Poco fa a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, si è verificato un attacco ai danni della vettura dove si trovava l’ambasciatore italiano Luca Attanasio. Attanasio – secondo quanto apprende l’Ansa – è stato trasportato in ospedale a Goma dove sarebbe morto. Deceduto anche un carabiniere. La matrice dell’attacco non è ancora chiara. La vettura faceva padre di un convoglio della Monusco che comprendeva anche il Capo Delegazione Ue. Massima apprensione della Farnesina che sta seguendo gli sviluppi.
Una maestra di scuola materna, 47enne, dell’Istituto Comprensivo Statale di Mattinata, in provincia di Foggia, è stata interdetta per 12 mesi dall’esercizio della professione di insegnante e di educatore socio pedagogico perché ritenuta responsabile di aver maltrattato abitualmente bimbi, suoi alunni, di età compresa tra i 2 e 5 anni. Le indagini sono state svolte dai carabinieri della Stazione, coordinati dalla Procura della Repubblica di Foggia. Il provvedimento è stato notificato nei giorni scorsi all’indagata a seguito dell’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Bari. La vicenda venne alla luce alla fine del 2018, quando il dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo raccontò ai carabinieri di aver ricevuto delle segnalazioni da parte di alcuni genitori allarmati dalle confidenze e dal comportamento dei propri figli che frequentavano la Scuola Materna. In particolare, la dirigente riferì di aver appreso che i genitori di una bambina avevano chiesto conto e spiegazione della presenza di un livido sulla natica della loro figlia. Da lì sono scattate le indagini.
La segnalazione è arrivata da Genova. All’ospedale San Martino quindici infermieri, che si erano rifiutati di fare il vaccino, ora sono positivi al Covid. Che fare? Il direttore generale della struttura, Salvatore Giuffrida, si è rivolto all’Inail, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Chiedendo se quei quindici infermieri «devono essere considerati in malattia o dovranno essere considerati inidonei alla loro attività professionale». L’istruttoria dell’Inail sul parere è ancora agli inizi. Ma su un punto l’orientamento sembra già consolidato. E cioè che in questo caso il contagio non può essere considerato infortunio sul lavoro. Sembra un aspetto tecnico, ma non lo è. Il report dell’inail
Fino a gennaio i casi di Covid di origine professionale segnalati all’Inail sono stati 147 mila. Circa il 5% del totale. Mentre le morti denunciate per contagio sul posto di lavoro sono state 461. Per questi casi, se alla fine la denuncia si dimostra fondata, sono previsti gli indennizzi per infortunio sul lavoro. Anche in caso di morte a favore degli eredi. Ma fino alla fine dell’anno scorso i vaccini non c’erano, visto che le prime (simboliche) somministrazioni sono arrivate il 27 dicembre. E sono proprio i dati Inail a certificare che il settore della sanità è stato quello più colpito per i contagi sul lavoro. Non solo. Proprio dai tecnici della salute, categoria nella quale rientrano gli infermieri, è arrivato il 39,2% delle denunce. Numeri che confermano come il lavoro di infermiere sia tra quelli più esposti al rischio. Per questo la campagna di vaccinazione è cominciata da loro. Ma chi rinuncia al vaccino, scelta legittima visto che non c’è obbligo, può poi farsi riconoscere la positività come infortunio sul lavoro?
La
SNDI Abruzzo apre ora le sue attività al mondo della formazione
primaria.
La sezione Abruzzo della SNDI (Società Nazionale Debate Italia) amplia le sue proposte volte alla promozione della metodologia del debate sul territorio. In maniera capillare ed efficace, si propone di introdurre il debate nei settori della vita sociale, associativa e formativa del territorio, coinvolgendo sia il mondo della formazione universitaria e secondaria, sia la formazione aziendale di alto livello. La SNDI Abruzzo apre ora le sue attività al mondo della formazione primaria. Il debate è una pratica didattica, ma soprattutto un gioco di squadra e di abilità, che incentiva alla costruzione di argomentazioni solide per sostenere le proprie tesi, alla ricerca di evidenze e all’esposizione chiara, in pubblico, delle strategie argomentative della squadra. E’ una attività competitiva ma, soprattutto, ricreativa e stimolante ed è per questo che, con la convinzione che “non è mai troppo presto” per giocare al Debate, è in procinto di partire il corso di formazione sul debate nel I ciclo d’istruzione (It’s never too soon) condotto dalla Prof.ssa Angela Di Bono, che ha suscitato l’interesse dei numerosi docenti iscritti, provenienti da diverse regioni, a riprova del bisogno formativo di strategie innovative e partecipative.
“Certo non ho parole ed oltre alla felicità
personale per i risultati raggiunti, sono contento per tutte quelle aziende che
in FederPetroli Italia negli ultimi anni hanno creduto con me in
ENI, investendo nelle gare, nelle qualifiche fornitori,
nei rapporti e principalmente nell’aver dato fiducia a questa Azienda. L’Italia
ora con ENI ha la prima Oil Company a livello mondiale,
madrina di sostenibilità. Siamo orgogliosi di tutto questo”
le parole delPresidente
di FederPetroli Italia – Michele Marsiglia al termine della
presentazione ufficiale della Strategia 2021-2024 e dei Risultati 2020 del
Gruppo del Cane a sei zampe.
Continua Marsiglia “Che si
sappia che per ora il Core-Business è l’Attività di Esplorazione (E&P) con
un Target di 2 miliardi di barili di risorse. L’Azienda con una
riduzione di Impatto Ambientale, è diventata un
Investment Case a livello mondiale. Positivo lo scenario
analizzato dal management su un prezzo del greggio a 50 dollari a
barile, questo vuol dire che in un range minore o maggiore, si resterà
in equilibrio per l’economia petrolifera internazionale. La richiesta in
FederPetroli Italia in questo fine 2020 e inizio 2021 è stata anche quella di
intervenire come fornitori in Progetti di Energie
Rinnovabili dove ENI si è anticipata da tempo. La decisione
strategica del Gruppo di investire in Libia con
Progetti su nuove Applicazioni porta un valore aggiunto a Contrattisti ed
Aziende partecipate nel business. La Raffinazione resta al top,
settore per l’Oil & Gas generale di primaria importanza,
anche in tema di Bio-Raffinerie. Anche sotto il profilo
azionario ENI ci dà soddisfazioni con un alto valore e rendimento aziendale
nonostante la brusca altalena dei prezzi del petrolio”.
Erasmo D’Angelis
Segretario generale dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Italia Centrale
Ma chi pensa ai cantieri del
Next Generation Ue? La verità nuda e cruda è che il conto alla rovescia
del più imponente e ricco piano di rilancio dal dopoguerra è iniziato
da 6 mesi, e al momento siamo già disallineati sulla tabella di marcia
della Commissione europea. Dal 16 agosto scorso, infatti, la “Recovery
and resilience task force” è il nostro interlocutore su linee guida,
regolamenti, obiettivi, pronta al monitoraggio dell’attuazione nelle 6
macro-aree: transizione ecologica (68,9 miliardi), digitalizzazione,
innovazione, competitività e cultura (46,1 miliardi), infrastrutture per
una mobilità sostenibile (31,9 miliardi), istruzione e ricerca (28,4
miliardi), inclusione e sociale (27,6 miliardi), salute (19,7
miliardi).
I complessivi 209 miliardi di euro per mettere
l’Italia sulla retta via per rispondere alle due grandi crisi climatica e
socio-economica, sono ancora raggiungibili ma il governo Draghi dovrà
correre per presentare, tra 8 settimane, la riscrittura del piano finora
considerato – nonostante il pressing continuo del commissario europeo
agli affari economici Paolo Gentiloni -, come una sorta di maxi-legge di
bilancio col bancomat dell’Ue e quindi disegnato mettendo anche opere e
fondi di qua o di là, scollegati da una visione e condizionati dalla
mancanza del nuovo Piano nazionale integrato per l’energia e il clima
che riallinei le nostre politiche, affidate al ministro Roberto
Cingolani del nuovo Ministero della transizione ecologica, agli
obiettivi Ue del taglio del 55% di emissioni killer entro il 2030 e
della de-carbonizzazione nel 2050.
Gli obiettivi sono chiari e,
tanto per fare un esempio, non potranno passare l’esame delle linee di
finanziamento del NGUE investimenti su fonti fossili o opere come il
mitologico ponte sullo Stretto né tantomeno la trovata del tunnel sotto
lo Stretto tra i più sismici della Terra. Il NGUE finanzierebbe invece
la soluzione del problema numero uno delle città sullo Stretto e cioè la
messa in sicurezza antisimica di migliaia di edifici oggi a rischio
crollo in quelle terre di grandi terremoti (ma tra i 4 e i 5 milioni di
edifici sui 12 milioni complessivi sul territorio nazionale sono a
rischio sisma!) con un clamoroso rilancio del lavoro nell’edilizia con
efficienza energetica.
Molte opere immaginate sono palesemente
fuori piano e quindi fuori budget anche per l’impossibilità di
rispettare la tempistica europea che è rigorosa e parecchio impegnativa:
entro il 31.7.2023 vanno superate le fasi del progetto e quella
dell’assegnazione di gara, ed entro il 31.7.2026 quella del collaudo,
pena l’intera restituzione dei fondi impegnati per l’opera. Serve
quindi, con urgenza massima, rifare i conti con i nostri talloni di
Achille: progettare e “mettere a terra” cantieri. È vergognosa la marea
di fondi “incagliati” nella pancia di vari ministeri, qualcosa come
circa 120 miliardi appostati su opere e interventi in anni di manovre
finanziarie, ma fermi per mancanza di progetti, governance,
determinazione politica, comitatismo del No a tutto, incapacità di
comunicarne l’utilità. Dice tutto poi l’incredibile numero di 694
progetti anch’essi incagliati da anni alla Commissione VIA del Maatm.
Inutile
ripetere che il NGUE richiede supporto di riforme e semplificazioni,
riduzione di “tempi morti” con anni sprecati per procedure solo formali,
e il recupero di capacità tecnica nella pubblica amministrazione. Ecco
le dieci mosse per fare l’impresa.
Una battaglia senza
quartiere dentro i 5 stelle, dopo le espulsioni dal gruppo parlamentare
che prefigurano quelle dal Movimento dei deputati e senatori che hanno
votato NO al Governo Draghi.
“Io penso che M5S vada rifondato,
ossia che debba essere completamente riorganizzato” afferma Alfonso
Bonafede in un’intervista al Fatto Quotidiano, in cui spiega che “non è
sufficiente sostituire un capo. Dobbiamo darci una struttura e
coinvolgere i territori. Vito Crimi ha fatto il massimo come reggente,
ma l’errore che tutti noi abbiamo commesso in questo ultimo anno è stato
pensare che al Movimento, per reggere, bastasse stare al Governo. E
invece non può essere così”. Rifondare quindi, nella convinzione che “il
futuro del M5S non possa che essere intrecciato a quello di Conte”.
Il
capogruppo M5S alla Camera, Davide Crippa, intervistato dal Corriere
della Sera, dice che “la strada intrapresa è quella giusta”, con la
fiducia a Mario Draghi e l’espulsione dei ribelli. “Oggi preferisco
andare avanti e lottare rispetto a chi ha scelto di andare contro il
voto degli iscritti rinunciando a incidere su quello per cui i cittadini
ci hanno scelto”. Quindi riprende: “Non è stato affatto facile firmare
quelle lettere” di espulsione, “con alcuni colleghi abbiamo lavorato
fianco a fianco già dalla scorsa legislatura, anche nella stessa
commissione. Si è scelta una forma oggettiva, non personalizzata, per
dare atto di un inadempimento formale rispetto allo statuto del gruppo
parlamentare”. Quanto agli strascichi ribatte: “Chi vuole intraprendere
una battaglia legale contro il Movimento, dopo aver votato
contrariamente al parere degli iscritti, è libero di farlo. Io ribadisco
che rispetto allo statuto del gruppo è un comportamento grave che
prevede l’espulsione”.
Tra gli espulsi c’è il senatore Elio
Lannutti, che ha già annunciato ricorso: “La fiducia a Draghi è stata un
lutto” dice alla Verità, ”è la negazione di tutte le battaglie che
conduco da 35 anni. È un dolore, con l’aggravante del tradimento”.
Lannutti dice che “i metodi usati da M5S sono stalinisti. Sono i metodi
della Stasi, della peggiore polizia politica della Ddr” … “M5S è nato
nel giorno di San Francesco, spero non sia morto il mercoledì delle
ceneri”.
ROMA. Tocca ai partiti: per sottosegretari e viceministri Mario
Draghi si aspettava una rosa di nomi già ieri. Due i criteri fissati
dal premier. Il primo: contano gli equilibri espressi durante il voto di
fiducia. Questo vuol dire che il M5S, avendo perso 41 parlamentari
contrari, nel governissimo del banchiere peserà meno di quanto avrebbe
potuto se fosse rimasto integro. Secondo criterio: più della metà,
possibilmente il 60 per cento, delle candidature dei partiti devono
essere di donne. Più facile a dirsi che altro. Le quote di genere hanno
complicato il casting delle forze di maggioranza, tanto che le decisioni
definitive attese per oggi slitteranno a domani o a metà settimana.
Bisognerà aspettare ancora qualche ora per avere un quadro completo sul
sottogoverno. Pare ormai certo però che il presidente del Consiglio
voglia tenere per sé la delega sui servizi segreti. Come è noto, la
responsabilità sull’intelligence in capo al premier è stato uno dei temi
usati da Matteo Renzi contro Giuseppe Conte per scatenare la crisi sul
precedente governo. Draghi avrebbe espresso le stesse
convinzioni del suo predecessore, anche se tra i partiti c’è chi non
esclude che in un secondo momento il capo del governo possa affidare la
materia a un’autorità delegata di provenienza tecnica. Così sarebbe
propenso a fare sul fisco, con una delega ad hoc, che il premier
considera utile in vista della riforma delle aliquote, e che potrebbe
finire in mano a Ernesto Maria Ruffini dell’Agenzia delle Entrate.
Il
bilancino dei partiti della maggioranza allargata conferma invece la
declinazione quasi esclusivamente politica del resto dei sottosegretari,
a partire dall’editoria che potrebbe restare al dem Andrea Martella.
Per quanto riguarda i rapporti di forza numerici la Lega ha chiesto, con
sponda Pd, che il M5S rinunci ad almeno tre caselle. Alla luce dello
sgretolamento del gruppo parlamentare, i grillini arriverebbero al
massimo undici o dodici sottosegretari. Il Carroccio ne vuole otto o
nove, e otto anche il Pd e Forza Italia (che però dovrebbe riservarne
uno all’Udc). A Italia Viva ne toccherebbero due e a Leu uno soltanto.
Per quanto riguarda i nomi, Pd e M5S, partiti di maggioranza del governo uscente, si manterrebbero sulla continuità. I dem scontano la bruciante polemica sulle mancate quote femminili nei ministeri e perciò sembra scontato che la spunteranno almeno cinque donne (in lizza ci sono Alessia Morani al Mise, Simona Malpezzi ai Rapporti con il Parlamento, Sandra Zampa alla Salute, Marina Sereni agli Esteri, Francesca Puglisi al Lavoro, Anna Ascani alla Scuola, Lorenza Bonaccorsi alla Cultura, più Cecilia D’Elia e Marianna Madia in varie possibili destinazioni). Dal Pd vorrebbero confermato Matteo Mauri all’Interno, a guardia di un ministero che con Matteo Salvini nel governo potrebbe infuocarsi sul fronte della sicurezza e dell’immigrazione, e Antonio Misiani all’Economia.
Cambio di passo. E di tempistiche. Dal metodo del «rinvio
permanente» del predecessore Giuseppe Conte all’individuazione immediata
di un’agenda definita e di una scaletta di priorità da perseguire senza
indugi. E la chiara indicazione dell’esigenza di correre su questioni
che, in precedenza, restavano tendenzialmente nel limbo. Mario Draghi
«l’accelerazionista» in politica è, altresì, il neopresidente del
Consiglio che ha appena introdotto lo «stile banchiere centrale» nella
comunicazione politica nostrana. Finita a palazzo Chigi la stagione del
“roccocasalinismo”, pilastro del contismo, siamo entrati nella nuova
fase del «governo del Paese», quello “senza aggettivi” e di
responsabilità nazionale. Con lo spostamento dell’accento da una
comunicazione del primo ministro significativamente consensus-oriented
(cosa che spiega i prolungati picchi di popolarità del prof. Conte) a
una che risulterà più marcatamente istituzionale, dato il carattere di
governo «del Presidente» (o, se si preferisce «dei due Presidenti») di
quello guidato dal prof. Draghi. Non secondariamente poiché la “ragione
sociale” di questo gabinetto coincide con l’essere un esecutivo
tecnico-politico edificato su una maggioranza senza formula politica,
obbligato quindi a sovrastare mediante il carattere istituzionale dei
suoi messaggi le propensioni propagandistiche ed elettoralistiche dei
partiti che lo sostengono.
Unione, Draghi: “Recovery prova straordinaria di fiducia reciproca. Stato può fare investimenti, unico vincolo: farli bene”
«A questo punto l’Italia può diventare protagonista della
rinascita europea…». Tra una telefonata con Ursula Von Der Leyen e una
conference call con il ministro dell’Economia slovacco, Paolo Gentiloni
da Bruxelles fa il punto sulle tante svolte che in questi giorni
attraversano il mondo, l’Europa e l’Italia. Nonostante la pandemia che
non arretra e l’economia che non riparte, c’è la percezione che, grazie a
un «effetto Draghi», il nostro Paese possa tornare a credere in «una
nuova ricostruzione» e a giocare «un ruolo decisivo nell’Unione». Dopo
le «sbandate» degli ultimi tre anni, soprattutto quelle del Conte
gialloverde, il Commissario Ue vede finalmente «un’Italia più virtuosa»,
cioè più attenta agli investimenti per la crescita, alla stabilità
finanziaria, alla gestione del debito, al controllo degli sprechi.
Un’Italia
che assicura ristori e sussidi a chi non ce la fa, «ma che comincia
finalmente a occuparsi di come finanziare i motori a idrogeno o i
semiconduttori». Se il Paese va in questa direzione, completando il
Recovery Plan, entro l’estate incasserà la prima tranche dei 209
miliardi. E se il Paese crede davvero in questa svolta culturale e
politica, convincerà gli europei che il Patto di Stabilità può essere
ammorbidito, e gli italiani che l’Unione è «motore dello sviluppo e non
più matrigna corrucciata attenta solo ai decimali». La vittoria di Joe
Biden ha cambiato anche la natura dei rapporti tra America ed Europa. “È
tornato il multilateralismo, abbiamo riscoperto i principi comuni e il
valore delle democrazie”, osserva Gentiloni. “Ora dobbiamo rispondere
alla Russia e alla Cina: sono sfide, più che minacce”.
Ue, Gentiloni: “Fiducia in Draghi in Italia come a Bruxelles”
Gentiloni, da commissario europeo e da italiano, cosa è cambiato per il nostro Paese?
«È
cambiato molto, e le spiego perché. Solo tra due anni l’Europa tornerà
ai livelli del 2019, ma con un tasso di crescita medio del Pil inferiore
di 4 punti rispetto a quello che ci aspettavamo. È come se l’economia
del Continente si fosse fermata del tutto per 2-3 anni. In queste
condizioni, sia la Commissione Ue che la Bce dicono che dobbiamo stare
molto attenti: ritirare troppo presto le misure di sostegno è più
pericoloso che ritirarle troppo tardi…».
Anche perché la Cina è già tornata a crescere, e l’America si presenta con un piano di aiuti da 1.900 miliardi di dollari…
«Appunto.
Noi non possiamo restare indietro. Si tratta di evitare gli errori
fatti nella crisi del 2008 e di non tarpare le ali alla ripresa, ma
anche di rendere i nostri piani di sostegno più mirati agli investimenti
innovativi e di non sprecare un euro su attività improduttive,
soprattutto nei paesi a più alto debito come l’Italia».
Dopo Lehman Brothers per dieci anni siamo quasi morti di austerità. Il Patto di stabilità non tornerà più?
«Nelle
prossime settimane decideremo se e come prolungare il congelamento del
Patto, mentre nei prossimi mesi avvieremo una riflessione cruciale su
come ricalibrarlo sui nuovi obiettivi strategici europei. La mia idea è
semplice: se negli Anni Dieci il dogma è stato la stabilità finanziaria,
negli Anni Venti il nuovo dogma deve diventare la crescita
sostenibile».
Governo, Draghi: “Corruzione deprime l’economia. Non può mancare base di legalità e sicurezza”