aggiunge: «Abbiamo a disposizione le risorse straordinarie dell’Ue, abbiamo la possibilità di operare con uno sguardo attento alle future generazioni e alla coesione sociale. Con grande rispetto mi rivolgerò innanzitutto verso il Parlamento, espressione della volontà popolare, ma sono fiducioso che emerga unità e responsabilità». Matteo Renzi protagonista sui social: tra ironia, critiche e ringraziamenti

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Governo, Salvini: «Non abbiamo pregiudizi su Draghi ma in democrazia comanda il popolo»

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021
«Chi vuole la nostra fiducia abbassi le tasse e riapra il Paese» – Ansa /CorriereTv
«La prima notte senza Casalino, Azzolina e Bonafede. Ancora però c’è Arcuri». Così Salvini dal proprio profilo Facebook dopo che il tentativo del presidente della Camera Fico di ricomporre una maggioranza è ufficialmente tramontato. «E adesso che succede? Avete sentito Mattarella, che per domani ha convocato Mario Draghi. In democrazia è il popolo che comanda, noi vogliamo le elezioni, ma nel frattempo il Paese deve andare avanti. Noi non abbiamo pregiudizi e non votiamo si o no per simpatia, ma chi vuole la nostra fiducia si deve impegnare in un taglio delle tasse, in un taglio della democrazia e nell’apertura dei cantieri, così come nella riapertura delle scuole e del Paese». Poi, quando un utente paragona Draghi a Monti: «Il dubbio c’è, è un esponente della grande finanza»
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Draghi, scende lo spread e volano le borse ma in aula la maggioranza è tutta da costruire

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021

Paolo Festuccia

L’appuntamento è fissato alle 12. E come consuetudine c’è da scommettere che non ci sarà nemmeno un istante di ritardo. Oltretutto il presidente Sergio Mattarella spinge che si «arrivi subito a un governo con pieni poteri» come ha ricordato ieri nel suo intervento indicando nel nome di Draghi l’esponente giusto «per guidare un governo di alto profilo». Governo, Mattarella: “Due strade, o governo o elezioni”. Draghi convocato al Quirinale

Intanto i mercati approvano l’indicazione del Colle. Sul nome dell’ex presidente della Bce festeggia la Borsa e lo spread scende a 107 dai 116 di ieri. Ma il cammino del governo del presidente è tutt’altro che in discesa. Tutti i partiti sono chiamati in tempi brevissimi a scegliere se sostenere l’esecutivo dell’ex presidente della Bce o tirarsi fuori. Perché come chiarisce il vicesegretario Pd Andrea Orlando, «il Pd conta per l’11 per cento in Senato» e in Parlamento un peso importante ce l’ha M5s che, aggiunge Orlando, «è nato proprio come reazione all’esperienza del governo Monti». Ieri il capo politico del Movimento Vito Crimi ha negato l’appoggio ad un governo Draghi ma, come emerge dai primi distinguo, è alto il rischio di spaccatura nel Movimento. Chi è Mario Draghi, l’ex numero uno della Bce su cui Mattarella fa affidamento

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Il travaglio dei 5 Stelle su Draghi: la partita dei numeri in Aula

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021

Giuseppe De Lorenzo

Per più di un’ora tutti attendono la posizione dei grillini. Il silenzio regna assoluto. All’inizio parlano solo alcune voci critiche, che di sicuro non daranno il loro appoggio ad un eventuale governo guidato da Mario Draghi.

Escono allo scoperto alcuni deputati (Colletti, Gallo, Brescia), il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, e i senatori Elio Iannutti e Danilo Toninelli. All’inizio i vertici del Movimento invece tacciono. Tacciono perché la decisione è ardua: abbracciare il governo tecnico, seguendo l’invito di Mattarella; oppure dire di “no”, creando qualche inciampo al nascituro esecutivo. In entrambi i casi, è molto probabile che i Cinque Stelle possano spaccarsi in due. “Il M5S ha tante anime, una più governista e una più di protesta – dice Emilio Carelli, fresco ex pentastellato – io non penso ci sarà una grande unità”.

Il redde rationem arriverà oggi. L’assemblea congiunta dei deputati e dei senatori grillini è stata convocata alle 15. Al centro del dibattito ci sarà, ovviamente, quanto deciso dal Quirinale, che – dopo le fallimentari consultazioni di Roberto Fico – ha convocato l’ex capo della Bce per far nascere un governo di “alto profilo”. Per ora la posizione ufficiale è quella espressa da Crimi ieri sera: “Il MoVimento 5 Stelle, già durante le consultazioni, aveva rappresentato che l’unico governo possibile sarebbe stato un governo politico. Pertanto non voterà per la nascita di un governo tecnico presieduto da Mario Draghi”. I toni sono diversi da quelli di Di Battista, che è tornato a definire il banchiere “l’aposto delle elitè”, ma la sostanza non cambia. Eppure molti osservatori vedono possibile una scissione interna ai grillini, che potrebbero dividersi tra governisti e movimentisti. E magari potrebbero emergere pure alcuni “contiani”.

Draghi e il suo «Whatever it takes», la frase del luglio 2012 diventata voce della Traccani

L’assemblea dei grillini sarà uno dei passaggi fondamentali della giornata di oggi. Draghi salirà al Colle in mattinata, è probabile che gli verrà affidato un pre-incarico. Poi ci saranno le consultazioni coi partiti e l’eventuale formazione del governo. Il voto dei Cinque Stelle, soprattutto al Senato, potrebbe essere pesante, anche se forse non determinante. Ad oggi, stando alle dichiarazioni ufficiali, Draghi può contare sull’appoggio di Italia Viva, che conta 18 senatori. Il neonato gruppo di europeisti (sono una decina) dovrebbe fare lo stesso, anche se l’accozzaglia è tale che tutto è possibile. Solitamente governista il gruppo Per le Autonomie. Il Pd (35 senatori) invece per ora non si è espresso, appare dilaniato e deluso, ma i rumors dicono che alla fine si adeguerà al volere di Mattarella. Ancora da capire la posizione di Leu (6 senatori), che fino a poco fa si diceva certo che senza Conte l’unica via sarebbe stata quella delle urne. Diamo infine per scontato il voto positivo di almeno tre senatori a vita, gli stessi che accordarono la fiducia anche a Conte (Monti, Cattaneo, Segre).

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Mario Draghi, scelta inevitabile. Un governo di salvezza nazionale

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021

di RAFFAELE MARMO

Un tracollo del Pil da economia di guerra. Un disastro occupazionale che ha visto bruciare 100 mila posti di lavoro solo a dicembre, con donne e giovani a pagare il prezzo più elevato. Un Paese allo stremo, senza certezze sui due più potenti fattori di ripresa: il vaccino e il Recovery Plan. La premessa è netta. La conseguenza, altrettanto netta: l’ha tratta esemplarmente il Presidente della Repubblica.

Il nostro Paese ha bisogno qui e ora di un governo di altissimo profilo, di salvezza nazionale, che abbia il più ampio sostegno parlamentare, guidato da un uomo non divisivo, rispettato in Europa e nel mondo: Mario Draghi.

La lunga crisi di questi due mesi non ha fatto altro che mettere in evidenza le debolezze strutturali di una coalizione e di un governo nati, più che per attuare un programma condiviso, per contrastare la possibile vittoria elettorale del centro-destra. L’esplodere della pandemia, con tutto il suo carico di lutti e devastazioni sociali ed economiche, ha prima consolidato il premier Giuseppe Conte, ma ha poi fatto deflagrare tutte le contraddizioni di un esecutivo sempre più lacerato sia nelle risposte da garantire nella gestione dell’emergenza sia in quelle da assicurare nella prospettiva del Recovery Plan.

Matteo Renzi è stato, in questo senso, il detonatore dentro una polveriera nella quale tutti, dai grillini allo stesso Pd, hanno accumulato mine pronte a far saltare in aria l’intero assetto di governo.

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Il Professore rompe gli indugi: “Ma la maggioranza sia ampia”

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021

alessandro barbera

ROMA. Fino all’ultimo nemmeno lui pensava sarebbe andata a finire così. Nemmeno se lo augurava, perché sapeva che la chiamata a Palazzo sarebbe stata l’ennesima sconfitta della politica. Poi le telefonate dal Quirinale, almeno due nelle ultime ore, hanno convinto Mario Draghi a mettere da parte le riserve e ad accettare un incarico per il quale non si è mai sentito tagliato. «Accetto, purché la maggioranza sia sufficientemente ampia», ha detto di recente a chi ha avuto occasione di parlarci. Quanto ampia sarà, al momento non lo sa nemmeno lui.

Romano, classe 1947, figlio di una farmacista e di un dirigente bancario, tre fratelli, orfano di entrambi i genitori poco più che adolescente, Mario Draghi è sempre stato abituato a darsi da fare. Ma se durante una vita intera è stato abituato ad avere il controllo del tempo, dei soldi e della carriera, ora deve affrontare una sfida al buio.

E’ la seconda volta che la Storia gli chiede di risollevare l’Italia dal peggio. La prima fu dieci anni fa, fra agosto e novembre 2011, durante una crisi finanziaria che rischiò di mandare in default i conti pubblici e l’intera eurozona. Allora fu costretto a usare il bastone e la carota. Prima da governatore della Banca d’Italia, firmando la lettera che costrinse Silvio Berlusconi a prendere impegni severissimi con l’Europa, poi da governatore della Banca centrale europea. Fu lui, nel primo giorno utile dopo l’ingresso nel palazzo di Francoforte, ad abbassare i tassi di interesse che Jean Claude Trichet aveva improvvidamente alzato, dando fiato alla speculazione contro i titoli di italiani.

Dieci anni dopo Draghi riempie ancora una volta il vuoto delle istituzioni. Allora a causare il peggio fu lo scontro interno alla maggioranza di centrodestra fra Silvio Berlusconi e il suo ministro del Tesoro Giulio Tremonti. Ora Draghi trova le ceneri della maggioranza Pd-Cinque Stelle, e dello scontro fra Giuseppe Conte e Matteo Renzi. La Storia, nei suoi corsi e ricorsi, sa essere impietosa.

Durante il settennato di Sergio Mattarella Draghi è salito al Quirinale più volte, quasi sempre in veste informale. A volte con l’auto di servizio, a volte con quella della moglie, ma gli è capitato di farlo anche a piedi, per non dare nell’occhio. Il più delle volte il capo dello Stato voleva capire cosa stesse accadendo nel mondo, cosa si dicesse dell’Italia fra gli investitori che ogni giorno comprano e vendono i titoli di debito. Accadde più volte nei mesi difficili di un’altra maggioranza di governo, quella che ha tenuto insieme per qualche mese Lega e Cinque Stelle, con lo spread a lungo stabilmente sopra i trecento punti.

Paradosso vuole che Draghi diventi premier – o almeno così dovrebbe accadere – in condizioni radicalmente diverse, sia di allora, ma soprattutto di dieci anni fa. Nel 2011 il differenziale di rendimento fra Btp e i Bund tedeschi sfiorò i seicento punti, ora è stabilmente poco sopra i cento.

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Per l’Italia è l’ultima chiamata

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021

massimo giannini

Persino in questa Italia, avvitata nell’emergenza permanente, l’impensabile diventa forse possibile. Oggi Mario Draghi salirà dunque al Colle. Per ricevere l’incarico e salvare un Paese incagliato nelle secche della pandemia e dell’economia. Al fondo di una crisi di governo degenerata in crisi di sistema, il Capo dello Stato ha trovato la soluzione più forte, più alta, più credibile. Dobbiamo essere grati una volta di più a Sergio Mattarella. In due minuti ha spazzato via due mesi di penose e indecorose camarille di una coalizione esausta. E ha indicato la via più convincente per scongiurare elezioni anticipate e mettere in sicurezza la campagna vaccinale e il Recovery Plan. Ci sarà tempo per riflettere sui vincitori e i vinti di questa partita di Palazzo. Su come sia stato possibile che il principale generatore del problema, cioè Renzi, sia stato anche il più abile a suggerire la soluzione. Su come a sinistra la scelta più “rivoluzionaria” il Pd non l’abbia propiziata ma l’abbia subita, incatenandosi a Conte come “unico punto di riferimento dei progressisti”. Su come a destra l’unico ad agire nell’interesse nazionale sia stato il vecchio Berlusconi. Quello che conta è solo il Paese. Nel totale fallimento della politica, sconfitta ancora una volta dalla tecnica, dobbiamo augurarci che il tentativo Draghi riesca: non vogliamo neanche immaginare che i partiti, dopo la figura meschina fatta finora, possano sfuggire ancora alle loro responsabilità.

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Ha salvato l’Europa ora curerà il Paese

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021

marcello sorgi

L’appello che in tono drammatico il Presidente Mattarella ha rivolto a tutte le forze politiche perché consentano la nascita di «un governo di alto profilo, non identificato con nessuna formula politica», guidato da Mario Draghi, chiude la prima fase della crisi di governo e inaugura la seconda, incerta, al momento, come quella appena conclusa. Se fallirà, il Capo dello Stato lo ha lasciato capire chiaramente, non restano che le elezioni anticipate. Tra campagna elettorale, inaugurazione della legislatura, trattative per un nuovo esecutivo e voto di fiducia nelle nuove Camere, sarebbero cinque mesi di inerzia, o peggio, di ulteriori lacerazioni, in cui mancherebbero gli strumenti per affrontare le gravi emergenze in cui è immersa l’Italia. La pandemia con il suo carico di contagi e di morti. La campagna di vaccinazione con i ritardi nella fornitura delle dosi. La questione sociale con il blocco dei licenziamenti che sta per scadere. L’accordo con Bruxelles per i fondi europei.

L’

È per queste ragioni che Mattarella – pur riconoscendo che le urne sarebbero il punto d’arrivo naturale per un Parlamento che non riesce più a esprimere una maggioranza – vuol fare di tutto per evitarle, o almeno rinviarle. E affida a Draghi il compito più difficile della sua lunga carriera, segnata da grandi meriti e passaggi importanti, come quelli al Tesoro, alla Banca d’Italia e alla Banca centrale europea. Adesso dovrà provare a domare le belve che tutti i giorni si sbranano a parole in Parlamento. È inutile nasconderlo: non sarà facile. La destra di Salvini e Meloni già alza gli scudi e invoca il voto. Berlusconi tace, ma ha davanti un sentiero stretto: se davvero si va a elezioni, la vittoria del centrodestra è assai probabile, e lui non potrebbe sottrarsi. Il centrosinistra è a pezzi. I 5 stelle, ridotti come sono ridotti, non ce la possono fare a restare uniti e a sostenere un governo guidato dal maggior tecnocrate del Paese. Renzi dirà subito di sì, e questa diventerà una scusa, per gli altri, per resistere alla convivenza forzata con l’affossatore dell’alleanza giallorossa. Draghi spenderà di sicuro tutto il suo prestigio per ottenere un via libera che non potrà non essere condizionato, nel programma e nel tempo a disposizione.

In ogni caso, niente potrà cancellare quanto è accaduto nelle ultime settantadue ore. Qualcosa di mai visto prima. Le consultazioni appena finite al Quirinale, spostate alla Camera, per assistere a un vergognoso doppio gioco. In cui tutti fingevano di prestarsi al tentativo di sminuire le divergenze con il confronto programmatico, per poi coinvolgere il presidente della Camera nell’assurda trattativa sui nomi e le poltrone. S’è mai visto un governo nascere senza il presidente del consiglio? Mai. Eppure anche questo si doveva vedere, senza riflettere sulle conseguenze che avrebbero portato gli esiti degli ultimi due giorni ai limiti dell’oltraggio al Presidente della Repubblica.

Per certi versi, è meglio che sia finita così, anche se la soluzione della crisi torna al punto di partenza proprio quando sembrava possibile. Immaginarsi infatti cosa sarebbe accaduto se alla fine di questi due giorni di mercato all’aperto, condotto parte via call e parte di persona, in una sala attigua a quella in cui invano si cercava l’accordo sul programma, l’esploratore Fico si fosse presentato al Quirinale, dicendo che l’intesa era stata raggiunta ed era stata anche scritta la lista dei ministri, che il Capo dello Stato e l’incaricato che ancora doveva essere nominato avrebbero dovuto semplicemente sottoscrivere, segnando un’inaudita e pubblica sottomissione al diktat dei partiti, di questi partiti.

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Che cosa serve al Paese

mercoledì, Febbraio 3rd, 2021

di Massimo Franco

Che cosa serve al Paese

La candidatura di Mario Draghi come risposta al fallimento della coalizione tra M5S, Pd e Iv e a una deriva elettorale ad alto rischio è l’antidoto più potente che il capo dello Stato, Sergio Mattarella, potesse scegliere. E l’appello a «tutte le forze politiche» perché appoggino un suo governo «di alto profilo» esprime la gravità della situazione e la volontà di non assecondare manovre di piccolo cabotaggio che avrebbero conseguenze devastanti. Convocando per questa mattina l’ex presidente della Banca centrale europea il Quirinale spedisce un doppio segnale: alle cancellerie occidentali e all’opinione pubblica italiana. È il tentativo di reagire con una risposta al massimo livello alla seconda rottura di una maggioranza in meno di tre anni di legislatura partorita dalla vittoria populista del 2018. Ad affondare l’alleanza tra M5S, Pd e Iv è stato l’alleato minore, Matteo Renzi. È sua la responsabilità principale, al limite dell’irresponsabilità, di una crisi aperta in piena pandemia; e perseguita fino alla rottura dopo una trattativa lunga e confusa: anche se nel suo gioco spregiudicato l’ex premier non escludeva di provocare uno strappo così radicale da imporre scelte altrettanto estreme.

Ma non si possono ignorare le responsabilità di Giuseppe Conte, che ha tardato a capire le manovre partite con la fase della gestione dei fondi europei; e reagito con una maldestra prova di forza parlamentare. Il suo lungo esorcismo nei confronti di Draghi, alimentato dalla tribù grillina, non solo non ha funzionato ma alla fine ha prodotto l’effetto opposto. Anche perché il grumo di diffidenza, e soprattutto di interessi opposti tra alleati si è rivelato così vistoso da frustrare ogni tentativo di ricucitura della coalizione giallorossa.

Da ieri sera, quando il presidente della Camera, Roberto Fico, ha comunicato al capo dello Stato i risultati della sua «esplorazione», il governo Conte è, di fatto, archiviato. E l’epilogo giustifica la cautela iniziale di Mattarella, che aveva preferito non affidare nessun incarico prima di capire se il premier dimissionario avesse ancora una maggioranza. Le consultazioni del grillino Fico hanno potuto solo fotografare la frantumazione dell’alleanza uscente; e insieme la difficoltà di trovarne una alternativa. Il risultato è la presa d’atto che non esistono più gli equilibri esistenti; ma nemmeno altri che abbiano solide basi politiche. D’altronde, nella trattativa di questi tre giorni si è parlato di giustizia, di fisco, di ministeri, anche se tutti lo negano: è sui cosiddetti «posti» da concedere ai renziani, prima che sui mitici «contenuti», che si è consumato il fallimento del negoziato. Il Fondo per la ripresa, tema vero sul quale si giocheranno il futuro dell’Italia e i rapporti con l’Europa, è rimasto sullo sfondo, come se si trattasse di una questione laterale.
Hanno prevalso arroganze e impotenze reciproche, fino a portare il Paese in un vicolo cieco. La forzatura renziana significa un cambio di schema in corso dai contorni tutti da costruire, anche se è chiara la volontà di scegliere un premier e ministri dotati delle migliori competenze. È il male minore, rispetto a una prospettiva di elezioni anticipate che avrebbero il solo effetto di aggravare la situazione economica e sociale, e sfigurare l’immagine dell’Italia in Europa. Mattarella ieri sera ha insistito sul pericolo di lasciare il Paese in balia dell’incertezza e di un vuoto di governo «in mesi cruciali».

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