Archive for Febbraio, 2021

Nella Lega si afferma l’ala degli europeisti “Salvini cambi i toni”

domenica, Febbraio 14th, 2021

Paolo Bracalini

Nella Lega sono convinti che per Salvini adesso si apra un capitolo nuovo, in cui il leader si giocherà tutto.

«È la vittoria della Lega presentabile, quella che rappresenta il mondo produttivo, il legame con l’Europa e l’asse strategico con gli Stati Uniti. Per Salvini è l’opportunità di sdoganarsi a livello internazionale e prepararsi il terreno come candidato premier nel 2023» spiega una fonte parlamentare leghista, che aggiunge: «Ma è chiaro che Salvini dovrà cambiare argomenti». La promozione governativa di Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia, i due leghisti «economici» (entrambi bocconiani) lontani nei toni dal sovranismo euroscettico cavalcato in passato da Salvini, è insieme un’opportunità e una sfida per il segretario del Carroccio. Da una parte infatti può accreditarsi come partito di governo, in grado di gestire uno snodo decisivo come lo Sviluppo Economico, quindi espandersi in un elettorato più moderato e rassicurare le cancellerie europee in vista di una sua corsa a premier. Dall’altra è chiaro che sarà più facile per la Meloni, rimasta fuori dalla coalizione pro-Draghi, martellare sui temi più cari all’elettorato sovranista e presidiare quello spazio.

I leghisti assicurano che non è assolutamente in discussione la leadership di Salvini, tanto più che Giorgetti non nutre ambizioni di quel tipo. Ma è evidente che l’ala europeista-moderata del partito (che conta anche l’altro il nemoministro, Erika Stefani, di area Zaia) ha ottenuto una vittoria rispetto a quella più nazionalista-euroscettica (e putiniana), a cui vengono iscritti molti membri del «cerchio magico» di Salvini. Il «Capitano» assicura di essere contento per la nomina dei tre leghisti, ma non ha gradito molto il metodo seguito da Draghi e Mattarella di «decidere in casa altrui», cioè senza neppure consultarsi con il leader di un partito per la scelta dei ministri da assegnare a quel partito. Lo stesso Giorgetti ha ricevuto una telefonata da Draghi solo pochi minuti prima che la lista dei ministri fosse comunicata ufficialmente. Non solo, anche la scelta di tre azzurri (Brunetta, Carfagna e Gelmini) proprio tra quelli che hanno i rapporti più gelidi con la Lega appare come una mossa per isolare Salvini e la componente sovranista.

Il leader però punta a giocare su due sponde, con una riedizione della «Lega di lotta e di governo» di bossiana memoria. Ovvero, incassare i dividendi dell’azione di governo dei suoi tre ministri, in tre settori importanti come il Mise, il turismo e il mondo della disabilità. Ma sfruttare il fatto di non essere lui direttamente coinvolto nell’esecutivo per lavorare ai fianchi gli alleati-avversari di governo, Pd e M5s e poi i ministri già nel mirino della Lega come la Lamorgese e Speranza.

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Quei 75 milioni di voti che hanno salvato Trump dell’impeachment

domenica, Febbraio 14th, 2021

paolo mastrolilli

Ma se Trump è stato «praticamente e moralmente responsabile per aver provocato» l’assalto al Congresso del 6 gennaio, come ha detto ieri sera Mitch McConnell, e «le sue azioni precedenti alla rivolta sono state una vergognosa omissione dei propri doveri», perché mai il leader dei repubblicani al Senato ha votato per assolvere l’ex presidente dall’impeachment? Semplice: perché il 3 novembre scorso Donald ha ricevuto 75 milioni di voti, e quindi ha ancora il partito in pugno. E la vera battaglia politica decisiva che si combatterà in America nei prossimi quattro anni, oltre naturalmente a quella di Biden per avere successo come presidente, sarà proprio quella già in atto nell’opposizione: riuscirà il Gop a liberarsi di Trump e rifondarsi, dopo aver rinunciato a farlo fuori approvando l’impeachment, oppure resterà ostaggio del suo estremismo populista e sovranista?

Nel discorso tenuto dopo l’assoluzione di ieri al Senato, McConnell non ha lasciato dubbi su cosa pensa di Donald: il peggio possibile. Lo ritiene colpevole di aver incitato l’insurrezione, come recitava l’atto d’accusa presentato dai democratici, ma ha votato contro la condanna aggrappandosi alla scusa che l’impeachment di un ex presidente non è costituzionale. In realtà questo argomento non regge, per almeno tre motivi. Primo, in passato era già stata approvata l’incriminazione e la condanna di alti funzionari pubblici non più in carica, perché la legge lo consente. Secondo, il Senato si era formalmente posto il quesito della costituzionalità del procedimento, aveva votato in favore, e quindi la questione doveva essere considerata risolta. Terzo, l’impeachment di Trump era stato approvato dalla Camera quando era ancora in carica, ma il processo non era stato tenuto subito al Senato proprio perché McConnell, allora leader della maggioranza, lo aveva impedito.

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Priorità al piano vaccini, a qualsiasi costo poi le riforme evitando i temi che dividono

domenica, Febbraio 14th, 2021

carlo cottarelli

Se all’inizio di dicembre, solo un mese e mezzo fa, qualcuno ci avesse detto che il giorno di San Valentino ci saremmo svegliati con un governo sostenuto dal PD, Cinquestelle, Lega, Forza Italia, Italia Viva, Azione/Più Europa, cioè da tutti i principali gruppi parlamentari tranne Fratelli d’Italia, quasi certamente lo avremmo preso per matto. Eppure, dopo settimane che sono state senza dubbio tra le più strane e imprevedibili di una vita politica che, nel nostro paese, è già di per sé strana e imprevedibile, è successo. Il Presidente Mattarella, vista l’impossibilità di tornare a un governo sostenuto dalla precedente maggioranza, aveva chiesto a Mario Draghi di formare un governo istituzionale che non doveva identificarsi con nessuna forza politica, ma che doveva cercare il sostegno di tutte le forze politiche in parlamento. Ieri quel governo è stato formato.

È un governo attentamente bilanciato. Ci sono 15 ministri politici e 8 tecnici, ma ben 6 di questi ultimi hanno un “portafoglio”, ossia la guida di ministeri. Tra i politici è stato mantenuto un attento equilibrio tra i partiti della vecchia maggioranza (otto ministri, ma con più ministeri) e della vecchia opposizione (sette). Tra i tecnici c’è un equilibrio tra chi porta esperienza di governo e chi porta esperienza esterna. Nel primo gruppo sono Lamorgese, Giovannini, Franco (non è mai stato ministro, ma ha svolto l’importantissimo ruolo di Ragioniere Generale dello Stato) e Garofoli (sarà sottosegretario alla presidenza del consiglio, una posizione chiave). Tra i secondi Bianchi, Cartabia, Cingolani, Colao e Messa. Unica rilevante, e sfortunata, asimmetria è il limitato numero di donne: 8 su 23, di cui solo 3 alla guida di ministeri (5 sono “senza portafoglio”).

Un’ampia maggioranza parlamentare ha ovvi vantaggi, ma comporta anche vincoli. Cosa potrà fare, si chiedono molti? Come potranno forze così diverse concordare su qualcosa? Occorre allora, nel redigere il programma di governo, trasformare questa potenziale debolezza, in una opportunità. Questo richiede concentrarsi su quelle priorità che potremmo definire bipartisan o, nel nostro complicato sistema politico, multi-partisan. Non sono certo cose da poco, anzi sono essenziali per la crescita economica.

La priorità assoluta è l’accelerazione nel piano vaccini, senza la quale non sarà possibile recuperare in tempi ragionevoli il livello di reddito pre-crisi. Qui ci si dovrà muovere insieme all’Europa per quanto riguarda la maggiore produzione di vaccini, assicurandone poi, e questa è nostra responsabilità, la distribuzione più rapida possibile nel nostro paese. Whatever it takes, mi verrebbe da dire, costi quel che costi, visto che ritardare la ripresa avrebbe gravissime conseguenze economiche.

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Lo spirito dell’unità nazionale

domenica, Febbraio 14th, 2021

MASSIMO GIANNINI

«E ora tutti uniti per mettere in sicurezza il Paese», dice Mario Draghi chiudendo il primo Consiglio dei ministri riunito dopo il giuramento. Fa il paio con il «crepi il lupo» di venerdì sera, pronunciato davanti ai fotografi al Quirinale. Più che appelli e auspici, sembrano esorcismi e scongiuri. Pure in tempi eccezionali, un esecutivo eccezionale come il suo non l’abbiamo mai visto in settant’anni di vita repubblicana. Governissimo, larghe intese, compromesso storico, salute pubblica: ognuno scelga la formula che preferisce. Se non suonasse troppo retorico, per questa parvenza di unità nazionale verrebbe da invocare il “veni creator spiritus” di Benedetto Croce ai tempi della Costituente. Ma è certo che questa Grosse Koalition all’italiana non ha precedenti conosciuti. Mai un governo aveva potuto contare su una maggioranza estesa di fatto all’intero arco costituzionale (con la sola eccezione di Giorgia Meloni, che segue le orme di Giorgio Almirante).

Draghi governerà sulle macerie di una politica che, dopo l’ubriacatura grillo-leghista di tre anni fa e la rottura renziana di due settimane fa, gli si è consegnata mani e piedi, per insipienza e per inconcludenza. Chi ora nega la crisi di sistema è cieco o è in malafede. Dopo la Grande Recessione del 2008 abbiamo avuto tre elezioni e ben sei presidenti del Consiglio. Di questi, quattro consecutivi (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) battezzati non dalle urne ma da accordi parlamentari tra maggioranze ogni volta diverse. Dopo il trionfo delle forze nazional-populiste alle elezioni del 2018 abbiamo avuto altri tre governi (Conte Uno, Conte Due e ora Draghi), di nuovo con maggioranze sempre differenti. Come scrive il «Guardian», l’alternanza «tra demagoghi populisti e tecnocrati rischia di diventare una tendenza costante, ed è oggettivamente un segno di crisi strutturale della politica».

Draghi è un ircocervo. Ha un governo tecnico, il suo, ed è obiettivamente qualificato: otto eccellenze di alto profilo e di assoluta fiducia, che il premier ha selezionato con cura e che condividono con lui i dossier più importanti per l’Italia e per l’Europa, cioè l’implementazione delle grandi riforme, la gestione dell’economia e l’attuazione del Recovery Plan. Poi ha un sub-governo politico, il “loro”, ed è francamente modesto: quindici rappresentanti dei sei partiti coalizzati, che il premier ha concordato con le segreterie in base ai sacri principi del manuale Cencelli e che si occuperanno del poco che resta. Il risultato è quello che abbiamo visto ieri sul Colle: la foto di gruppo, interessante ma a tratti distopica, di un esecutivo bipolare, nel quale convivono facce nuove in prima linea e vecchie maschere nelle retrovie. Fa effetto il ritorno in scena dei verdi Garavaglia e Stefani, residuati padani di cui non si sentiva una particolare mancanza, o degli azzurri Brunetta e Gelmini, sopravvissuti forzisti della nota e remota diaspora del Popolo delle Libertà. Come pure fa effetto l’ardimentosa resistenza dei pentastellati Dadone e D’Incà, o peggio ancora la scandalosa renitenza del Pd a dare spazio alle donne, vergognosamente sacrificate ai “maschi alfa” del partito, intoccabili da sempre.

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Ora silenzio, per favore

domenica, Febbraio 14th, 2021

di Beppe Severgnini

Questa rubrica, da vent’anni, si chiama «Italians». Non parla solo di loro, ma è intitolata ai nostri connazionali curiosi del mondo. Perché ci stanno, perché ci vanno, perché sanno che esiste. Mi chiedo, e vi chiedo: cosa si aspettano, all’estero, dal nuovo governo Draghi? Una rubrica domenicale non è il posto adatto per elencare le cose urgenti da fare in Italia. Meglio indicare una cosa da non fare: confusione.

  Per evitare la confusione non basta limitare gli obiettivi (sarebbe già molto). Non è sufficiente portare a termine i progetti, invece di abbozzarli e passare ad altro. Bisogna parlare meno. Ogni annuncio rimandato, ogni proclama evitato e ogni litigio schivato costituisce un successo. Questo non significa che noi — gli elettori — desideriamo essere tenuti all’oscuro. Vuol dire che non vogliamo essere frastornati da parole inutili.

  Questo invito è contrario al nostro interesse come giornalisti? Per nulla. Sui giornali, in radio e nei talk-show è giusto riferire e commentare cosa fa il governo, ma non è necessario che ci sia sempre un sottosegretario presente. Le interviste non vanno abolite: vanno limitate. I social servono per la discussione nazionale, non per la comunicazione istituzionale. È vero: sembra umanamente impossibile far peggio di Donald Trump, ma il personaggio deve servire da monito.

  Meno è meglio, anche in politica. L’invito non vale solo per i componenti del governo Draghi, ma anche per i loro referenti nei partiti, quando ne hanno. I leader — Salvini, Renzi e Di Maio su tutti — ci hanno abituato a una comunicazione torrenziale: tweet, post, foto, filmati, condivisioni, trasmissioni radiofoniche e televisive. Basta. I tempi sono troppo complicati per sprecare tempo, fiato ed energie.

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Governo Draghi, i 5 punti forti (e quelli deboli) del nuovo esecutivo

domenica, Febbraio 14th, 2021

di Antonio Polito

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Governo, Draghi dà la linea ai ministri: mettere il Paese in sicurezza. Il governo sarà ambientalista

domenica, Febbraio 14th, 2021

di Francesco Verderami

Governo, Draghi dà la linea ai ministri: mettere il Paese in sicurezza. Il governo sarà ambientalista

All’inizio, quando ha ricevuto l’incarico, Mario Draghi era davvero preoccupato: per l’atteggiamento dei partiti, i veti giunti persino da chi oggi è suo ministro, le mosse di chi pensava ancora di succedere a sé stesso, la reazione del blocco di potere che sentiva minacciato il suo primato. Poi si è gettato nell’impresa e l’ha affrontata con lo stesso metodo adottato nelle precedenti esperienze. Ché certo, gestire il board della Banca centrale europea e i giorni in cui erano a repentaglio la moneta unica e l’Unione non fu facile. Così l’uomo che parlava ai mercati ora parla all’Italia. E ieri, dopo aver giurato al Quirinale e aver compiuto il rito della campanella con Giuseppe Conte, il premier ha tenuto la prima riunione del Consiglio dei ministri, aperta con un ringraziamento al capo dello Stato.

«Restituire fiducia al Paese» è l’obiettivo del gabinetto che presiede, e che sarà chiamato ad affrontare le emergenze del presente come le pendenze del recente passato, così da mettere «in sicurezza l’Italia» e «costruire le basi per il suo futuro», con una visione «ambientalista e digitale». Per riuscire nella missione ha chiesto ai ministri uno sforzo collettivo: «L’unità non è un’opzione, è un dovere. Veniamo da culture politiche diverse, da esperienze professionali diverse. Le differenze devono essere elemento di ricchezza e devono servire per affrontare insieme questo disastro, che ha provocato una grave crisi sanitaria, economica, sociale culturale, educativa. Migliaia di morti, la sofferenza dei lavoratori e delle aziende, la perdita di due anni di scuola per i ragazzi».

Un’introduzione breve, per una riunione durata appena mezz’ora. Poi un saluto e l’appuntamento per mercoledì al Senato, dove Draghi si presenterà per la fiducia. Oggi inizierà a preparare il suo discorso, che sarà sintetico: un’esposizione per punti essenziali del programma di governo: dal piano vaccinale di massa, alla redazione del Recovery plan, dal tema del lavoro a quello delle imprese, con uno sguardo alla «coesione sociale» messo a dura prova dalla scadenza del decreto che blocca i licenziamenti. «Non scriverò cinquanta pagine, per evitare insulti e fischi», ha sorriso: «Anche se sono certo che di fischi ne prenderò».

Il premier non teme di gestire questa coalizione così ampia, per quanto segua le convulsioni del Movimento 5 Stelle, che preoccupano più dei malumori di Forza Italia e Lega. D’altronde doveva aver messo nel conto i maldipancia del centrodestra, vista la scelta dei ministri: la selezione degli esponenti azzurri è stata scientifica, serve ad evitare che anche i forzisti lascino l’esecutivo nel caso in cui Matteo Salvini decidesse di ritirare la sua delegazione. È il piano B, un meccanismo di difesa che Draghi auspica di non dover usare. Piuttosto confida che il suo gabinetto — mix di tecnici ed esponenti di partito — si doti subito di un metodo di lavoro, in modo da consentire ai nuovi arrivati di entrare al più presto nei meccanismi: «E su alcuni aspetti più politici ascolteremo chi ha più esperienza. Ci confronteremo», ha detto in Consiglio dei ministri.

Ce ne sarà subito bisogno. Come ha spiegato Luigi Di Maio durante la riunione, giacciono in Parlamento «provvedimenti di non facile gestione, con emendamenti presentati quando molti di noi erano su posizioni diverse». Il decreto Milleproroghe è una bomba ad orologeria, perché contiene una norma sulla prescrizione. È il lascito dell’era dei blocchi contrapposti, il passato (recentissimo) che ritorna e che rischia di trasformarsi in un pericoloso scoglio per la larga maggioranza. E aveva ragione ieri la neo Guardasigilli Marta Cartabia a sostenere che sulle questioni divisive servirà «un confronto preventivo per la composizione delle parti». Ma oggi non si può chiedere il ritiro dell’emendamento, perché i gruppi di opposizione potrebbero farlo proprio e chiedere di votarlo. E al Senato, per di più a scrutinio segreto, la bomba potrebbe scoppiare.

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Maxi incidente sull’A32, coinvolti 20 veicoli, due morti: chiusa la Torino-Bardonecchia

sabato, Febbraio 13th, 2021

Francesco Falcone

Grave incidente in mattinata sulla A32. A causa del fondo stradale ghiacciato, all’altezza dell’imbocco della galleria di Serre la Voute, tra Exilles e Salbertrand, un’auto ha sbandato provocando tamponamenti a catena che hanno coinvolto 20 veicoli. Venti i feriti trasferiti negli ospedali di Rivoli e Susa. Due feriti più gravi sono stati subito trasportati al Cto di Torino. Purtroppo le prime notizie parlano anche di due morti, una donna e un uomo, quest’ultimo sulla quarantina. Al momento non sono state fornite le generalità Dalle 11 l’autostrada Torino-Bardonecchia è stata chiusa al traffico da Susa a Oulx. I veicoli diretti verso l’Alta Val di Susa e la Francia sono al momento deviati sulla Statale 24 del Monginevro alle porte di Susa. Attualmente per raggiungere Oulx da Susa e imboccare nuovamente la A 32 sono previste code di due ore. La Croce Rossa di Susa è impegnata a fornire acqua e cibo alle persone incolonnate. Maxi tamponamento sulla Torino-Bardonecchia a causa del ghiaccio, la scena dell’incidente filmata da un automobilista

I mezzi di soccorso dell’A32 e la polizia stradale di Susa stanno facendo uscire dall’autostrada le auto non coinvolte nello schianto attraverso il bypass, dopodiché cominceranno le operazioni di rimozione dei rottami delle auto incidentate. La circolazione sull’Autofréjus, secondo quanto dichiarano gli operatori, non potrà riprendere regolarmente prima di questa sera. Incidente sulla Torino-Bardonecchia, le immagini tra i rottami delle auto coinvolte

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Ne valeva la pena

sabato, Febbraio 13th, 2021

Ne valeva la pena? La domanda, spesso iraconda, tachicardica, elettrizza il Paese e parla del Paese: ne valeva la pena? E cioè: valeva la pena di inchiodare a una crisi bimestrale il governo per poi ritrovarsi con Mario Draghi al posto di Giuseppe Conte? E la piccola riflessione potrebbe chiudersi qui. Fine del rovello, fine dell’articolo. Se non altro per non umiliare troppo l’intelligenza già umiliata da un abuso di suffragio universale (per i giudici dell’istante: non sto contestando il suffragio universale, ma l’impiego dissoluto che ne facciamo), attraverso il quale abbiamo stabilito che le istituzioni sono una multiproprietà, si va e si viene, posso scendere sotto casa e dire al mio fornaio (per i giudici dell’istante: il mio fornaio è un fuoriclasse in fatto di rosette e pizza bianca, pura, altissima élite), ehi, ti va di fare il ministro dello sviluppo economico, tu che hai sviluppato così bene la tua attività? E quindi questo articolo parla alla nostra irresistibile, sesquipedale ridicolaggine: ne valeva la pena? Cioè, valeva la pena tutto ’sto casino per mettere a Palazzo Chigi l’unico fuoriclasse come tale riconosciuto all’estero (scrive Ugo Magri oggi sulla Stampa) al posto di un avvocato spuntato dal nulla della polvere accademica e della totale inesperienza e guidato dal funambolico portavoce al reality del comando? A me pare evidente che il problema non è la risposta, il problema è già nel porsi la domanda.

Se poi vogliamo indugiare più nel dettaglio (non troppo: sconfinare nel ridicolo è un rischio che si può correre, addentrarcisi sarebbe temerario), ne valeva la pena per vedere un governo spartito, nelle sue poltrone e sofà, e nei suoi ministeri in gran parte utili all’andante propaganda social, da partiti, correnti e sottocorrenti, con un equilibrio di bilancia per cui il nostro caro Massimiliano Cencelli, altresì detto Manuale, starà in brodo di giuggiole? Sì, ne valeva la pena, se poi i ministeri cruciali alla pianificazione degli investimenti del recovery, cioè i denari che dovrebbero servire all’Italia per transitare dal secondo al terzo millennio, se li tiene Draghi attraverso gli eccellenti tecnici che si è scelto (eccellente è concetto molto relativo, lo so, e del resto il mondo è pieno di gente che eccelle nel rompere l’anima, alla ricerca del massimo della perfezione e della purezza, che è immediatamente opera di demenza chimerica e totalitaria).

Perché poi questo è un paese devastato dal settarismo insufflato da superiorità antropologica, a chi gli vengono le bolle a pensare a un governo con dentro la Lega, a chi un governo con dentro Renato Brunetta, a chi un governo con dentro i cinque stelle, a chi uno con le zecche e a chi uno coi fasci. E va bene, nessuno è immune dal settarismo, ma almeno bisognerebbe provare a essere asintomatici. Per esempio a me qualche bollicina viene a pensare di non essermi ancora sbarazzato di Luigi Di Maio, ma poi il ragazzo è un tipo accomodante, malleabile, così giovane e già così disponibile, il vestito da Bankitalia ce l’ha da sempre, è un prezzo che posso pagare. E aggiungo che il nostro giornale è stato fiero avversario della Lega salviniana rozza, verbalmente violenta, intollerante, xenofoba, rinfocolatrice delle peggiori paure, antieuropea, ma bisogna avere rotto le lenti degli occhiali per non vedere che al governo ci è andata una Lega (con Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia e Erika Stefani) che con l’Europa ci ha sempre parlato, che con l’immigrazione ha un approccio molto più laico, che segue le esigenze modernizzatrici e competitive degli imprenditori del Nord, il famoso motore del Paese. Ne valeva la pena? No davvero, stiamo discutendo se ne valesse la pena?

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Né strette di mano né parenti presenti. Giura il governo Draghi

sabato, Febbraio 13th, 2021

GIACOMO GALEAZZI

ROMA.  E’ stato il salone dei Corazzieri al Quirinale a ospitare la tradizionale foto che segue il giuramento del nuovo governo. A causa della pandemia, per garantire il distanziamento sociale, la cerimonia del giuramento è stata divisa tra due sale. Nel salone delle Feste il giuramento vero e proprio, senza strette di mano e senza la presenza di parenti e giornalisti; nel salone dei Corazzieri, poco distante, la foto del presidente Sergio Mattarella, del premier Mario Draghi e dei ministri eseguita solo da un pool di fotografi sorteggiati e dai fotografi ufficiali della presidenza della Repubblica. Governo, il giuramento di Mario Draghi come presidente del Consiglio

La formula di rito
Il governo ha prestato giuramento questa mattina al Palazzo del Quirinale. Il presidente del Consiglio dei Ministri, il professore Mario Draghi, e i ministri hanno giurato nelle mani del Capo dello Stato, pronunciando la formula di rito. Erano presenti, in qualità di testimoni, il segretario generale della presidenza della Repubblica, Ugo Zampetti, e il consigliere militare del Presidente della Repubblica, il generale Roberto Corsini. I neo ministri del governo Draghi al Quirinale, e Franco scherza con la stampa

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