Archive for Febbraio, 2021

Crisi Covid, le conseguenze asimmetriche

lunedì, Febbraio 22nd, 2021

di   Federico Fubini

Non tutti i Paesi reagiranno con la stessa prontezza. L’urgenza di agire: sul Recovery il nuovo governo ha già cominciato a muoversi

Noi italiani siamo fatti come siamo fatti: quando la situazione si complica, di solito operiamo un transfer sul singolo chiamato a turno a farsene carico. Prima gli scarichiamo tutta la responsabilità di tirarci fuori dai guai, abbandonandoci a lui (e ora infatti Mario Draghi trionfa nei sondaggi). Poi, non appena la realtà presenta il conto, frapponendosi fra noi e una soluzione magica dei nostri problemi, gli diamo anche le colpe non sue. Gli diamo le nostre.

Ovviamente non tutti i leader sono uguali, uno non vale uno e non tutti sono altrettanto inermi di fronte all’artrite dell’amministrazione, alla miopia dei capipartito o all’opportunismo dei capi locali. Avere Draghi e molti dei suoi ministri nelle stanze del potere non è come avere la galleria di improbabili che ci è scorsa davanti agli occhi da un po’ di tempo in qua. Ma proprio le vicende recenti stanno lì a ricordarci che fra gli italiani la gloria rischia di passare in fretta, quando invece sarebbe utile che restasse il più a lungo possibile almeno sotto forma di rispetto e comprensione. Perché le riforme e il rimettersi in marcia di una collettività nazionale dopo anni tremendi, la missione per cui Draghi è stato chiamato, non sono un ingranaggio meccanico: non bastano una legge fatta bene o una generosa decisione di spesa. Dev’esserci il coinvolgimento psicologico di coloro che ne ricevono gli effetti, anche dopo la luna di miele. Dev’esserci il senso di far parte di una comunità in cui ciascuno comprende di non poter di separare fondamentalmente la propria buona sorte dalle difficoltà di milioni di altri. In questo l’Italia presenta un ambiente impervio e sappiamo bene che questa cornice civica e culturale è proprio ciò che in una società evolve più lentamente. Non cambia in un anno o due, perché noi italiani siamo e restiamo spesso ambivalenti verso la nostra stessa nazione. La amiamo ma non ci piace, ci incute anche un po’ di paura e ci porta a tenere sempre aperta mentalmente una via di fuga personale dal retro. Li conosciamo bene i gesti di quell’illudersi di poter divorziare dall’Italia. Per i giovani è l’emigrazione, per i meno giovani il portare i soldi in Svizzera: quanti di noi lo hanno fatto o ci hanno pensato almeno per un giorno in questi anni?

Draghi mercoledì in Senato ha pronunciato un paio di frasi da cui si intuisce che ha perfettamente presenti questi temi: «La crescita di un Paese non scaturisce solo da fattori economici – ha detto –. Dipende dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e speranze». Non è solo questione di sondaggi, ma di capire che – cittadini, partiti, istituzioni – che siamo davvero tutti sulla stessa barca e ci conviene remare tutti nella stessa direzione se vogliamo arrivare in acque più tranquille.

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Covid, ci sono alternative al lockdown? Italia-Europa a confronto su morti, chiusure e Pil

lunedì, Febbraio 22nd, 2021

di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

La nostra vita quotidiana all’epoca del Covid-19, l’ingresso in zona rossa piuttosto che rimanere in giallo, è condizionata dalla risposta a un interrogativo su tutti: come fare a contenere i danni all’economia senza veder crescere il numero dei morti? A dodici mesi dallo scoppio dell’epidemia, proviamo a capire cosa è successo nei principali Paesi europei, dove ognuno ha fatto a modo suo. Ci aiuta a ricostruirlo l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) che ha messo in relazione il Pil con i decessi per milione di abitanti, e l’indice che misura quanto ogni Paese ha fatto per arginare la diffusione del virus, il Covid-19 Stringency Index dell’Università di Oxford. La scala va da 0 a 100, che è il valore massimo di rigore nell’adozione delle misure di contenimento. Gli indicatori presi in considerazione sono nove: dal divieto di spostamento, al blocco delle attività lavorative, fino alla chiusura delle scuole, restrizione delle manifestazioni e raccomandazione di restare a casa.

Il contesto della prima ondata

Il numero dei morti fra la fine di febbraio e maggio ci fa vedere che in Lombardia, dove in Europa il virus colpisce prima, è più di quattro volte superiore al resto d’Italia: 1.663 per milione di abitanti contro 366. Al di là di una gestione della pandemia che sicuramente avrebbe potuto essere migliore da parte della Sanità lombarda, questo dimostra che verosimilmente le altre Regioni hanno beneficiato del ritardo con cui sono state colpite grazie al lockdown totale dell’11 marzo, che rallenta in modo significativo la circolazione del virus fuori dalla Lombardia. E anche verso il resto d’Europa.

Alla fine della prima ondata l’Italia ha l’indice di contenimento più alto (80), e conta 587 vittime per milione di abitanti. La Francia, indice 74 con 469 decessi; la Spagna 68, con 645 morti, Regno Unito 60, con 609 vittime. Lo stesso indice della Germania, che però ha solo 112 decessi. La Svezia, che ha adottato meno misure di tutti, indice 49, conta 571 vittime. In sostanza: gli altri Paesi hanno potuto permettersi di chiudere dopo e meno di noi, e ad eccezione della Germania, che ha uno dei sistemi sanitari più robusti, il numero dei decessi è pressoché simile.

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La pandemia è a un nuovo culmine, ora serve una traiettoria italiana

lunedì, Febbraio 22nd, 2021

di Paolo Giordano e Alessandro Vespignani

La pandemia è a un nuovo culmine, ora serve una traiettoria italiana

A un anno dall’inizio della pandemia, queste sono di nuovo ore di congetture. I decisori appaiono indecisi se proseguire nell’approccio portato avanti da novembre a qui, o puntare a un’azione di contenimento più vigorosa e, per una volta, preventiva.

I numeri e i trend non sono così eloquenti da imporre automaticamente una direzione oppure l’altra, Rt oscilla intorno alla soglia critica, le varianti si diffondono ma c’è uno scetticismo latente sul fatto che possano cambiare drasticamente la situazione.

Mentre non si capisce bene cosa sta per succedere, si azzardano un po’ tutte le ipotesi: andare avanti con i colori delle regioni, interrompere la prassi con un circuit-breaker di qualche settimana (tutta Italia in arancione o in rosso per abbassare i numeri), addirittura puntare spavaldamente agli zero contagi. Sono tutte strade possibili, ognuna imperfetta a modo suo e ognuna con i suoi costi sociali ed economici.

Dovrebbe apparire ormai chiaro che, nello scegliere una via o un’altra, la politica non fa «quello che dice la scienza», perché la scienza non può né deve scegliere. La scienza elenca le variabili in gioco, presenta i dati, li interpreta e, sulla base di tutto questo e nei limiti del possibile, elabora degli scenari.

Inoltre, le variabili sono ormai moltissime. La pandemia ha raggiunto un nuovo culmine, non di gravità stavolta, ma di complessità. La primavera scorsa, emotivamente straziante, era molto più semplice da leggere del momento attuale. C’era un virus nuovo e non esistevano cure né modi per fermarlo, se non distanziandosi il più possibile, a prescindere.

Ora no.

Accanto alle dinamiche del contagio (che già di per sé corre a velocità multiple a causa delle varianti), ci sono la campagna di vaccinazione in corso e gli effetti socio-economici sempre più significativi dopo un anno come quello trascorso. Ogni aspetto andrebbe considerato in relazione agli altri. Per esempio, l’inasprimento eventuale delle restrizioni va associato ai tempi previsti di vaccinazione, alle dosi in arrivo e così via.

Più il quadro si fa complesso, più il ruolo della politica diventa discriminante. Ciò che è rimasto immutato dalla primavera scorsa, tuttavia, è il lasciare che siano per lo più gli esperti a dibattere nel dettaglio la gestione della pandemia. Con tutte le fughe in avanti che questo genera di continuo, gli scontri anche scomposti, le opinioni un tempo genuine che nel frattempo sono diventate rappresentanza di questa o quella corrente di pensiero, la tendenza a privilegiare un’angolazione specifica rispetto all’insieme. La politica sempre un po’ nascosta dietro, ad aspettare che sia la gravità delle circostanze a rendere inevitabili le azioni.

Da ottobre a oggi è diventata sempre più consistente l’impressione di un’assenza di strategia organica. O per lo meno di una dichiarata. Ma senza una strategia di medio termine organica e dichiarata, è impossibile per chiunque valutare se quella strategia sia stata vincente e se sia stata implementata in modo corretto.

Chi scrive, per esempio, è stato favorevole mesi fa alla differenziazione delle misure di contenimento per zone. Ma il sistema dei colori è solo un metodo, e perde efficacia se non si fissano degli obiettivi chiari: vogliamo abbattere il numero di casi?, se sì, di quanto?, vogliamo invece rimanere sul plateau?, e come proiettiamo il rischio delle varianti di cui siamo a conoscenza ormai da dicembre?

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Nuovo Dpcm e decreto, oggi le scelte di Draghi: spostamenti tra regioni vietati fino al 27 marzo

lunedì, Febbraio 22nd, 2021

di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini

I provvedimenti di apertura e chiusura delle attività saranno stabiliti e comunicati almeno una settimana prima dell’entrata in vigore, dopo averli concordati con Regioni e Parlamento. Ma alle misure di tipo sanitario dovranno affiancarsi quelle di ristoro economico. È questa la strategia messa a punto dal governo guidato da Mario Draghi per combattere i contagi da Covid-19, ma anche per fare fronte alla crisi finanziaria causata dalla pandemia. L’Italia continuerà ad essere divisa per fasce di colore, ma i parametri per stabilire il livello di rischio potrebbero essere modificati già prima del prossimo Dpcm e si allargheranno le zone rosse lì dove emergono focolai causati dalle varianti del virus. Per ogni intervento — questo ha evidenziato la ministra degli Affari Regionali Mariastella Gelmini, al fianco del responsabile della Salute Roberto Speranza, all’incontro con i governatori convocato ieri sera — ci si muoverà dunque seguendo «il doppio binario delle misure di contenimento affiancate a quelle di indennizzo». I presidenti delle Regioni chiedono «un cambio di passo» e lamentano il mancato arrivo dei risarcimenti per i settori «che da mesi hanno dovuto bloccare le proprie attività».

Spostamento tra le Regioni

Oltre al decreto che sarà approvato oggi per prorogare il divieto di spostamento tra le Regioni per 30 giorni – dunque al 27 marzo calcolandola scadenza già fissata per il 26 febbraio – l’esecutivo comincerà a mettere a punto l’elenco delle nuove regole operative dal 6 marzo. «Ci muoveremo in sintonia con gli altri Paesi», ha assicurato il premier Draghi ai ministri incontrati dopo il G7 e con i quali sta mettendo a punto l’agenda in vista del Consiglio europeo di fine settimana. Non a caso Gelmini ha sottolineato la necessità di «soluzioni» da raggiungere con una «vera unità nazionale nel contrasto ad un nemico che purtroppo ha già fatto contare quasi 100mila vittime».

La sera di bar e ristoranti

Con la curva epidemiologica ancora in salita sembra difficile ipotizzare adesso un allentamento generale dei divieti. Primo fra tutti quello che riguarda l’apertura serale di bar e ristoranti. Il Comitato tecnico-scientifico ha già sottolineato i rischi di «procedere a riaperture che rischiano di far salire ulteriormente il numero di contagi perché favoriscono una maggiore circolazione delle persone», specificando però che «la scelta spetta al decisore politico». Entro fine settimana si valuterà se ci sono zone del Paese dove invece la morsa del Covid è meno pericolosa, dunque se ci sono spiragli per valutare una riapertura sia pur graduale di alcune attività.

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Covid, Speranza: “Siglato l’accordo: campagna vaccinale più forte con i medici di base” | Almeno 35mila pronti a somministrare le dosi

lunedì, Febbraio 22nd, 2021

E’ stata siglata l’intesa tra medici di famiglia, governo e Regioni per la partecipazione dei medici di base alla campagna vaccinale anti-Covid. Una realtà che renderà l’attività di somministrazione “più capillare e più “forte”, ha detto il ministro Roberto Speranza. Almeno 35mila medici di famiglia sono pronti a effettuare le vaccinazioni nei propri studi da subito”, ha invece riferito la Federazione dei medici di medicina generale.

Campania, Emilia-Romagna e Molise passano in zona arancione. Le province di Bolzano, Perugia, Pescara, Chieti e diversi Comuni della Lombardia in zona rossa.

Gli industriali si sono detti pronti ad aprire fabbriche e uffici per vaccinare dipendenti e familiari, ha affermato il numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi

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Gozzini dopo gli insulti a Meloni: “Il rettore ha la mia testa a disposizione”

domenica, Febbraio 21st, 2021

Il rettore di Siena: “Da lui non mi sarei mai aspettato quelle frasi sessiste e ingiuriose”. Intanto il presidente Mattarella telefona alla leader di FdI

Gozzini dopo gli insulti a Meloni: “Il rettore ha la mia testa a disposizione”

“Il rettore ha la mia testa a sua disposizione, il buon nome dell’università prima di tutto”. Lo dice Giovanni Gozzini, il professore di Storia dell’università di Siena, al centro della bufera dopo le sue frasi in radio contro Giorgia Meloni, leader di Fdi. “Spero che non ci siano conseguenze gravi, direi di no – dice riferendosi alle possibili sanzioni dell’Ateneo di Siena – . Ma era importante che a lui dessi la piena responsabilità”. “Quello che dovevo dire l’ho detto, non volevo offendere in quel modo, ora starò il più silenzioso possibile, meglio che io stia zitto”, assicura il docente. “Vediamo se chiamare la Meloni – sottolinea – aspetto che la notte porti consiglio”. “Pesciaiola, vacca, scrofa”: lo storico Gozzini offende Giorgia Meloni e poi si scusa

Il rettore
“Gozzini si è scusato prima con me e successivamente con un comunicato. È un professore di un certo livello e mai mi sarei aspettato un comportamento simile da lui, la cosa mi ha sorpreso parecchio”. Francesco Frati, Rettore dell’Università di Siena commenta così il tumultuoso dibattito dopo gli insulti al leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni dal professore Giovanni Gozzini. “Il primo sentimento è stato quello dell’indignazione per le parole usate da un membro della nostra comunità che in un certo senso la rappresenta, anche se la cosa non è avvenuta in classe – spiega – Frasi che hanno un contenuto sessista oltre che ingiurioso, pronunciate nei confronti prima di tutto di un componente del Parlamento e in secondo luogo di una donna”. Intanto ribadisce: “Non ho il potere di sospendere nessuno se non attraverso una procedura che vedremo di avviare la prossima settimana. Abbiamo un collegio di disciplina che raccoglierà i vari elementi per poter valutare e se necessario procedere con provvedimenti disciplinari. La cosa è delicata – sottolinea il Rettore – e credo sia opportuno fare una valutazione serena”. 

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Speciale Coronavirus Locatelli (Cts): “Per fine marzo l’Italia avrà 13 milioni di dosi di vaccino”

domenica, Febbraio 21st, 2021

Il presidente del Comitato tecnico scientifico: «Per numero di dosi somministrate e popolazione siamo il secondo paese in Ue dopo la Germania, primo per popolazione vaccinata con doppia dose»

Locatelli (Cts): “Per fine marzo l’Italia avrà 13 milioni di dosi di vaccino”

Per fine marzo l’Italia dovrebbe ricevere, da inizio campagna vaccinale, 13 milioni di dosi:lo ha detto Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità durante la trasmissione «Mezz’ora in più» condotto da Lucia Annunziata.«La limitante di questa prima fase è stato il numero di dosi che sono state rese disponibili. Ne abbiamo avute 4 milioni e 700 mila, ne abbiamo usate circa i 3/4 – rispetto ai 6 milioni indicati inizialmente – altre 7 milioni e 700 mila sono attese a marzo. Per numero di dosi somministrate e popolazione siamo il secondo paese in Ue dopo la Germania, primo per popolazione vaccinata con doppia dose».

LA STAMPA

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Pompei – Una storia di riscatto

domenica, Febbraio 21st, 2021

LA STAMPA

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Vaccino Covid, Remuzzi: “Cerchiamo dosi sul mercato. Sputnik ok, bisogna fare in fretta”

domenica, Febbraio 21st, 2021

di PACO MISALE

“Col piano vaccinale siamo indietro, non c’è dubbio. I motivi possono essere tanti: mancano le dosi, che non stanno arrivando alla velocità promessa. Per contenere morti e malati, a questo punto, sarebbe opportuno vaccinare tutte le persone che possiamo con le fiale che abbiamo e rimandare il richiamo tre mesi, consentendoci arrivare all’estate, sperando che il virus rallenti. Nel frattempo, si potrebbero percorrere altre vie, aumentando i siti produttivi in Europa o magari acquistando i vaccini sul mercato, da quei Paesi che ne hanno più. O, ancora, puntare sullo Sputnik dei russi”. Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto Ricerche farmacologiche Mario Negri Milano, ha le idee chiare sui motivi che stanno facendo rallentare la campagna vaccinale in Italia, ma anche su come sarebbe possibile ovviare al problema.

Covid: i vaccinati in Italia in tempo reale

Professore, perché non marciamo al ritmo che ci era stato promesso?

“Mancano le dosi. L’Italia e l’Europa sono inetro rispetto a Usa, Nuova Zelanda e anche Israele. Tutto sommato siamo stati efficienti rispetto alla quantità vaccini ricevuta finora. l negoziati sottoscritti tra le case farmaceutiche produttrici e l’Ue dovrebbero essere rivisti. Perché il problema sta lì”.

Quin la vaccinazione a rilento pende dagli accor con le aziende produttrici che non hanno rispettato quanto promesso?

“Non conosco gli accor, né se altri paesi abbiano pagato più per avere più. Pare si sia innescato un problema produzione, almeno a sentire Pfizer e AstraZeneca, che a un certo punto si sono accorte non riuscire a produrre come e quanto avrebbero voluto”.

Come si esce da questo imbuto?

“Se le nazioni europee si unissero e lavorassero in modo sinergico per aumentare i siti produttivi, avremmo un’accelerazione notevole. Mi rendo conto che non sia facile. Non solo per una questione sol”.

Alcune Regioni valutano acquisti in proprio: è una strada percorribile e soprattutto c’è da fidarsi?

“È una strada percorribile, certo. Le Regioni fanno bene. Credo sia una via da perseguire. Prima vacciniamo, meglio è. Ogni giorno che peramo ci sono persone che muoiono. Oggi abbiamo capito che dobbiamo confrontarci con una carenza dosi. Se quin esistono da qualche parte del mondo paesi che hanno più vaccini rispetto al loro reale fabbisogno, allora sarebbe giusto perlustrare questa possibilità e comprare da lì”.

Queste nazioni ci sono?

“Paesi come l’Ina stanno andando molto bene e potrebbero non avere più tutta questa necessità dosi come è stato finora. Ovviamente andrebbe fatto tutto in via istituzionale e, una volta verificate sponibilità e sicurezza delle fiale prodotte, a quel punto sarebbe il caso iniziare a importarle anche qui da noi. Senza che questo vada a scapito dei paesi più poveri. Ma dobbiamo fare in fretta”.

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Un anno dopo la nostra vita così cambiata

domenica, Febbraio 21st, 2021

di MICHELE BRAMBILLA

Siamo all’anniversario. È un anno dal giorno in cui a Codogno una dottoressa capì che un suo paziente – giovane e forte, eppure così malmesso da rischiar la pelle – aveva contratto proprio quel virus di cui da qualche settimana sentivamo parlare, e che ci pareva tuttavia una cosa lontana, che non avrebbe cambiato più tanto, forse anzi per nulla, la nostra vita. Il Coronavirus? Roba che riguarda i cinesi, si diceva. Un po’ come tra la fine del 1939 e l’inizio del 1940, quando l’Europa bruciava ma in Italia prevaleva l’ottimismo: “Dalla guerra staremo fuori”, assicuravano quelli che la sapevano lunga.

Ancora nei giorni successivi, non ci volevamo credere. Le strade e le piazze erano piene, la movida non conosceva soste, al ristorante non si trovava un buco. Gli esperti – gli stessi che ora invocano un nuovo lockdown – rassicuravano: è poco più di una brutta influenza. D’altra parte l’Organizzazione mondiale della sanità ancora a fine gennaio aveva certificato: il virus non si trasmette da uomo a uomo. Poi, una domenica di marzo, alle due di notte, scoprimmo un acronimo: dpcm. Ci veniva chiesto di chiuderci tutti in casa, e ci sentimmo soldati in difesa della Patria. I balconi al posto delle trincee.

Per centomila italiani non è andato tutto bene. Anche i buoni propositi sono stati seppelliti dal cinismo. Abbiamo sentito in questi giorni telefonate in cui ci si augurava un aumento dei contagi per vendere qualche mascherina in più. Quanto alla solidarietà che ci avrebbe contagiato più del coronavirus, siamo qui oggi a vedere che anche nella corsa ai vaccini ciascuno pensa soprattutto alla propria bottega. E noi che ci illudevamo che chi avrebbe scoperto per primo la formula magica l’avrebbe regalata alle industrie concorrenti, pur di salvare il mondo.

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