Archive for Marzo, 2021

Cartelle esattoriali, sanatoria anti-crisi. Nel decreto Sostegno anche indennizzi per 11 miliardi

sabato, Marzo 6th, 2021

di Andrea Bassi

Per gli indennizzi, o sostegni come li ha ribattezzati il governo, sono in arrivo quasi 11 miliardi di euro. Ma soprattutto arriva la cancellazione delle cartelle esattoriali maturate tra il 2000 e il 2015. Ieri il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha incontrato i vice ministri e i sottosegretari, per fare il punto sul decreto da 32 miliardi complessivi che sarà approvato la prossima settimana. Ad essere “aiutate” saranno tutte le imprese e tutte le partite Iva (compresi i professionisti iscritti agli ordini professionali come commercialisti, avvocati e architetti) che hanno subito una perdita di fatturato di almeno il 33% nel 2020 rispetto al 2019.

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Quattro fasce per gli indennizzi

Ieri è circolata una bozza del decreto che indicava tre soglie per ottenere gli indennizzi: una del 20% della perdita di fatturato per le imprese e i professionisti con ricavi fino a 400 mila euro; una del 15% se i ricavi arrivano fino a 1 milione; e una del 10% per imprese e partite Iva con ricavi fino a 5 milioni. Ma lo schema, lasciato in eredità dal precedente governo, sarebbe stato già modificato da Franco. Le fasce saranno quattro: si partirà da un indennizzo del 30% per imprese e professionisti con ricavi fino a 100 mila euro; del 25% per quelle con ricavi fino a 400 mila euro; del 20% per i professionisti e le imprese che fatturano fino a 1 milione e del 15% per quelle che arrivano a 5 milioni.

Ad ottenere gli indennizzi sarebbero 2,7 milioni di partite Iva e aziende. Che potranno scegliere se ricevere l’aiuto direttamente o in forma di un credito di imposta. Gli indennizzi avranno un tetto minimo di mille euro e massimo di 150 mila. Come annunciato dal governo ci saranno degli interventi specifici (con un finanziamento di 600 milioni) per lo sci e la montagna. Mentre salta l’aiuto specifico ai soggetti che operano nei centri storici e nei dintorni dei santuari.

Cartelle e accertamenti fiscali

Novità importanti sono in arrivo anche sul fronte delle cartelle. Quelle fino a 5.000 euro e risalenti agli anni che vanno dal 2000 al 2015, saranno cancellate. Si tratta di 65 milioni di atti sui 137 milioni totali stipati nel “magazzino” dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione. Lo Stato cancellerebbe debiti dei contribuenti per una settantina di miliardi e il costo per il Tesoro sarebbe di 930 milioni. Non è l’unica misura. Viene confermato il congelamento per altri 2 mesi, fino al 30 aprile della notifica e del pagamento dei 56 milioni di atti congelati per la pandemia. 

La bozza del provvedimento circolata ieri prevedeva, in realtà, che ad essere congelati fossero solo i pagamenti, mentre la notifica delle cartelle sarebbe ripresa normalmente. Una impostazione che, però, durante il vertice di ieri sarebbe stato deciso di non seguire, confermando il congelamento anche delle notifiche. L’Agenzia delle Entrate -Riscossione, da quando sarà possibile riprendere la consegna degli atti, avrà 21 mesi di tempo per notificarli. Un modo per alleggerire l’impatto. E ci sarà anche una sorta di “rottamazione” delle cartelle ricevute dalle imprese e dalle partite Iva che hanno subito perdite di fatturato superiori al 33%. 

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Sanremo 2021, il meglio e il peggio della quarta serata

sabato, Marzo 6th, 2021

alice castagneri

SANREMO. Va tutto meglio. Sembrano tutti più bravi. Non solo gli artisti. Sarà che ormai il Sanremone è in discesa, che la finale è vicina, che lo show scorre incredibilmente più rapido. Pure Fiore ci scherza sull’inaspettato «anticipo» (rispetto alla scaletta recuperati 45 minuti).  Il livello delle esecuzioni delle canzoni si alza, i cantanti sono visibilmente più rilassati e le performance acquisiscono forza. Difficile trovare qualcuno impreparato, in pagella quindi le insufficienze sono poche. Però ci sono. Renga è da 5, ma per un problema tecnico lo sentiamo cantare due volte. Una bastava e avanzava.  Pagelle Live quarta serata Sanremo 2021: Aiello urla meno e Max Gazzè fa concorrenza ad Achille Lauro

Ancora così così le gag di Fiorello, orfane del pubblico. Non proprio riuscita quella sul sesso degli animali. Anche il duetto con Ama sulle note di Siamo donne di Sabrina Salerno e Jo Squillo non convince del tutto, nonostante parrucche e ballettino. «Sabrina e Jo avete fatto la storia», dice Fiore. «E noi l’abbiamo rovinata», risponde Ama. Ecco, forse, in questo caso, un pochino sì.  Voto basso anche per Barbara Palombelli, che fa un monologo lento e con un appello alle donne infarcito da troppi «io». La giornalista racconta la sua storia di ragazza ribelle, che amava i Beatles e i Rolling Stones, ma guardava Sanremo con il padre che la sognava simile a Gigliola Cinquetti. Passa da Tenco («qui giocando con una pistola ha trovato la morte, chiesi a Gino Paoli cosa accadde e mi disse: “Non avevamo le droghe, ci dovevamo caricare di emozioni, camminavamo la notte sui cornicioni”») alla Segre. Invita le giovani a ribellarsi: «Tanto ci umilieranno, ci metteranno le mani addosso, non saremo mai perfette, non andremo mai bene come non va bene Liliana Segre, senatrice a vita che a 90 anni non può vaccinarsi senza scatenare odi micidiali». Bocciatura piena dai social: «Aridatece Zlatan». Abiti Sanremo 2021, le pagelle di Michela Tamburrino: “Orietta Berti fa tanto pizzeria Anni 80, sobria la Palombelli, il vestito di Madame è terribile ma lei può tutto, la Michielin è un confetto indigesto”

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Pd, ripartire dagli ideali

sabato, Marzo 6th, 2021

GIANNI RIOTTA

Il gesto repentino con cui il presidente del Consiglio Mario Draghi ha rescisso gli ordini di esportazione per i lotti di vaccino anti Covid, allineando la presidente dell’Ue Ursula von der Leyen e il presidente francese Macron, si sovrappone alle dimissioni, altrettanto inaspettate, del segretario del Pd Nicola Zingaretti. Ma, mentre il motu proprio del premier elimina i pregiudizi sul suo conto, uomo dell’Europa, delle lobby, del mercato, con una decisione che marchia la differenza tra Stato sovrano e bla bla sovranisti, rafforzando il governo, il passo di Zingaretti butta il suo partito in un amarissimo stallo. Un segretario che lascia dettando a Facebook “Mi vergogno che nel Pd…si parli solo di poltrone…quando in Italia sta esplodendo… Covid” sembra dar ragione agli insulti peggiori contro il partito che fu dei Prodi, Veltroni, D’Alema. E ora, povero Pd, vien da chiedersi a chi ancora, malgrado tutto, tiene a cuore le sorti dell’antica sinistra italiana?

I bene informati di Roma vi spiegano che è astuzia tattica, per stanare i cacicchi delle correnti ed esser riconfermato dall’assemblea che governa ora, con la presidente Valentina Cuppi, il Pd. Chi è vicino al segretario smentisce, parla di scatto da cui non recederà e di cui non avrebbe informato neppure Draghi, solo Giuseppe Conte. Altri sussurrano di ennesima “reggenza”, come fossimo in una saga medievale e non in una crisi mortale: oltre a sei segretari, il Pd ha già consumato infatti anche due “reggenti”. Qualcuno scommette sull’esperta ex ministro della Difesa Pinotti, si invoca il presidente emiliano Bonaccini per rinnovare finalmente il partito, i più sconsolati scuotono le spalle: “Tanto che cambia?”.

Da tempo, al Partito democratico, che pure, salvo l’effimero Conte I, è al governo dalla staffetta remota Berlusconi-Monti, dieci anni or sono, mancano visione, strategia, ideali. La cultura di Letta, l’energia di Renzi, la saggezza di Gentiloni non hanno pacificato le eterne risse, che ora sacrificano anche il cauto Zingaretti, reduce da due scommesse non vinte, “Elezioni subito!” prima del Conte II, e “Conte III o elezioni!” prima di Draghi. È probabile che, anche stavolta, i capi corrente raschino un qualche accordo per prolungare l’agonia fino al congresso, le elezioni, il Quirinale, boccheggiando tra Draghi e Beppe Grillo. Ma il sogno del Pd, la fusione delle migliori tradizioni progressiste del Paese, da Moro alla sinistra democratica, muore.

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Il virus accelera, oltre tre milioni di contagi. Nuove regole: mezza Italia verso il lockdown

sabato, Marzo 6th, 2021

paolo russo

ROMA. La prossima settimana mezza Italia si tingerà di rosso, con la nuova regola, decisa ieri, che impone il lockdown quando si supera la soglia d’allarme di 250 casi settimanali ogni 100mila abitanti. Ma per ora la grande spennellata di rosso e arancione non c’è stata. Anche se da lunedì Veneto e Friuli Venezia Giulia passeranno dal giallo all’arancione dove bar e ristoranti restano chiusi tutto il giorno, andando così a far compagnia a Piemonte, Lombardia, Trentino, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche e Abruzzo che lo erano già. Si salvano invece per un pelo Lazio, Puglia e Calabria che per altri sette giorni restano dunque in giallo, così come stazionano in fascia arancione la Lombardia, che è però in arancio scuro e l’Emilia Romagna, che pure il governatore Bonaccini aveva annunciato voler portare in rosso lockdown, dove però ha già messo Bologna e Modena. Dall’arancio alla fascia rossa passa invece la Campania, che i numeri per restare dov’era in realtà li ha. Ma il suo presidente De Luca questa volta ha anticipato le decisioni del governo chiedendola lui la serrata. Le due regole tassative del virologo Di Perri per fermare la pandemia da seguire ossessivamente

«I contagi aumentano in modo esponenziale, il numero di letti occupati da malati Covid negli ospedali anche, è inutile perdere altro tempo aspettando i dati del monitoraggio vecchi di una settimana e più», è il ragionamento che ha fatto a Speranza e ai suoi esperti. Ma la preoccupazione dello “sceriffo” campano è la stessa che ha attanagliato i tecnici della cabina di regia che ieri hanno impiegato una mattinata intera per licenziare il report relativo alla settimana dal 22 al 28 febbraio. Pochi giorni fa ma un secolo, visto come galoppa l’epidemia. Basti pensare che l’ultimo giorno del mese scorso, quando il report ha scattato l’ultima fotografia, i contagi erano 17mila, ieri 24mila. E ottomila casi in più in soli cinque giorni dicono che la terza ondata è già tra noi e non c’è bisogno di gettare lo sguardo sull’indice di contagiosità, il famoso Rt, salito dallo 0,99 sopra la soglia di sicurezza all’1,06, per predire che la situazione sta andando fuori controllo. E infatti la cabina di regia dopo aver constatato che in una settimana l’incidenza dei contagi è salita da 145 a 195 contagi settimana ogni 100mila abitanti ha previsto che in una manciata di giorni il contatore sarà salito già a 250, limite oltre il quale secondo il primo Dpcm Draghi le scuole di ogni ordine grado vanno chiuse. Covid, Brusaferro: “Adesso il contagio avviene soprattutto a livello familiare”

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Segretario Pd, manovre per una successione lampo. I nomi di Pinotti, Finocchiaro e Orlando

sabato, Marzo 6th, 2021

di Maria Teresa Meli

Segretario Pd, manovre per una successione lampo. I nomi di Pinotti, Finocchiaro e Orlando

Fino all’ultimo hanno sperato che Nicola Zingaretti non formalizzasse le dimissioni. E ora i maggiorenti del Partito democratico sono costretti a prendere atto della realtà. Ben sapendo che questo non è il tempo per un congresso. Infatti nelle frenetiche consultazioni di ieri per evitare un tracollo del Pd, i leader della minoranza di Base riformista e quelli della maggioranza interna hanno deciso di eleggere il successore di Nicola Zingaretti nella prossima Assemblea nazionale. «Non c’è tempo da perdere», dice Dario Franceschini ai suoi, preoccupatissimo di mettere il partito al riparo dalla bufera che si è scatenata dopo le dimissioni improvvise di Zingaretti. «Dobbiamo salvare il Pd ed evitare i contraccolpi che queste dimissioni potrebbero provocare», ripete Lorenzo Guerini ai fedelissimi.

«Difficile un rinvio dell’assemblea»

E Andrea Orlando è d’accordo. Il ministro del Lavoro — che, in quanto vice di Zingaretti, si era proposto come referente di Draghi nei dem — al pari degli altri suoi compagni di partito è ora in difficoltà. La preoccupazione è forte: le elezioni amministrative sono state rinviate a ottobre, ma comunque, dopo l’addio traumatico di Zingaretti, i dem rischiano: quello che il segretario dimissionario ha definito come un «atto d’amore nei confronti del Pd» potrebbe diventare nelle urne la condanna a morte del Partito democratico. L’Assemblea nazionale è prevista per il 13 e 14 marzo e non si sa se si riuscirà a farla slittare. «Difficile», dicono al Nazareno. Ma comunque i big del partito ci provano. Non ci sarà però nessuna resa dei conti in quella sede e non si fronteggeranno due candidati alternativi. La corsa per la leadership del partito sarà rinviata a un congresso da tenersi nei primi mesi del prossimo anno. E sarà quindi in quei primi mesi del 2022 che scenderanno in campo i veri candidati alla segreteria del Partito democratico.

Dem in affanno nei sondaggi

Alle assise lo scenario più probabile, al momento, vede da una parte Andrea Orlando e dall’altra Stefano Bonaccini. O Dario Nardella. Ma all’Assemblea gli eserciti degli opposti schieramenti non si fronteggeranno. La clamorosa uscita di scena di Zingaretti, infatti, rischia di mettere in difficoltà un Pd che già negli ultimi sondaggi sembrava in affanno. Fermo al 18,5 per cento dei consensi, nel migliore dei casi. Ossia inchiodato alla stessa percentuale del Partito democratico di Matteo Renzi.

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Sanremo 2021, Fiorello: «I primi due minuti sul palco con le sedie vuote sono stati terrorizzanti»

sabato, Marzo 6th, 2021

Renato Franco, inviato a Sanremo

Sanremo 2021, Fiorello: «I primi due minuti sul palco con le sedie vuote sono stati terrorizzanti»

«Dopo un Sanremo in queste condizioni penso di poter fare qualunque cosa. Questo Festival è come nuotare nell’acqua dolce con due pesi alle caviglie, mentre normalmente qualunque spettacolo è come nuotare nel mare, con l’acqua salata che ti sostiene e con le pinne che fanno andare veloce». Fiorello si è comunque mosso tra le onde del Festival con la solita leggerezza, l’ironia del battutista, l’eleganza della voce, nonostante il contesto complicatissimo a partire dalla platea vuota, un controsenso per chi fa spettacolo.

È stata la sfida più difficile della sua vita?
«Sì, la più difficile, come lo è per tutti quelli che lavorano perché da un anno a questa parte il Paese è in difficoltà. È una situazione generale, che tocca anche a noi che facciamo questo mestiere. Uno cerca di andare sul palco per sorridere e far sorridere, ma anche io ho le mie angosce quotidiane. Penso a mia figlia, a tutti gli adolescenti, e soffro per loro che nell’età più bella si vedono negate tante cose».

Riesce a essere felice sul palco, anche in una situazione così?
«Vale per me ma vale per chi fa questo mestiere: non appena metti il piede sul palcoscenico subentra la magia per cui in quel momento sei lì per fare quella determinata cosa. In quegli istanti io sono felice, allegro. Poi esco e vado in camerino, prendo il cellulare, chiamo casa, un saluto alla mamma, chiedo se è andata bene, ho le mie insicurezze…».

Se sul palco oltre ad Amadeus ci fosse stata un’altra spalla forse sarebbe stato più leggero il peso da reggere?
«Ho tanti difetti e pochi pregi. Uno dei miei difetti è che sono egocentrico, mi piace stare da solo. La mia spalla può essere solo il mio amico Amadeus, non potrei avere di fianco un altro comico, se no diventa una gara. Sono fatto così, lavoro sempre da solo. Questo Festival si poteva fare unicamente in questo modo, con due amici in conduzione. Anche il comico più bravo del mondo in questa situazione sarebbe stato in grande difficoltà: non hai reazioni, non sai se funziona, quando fai la battuta senti il vuoto. Quindi ho optato per una comicità di cazzeggio, io entro in scena apposta anche quando non sono previsto, cambio in corsa a puntata iniziata, decido lì per lì, improvviso al volo. A casa la gente in questo momento ha bisogno di buonumore, non di comicità sfrenata».

Come sono stati i primi minuti sul palco, quelli dell’esordio nella serata di martedì?
«Per uno che fa spettacolo come me i primi due minuti sono stati terrorizzanti. Ho scelto di uscire cantando proprio per evitare di affrontare subito la platea vuota, ma il finale me lo ricorderò per sempre: il silenzio, solo quell’applausetto registrato, pure basso e poco intenso. E ora qui come si fa? mi sono detto. Ma poi andando avanti nella serata mi sono abituato e non ci ho fatto più caso. Adesso nel mio bagaglio di esperienza c’è anche questa strana cosa qua, solo io e Amadeus potremo dire di averla fatta. Infatti mi hanno già chiesto di fare una convention nel deserto del Sahara: non c’è nessuno, ma sono tranquillo. So come si fa».

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Milioni di vecchi e nuovi poveri: non possiamo abbandonarli

sabato, Marzo 6th, 2021

di Carlo Verdelli

I numeri sono importanti, come e più delle parole. Ma scappano via. Capita di leggerli e poi dimenticarli, scaricando la mente, e qualche volta la coscienza, da quello che provano a dirci. Per esempio, un numero come questo: 5 milioni 600 mila. È la stima dell’Istat sui poveri assoluti in Italia, un milione in più di quanti fossero nel marzo scorso, quando il Covid era ancora una minaccia. Vuole dire che oggi quasi un italiano su dieci (il 9,4 % della popolazione) fatica moltissimo a fare fronte ai bisogni essenziali: mangiare, curarsi, coprirsi se è freddo.

Li vedi, gli ultimi arrivati nel girone dei retrocessi, cominciare a mettersi in fila nei posti dove ti danno un sacchetto di cibo gratis, tipo i centri organizzati dalla Caritas, o dei vestiti, delle medicine che ormai sono fuori dalla loro portata economica. Forse, o anzi certamente, provano anche vergogna a ritrovarsi lì, con la mano tesa, obbligati a chiedere, incapaci di procurarsi il minimo, scivolati quasi senza accorgersene sotto la soglia che li divide da quelli che arrancano ma ancora resistono: gli italiani del gradino appena sopra, classificati nella categoria della «povertà relativa». Una fascia in allargamento, tra i 7 e i 9 milioni di persone, dove la battaglia per una vita dignitosa è quotidiana e non sempre la si vince.

In trincea con loro, sia con i poveri «assoluti» sia con i «relativi», convivono anche 1 milione 346 mila tra bambini e ragazzi (209 mila in più dell’anno scorso), un altro numero che se lo vedi scritto magari non impressiona ma che trasformato in un’immagine corrisponde a 17 grandi stadi di calcio completamente esauriti, pieni fino all’orlo di minori che, tra l’altro, rischiano di non finire le scuole, nemmeno quelle dell’obbligo, candidati a un futuro senza futuro.

La pandemia ha accelerato brutalmente il processo di sganciamento dei vagoni di coda del treno Italia. Redditi decurtati, o già scomparsi, o in via di estinzione (quando a luglio terminerà il blocco dei licenziamenti). Salto in basso dal precariato alla disoccupazione. Gente che non riesce nemmeno a pagare le spese per seppellire i propri morti. Sempre più indigenti che si presentano ai servizi sociali per chiedere un aiuto: lavoratori irregolari, lavoratori in nero che non hanno percepito cassa integrazione né ristori, rider in fila per ritirare la busta con i viveri per sé, indossando lo zaino che da lì a poche ore conterrà il buon cibo da consegnare a chi può ordinarlo.

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Divieti e vaccini, il sondaggio: il 44% degli italiani chiede un nuovo lockdown. In due settimane +10% di favorevoli

sabato, Marzo 6th, 2021

di Nando Pagnoncelli

Divieti e vaccini, il sondaggio: il 44% degli italiani chiede un nuovo lockdown. In due settimane +10% di favorevoli

I l 9 marzo dello scorso anno il presidente del Consiglio Giuseppe Conte presentava il decreto «Io resto a casa» che prevedeva l’estensione a tutto il territorio nazionale delle misure per contenimento del contagio inizialmente limitate alle province più colpite da quello che all’epoca veniva chiamato coronavirus. In questi dodici mesi abbiamo registrato una costante oscillazione del livello di preoccupazione da parte dei cittadini in relazione all’andamento quotidiano dei contagi e dei decessi. Oggi il 45% degli italiani considera il Covid una minaccia elevata a livello personale: è una percentuale che ci riporta all’autunno scorso, quando prese avvio la seconda ondata dei contagi. La preoccupazione aumenta al crescere dell’età, tra le persone meno istruite, tra le casalinghe, i pensionati e i ceti operai. Al contrario si mostra nel complesso omogenea tra i diversi elettorati, a conferma del fatto che si tratta di un sentimento più influenzato dalla condizione demografica che dall’orientamento politico. La minaccia percepita risulta ancora più acuta quando si fa riferimento alla propria zona di residenza (57%) o all’intero Paese (75%).

Troppe violazioni delle regole

Due italiani su tre (65%) pensano che ci siano troppe violazioni delle regole e la maggioranza dei cittadini non abbia capito l’importanza di continuare a rispettare le direttive delle autorità. È una convinzione in forte aumento rispetto agli scorsi mesi. Al contrario, uno su quattro (24%) è del parere che la gran parte continui a dar prova di senso civico e di rispetto delle regole. Lo sguardo severo rivolto ai connazionali in parte è da ricondurre alla consueta attitudine di attribuire agli altri i comportamenti negativi e a sé stessi quelli virtuosi, e in parte all’enfasi che i mezzi di informazione danno alle situazioni di affollamento soprattutto nelle città, per richiamare l’attenzione sui rischi che si corrono. Ne consegue che si dilata la percezione di un fenomeno indubbiamente disdicevole ma fortunatamente circoscritto ad una minoranza di cittadini.

Più tempo passa, più giudizi negativi

La campagna vaccinale, per come si è sviluppata finora, viene bocciata dal 46% degli italiani, mentre il 29% ne dà un giudizio positivo. Più passa il tempo e più aumentano i giudizi negativi. Il dato non sorprende tenuto conto che, a fronte di una crescita costante di persone che manifestano l’intenzione di farsi vaccinare non appena possibile (passate dal 37% di metà novembre al 53% di fine febbraio), i cittadini lamentano la penuria dei vaccini e la lentezza della campagna ma criticano anche i criteri di definizione delle priorità di vaccinazione (soprattutto rispetto ad alcune categorie professionali), le complicazioni burocratiche e gli aspetti logistici. A ciò si aggiungono le preferenze politiche, dato che i giudizi positivi prevalgono solo tra gli elettori della ex maggioranza di governo, mentre tra quelli di centrodestra e gli astensionisti sono nettamente prevalenti le valutazioni negative. Insomma, non è tutto rose e fiori, e il riferimento alle «primule» progettate da Stefano Boeri non è casuale.

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Covid, sul dark web vaccini in vendita a 1.200 dollari

sabato, Marzo 6th, 2021

Sul dark web si vendono anche i vaccini anti-Covid e a caro prezzo. Infatti una dose può anche arrivare a costare 1.200 dollari. A scoprirlo i ricercatori di Kaspersky, società che si occupa di sicurezza informatica. Gli analisti hanno esaminato 15 diversi marketplace su Darknet, il mercato nero del web, riuscendo a intercettare dosi di Pfizer-BioNTech, AstraZeneca e Moderna oltre ad altri vaccini anti-Covid non certificati. La maggior parte dei venditori è in Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti. 

I prezzi per ogni dose, si legge in una nota, variano da 200 a 1.200 dollari, con un costo medio di circa 500 dollari a dose. Gli accordi per l’acquisto avvengono tramite app di messaggistica criptate come Wickr e Telegram, mentre i pagamenti vengono richiesti sotto forma di criptovaluta e principalmente bitcoin che per loro natura sono molto più difficili da tracciare.

“Nel dark web – ha sottolineato Dmitry Galov, security expert di Kaspersky – è possibile trovare qualsiasi cosa, dunque il fatto che alcuni rivenditori tentino di lucrare sulla campagna di vaccinazione non dovrebbe sorprenderci. Secondo le nostre ultime analisi, non vengono vendute solo le dosi del vaccino, ma anche registri di vaccinazione, ovvero documenti che consentono di spostarsi da un luogo all’altro liberamente”. 

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“Ci ha fregati, ora si farà acclamare”, Renziani sospettosi e Bonaccini tace

venerdì, Marzo 5th, 2021

Carlo Bertini

ROMA. Un solo grande silenzio, in mezzo ad una pletora di appelli, riconoscimenti, struggenti mozioni d’affetto: quello di Stefano Bonaccini, governatore emiliano e candidato più forte nella sfida alla leadership del segretario uscente. Il solo a non chiedere a Zingaretti di restare al suo posto, l’unico a distinguersi dai vari Franceschini, Boccia, Delrio, Orlando, Zanda e Ricci a nome dei sindaci. Secondo flash di giornata: Roberto Gualtieri fa sapere ai dem romani, che vanno a pregarlo di candidarsi sindaco, che ci sta pensando e tra qualche giorno scioglierà la riserva. Che cosa c’entra tutto ciò con le dimissioni di Zingaretti? Molto, tutto si tiene.

L’accusa: vuole fare il sindaco

Ma prima bisogna passare in rassegna i veleni che scorrono copiosi tra i dem un minuto dopo l’annuncio: «Lo ha fatto per candidarsi lui sindaco di Roma, e ciò darebbe un senso all’assurdo ingresso dei grillini nel Lazio», sospetta Matteo Orfini, il solo a fare opposizione nel Pd. Non si candida a niente, resta governatore, reagisce lo staff. E ancora: ora Andrea Orlando si farà eleggere reggente del partito e poi si candiderà lui, prevede un ex renziano. Non può, fa già il ministro, gli ribattono altri, preannunciando una possibile polemica. E ancora: Zingaretti ha avuto un crollo di nervi, nessuno sapeva di questa mossa, dicono alcuni. Sbagliato, i più vicini lo sapevano dall’altro ieri. Ed ecco che questo fatto si collega ai sospetti dei renziani di una mossa studiata: l’appello a ripensarci di tutti i big, da Franceschini a Orlando, a Bettini, la notizia di una chiamata alle armi dei militanti a favore del segretario (e infatti parte una petizione del pd Lazio con 500 firme raccolte in un’ora); il fatto che in Assemblea nazionale Zingaretti abbia una maggioranza schiacciante. Tutto fa pensare al peggio.

“Così ci tappa la bocca”

Infatti, il quadro che fanno i «nemici» del segretario è secco. «Mi pare una mossa per eludere una discussione sul fallimento della sua linea politica», sentenzia Orfini. Il mood di quelli che invece vorrebbero sul trono Stefano Bonaccini, è quello di chi sa che non otterrà neanche la vicesegreteria del partito. «Con una mossa alla Renzi, ci tappa la bocca», si sfogano gli ex renziani. Quelli che rientrano a vario titolo nella corrente di Lorenzo Guerini sono furiosi, perché sono sicuri che Zingaretti punti a farsi rieleggere a furor di popolo dall’assemblea nazionale (qualcuno dice addirittura per acclamazione e senza un voto), per poi strozzare il dissenso fino alle elezioni di Roma.

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