Archive for Marzo, 2021

Le scelte di Letta: identità Pd e legge elettorale maggioritaria

lunedì, Marzo 22nd, 2021
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di   Paolo Mieli

In una sola settimana — tanto è trascorso da quando è stato eletto segretario del Pd — Enrico Letta è riuscito a fare cose che sembravano impossibili. Ha ridisegnato l’intero assetto di vertice mettendo le donne in condizioni di parità e — se deputati e senatori lo consentiranno — su indicazione di Letta sarà femminile anche la guida di entrambi i gruppi parlamentari. Ma soprattutto, polemizzando con Matteo Salvini, il nuovo segretario ha schierato il partito in difesa di Mario Draghi e contro la Lega (alla quale per l’occasione si era associato il M5S) rea di aver «tenuto in ostaggio» il Consiglio dei ministri. Con questo passo ha compiuto una doppia operazione politica. In primo luogo ha tirato fuori il Pd da quel malcelato senso di nostalgia per l’era del governo Conte manifestatasi in qualche caso come risentimento per le modalità di nascita del nuovo esecutivo. In più, approfittando delle incertezze dei Cinque Stelle, è riuscito ad assegnare al proprio partito la leadership dell’intera sinistra che — in una logica bipolare — dovrà, un giorno, confrontarsi elettoralmente con la destra. Matteo Salvini ha raccolto il guanto di sfida e ha approfittato dell’occasione per riprendersi il ruolo di leader dello schieramento opposto.

Adesso per il Pd si rendono necessari passi altrettanto decisi per mettere meglio a fuoco la propria identità. Chissà se è da prendere in parola Letta quando ha proposto un ritorno al «mattarellum» o a qualcosa di simile. Per chi, come noi, ha mantenuto ferma l’opzione a favore del maggioritario, è stata, quella di Letta, una gradita sorpresa. Intendiamoci: l’esperienza ha dimostrato che neanche il sistema maggioritario, se non è irrobustito da regole parlamentari che scoraggino eventuali trasgressori dei patti di coalizione, è in grado di garantire stabilità ad un’intera legislatura. Ma quello vagheggiato dal nuovo segretario del Pd, ci appare pur sempre migliore dei sistemi proporzionali destinati a provocare un’interminabile fibrillazione del Parlamento, nonché a produrre maggioranze eterogenee e perciò instabili. Maggioranze per di più non legate da programmi sottoposti al giudizio degli elettori. Né di conseguenza tenute a presentare al vaglio dei votanti il bilancio di un eventuale mancato mantenimento degli impegni.

Non possiamo però non ricordare come l’intero Pd — eccezion fatta per alcune personalità d’area quali Romano Prodi, Walter Veltroni, Arturo Parisi — fino a dieci giorni fa la pensasse all’opposto. E ritenesse che solo l’introduzione di un sistema proporzionale fosse in grado di attenuare l’effetto negativo del taglio dei parlamentari. Nicola Zingaretti spiegò diffusamente come l’amputazione di deputati e senatori imposta dal M5S avrebbe comportato rischi autoritari se non fosse stata temperata dall’introduzione di un sistema elettorale proporzionale.

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Scuola, ricerca sui dati di 7,3 milioni di studenti: stare in classe non spinge la curva della pandemia

lunedì, Marzo 22nd, 2021

di Elisabetta Andreis

Scuola, ricerca sui dati di 7,3 milioni di studenti: stare in classe non spinge la curva della pandemia

In Italia, dove le classi sono rimaste chiuse ben più a lungo che negli altri Paesi europei, non c’è correlazione significativa tra diffusione dei contagi e lezioni in presenza. L’apertura delle scuole è dunque scagionata, o almeno questa è la conclusione cui arriva una mastodontica ricerca, la prima di questo tipo in Italia, condotta da una squadra di epidemiologi, medici, biologi e statistici tra cui Sara Gandini dello Ieo di Milano. «Il rischio zero non esiste ma sulla base dei dati raccolti possiamo affermare che la scuola è uno dei luoghi più sicuri rispetto alle possibilità di contagio», sintetizza l’epidemiologa e biostatistica. Gli studi analizzano i dati del Miur e li incrocia con quelli delle Ats e della Protezione civile fino a coprire un campione iniziale pari al 97% delle scuole italiane: più di 7,3 milioni di studenti e 770 mila insegnanti.

L’apertura delle scuole

«I numeri dicono che l’impennata dell’epidemia osservata tra ottobre e novembre non può essere imputata all’apertura delle scuole»: il tasso di positività dei ragazzi rispetto al numero di tamponi eseguito è inferiore all’1%. «Di più: la loro chiusura totale o parziale, ad esempio in Lombardia e Campania, non influisce minimamente sui famigerati indici Kd e Rt . Ad esempio a Roma le scuole aprono 10 giorni prima di Napoli ma la curva si innalza 12 giorni dopo Napoli, e così per moltissime altre città», spiega l’esperta. Ancora, il ruolo degli studenti nella trasmissione del coronavirus è marginale: «I giovani contagiano il 50% in meno rispetto agli adulti, veri responsabili della crescita sproporzionata della curva pandemica. E questo si conferma anche con la variante inglese». In altre parole i focolai da Sars-Cov 2 che accadono in classe sono molto rari (sotto il 7% di tutte le scuole) e la frequenza nella trasmissione da ragazzo a docente è statisticamente poco rilevante. Quattro volte più frequente che gli insegnanti si contagino tra loro, magari in sala professori, «ma questo è lo stesso rischio che si assume, ad esempio, in qualunque ufficio».

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Vaccini Lombardia, tutte le falle di Aria: la società voluta dai leghisti

lunedì, Marzo 22nd, 2021

di Sara Bettoni

Il caos in Lombardia per le vaccinazioni anti-Covid? Colpa di Aria, la società di Regione che coordina la campagna. Lo ha detto nei giorni scorsi Guido Bertolaso, consulente del Pirellone. Lo ha ricordato ieri su Twitter Letizia Moratti, vicepresidente della Lombardia. L’ha fatto capire il leader della Lega Matteo Salvini, parlando di «qualcosa che non va» e che deve essere cambiato. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso risale al weekend, con i centri vaccinali di Cremona, Como e della Brianza pronti a fare punture, ma senza pazienti in coda perché la piattaforma gestionale non aveva inviato le convocazioni.

Cos’è esattamente questa Aria su cui si scaricano tutte le responsabilità? Per capirlo bisogna innanzitutto sciogliere l’acronimo, che sta per Azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti e tornare al 2019. In quell’anno il governatore Attilio Fontana, con il suo uomo forte Davide Caparini (tuttora assessore al Bilancio con delega alle Partecipate), decide di fondere le tre spa Centrale Acquisti (Arca), Lombardia Informatica (Lispa) e Infrastrutture Lombarde (Ilspa) per ridurre gli sprechi e cancellare l’eco degli scandali che si portano dietro. Si calcola che l’operazione farà risparmiare 3,7 milioni di euro annui di costi operativi e il 13 per cento del valore totale delle procedure di gara. L’obiettivo è creare un «soggetto unico in Italia per competenza e completezza nella capacità di innovazione, nella valutazione della spesa e nella rigenerazione dei processi di acquisto». Aria, per l’appunto, con i suoi 600 dipendenti. Come presidente viene scelto Francesco Ferri, di area Forza Italia. Gli fa da contraltare Filippo Bongiovanni, direttore generale vicino a Fontana e quindi alla Lega.

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Restart-up: dieci modeste proposte per ripensare il settore

domenica, Marzo 21st, 2021

È un po’ strano quando per anni scrivi e cerchi di attirare l’attenzione sulle difficoltà dei disoccupati e sulle contraddizioni del mercato del lavoro e quasi nessuno ti si fila, e poi scrivi un solo articolo sulle contraddizioni e difficoltà del modello start-up (sì, per me col trattino) e succede il finimondo. Avrei preferito avere tutta questa attenzione per parlare dei temi che mi sono più cari e che credo siano – appena un po’ – più urgenti. Tuttavia, dal momento che credo sia importante alla critica far seguire la proposta, e che un po’ inaspettatamente mi è stato data tutta questa attenzione da parte di una fetta consistente dello start-up system italiano, provo qui sulla base della mia esperienza e delle mie personali e quindi fallibili opinioni a dare qualche idea su come potrebbe rinnovarsi.

Ovviamente, mi rendo ben conto che queste opinioni e proposte sono del tutto non richieste. Ma proprio per questo penso che vadano fatte e possano essere utili. Startupper, incubatori e acceleratori amano spesso dipingersi come astronauti a bordo di un razzo: personalmente questa rappresentazione mi ha sempre fatto un po’ sorridere, poiché molto azzeccata. Sicuramente tutti loro sono ambiziosi, molti anche coraggiosi e diversi pure con capacità tecniche elevate come gli astronauti. Ma forse nella loro navicella a volte non si rendono conto che attorno a loro c’è il vuoto cosmico, e che la Terra – cioè dove c’è la vera economia, la vera società – è migliaia di chilometri distante da loro. Forse quindi qualcuno che ogni tanto lo ricordi può essere utile.

Primo: abbandonare per sempre il “finance-only”. Contestando il mio precedente articolo che suggeriva il fallimento del modello start-up, uno dei più noti investitori italiani ha scritto che «Amazon ha oggi una capitalizzazione pari al PIL italiano». Ora, a parte che Amazon non è mai davvero stata una start-up (Bezos partì con più di un milione di dollari raccolto tra i suoi amici di Wall Street), e facendo anche finta che non sia andata in perdita economica per quasi un ventennio facendo di fatto concorrenza sleale e producendo enormi esternalità negative sociali e ambientali, il fatto che oggi abbia un valore borsistico pari al PIL dell’ottava economia mondiale non è un inno di vittoria: è un allarme nucleare. Di tutte le 70 start-up “unicorni” americane, oggi solo 7 – il 10% – fa profitti. Ciò ha un solo precedente: la bolla dot.com. Finché le start-up saranno viste quasi esclusivamente come dei veicoli finanziari, poco o nulla di davvero buono ne potrà venire.

Secondo: prendersi il rischio e la responsabilità. Le start-up sono – o dovrebbero essere – aziende ad alto rischio di fallire. Giocare a questa partita vuol dire quindi rischiare: questo vale per gli startupper ma anche per gli investitori. Se si chiede a chi ha una start-up di finanziarsi con i soldi di famiglia e di portare prove – spesso sotto forma di fatture – che il business funziona prima di dargli dei soldi, o se si punta tutto o quasi a fare programmi di accelerazione con soldi pubblici o degli incubati (rispettivamente 20% e 25% dei ricavi degli incubatori italiani, a fronte del 7% proveniente dagli investimenti nelle start-up), non si sta facendo investimento di rischio: si sta facendo da banca o da cooperativa. E prendersi il rischio vuol dire anche prendersi la responsabilità, per esempio rendendo pubblici e trasparenti gli accordi delle IPO o i bilanci, senza trucchetti.

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Mario Draghi in mezzo alle bandierine

domenica, Marzo 21st, 2021
Italian Prime Minister Mario Draghi attends a press conference after the Cabinet Meeting on economic...
Italian Prime Minister Mario Draghi attends a press conference after the Cabinet Meeting on economic measures to fight the Covid-19 pandemic crisis, Rome, Italy, 19 March 2021. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Enrico Letta attacca Matteo Salvini, il leader della Lega risponde, mentre Matteo Renzi torna a pungolare il Partito democratico, accusa Beppe Grillo di aver fomentato l’odio della politica e Italia viva rispolvera addirittura il Mes. Da qualunque parte si giri, Mario Draghi vede una distesa di bandiere e bandierine, rivendicazioni e propaganda, i partiti che sgomitano l’uno sulla testa dell’altro per avere uno strapuntino di visibilità in più, per dire che la norma decisiva del provvedimento decisivo è merito loro, quel che la loro fetta di elettorato gli ha sempre chiesto.

Ieri la prima bandiera Draghi l’ha piantata nell’occhio di Salvini, che voleva uno stralcio delle cartelle esattoriali ben più ampio di quel che il premier gli ha concesso alla fine di una mediazione che ha bloccato il Cdm per tre ore. “Un’accelerazione targata Lega”, esulta il segretario del Carroccio, “Abbiamo arginato il condono”, gioiscono un po’ tutti gli altri che avevano lavorato alacremente per opporvisi.

Il presidente del Consiglio, nella conferenza stampa di ieri, ha voluto parlare fuori dai denti: “Tutti hanno delle bandiere identitarie si tratta man mano di chiedersi quali sono quelle bandiere identitarie di buon senso e quelle a cui si può rinunciare senza fare danno né alla propria identità né all’Italia”.

Questione risolta? È il mite Enrico Letta, dopo aver attaccato Salvini sui vaccini nel corso della settimana, a dare fuoco alle polveri: “Male, molto male che un segretario di partito tenga in ostaggio per un pomeriggio il cdm (senza peraltro risultati). Pessimo inizio #Salvini”, con tanto di hashtag per non correre il rischio che non finisca in tendenza. “Bravo Enrico”, applaudono i suoi. Un parlamentare spiega: “Condividiamo un posto comune al governo per l’appello di Mattarella e per senso di responsabilità. Ma non abbiamo altro in comune”.

Già, perché ormai a Palazzo dove ti giri è sempre tutto maggioranza. E fatto salvo per la battagliera Fratelli d’Italia, che ha strada libera nel cannoneggiamento dell’esecutivo, l’intero arco costituzionale si trova a condividere la stessa responsabilità, lo stesso progetto e perfino gli stessi provvedimenti, pacchetto completo. E così rimane solo da piantare bandierine in un campo di gioco che si sovrappone, basta guardare al decreto Sostegni, con la Lega a sottolineare lo stralcio delle cartelle, Forza Italia i milioni stanziati per “il sistema neve”, Leu il rinvio del blocco dei licenziamenti.

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Alexi e il domino del razzismo. La folle giostra americana

domenica, Marzo 21st, 2021
LOS ANGELES, CA - OCTOBER 20: Alexi McCammond speaks onstage at Politicon 2018 at Los Angeles Convention...
LOS ANGELES, CA – OCTOBER 20: Alexi McCammond speaks onstage at Politicon 2018 at Los Angeles Convention Center on October 20, 2018 in Los Angeles, California. (Photo by Michael S. Schwartz/Getty Images)

Se state per leggere questo articolo, una precauzione: prendete un analgesico altrimenti ne uscirete con il mal di testa.

Alexi McCammond, pochi giorni dopo avere assunto la direzione di Vogue Teen, è stata licenziata per dei tweet di dieci anni fa, quando aveva diciassette anni. Accusa: razzismo e sessismo. Non so qui se sia il caso di sottolineare che McCammond non è Wasp, cioè non è bianca, anglosassone, protestante, cioè non appartiene alla classe sociale-etnico-culturale considerata la culla del suprematismo bianco. Dico quello che non è perché non so dire quello che è, non so quali termini siano politicamente accettabili per definirla, e per non correre il rischio di essere arruolato d’ufficio nel Ku Klux Klan. Ecco, il Ku Klux Klan: di sicuro non se ne direbbe McCammond un’affiliata.

Ripartiamo da capo. Alexi McCammond, ventisette anni, giornalista super emergente, premiata nel 2019 dalla National Association of Black Journalists e inserita da Forbes nell’elenco dei trenta Under 30 più interessanti d’America, viene promossa dall’editrice Condé Nast  alla guida della rivista per adolescenti del gruppo. La Condé Nast ha qualche grana, e alla monumentale Anne Wintour, direttrice globale di Vogue, è toccato di scusarsi davanti alle proteste del Black Lives Matter per non aver preso nella dovuta considerazione la creatività dei neri. Alexi dunque è perfetta per rifarsi un’immagine. Nessuno purtroppo ricorda il casino di un paio d’anni prima, quando erano stati tirati fuori i tweet adolescenziali di McCammond. Aveva scritto “stupido professore asiatico” e delle mattine in cui ci si sveglia con “gli occhi gonfi da asiatici”, più altri in cui usava i termini gay e homo in senso dispregiativo. La giovane giornalista, travolta, cancella i tweet e se ne scusa attingendo al frasario classico di questi tempi, espressioni inqualificabili, atteggiamento imperdonabile e così via.

La faccenda sembra evaporare, anche perché McCammond trova il modo di traslocare nel grande mondo delle vittime. Succede che Charles Barkley, ex ala grande dei Philadelphia 76ers, dei Phoenix Suns e degli Houston Rockets, due volte oro olimpico, nel corso di un’intervista le dica “non ho mai picchiato una donna, ma se dovessi picchiarne una, picchierei te”. Barkley ha parecchi precedenti. Non gli piacciono gli arbitri donna e nemmeno il basket femminile (in questo seguito dalla stragrande maggioranza degli americani, almeno stando agli ascolti televisivi). Ma stavolta nemmeno il gigantesco ex cestista regge all’urto. Volevo essere divertente e non lo sono stato, dice, non ci sono giustificazioni, mi sono fatto strumento della dilagante cultura della misoginia a cui sono estraneo, me ne scuso profondamente eccetera eccetera.

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La piazza sfida Erdogan sui diritti delle donne: “Non ci chiuderà in casa”

domenica, Marzo 21st, 2021

giordano stabile

DALL’INVIATO A BEIRUT. Una marea viola ha invaso le strade della capitale Ankara e delle altre grandi città turche. Bandiere viola, cartelli con scritto «No al ritiro dalla Convenzione di Istanbul». Donne e ragazze con piumini, maglioni, berretti dello stesso colore. Si sono radunate davanti alla sede del Parlamento, del partito Akp, quello del presidente Recep Tayyip Erdogan. Ieri mattina, senza dire nulla, ha stracciato l’accordo contro la violenza sulle donne, che pure aveva firmato per primo dieci anni fa, nella sua Istanbul. Un colpo a freddo, comunicato con una nota sulla Gazzetta ufficiale, mentre i partner europei, e metà del suo popolo, venivano lasciati al buio. La reazione è stata imponente. Nel pomeriggio le manifestanti si sono unite nel centro di Ankara, dal podio una di loro ha cominciato a leggere, uno a uno, i nomi delle donne uccise nell’ultimo anno, vittime di padri, fidanzati e mariti violenti, e convinti dell’impunità. A ogni nome tutte alzavano il pugno chiuso al cielo, con rabbia. Anche un modo per esorcizzare la paura. Con il ritiro dalla Convenzione, è prevedibile, la violenza già a livelli intollerabili finirà per aumentare. La Turchia non ci sta e la decisione potrebbe rivelarsi un passo falso di Erdogan.

Ieri però il presidente era in vena di segnali netti. Ha licenziato il governatore della Banca centrale, reo di aver alzato i tassi di interesse. L’economia è ancora azzoppata dal Covid, anche se le vaccinazioni sono partite con un passo più spedito rispetto all’Europa continentale. La situazione è fluida. Erdogan è tentato dalle elezioni anticipate, serra le file dei suoi, della Turchia profonda che vota in massa Akp. E i notabili del partito, di cultura islamica conservatrice, imputano alla Convenzione di «indebolire la famiglia tradizionale», di «promuovere il movimento Lgbt», già nel mirino del governo all’inizio dell’anno, quando la nomina clientelare del nuovo rettore all’Università del Bosforo ha scatenato l’indignazione giovanile. È l’altro fronte, quello della Turchia laica, urbana, che accusa lo Stato di non fare abbastanza per frenare i femminicidi. Secondo la piattaforma Kadin Cinayetlerini durduracagiz, in meno di tre mesi quest’anno sono state uccise già 74 donne per mano di uomini, dopo che nel 2020 erano stati contati almeno 300 casi accertati e 171 morti sospette. Più di un omicidio al giorno.

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Draghi sfili le bandierine ai partiti

domenica, Marzo 21st, 2021

Massimo Giannini

Dunque, Mario Draghi parla. A un mese esatto dal suo discorso per la fiducia in Parlamento, il presidente del Consiglio più silenzioso della storia repubblicana si concede agli italiani per ben due giorni consecutivi. Affronta le emergenze che Mattarella ha affidato alle sue cure, dopo la crisi di sistema innescata dalla caduta del Conte Bis. La prima è la pandemia: “Lo Stato c’è e ci sarà”, dice a Bergamo colpita al cuore, città simbolo del dolore di un’intera nazione. La seconda è l’economia: “Questo non è il momento in cui si tolgono soldi, ma in cui si danno soldi”, dice a Roma davanti ai giornalisti, nella sua prima conferenza stampa da capo dell’esecutivo. Dopo averlo visto e ascoltato, almeno questo lo possiamo ribadire al di là di ogni ragionevole dubbio: conviene che il premier parli. Conviene a lui, che decide sullo “stato di eccezione” e su una politica rissosa e sclerotizzata. Conviene ai cittadini, che aspettano un vaccino, un ristoro, un futuro.

Non si tratta di farne un santino, e neanche un salvatore della Patria: non è né l’uno né l’altro. Ma Draghi è convincente, perché mostra padronanza dei dossier. È rassicurante, anche se è asciutto e mai retorico. Solo chi non lo conosce e non lo ha seguito nei suoi anni in Banca d’Italia e poi alla Bce si stupisce di queste qualità. In otto anni a Francoforte ha trattato con i capi di Stato e di governo non solo d’Europa ma del mondo. Si è confrontato con la Fed, ha piegato la Bundesbank. Comunque la si pensi su di lui, possiamo convenire sul fatto che abbia una certa esperienza degli uomini e una certa pratica del potere. E nella sua doppia uscita pubblica l’ha dimostrato, parlando il linguaggio pacato ma ruvido della verità e del pragmatismo. Anche per questo è utile che parli più spesso, al Palazzo e al Paese.

Sulla pandemia si chiude una settimana difficile, per l’Europa, per l’Italia e per il governo. La gestione del caso AstraZeneca non è stata esemplare né lineare. Ha sancito l’ennesimo passo falso dell’Unione, dopo le troppe disattenzioni contrattuali con Big Pharma. Ha fatto riemergere il “fai da te” tra gli Stati membri, che hanno agito in autonomia e in distonia con Bruxelles. Ha palesato i ritardi delle autorità sanitarie comunitarie, che hanno reagito male e comunicato peggio.

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Caos vaccini in Lombardia: centinaia di anziani beffati

domenica, Marzo 21st, 2021

Fabio Poletti

MILANO. Il sindaco di San Bassano (Cremona) ha trovato il pullman e 20 ultraottantenni. Se non fosse per lui, per gli altri sindaci del territorio, per Asst Cremona, addio piano vaccinale. Di seicento anziani in lista, solo ottanta ieri sono stati avvisati da Aria, la struttura di Regione Lombardia per le prenotazioni dei vaccini.

Era già successo, ieri si è ripetuto il problema. Oltre che a Cremona anche a Monza, Varese e Como, dove su 700 posti messi a disposizione dall’Asst Lariana al mattino si sono presentati solo in 16. In pratica negli ospedali c’erano centinaia di dosi pronte ma non le persone che avrebbero dovuto riceverle. Perché non avevano avuto l’avviso per l’appuntamento.
*

Perché? Mancano giustificazioni ufficiali. C’è chi dice che è andato in tilt il sistema informatico di Aria sulla conferma delle prenotazioni. E non sarebbe la prima volta. Ma il problema sembra ben più grave. Sembra infatti che il sistema di conferme preveda solo sms e non chiamate ai numeri fissi degli utenti, richiesti peraltro quando ci si mette in lista sul portale.

Verrebbe da dire che grazie ad Aria il piano vaccinale in Lombardia fa acqua da tutte le parti. Letizia Moratti, l’assessore regionale al Welfare, da tempo in rotta di collisione con la struttura che risponde all’assessorato al Bilancio, a sera cinguetta via Twitter un commento assai piccato: «L’inadeguatezza di Aria Lombardia incapace di gestire le prenotazioni in modo decente rallenta lo sforzo comune per vaccinare. È inaccettabile! Grazie agli operatori che si prodigano vaccinando comunque 30 mila persone al giorno e grazie ai cittadini lombardi per la pazienza».

Sarà, resta il fatto che in Lombardia, dato aggiornato alle 19.31 di ieri, sono state vaccinate 1 milione 202 e 664 persone. Praticamente poco più di una su dieci, visto che i lombardi sono 10 milioni. All’orizzonte non si vede ancora la fine del piano vaccinale per gli over 80, figuriamoci per tutti gli altri in attesa. Malgrado la promessa di finire, prima a giugno, poi entro l’estate. Alla fine si vedrà.

Da Regione Lombardia ammettono che lavorare sui grandi numeri non è facile. Da Cremona, superato il primo scoramento per quello che è successo ieri, si chiedono come andrà a finire: «Non possiamo vivere nell’incertezza tutti i giorni». Vero, anche perché c’è il rischio di buttare via i vaccini. Agli anziani viene somministrato soprattutto il vaccino della Pfizer, una volta tolto dalla catena del freddo c’è il rischio che non possa più essere riutilizzato.

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Speranza: “La fine dell’incubo è più vicina, ma l’Italia resterà ancora a colori”

domenica, Marzo 21st, 2021

paolo russo

ROMA. «Anche questo weekend lo passerò lontano dalla famiglia, ma il gran lavoro di questi giorni ora ci permette di ricominciare a correre con le vaccinazioni». Roberto Speranza dal ministero risponde con voce stanca e allo stesso tempo soddisfatta. «So che gli italiani sono provati dalle restrizioni – dice il titolare della Salute – ma con il decreto Sostegni mettiamo in campo oltre 150 mila tra medici di famiglia, odontoiatri, pediatri, specializzandi e specialisti ambulatoriali. In più avremo 19 mila farmacie dove ci si potrà vaccinare e fino a 270 mila infermieri da coinvolgere nella campagna che, appena avremo più dosi, potrà accelerare l’uscita dall’emergenza».

*** Iscriviti alla newsletter Speciale coronavirusAlmeno per ora sembra che la sospensione di AstraZeneca non abbia allontanato più di tanto gli italiani dal vaccino. Non crede ci sia stato però qualche difetto di comunicazione in questa vicenda?
«Le primissime reazioni sono di fiducia. Servirà ancora qualche giorno per capire come va, ma gli italiani sono consapevoli che il vaccino è l’arma più efficace per uscire da questa stagione così difficile, che vede ancora la maggior parte della popolazione dover fare i conti con le restrizioni delle aree rosse. Ma la vicenda AstraZeneca a mio avviso va letta in un altro modo».

Come?
«Che c’è la massima attenzione anche verso eventi rarissimi, perché stiamo parlando di un caso su un milione. Episodi legati da una connessione temporale e non causale. Lunedì il prestigioso Erhlich Institute ha chiesto al governo tedesco di sospendere AstraZeneca perché erano stati rilevati alcuni eventi trombotici rari e l’Ema ha preso tempo fino a giovedì per approfondire. Allora le agenzie regolatorie e i governi dei principali Paesi europei hanno deciso di sospenderne la somministrazione. Io questi fatti non li leggo come un difetto di comunicazione, ma come una scelta di massima attenzione alla tutela della sicurezza di tutti».

Però la Francia lo ha sconsigliato agli under 55. Forse il coordinamento va migliorato ancora un po’?
«Per l’Ema e i nostri scienziati non ci sono elementi per limitarne l’età. È normale che gli eventi trombotici si siano manifestati tra i meno anziani, visto che in Europa è a loro che è stato somministrato il vaccino».

L’Europa ha esportato 33 milioni di dosi, ma Usa e Gran Bretagna a noi non ne danno. Agiremo di conseguenza?
«L’Europa si è ispirata sempre al principio di solidarietà promuovendo acquisti unitariamente. Personalmente non credo che la guerra Paese contro altro Paese per gli acquisti avrebbe prodotto risultati migliori. In queste ore siamo i primi a chiedere alla Commissione Ue di essere rigorosa nel far osservare alle aziende i contratti. Con chi non rispetta i termini di consegna dobbiamo adottare una linea dura perché ogni vaccino somministrato prima può salvare una vita. Abbiamo già bloccato l’export di chi non rispetta i patti e siamo pronti a farlo ancora».

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