Archive for Febbraio, 2021

Governo, l’Italia fa paura: cosa dicono le cancellerie e i mercati

lunedì, Febbraio 1st, 2021

di Andrea Bassi

I segnali di fumo che arrivano dalle cancellerie europee e dai mercati sono sempre più preoccupanti. Nel suo ultimo report sull’Italia, la banca d’affari americana Goldman Sachs ha intitolato il passaggio sulla crisi di governo italiana «Distrazione politica, distruzione reale». Il punto centrale, spiegano gli analisti di Goldman, è la gestione dei 209 miliardi del Recovery plan. L’instabilità politica è un problema per diversi motivi. Il primo è che può rallentare il piano. E se il piano rallenta, anche la ripresa economica rallenterà. Se rallenta la ripresa economica, sarà difficile per l’Italia centrare l’obiettivo di riduzione del debito pubblico al 130% entro il 2030. Il debito, in effetti, sembra scomparso dai radar politici nonostante abbia raggiunto la soglia del 160% del Pil. I mercati, e quindi lo spread, sono tenuti per adesso a bada dagli ingenti acquisti della Bce e dall’aspettativa che la pioggia di soldi del Recovery spinga il Pil riducendo il peso del debito. Ma i dubbi cominciano ad aleggiare. Morgan Stanley, altra banca d’affari americana che compra debito italiano, lo ha detto chiaramente. «Le tensioni politiche oggi arginate dalla Bce – spiega nel suo rapporto – possono danneggiare pesantemente l’Italia sui mercati e far schizzare di nuovo il costo del debito». Il campanello di allarme della mancanza di un governo, e soprattutto di un governo stabile, non è suonato solo nei grattacieli della finanza. Anche nei palazzi di Bruxelles e delle cancellerie europee la crisi politica italiana tiene banco. Basta leggere la stampa tedesca che da qualche giorno si occupa dell’Italia. Il Frankfurter Allgemeine scrive che i «fondi per la ricostruzione che Roma riceverà dall’Ue possono essere utilizzati in modo ragionevole solo da un governo pienamente capace».

Crisi di governo, il Conte ter è in bilico: programma e poltrone, l’intesa si allontana

Giuliani (Azimut): «Subito un governo forte per le riforme altrimenti faremo la fine dell’Argentina»

Le voci

Voce autorevole, certo. Ma forse il monito più diretto è quello arrivato solo un paio di giorni fa da Marco Buti, lunghissima carriere ad alto livello nei ranghi della Commissione europea, oggi capo di gabinetto del commissario agli Affari monetari Paolo Gentiloni. Se l’Italia non si dà una mossa e presenta un piano di riforme credibile all’Europa, è stato il succo del suo discorso, quelle stesse riforme tra qualche mese, al massimo il prossimo anno, potrebbero essere imposte dall’esterno, dai mercati. Parole tremendamente dirette. Il messaggio è più o meno univoco. Lo scenario ipotizzato da Buti va scongiurato dando vita a un governo coeso e credibile. Lo ha detto, per esempio, Dbrs Morningstar, la quarta agenzia di rating mondiale. Il rischio principale, ha spiegato, è che si formi un governo debole, con una maggioranza poco coesa, e senza una chiara agenda. Un governo, insomma, che nasca con l’unico scopo di evitare le elezioni anticipate.

Crisi di governo, Confindustria: «È l’ora di un esecutivo capace». E blinda Gualtieri

Giuliani (Azimut): «Subito un governo forte per le riforme altrimenti faremo la fine dell’Argentina»

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Recovery Sud, ecco i piani: cinque miliardi all’Alta Velocità

lunedì, Febbraio 1st, 2021

di Andrea Bassi

I fondi per il Sud confluiti nel Recovery Plan italiano finanzieranno investimenti nel Mezzogiorno. La lista è già pronta e Il Messaggero è in grado di anticiparla. Non solo. Il governo prova a rispondere e a rassicurare anche rispetto ai dubbi sollevati dalla Svimez e dal Servizio Studi della Camera dei deputati sull’effettiva addizionalità delle risorse. Nel prossimo documento di economia e finanza, fanno sapere dal ministero del Sud, sarà previsto il «reintegro» dei 21 miliardi del Fondo di sviluppo e coesione prestati al Recovery. Questo, spiegano le stesse fonti, farà si che alla fine del periodo di programmazione, i fondi europei per il Mezzogiorno non saranno 73 miliardi ma 93 miliardi. Insomma, l’anticipo nel Piano italiano di ripresa e resilienza delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione, darebbe al Sud un doppio vantaggio: l’accelerazione della spesa e l’aumento delle risorse a disposizione.

Ma come saranno utilizzati i 21 miliardi del Fondo di sviluppo e di coesione, l’80% dei quali in base alle regole europee dovrà essere destinato al Mezzogiorno? Cinque miliardi di euro, innanzitutto, saranno destinate alle opere ferroviarie per la mobilità e la connessione veloce del Paese. L’Alta velocità ferroviaria, insomma. Le regioni maggiormente interessate saranno Calabria, Basilicata, Puglia e Sicilia. Ciò avverrà mediante un utilizzo oculato di tratte convenzionali e dedicate, eventualmente integrate da interventi infrastrutturali di adeguamento della rete esistente, o anche, laddove necessario, dalla realizzazione ex novo di varianti e tratte integrative. Si considera come un obiettivo concretamente perseguibile quello di garantire a tutte le principali aree urbane dell’Italia peninsulare tempi di accesso a Roma non superiori a quelli oggi garantiti dal sistema AV sulla sua tratta di maggior lunghezza, ossia le 4 ore e mezza del collegamento Roma-Torino.

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Crisi di governo, Confindustria: «È l’ora di un esecutivo capace». Gualtieri blindato

lunedì, Febbraio 1st, 2021

di Barbara Jerkov

«Per il bene del Paese alcune persone devono restare e faccio riferimento al ministro dell’Economia: quel che portiamo a casa con il Recovery Fund è merito del ministro Gualtieri». Parole nette, pronunciate ieri dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, rispondendo a una domanda sulla composizione del prossimo governo durante la trasmissione “In mezzora in più” di RaiTre. Poco prima Bonomi aveva precisato che «Confindustria non fa scelte di persone o partiti. Sta sui temi. Siamo molto rispettosi delle scelte dei partiti, ma per noi sono importanti le caratteristiche del governo: deve essere serio, autorevole, competente, efficace». Aveva quindi scandito: «Serio perché in un momento così serio non possiamo essere appesi a personalismi, autorevole perché abbiamo bisogno di riforme, competente e capace per condurre un’azione davvero efficace». Nel corso dell’intervista ha anche confermato la recente apertura sul fronte dei licenziamenti. «Laddove ci sono settori in grossa sofferenza o chiusi per disposizione del governo – ha ribadito – lì ci sia la cassa Covid gratuita e il blocco dei licenziamenti. Nei settori che avranno una ripresa diciamo invece dateci la possibilità di riprendere l’attività».

Intanto parte oggi a Montecitorio il cantiere sul programma, tappa necessaria lungo la strada per arrivare al Conte ter. Questa mattina Roberto Fico ha convocato un tavolo tecnico composto dai rappresentanti dei gruppi che ha consultato negli ultimi giorni. Saranno circa una ventina di persone (i capigruppo più un eventuale tecnico) riunite nella sala della Lupa di Montecitorio. Ma resta un clima di incertezza, a partire dalle scelte di Matteo Renzi che non ha ancora dato il via libera all’indicazione di Giuseppe Conte come futuro presidente incaricato. Al termine del primo giro delle sue consultazioni, il presidente della Camera annuncia davanti alle telecamere che «dagli incontri con le forze politiche è emersa la disponibilità comune a procedere su un confronto sui temi e punti programmatici per raggiungere una sintesi». Parole di moderato ottimismo verso una possibile soluzione verso l’incarico a Giuseppe Conte. 

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Domenico Arcuri, tutti gli errori del commissario Covid: quanto ha speso e cos’ha comprato

lunedì, Febbraio 1st, 2021

di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

Fino all’emergenza Covid, tutto quello di cui ogni anno gli ospedali hanno bisogno (28 miliardi di bandi di gara aggiudicati) per il 30% lo comprano direttamente, per il 10% ci pensa Consip, per il resto fanno affidamento sulle 21 centrali d’acquisto regionali. Lo scoppio dell’epidemia rende necessaria la presenza di un commissario con funzione di coordinamento. Il decreto del 17 marzo 2020 gli conferisce il compito di acquistare ogni bene indispensabile al contenimento della diffusione del virus, anche in deroga alle norme: «Tutti gli atti sono sottratti al controllo della Corte dei Conti, fatti salvi gli obblighi di rendicontazione. Per gli stessi atti la responsabilità contabile e amministrativa è limitata ai soli casi in cui sia stato accertato il dolo del funzionario o dell’agente che li ha posti in essere o che vi ha dato esecuzione».

Compiti e poteri del commissario per l’emergenza

Il governo guidato da Giuseppe Conte sceglie Domenico Arcuri, da 13 anni amministratore delegato di Invitalia. La società, posseduta dal ministero dell’Economia, si occupa di attrazione degli investimenti, sviluppo del Mezzogiorno, aziende in crisi, bonifiche, accoglienza migranti, digitalizzazione Pubblica amministrazione, ricostruzione terremoti, salvataggio Ilva e Banca Popolare di Bari. Il comma 6 dell’articolo 4 dello statuto apre di fatto a 360 gradi il raggio d’azione: «La società potrà esercitare tutte le attività e funzioni ulteriori eventualmente attribuitele in forza di leggi e di norme anche per il perseguimento di nuove attività». Arcuri, manager politico navigato, non ha competenze specifiche in Sanità, ma l’articolo 122 gli consente di attingere dove ci sono: «Il commissario può avvalersi di soggetti attuatori e di società in house, nonché delle centrali di acquisto». Decide di non farlo. Questo è il resoconto dopo dieci mesi.

Camici, tamponi, reagenti: le falle del commissario

Il commissario non ce la fa a soddisfare l’intero fabbisogno di guanti, camici, respiratori, gas medicali, reagenti, siringhe, letti: per più della metà devono pensarci le Regioni. Qualche esempio: Arcuri spende 65,4 milioni in guanti di vinile e nitrile, le centrali acquisti devono sopperire per 138 milioni; 1,4 miliardi per camici, calzari, cuffie e visiere, contro i 338 milioni di Arcuri. Per respiratori, monitor e letti il commissario copre il 57%, per tamponi e reagenti il 49%.

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Crisi di governo, il totoministri: Boschi e Delrio poi i tecnici Panetta e Severino

lunedì, Febbraio 1st, 2021

di Alessandro Trocino

Crisi di governo, il totoministri: Boschi e Delrio poi i tecnici Panetta e Severino

Prima i temi, ripetono tutti. Ma è un rito verbale logoro perché le idee camminano sulle gambe delle persone e i nomi, le poltrone, sono decisivi per raggiungere la quadra. In queste ore, dunque, l’analisi dei temi si intreccia con l’«assetto» del governo.

Il primo ruolo da assegnare è quello del premier. L’ipotesi che prevale è quella di un Conte ter(l’alternativa sarebbe un governo istituzionale, con la suggestione di Mario Draghi non premier ma superministro dell’Economia). La poltrona decisiva è proprio quella del Mef. Matteo Renzi, nelle consultazioni con Roberto Fico, avrebbe chiesto almeno due ministeri, indicando quattro ipotesi: Economia, Istruzione, Infrastrutture e Lavoro.

Roberto Gualtieri è considerato da una parte del Pd (e da Italia viva) troppo contiano. Il Quirinale vorrebbe assicurare continuità in alcuni settori chiave. E non è un caso che all’epoca Giovanni Tria non sia stato indicato dai partiti. Ma sostituire Gualtieri — magari candidandolo a sindaco di Roma —, è difficile. Candidati politici all’altezza non se ne vedono, mentre sui tecnici (Draghi a parte), circolano l’ipotesi di Fabio Panetta, ex direttore generale della Banca d’Italia, oggi nel Comitato esecutivo della Bce (un nome che potrebbe mettere d’accordo tutti) e quello di Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate. Colpisce, però, l’endorsement pieno arrivato a Gualtieri dal numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi: «Per il bene del Paese alcune persone devono restare e faccio riferimento al ministro dell’Economia. Se abbiamo il Recovery fund è merito suo».

Gli altri due ministeri sotto il tiro dei renziani sono l’Istruzione, della «contiana» Lucia Azzolina, e quello della Giustizia.

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Crisi di governo, la prima prova è il programma: ecco i punti che dividono Pd, M5S, Italia viva e Leu

lunedì, Febbraio 1st, 2021

di Maria Teresa Meli

Crisi di governo, la prima prova è il programma: ecco i punti che dividono Pd, M5S, Italia viva e Leu

ROMA — Finora nessuno li ha mai presi sul serio, se non altro perché non contenevano nemmeno delle date entro le quali mandare in porto questo o quel progetto, ma solo un infinito numero di argomenti.

Il primo si chiamava «contratto di governo» e lo hanno sottoscritto la Lega e il M5S. Il secondo, più semplicemente, veniva definito «programma» ed era firmato dal Partito democratico e dal Movimento Cinque Stelle. A garantire l’attuazione di entrambi, Giuseppe Conte.

Ora siamo al terzo testo che dovrebbe sancire la nascita di un governo. Vito Crimi lo chiama «cronoprogramma». Nicola Zingaretti «contratto di legislatura»». Matteo Renzi, più semplicemente, «un documento scritto». I primi due vorrebbero che sia ancora lo stesso premier a garantire l’attuazione di questo terzo programma, il leader di Italia viva appare invece più tiepido rispetto a questa prospettiva, tant’è vero che ai suoi confida: «La partita ormai si gioca su un governo istituzionale guidato da Draghi, con la possibilità di allargare la maggioranza a Forza Italia o su un Conte ter con radicali cambiamenti di ministri e di programma». «Oppure — suggerisce l’ala dura di Italia viva — potremmo anche continuare a dire di no».

Ma i programmi finora sono stati (quasi) dei pretesti per mettere su dei governi tra forze che non avevano vinto le elezioni del 2018 e forze che non le avevano perse.

Questa volta è diverso, perché Renzi, nel tentativo di non rendere il Conte ter una soluzione inevitabile di questa crisi, ha imposto che prima si faccia il programma «e poi si decida il nome del premier».

Ragion per cui nella serata di ieri i partiti della vecchia e (forse) nuova maggioranza si sono riuniti per darsi delle priorità programmatiche.

Ma poiché la partita si gioca sul coinvolgimento o meno di Italia viva, alla fine della festa sono i punti programmatici che il partito di Renzi presenterà al tavolo della trattativa a fare la differenza.

E ogni tema ha un nome e cognome, ossia un possibile ministro che si occupa di quell’area di competenza, che secondo Iv dovrebbe andare a casa.

Innanzitutto il Mes. Per Renzi «non è più un prendere e lasciare. Crimi ha chiesto che “insieme ad altri temi divisivi il Mes venga accantonato”. Ma Iv, comunque, lo vuole porre: va bene il compromesso, ma almeno si prenda una parte di quegli stanziamenti.

Quindi le infrastrutture: la Tav, i ponti, le grandi opere, tutti argomenti ostici per i grillini.

Altro tema «caldo», la riforma della giustizia. Italia viva la vuole, il Pd l’ha nel programma, se la facessero questi due partiti non ci sarebbe problema, ma siccome ci sono anche i 5 Stelle le cose si complicano.

Poi c’è il Recovery. «Non va ancora bene», ha detto Renzi ai suoi. «Troppi bonus», è l’accusa di Italia viva. Ma quei bonus li hanno voluti i 5 Stelle e il ministro Gualtieri.

Iv porrà anche il tema del reddito di cittadinanza: ha senso continuare ad erogarlo così?

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Consultazioni, Fico convoca le forze di maggioranza lunedì a Montecitorio

lunedì, Febbraio 1st, 2021

Si riprende lunedì mattina a Montecitorio con un tavolo di lavoro programmatico con i capigruppo. E’ l’esito del mandato esplorativo affidato da Mattarella a Fico, dopo il primo giro di consultazioni con la maggioranza. “Dagli incontri –  spiega Fico – è emersa la disponibilità a un confronto”. Dopo M5s, Pd e LeU  anche gli Europeisti, leAutonomie e Centro democratico di Tabacci, Maie, Psi e i Gruppo Misto blindano Conte.

Entro martedì Fico tornerà al Quirinale per riferire l’esito del suo mandato esplorativo.
 

“In questi momenti serve un esecutivo forte”, ammonisce Di Maio, ma la giornata, al di là delle consultazioni, resta tesa anche nel Movimento 5 stelle, con i vertici impegnati nel confronto interno per cercare di chiarire quali carte giocare al tavolo del programma. Ma sul Movimento resta l’ombra del dissenso dell’ala legata ad Alessandro Di Battista, che continua a sparare contro l’ipotesi di un nuovo accordo con Renzi e Italia viva. “Oggi che allontanare definitivamente il renzismo dalla scena politica italiana non è affatto impossibile, credo – scrive Di Battista – sia un dovere morale andare fino in fondo”.
M5s: “Evitare temi divisivi” La linea ufficiale del Movimento è “evitare i temi divisivi”, un appello rivolto a Iv perché non pretenda di imporre il Mes (il cosiddetto fondo salva-Stati con la sua linea di credito sanitaria) ma che vale anche per il fronte interno, perché riproporre, ad esempio, la questione della revoca della concessione ad Aspi potrebbe essere causa di rottura al tavolo di programma.

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Birmania, arrestata Aung San Suu Kyi | Il suo partito: “E’ un colpo di Stato”

lunedì, Febbraio 1st, 2021

Aung San Suu Kyi, capo del governo birmano, è stata arrestata dalle forze armate. Lo ha annunciato Myo Nyunt la portavoce del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (Lnd). “E’ detenuta a Naypyidaw, presumiamo che l’esercito stia organizzando un colpo di Stato”. I militari denunciano da diverse settimane irregolarità avvenute durante le elezioni legislative di novembre, vinte in modo schiacciante dall’Lnd.

Dopo l’arresto di Aung San Suu Kyi, l’esercito birmano ha annunciato fa l’imposizione di uno stato di emergenza per la durata di un anno. Nel frattempo, l’ex generale Myint Swe, uno dei due vicepresidenti, ricoprirà la carica di presidente ad interim. L’annuncio è stato dato dalla tv statale. Tutti i poteri in Myanmar sono stati trasferiti al generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate.

Gli arresti sono avvenuti poche ore prima della riunione inaugurale del Parlamento recentemente insediato. Con il pretesto della pandemia di coronavirus, le elezioni “non sono state né libere né eque”, ha assicurato in conferenza stampa la scorsa settimana il portavoce dell’esercito, il maggiore generale Zaw Min Tun.

I militari affermano di aver identificato casi di frode, tra cui migliaia di centenari o minori che risulterebbero tra i votanti. Diverse ambasciate, tra cui quella degli Stati Uniti e la delegazione dell’Unione Europea, hanno sollecitato la Birmania ad “aderire a standard democratici”, che assieme all’Onu, temevano il colpo di Stato. Leggi Anche

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