Archive for Febbraio, 2021

Renzi: “Soldi e Draghi, l’Italia ha tutto per volare. Ecco perché ho aperto la crisi”

domenica, Febbraio 7th, 2021

di MICHELE BRAMBILLA

Il governo Draghi non è ancora nato ma la sua levatrice ha già finito il proprio turno di lavoro: non parteciperà al travaglio, né assisterà al parto. Matteo Renzi (il quale, curiosamente, era stato la levatrice anche del governo appena caduto) farà lo spettatore a casa propria. “Sono rilassato”, dice. “E felice. Si è chiusa per me la partita più difficile della mia esperienza politica. Anche umanamente”.

Perché la più difficile, senatore?

“Perché in tutte le battaglie precedenti mi era stato riconosciuto, dai miei avversari, il senso di ciò che volevo fare. Quando nel 2009 ho fatto le primarie a Firenze. Quando, da cattolico, ho fatto le leggi sulle unioni civili. E poi quando ho fatto il Jobs Act, e quando abbiamo mandato a casa Salvini, e quando abbiamo promosso il referendum di riforma costituzionale. C’è sempre stato chi contestava. Ma diceva: capisco che cosa Renzi vuol fare”.

Stavolta, invece?

“Stavolta, quando abbiamo aperto la crisi, nessuno ne capiva il motivo. Si dava per scontato che la pandemia dovesse chiudere ogni spazio di dibattito politico. E io non riuscivo a spiegare il senso di quello che stavamo facendo”.

Proviamo a rispiegarlo ora.

“Eppure è semplice. All’Italia arrivano 209 miliardi, tanti soldi quanti mai ne abbiamo avuti: e secondo me Conte non era la persona giusta per spenderli. Draghi sì”.

Ma la gente pensava: Renzi vuole più ministri.

“Abbiamo visto com’è andata. Oggi chiunque capisce che Italia Viva, nella coalizione di governo, conta molto meno di prima. È ovvio che in una maggioranza più ampia abbiamo meno potere interdittivo. Ma io sono molto più felice adesso. Ho fatto un sacrificio personale per il bene del Paese”.

Lei dice: tutto questo era difficile da spiegare.

“È così. Mi sono preso un sacco di insulti, dicevano che pensavo ai posti da ministro. Anche al bar non ci riuscivo, anche con le persone che mi erano sempre state vicine. Ora però siamo invasi da migliaia di messaggi”.

E cosa le scrivono?

“Che adesso hanno capito. E questo mi fa fare tante riflessioni personali”.

Quali?

“Ad esempio su quanto poco sia lungimirante il politico che agisce per ottenere un consenso immediato”.

Lei ha rischiato l’osso del collo, lo sa?

“Certo che lo so. Ma ho sempre pensato che le partite bisogna giocarsele, anche se difficili, e tante volte ho perso. Ho innumerevoli difetti, ma so perdere. Mai come questa volta, però, eravamo in pochissimi”.

Una partita tipo con due espulsi, nove contro undici?

“Tipo. Alla fine però gli avversari hanno sbagliato un gol e ne hanno preso uno in contropiede. Questo, se me lo lascia dire, è anche la bellezza della politica”.

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C’è Posta per Te, Giuseppe malato di sclerosi e la lettera alla fidanzata: Claudio Amendola e la De Filippi gli regalano una casa

domenica, Febbraio 7th, 2021

di Alessandro Strabioli

Claudio Amendola a C’è Posta per Te. L’attore romano è ospite della trasmissione di Maria De Filippi  affianco a Giuseppe, un giovane ragazzo innamorato. Giuseppe è in studio per la sua compagna Sara, con la quale vive da undici anni. Da un po’ di tempo Giuseppe e Sara sognano un matrimonio, una casa tutta loro, un futuro insieme, ma Giuseppe, di fronte a questi discorsi, è sfuggente perché ha paura. Ha paura di non essere un buon marito, di non poter lavorare più, di non essere all’altezza; Giuseppe ha paura perché è malato di sclerosi multipla, una malattia che non lascia scampo. Sara ne è consapevole e, a differenza del compagno, non ha paura. Sa di volergli stare accanto, di essere pronta a reggere tutte le difficoltà che il futuro riserverà loro. 

C’è posta per te, “incidente” dietro le quinte. Maria De Filippi corre fuori e lascia lo studio vuoto

«Tra tutti i ragazzi di cui ti potevi innamorare hai scelto me, nonostante la mia malattia. Io sono qui perché il tuo amore mi rende più uomo, mi fa commuovere e mi fa rinascere ogni giorno», ha detto Giuseppe a Sara appena la busta s’è aperta. «C’ho messo un anno a raccontarti della mia malattia. Poi ho deciso di dirtelo, confidandoti che avevo un segreto. Tu, quando hai sentito della malattia, ti sei sentita sollevata perché pensavi che avevo un’altra relazione. Mi sei stata sempre accanto, anche quando le gambe hanno iniziato a cedere, anche quando ho smesso di sollevare i pesi, quando non riuscivo più a gestire l’attività che con tanta fatica avevamo costruito. Con te voglio imparare a credere nei miei sogni, che, alla fine, ho scoperto essere anche i tuoi. La mia paura più grande è finire in sedie a rotelle e diventare per te non solo un peso morale ma anche fisico. Ho paura che un giorno tu ti possa stancare di me, per tutto ciò che non posso darti. Ma sono qui per ringraziarti, a prescindere da come andrà, per questi meravigliosi dodici anni». La lunga e commuovente lettera di Giuseppe è un’ode alla sua compagna e al suo coraggio. 

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Il quartiere Coppedé di Roma e i suoi simboli massonici

domenica, Febbraio 7th, 2021

Andrea Cionci

“Omen-Il Presagio”; “Inferno”; “La ragazza che sapeva troppo”; “L’uccello dalle piume di cristallo”: sono diversi i film horror a sfondo demoniaco e i gialli che sono stati girati nel “Quartiere” Coppedé di Roma. L’archeologo Carlo Di Clemente, presidente dell’Associazione Roming, ha appena compiuto approfondimenti sui simboli schiettamente massonici di cui sono affollati i circa 45 tra palazzi, edifici vari e villini disposti intorno al nucleo centrale di piazza Mincio a Roma nel “vero” quartiere Trieste.

Quando nacque il comprensorio, nei primi anni ’20 da un piano regolatore del 1909 disegnato sotto il sindaco ebreo e massone Ernesto Nathan, l’insieme dei palazzi doveva essere destinato alla nuova borghesia impiegatizia postunitaria, ma, data l’altissima qualità costruttiva e i comfort di cui erano dotati i condomini (termosifoni, cucine a gas, impianti igenici), gli appartamenti furono accaparrati dalle classi alte e, tutt’oggi, ospitano in prevalenza studi di affermati professionisti.

Ingresso civico 2
Ingresso civico 2

Il suo artefice fu l’architetto quasi certamente massone Gino Coppedé (1866-1927) proveniente da una famiglia di apprezzati artisti fiorentini: il forte legame con la sua città natale spicca dai vari stemmi medicei che decorano, in modo decisamente inaspettato, il Palazzo degli Ambasciatori e il Villino delle Fate.

Pseudo Madonna
Pseudo Madonna

A parte la deliziosa Fontana delle Rane, al centro di Piazza Mincio (una sorta di rivisitazione in cemento (!) della Fontana delle Tartarughe di Giacomo della Porta) il “Quartiere” emana inequivocabilmente un che di luciferino e di corrusco che giustifica la sua scelta come naturale scenografia per pellicole noir.

Anni fa, prima della sua ripulitura, era ancora più opprimente nel suo insaziabile agglomerato di stili : Liberty, classico, bizantino, assiro-babilonese, medievale, gotico: in breve, supremamente eclettico.

Palazzo del Ragno
Palazzo del Ragno

La Vittoria alata – molto aggettante – che spicca dal torrione a sinistra dell’arcone di entrata voleva significare la supremazia di una nuova classe, una nuova borghesia “straniera” rispetto alla Roma dei papi e del tutto antagonista ad essa.

Nelle architetture sovraccariche, nei dettagli naturalistici manca infatti la teatrale, festosa solarità del barocco romano, così come le strutture sono prive di quella olimpica simmetria che nella Città dei Papi rievoca il rigore razionale romano e l’Ordine del Logos cristiano-cattolico.

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Ecco come l’effetto Draghi dalla Borsa può trasferirsi sui risparmiatori

domenica, Febbraio 7th, 2021

L’effetto Draghi per ora si sta vedendo solo a Piazza Affari e sullo spread Btp e Bund, sceso per la prima volta sotto quota 100 punti base dal 2016. Ma ben presto potrebbe vedersi anche nelle tasche degli italiani. Qualora la formazione del nuovo esecutivo diventasse realtà, i benefici si potrebbero diffondere anche sui risparmiatori. Uno spread a quota 50 punti base, infatti, vale ogni anno circa 1,5 miliardi di euro di oneri in meno. E la rinnovata credibilità del governo italiano, impegnato nell’adozione del Recovery Fund, potrebbe attrarre nuovi investimenti, utili per rilanciare l’economia italiana.

Il clima è quello di un cauto ottimismo. Non è chiaro se Mario Draghi riuscirà a creare una squadra di governo funzionale a un utilizzo virtuoso dei fondi del programma Next Generation Eu, ma se così fosse il risultato sarebbe quello di un significativo sospiro di sollievo per il Paese. Non solo sul fronte della sicurezza di una buona sostenibilità futura del debito pubblico italiano, ma anche sui vantaggi per i cittadini che detengono titoli di Stato, che sarebbero rivalutati dagli investitori internazionali. In altre parole, come ha sottolineato la banca d’investimento statunitense J.P. Morgan, un impatto su tutta la linea. Specie perché, se si consolidasse il rally verificatosi nella settimana corrente a Borsa Italiana, specie sul settore bancario, si potrebbe innescare una girandola positiva anche per i portafogli degli azionisti che hanno puntato sull’Italia. Stesso dicasi per i detentori dei Piani individuali di risparmio (Pir), gli speciali fondi d’investimento che puntano sulle Piccole e medie imprese (Pmi). Dopo le fatiche burocratiche iniziali, i rendimenti potrebbero giovare del combinato disposto tra governo Draghi e Recovery Plan coscienzioso e lungimirante. Il tutto ad appannaggio della clientela retail.

«La formazione di un governo a guida Draghi vale a nostro giudizio un restringimento dello spread di 20/25 punti base». Spiega così Andrea Delitala, Head of Euro Multi Asset di Pictet Asset Management. Il quale guarda oltre. «L’effetto annuncio e i progressi di due giorni fa hanno già provocato una compressione di 15 punti base fra mercoledì e giovedì», afferma Delitala. Ma si potrebbe ancora migliorare in modo progressivo, passo dopo passo. «Un’ulteriore compressione di 20 punti base sarebbe possibile sui progetti presentati e approvati dalla Commissione Europea contestualmente a credibili riforme strutturali su P.A., pensioni e giustizia presentate nei prossimi mesi”, dice il gestore di Pictet. In questo modo, il differenziale del Btp decennale contro bund tedesco di pari entità potrebbe comprimersi dai 100 punti base attuali a 70 punti base, non lontano da quello fra il bund e i Bonos spagnoli.

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Crepet e il post-pandemia: “Ci salveranno un gelato con il migliore amico e la manutenzione dei sentimenti più semplici”

domenica, Febbraio 7th, 2021

emanuela minucci

La parola d’ordine, per alcuni, è forza. Per altri, fragilità, o, ancora (l’ormai ubiqua) resilienza. Sono le modalità fra cui il genere umano dovrà scegliere per uscire il meno ammaccato possibile dal lockdown. Il confinamento trita-affetti che ha cancellato ogni certezza è stata solo un’apocalisse o anche un’occasione di arricchimento? E poi: indietro, si potrà tornare? Oppure il «digito ergo sum», la smartizzazione della vita, un like al posto di un abbraccio, gli auguri via Skype della nonna come surrogato della sua formidabile torta al cioccolato ha ormai passato il confine dell’adattabilità umana?

È il cuore del dibattito che vuole suscitare il libro La fragilità del bene (Einaudi, 455 pp, 15 euro) dello psichiatra Paolo Crepet. Raccoglie tre saggi, scritti in passato, ma riproposti con potente attualità, su altrettanti capisaldi dell’esistenza: amore, amicizia, felicità. Una sorta di Etica per l’uomo e la donna contemporanei: «Oggi più che mai – spiega Crepet – per uscire dall’abbraccio mortale del virus e cominciare a guardare il futuro c’è bisogno di ripescare e rieditare tre parole sacre che il presente ha reso ancora più fragili: perché durante il lockdown tutti abbiamo scoperto improvvisamente che i beni primari, come la libertà di stare vicini o abbracciarsi, non erano qualcosa di scontato, così come la bellezza e la salute. Abbiamo capito quanto era breve la strada per diventare analfabeti emotivi di ritorno».

La pandemia ci ha gettato in un «oltre» tecnologico e sterilizzato da cui non è facile tornare. L’unica via sicura, a parere dell’autore, per riemergere dalla pandemia più consapevoli e forti di prima è ripartire dalle certezze del sentimento. Crepet prende per mano il lettore e lo guida al ritorno alla normalità, forte di un naufragio emotivo in grado anche di fortificare.

Il valore dell’empatia

Un saggio appassionato, insomma, che mette a fuoco i legami che rendono uniche le nostre vite. Partendo dal fatto che l’isolamento imposto dalla pandemia ci avrà pur fatto imparare qualcosa, soprattutto se la distanza anche mentale cui ci hanno abituato le riunioni su Zoom e la didattica via web, non diventerà un modus vivendi: «Con questo non voglio dire che finita la peste si torni a ballare – spiega Crepet – ma certamente, dopo aver capito che si può lavorare smart, o salutare un’amica su WhatsApp video, tutto questo non potrà mai sostituire la vita vera: quella di un gelato preso con la nostra migliore amica, la nascita di un’idea da una squadra che lavora gomito a gomito, nello stesso posto, trasformando la pallina da ping pong che rimbalza sul tavolo in un colpo vincente». Effetti che si ottengono grazie all’empatia, alla condivisione, e anche a un particolare linguaggio del corpo».

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Il capitale umano da tutelare per Draghi: giovani, donne, formazione

domenica, Febbraio 7th, 2021
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di   Ferruccio de Bortoli

Le idee di Draghi, in particolare sulle grandi questioni economiche, sono note. Finora però le ha sempre espresse in assenza di gravità politica. D’ora in poi sarà diverso. Alcune proposte saranno percorribili, seppure all’interno di un perimetro di partiti al momento indefinito e perfino troppo largo. Altre meno. L’ex presidente della Bce è uomo pragmatico. Conosce la politica più di quanto non si pensi. I palazzi romani non esercitano su di lui (romano) quel fascino perverso che già trasfigurò «barbari» della Lega, aziendalisti di Forza Italia e persino assalitori con l’apriscatole. Di certo non dirà sì a scelte che avvelenano il futuro del Paese per il timore di perdere il potere. Come capo del governo italiano avrebbe un potere pari a una frazione di quello che ha già avuto nei suoi incarichi internazionali. Una garanzia.

Se Draghi riuscirà a formare l’esecutivo, baderà alla concretezza, alla serietà anche un po’ rigida, e manterrà un atteggiamento di sobrietà comunicativa. Meno male. Non andrà a caccia di like sui social network. Non sarà generoso di interviste. Consci di andare contro gli interessi di categoria, glielo auguriamo. Non dovrà aspettarsi però nessuno sconto dall’informazione. Solo così i media sono utili. Altrimenti fanno solo eco.

Draghi è già rodato, specie con la Bild e con lo Spiegel, critici e un po’ prevenuti. Del resto la frase per cui è celebre (whatever it takes...) fu detta una volta sola. A Londra nel 2012. Quasi en passant. L’avesse ripetuta avrebbe perso di valore. Il numero uno di una banca centrale dichiara anche senza dire. Un premier ex governatore dovrà, ovviamente, dire di più. Rispondere alle domande senza evaderle e senza contraddirsi (ormai uno sport nazionale). Quello che ha sempre fatto nelle conferenze stampa, non solo a Francoforte. Ma soprattutto dovrà far parlare gli atti di governo. Senza perdere tempo. E qui viene il difficile, aggettivo con cui il presidente incaricato ha definito (bontà sua) la situazione italiana.

Negli incontri con le forze politiche sono già emersi alcuni temi divisivi. Da quota 100 — che Matteo Salvini si ostina a considerare un successo nonostante la bocciatura della Corte dei conti — al reddito di cittadinanza, fallito nel suo proposito di promuovere il lavoro. Lo ha riconosciuto persino Luigi Di Maio. Molti bonus e sussidi del Conte bis rientrano nella categoria del «debito cattivo», quello che non piace a Draghi perché non crea sviluppo. Soprattutto i giovani «non vogliono vivere di sussidi, vogliono lavorare e accrescere le opportunità delle proprie vite». Ricordava questa frase di Draghi, tra tante altre, Alberto Orioli su Il Sole 24 Ore di ieri. Nell’uscire dall’emergenza della fine del divieto di licenziamento (il 31 marzo), non si potranno salvare tutte le aziende e i posti di lavoro.

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Di Battista, a cosa fa riferimento l’espressione «tredicesimo apostolo»

domenica, Febbraio 7th, 2021

di Marco Rizzi, professore di Letteratura Cristiana Antica all’Università Cattolica*

Di Battista, a cosa fa riferimento l'espressione «tredicesimo apostolo»

Nella terza giornata di consultazioni dei partiti con il premier incaricato Mario Draghi è scontro tra Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. Se dal primo è arrivato – ancor prima dell’incontro della delegazione del M5S con Draghi – un messaggio di apertura al premier incaricato, dal secondo una chiusura decisa: «Io non potrò mai avallare un’accozzaglia al governo che potrebbe andare da Leu alla Lega, non posso accettare “un assembramento parlamentare” così pericoloso. Non lo posso accettare perché la stragrande maggioranza delle forze politiche che si stanno inchinando al tredicesimo apostolo non rappresenta le mie idee». Ecco cosa significa l’espressione «tredicesimo apostolo»

La più immediata identificazione del tredicesimo apostolo è quella con Mattia, che nel racconto del primo capitolo degli Atti degli apostoli viene sorteggiato per prendere il posto del traditore Giuda. L’autore degli Atti, però, non lo indica come tredicesimo, anzi rimarca il fatto che occorresse ricostituire il collegio apostolico nel numero di dodici, simbolo evidente delle dodici tribù di Israele; di Mattia non sappiamo più nulla dal Nuovo Testamento, ma già nell’antichità fiorirono varie tradizioni leggendarie a suo riguardo. Interessante (nella prospettiva di Di Battista) è il fatto che alcuni eretici gnostici nel Secondo Secolo gli attribuiscono una rivelazione segreta ed esoterica, che Mattia avrebbe ricevuto direttamente da Gesù risorto e che l’avrebbe distinto dagli apostoli comuni.

Ciò lo accomuna a Maria Maddalena, l’«apostola degli apostoli» per gli scrittori ortodossi, in quanto avrebbe annunciato per prima ai dodici la resurrezione, oppure la “tredicesima apostola” per gli gnostici, anch’ella come Mattia portatrice di una dottrina segreta appresa grazie alla sua unione (di vario genere secondo i diversi scrittori gnostici) con Cristo. Scarso seguito ebbe invece l’idea di Ambrogio che nel Trattato sui patriarchi chiama Paolo “tredicesimo apostolo”, probabilmente perché si affermò la definizione di “apostolo delle genti” e l’accostamento, anche iconografico, con Pietro.

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Da Pfizer a Sputnik, il punto sui vaccini

domenica, Febbraio 7th, 2021

di Antonella Viola

Da Pfizer a Sputnik, il punto sui vaccini

Il vaccino russo Sputnik (Imagoeconomica)

Mentre la pandemia da SARS-CoV-2 continua a causare enormi problemi in tutto il mondo, rallentando o accelerando a seconda delle misure messe in atto, nelle ultime settimane ci sono state diverse novità riguardo i vaccini che avremo a disposizione per combattere questo virus. Facciamo quindi il punto della situazione, cercando di analizzare le caratteristiche dei vari prodotti. Pfizer e Moderna : questi sono stati i primi vaccini a ricevere l’ approvazione di Fda e Ema, le agenzie regolatorie degli Usa e dell’ Europa, rispettivamente, e i primi ad essere distribuiti negli ospedali e nelle Rsa. Sono basati sulla tecnologia dell’mRNA: nessun virus, ma solo delle particelle di grassi che trasportano l’informazione che serve alle nostre cellule a produrre la proteina Spike.

Sono vaccini estremamente efficaci, intorno al 95%, il che significa che quasi tutte le persone vaccinate saranno protette e non si ammaleranno se incontreranno il virus. Questa efficacia si raggiunge con due dosi, distanziate tra loro 21 giorni (Pfizer) o 28 (Moderna). Il vaccino impedisce la trasmissione del virus? Non abbiamo dati certi, ma i dati preliminari ci fanno sperare che sia così. Se così fosse, usando solo questi vaccini, potremmo raggiungere l’ immunità di comunità – cioè bloccare la circolazione del virus – vaccinando il 70% delle persone che vivono in Italia (attenzione: al virus non interessa se sei cittadino italiano o immigrato; per bloccarlo, bisogna comunque vaccinare il 70% delle persone che vivono nel nostro Paese).

I vaccini sono ovviamente sicuri, ma questi stimolano una forte risposta immunitaria, specialmente nelle persone più giovani, e quindi possono causare febbre e malessere. Inoltre, in alcuni soggetti predisposti, possono causare reazioni allergiche in misura superiore ai classici vaccini. AstraZeneca : questo vaccino, come gli altri di cui parleremo in seguito, è basato sull’uso di adenovirus modificati in modo da non replicarsi ma di trasportare nelle nostre cellule il Dna che serve a codificare la proteina Spike. L’Ema ha recentemente approvato l’uso di questo vaccino dichiarandone un’efficacia intorno al 60%, nonostante non ci siano dati sufficienti per le persone con più di 55 anni. L’efficacia del 60% si raggiunge con due somministrazioni a distanza di 28 giorni. Per questo motivo, e per la scarsa efficacia, al momento è consigliato per persone con meno di 55 anni e in ottima salute, prive cioè di quelle co-morbidità (come diabete, obesità, ipertensione, problemi cardiocircolatori) che potrebbero metterle a rischio di sviluppare sintomi severi. L’azienda sta lavorando alacremente per migliorare l’ efficacia del vaccino, modificando dosaggi e tempi, ma, per il momento, i dati non sono solidi. Così come approvato, dai dati pubblicati è chiaro che il vaccino non blocca l’ infezione, ma solo la malattia.

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Draghi, la svolta di Matteo Salvini (ispirata da Giorgetti) che spiazza un po’ tutti

domenica, Febbraio 7th, 2021

di Antonio Polito

Draghi, la svolta di Matteo Salvini (ispirata da Giorgetti) che spiazza un po' tutti

Segnatevi questa data: 6 febbraio 2021, festa di santa Dorotea, patrona dei giovani sposi e della corrente più moderata e centrista della Dc. Sarà tattica, sarà strategia, il dado comunque è tratto. È come se Salvini si fosse accorto ieri per davvero, per la prima volta, di guidare il primo partito italiano; e che tutto il lavoro fatto, tutte le felpe, i comizi, le polemiche, i processi, i papeete, rischiano di diventare inutili se il patrimonio di consenso acquisito in questi anni non viene ora investito nel governo della più grande emergenza del dopoguerra.

Così, in una sola mattinata, dimenticando per un attimo Lampedusa, Borghi&Bagnai e Marine Le Pen, il segretario della Lega ha messo la freccia e ha imboccato la corsia di sorpasso, superando innanzitutto se stesso e i suoi cliché. Si è presentato come il baricentro della politica italiana, e quindi perno di un gabinetto di unità nazionale. Per sostituirsi ai Cinquestelle, che ne avevano la forza ma non la vocazione; e al Pd, che ne ha la presunzione ma raramente la forza.

Naturalmente si può dire che è una mossa. E sicuramente lo è. È chiaro che serve a mettere nell’angolo la sinistra, che all’improvviso ha paura di andare al governo, e fuori dall’inquadratura la Meloni, che balla da sola. Non ha posto pregiudiziali contro nessuno, e così ha disinnescato quelle degli altri verso di lui. L’ipotesi che entri nel governo ha gettato nel panico il partito di Conte, che è nato per tenerlo fuori. la crisi

Consultazioni Draghi per il nuovo governo, da lunedì nuovo giro: il

di Giuseppe Alberto Falci

Si può anche sospettare che ai suoi dieci minuti da statista faranno come sempre seguito i riflessi condizionati del populista, duri a morire in uno cresciuto a pane e social. Ma quando si decide di passare dall’opposizione al governo non è mai solo tattica. C’è di più.

C’è innanzitutto la società: gli interessi e gli elettori che la Lega oggi rappresenta. Il Nord, insomma. Salvini in questi anni ha preso i voti dei ceti produttivi, dei borghesi di Forza Italia, e ora deve dare risposte. A questa gente sicurezza e lotta ai clandestini vanno bene, ma non bastano. Di certo non bastano ora che l’economia sprofonda. Citofonare Zaia per ulteriori spiegazioni.

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Quel sogno di un Paese “normale”

domenica, Febbraio 7th, 2021

massimo giannini

È raro, ma qualche volta nella vita i sogni si avverano. Io un sogno lo avevo fatto, e ne avevo scritto qui il primo novembre 2020. Avevo sognato “un governo di unità nazionale presieduto da Mario Draghi”, con “le più autorevoli e prestigiose personalità politiche e tecniche di cui questo Paese dispone…”. Poi però mi dicevo che è inutile, che tanto Draghi non vuole, che la Grosse Koalition all’italiana diventa la solita ammucchiata, che con Salvini non la puoi fare, che in Parlamento non le voterebbero mai la fiducia, che basta governi non eletti dal popolo. Così mi ero svegliato con la solita delusione e la solita rassegnazione: per quanto inadeguato, il Conte Due non ha alternative.

Non avevo capito nulla. Il sogno può diventare realtà. Uno per uno, sembrano cadere gli ostacoli che mi frullavano per la testa. Draghi vuole, il suo governo non è una Grande Ammucchiata, lo puoi fare persino con Salvini, in Parlamento si profila una maggioranza larghissima, il popolo non ha votato ma forse stavolta capirà. Se il miracolo accadrà, due fattori lo avranno reso possibile. Il primo fattore è il “default” del sistema politico, che dopo una legislatura di trasformismi e 147 cambi di casacca si è infine arreso all’evidenza: saltato Conte, fusibile multiuso di qualunque maggioranza, il cortocircuito dei partiti non ha potuto generare altro, se non lampi di frenetico e patetico nulla. Il secondo fattore è il “bailout” di Sergio Mattarella, che ha messo in mora l’intero ceto politico, ha convinto Draghi a salvare la Patria e gli ha conferito un mandato chiaro come il sole: “Un governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Il presidente incaricato sta eseguendo la missione. Ascolta molto, prende appunti.

Da giovedì scorso non ha ancora detto né fatto niente. Eppure in 3 giorni stanno succedendo cose che non succedevano da 30 anni. Indizi di una rivoluzione copernicana, di cui Draghi è il motore immobile e i partiti i corpi celesti in rotazione.

All’ex governatore della Bce dicono sì i Cinque Stelle, e già questa è una congiunzione astrale impensabile solo fino a pochi anni fa. Beppe Grillo scende dal canotto del Vaffa Day di Bologna, torna a Roma senza apriscatole, entra disarmato nel barattolo di tonno della Camera, si siede al tavolo di fronte a quello che fino al 2018 era Satana, parla con lui di programma e di squadra, dice “lui è come noi”, vede “le fragole mature”. Luigi Di Maio non ricorda neanche più il balcone di Palazzo Chigi e la postura da tribuno della plebe, non arringa più la sua gente urlando “abbiamo sconfitto la povertà”, la persuade dicendo “Draghi è credibile, M5S lo ascolti”, tiene anche lui famiglia e nei momenti difficili “la famiglia si deve ritrovare”. Gli ultimi giapponesi provano a resistere, Dibba mugugna, Lezzi borbotta. E certo, in quel cielo pentastellato restano i buchi neri, la pochezza culturale e l’indistinto identitario, la fugace democrazia interna e la tenace foga giustizialista. Ma una metamorfosi ormai pare quasi compiuta: la gioiosa macchina anti-politica che doveva asfaltare il sistema si sta facendo carico di ricostruirlo. Il Movimento che rivendicava la sua verginale e irriducibile autosufficienza oggi si inchina alla realtà e si sacrifica alle larghe intese. Più che imputargli la patente contraddizione, dobbiamo riconoscergli una stupefacente maturazione.

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