Le fiale del vaccino Pfizer in
Italia usciranno dallo stabilimento Thermo Fisher di Monza. L’accordo
per la produzione in città della preparazione del prodotto finito in
ambienti sterili è stata confermata dall’azienda con un breve
comunicato: «Thermo Fisher — si legge nella nota aziendale — fornirà servizi di riempimento sterile e preparazione del prodotto finito nel proprio stabilimento di Monza nel corso del 2021».
Il colosso americano ha siti produttivi a Monza, Ferentino (Fr), Rodano e Parma, con 2.300 dipendenti. L’impianto più grande è quello di Monza che conta mille dipendenti di cui il 50% donne. «Thermo Fisher Scientific — prosegue la nota aziendale — è orgogliosa di lavorare con i propri clienti a livello globale nella lotta contro il Covid-19, supportandoli nello sviluppo e nella produzione di vaccini e terapie, compreso il vaccino Pfizer-BioNTech che sarà distribuito in diversi mercati».
Il vaccino Pfizer in Italia sarà dunque
preparato qui, nella sede più grande del gruppo, già specializzata, con i
suoi ambienti sterili, nella preparazione di farmaci iniettabili
sterili per conto terzi. La notizia dell’accordo circolava da alcune
settimane, ma dagli uffici di viale Stucchi, il rettilineo della
farmaceutica in città, le bocche restano cucite: «Non possiamo
aggiungere nulla di più». L’accordo tra Thermo Fisher e Pfizer pare
essere in corso già dalla fine dello scorso anno e potrebbe portare,
secondo indiscrezioni, alla produzione
di circa 30 milioni di dosi entro la fine del 2021 proprio all’interno
degli stabilimenti monzesi dell’azienda con una capacità produttiva
stimata nell’ordine delle 120 mila dosi al giorno.
Il Lazio riapre le scuole. Lo ha annunciato su Facebook il presidente della Regione Nicola Zingaretti: «In riunione con l’Unità Covid Regione Lazio. Da martedì nel Lazio, se #zonaarancione, ripartono le scuole in presenza: asili, elementari e medie». Dai tre ai quattordici anni gli studenti tornano in classe, dopo due settimane di Dad. Dovranno invece aspettare i ragazzi e le ragazze delle scuole superiori, visto che da giovedì prossimo cominciano le vacanze di Pasqua: per loro ci saranno altri tre giorni di Dad. «Dopo Pasqua potranno riaprire le superiori, garantendo agli studenti di fare il tampone rapido gratuito e senza certificato medico in tutti i drive in della regione #scuolasicura».
Tamponi per gli studenti
Il Lazio si porta avanti anche sulla questione dei tamponi e offre di nuovo agli studenti – lo aveva fatto per le scuole superiori anche a gennaio – la possibilità di fare il tampone rapido presso gli hub della Regione senza ricetta e gratuitamente: si tratta di una forma di screening volontario che l’assessore alla scuola Di Berardino ha annunciato dopo una riunione con i presidi e le associazioni sindacali.
L’ipotesi per le regioni dove la curva epidemiologica mostrerà una discesa dopo Pasqua è di concedere fiato a quelle categorie più penalizzate dall’inizio della pandemia come i gestori di bar e ristoranti. Una sorta di fascia gialla «rafforzata» che preveda l’apertura dei locali a pranzo, sia pur con un orario ridotto. Mantenendo però i divieti della fascia arancione nel fine settimana e il lockdown per quello del primo maggio.
Lombardia e Piemonte
Il monitoraggio di oggi disegnerà un’Italia ancora molto rossa con la Lombardia che rimane nella fascia di massimo rischio e
il Piemonte che pur avendo un Rt a 1.17 non può scendere di livello
perché supera la soglia dei 250 contagi settimanali su 100mila abitanti.
In Valle d’Aosta «la presenza di
nuove varianti anche sul nostro territorio e l’innalzamento dell’indice
Rt» convincono il presidente della Regione Erik Lavevaz «ad adottare
misure più restrittive già dal prossimo fine settimana, quando saranno
limitati gli spostamenti fra Comuni», mentre da lunedì ci sarà il
passaggio ufficiale in zona rossa. Rischia la Calabria, mentre in Campania si potrebbe prorogare la chiusura totale fino al 12 aprile. Sono già al massimo delle restrizioni il Friuli-Venezia Giulia, l’Emilia-Romagna, la Provincia di Trento, le Marche, la Puglia.
Lazio e Veneto
Il Lazio sarà arancione, il Veneto ci spera ma il governatore Luca Zaia chiarisce: «Non è impossibile, ma dobbiamo vedere qual è il conto che faranno della settimana trascorsa. Noi lo abbiamo fatto, ma a volte le calcolatrici non danno lo stesso risultato».
Venerdì difficile nelle città italiane per lo sciopero nazionale di 24 ore del trasporto locale indetto dai sindacati Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uil trasporti, Faisa-Cisal e Ugl-Fna, con orari e modalità diversi da città a città. Un secondo sciopero, questa volta per protestare contro la didattica a distanza, è stato proclamato dal comitato Priorità alla scola in concomitanza con lo sciopero della scuola indetto dai Cobas.
“II 26 marzo lanciamo uno sciopero della didattica a distanza:
‘usciamo dagli sche(r)mi’ perché ‘questa casa non è una scuola’. Non
collegatevi, non collegate, non fatevi collegare. È possibile uscire di
casa e andare nelle strade e nelle piazze in cui ci saranno le
manifestazioni, i presidi, i flashmob, le lezioni all’aperto”, è
l’appello lanciato da Priorità alla Scuola. “Il 26 marzo – spiegano gli
organizzatori – è il giorno dell’astensione dalla Dad e delle richieste:
perché la scuola riapra, perché la scuola torni a funzionare, perché
nemmeno noi rivogliamo la scuola del 2019, ma una molto migliore. Questo
è in gioco con le risorse del Recovery Fund: questo è il motivo per cui
vogliamo e dobbiamo vincere la battaglia per quelle risorse e il modo
in cui quelle risorse saranno usate”.
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Sono 23.696 i nuovi casi di coronavirus in Italia (ieri sono stati +21.267, qui il bollettino). Sale così ad almeno 3.464.543 il numero di persone che hanno contratto il virus Sars-CoV-2 (compresi guariti e morti) dall’inizio dell’epidemia. I decessi odierni sono 460 (ieri sono stati +460), per un totale di 106.799 vittime da febbraio 2020. Le persone guarite o dimesse sono complessivamente 2.794.888 e 21.673 quelle uscite oggi dall’incubo Covid (ieri +20.132). Gli attuali positivi — i soggetti che hanno il virus — risultano essere in tutto 562.856, pari a +1.548 rispetto a ieri (+654 il giorno prima).
I tamponi e lo scenario
I tamponi totali (molecolari e antigenici) sono stati 349.472, ovvero 14.295 in meno rispetto a ieri quando erano stati 363.767. Mentre il tasso di positività è 6,8% (l’approssimazione di 6,78%): vuol dire che su 100 tamponi eseguiti più di 6 sono risultati positivi; ieri era 5,8%. Qui la mappa del contagio in Italia.
Più contagi in 24 ore rispetto a ieri.,
a fronte di meno tamponi. E il rapporto di casi su test sale di un
punto al 6,8% dal 5,8% di mercoledì. Ogni settimana la curva tocca il
punto massimo tra giovedì e venerdì per poi flettere nella sua altalena.
Dal confronto con lo scorso giovedì (18 marzo),
quando sono stati registrati +24.935 casi con un tasso di positività
del 7%, sembra di vedere un piccolo buon segnale, se si paragonano le
percentuali 6,8% di oggi e 7% del 18 marzo. Un miglioramento dello scenario si osserva sui dati settimanali (17-23 marzo), come evidenzia il monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe:
-4,8% i casi in sette giorni rispetto alla settimana prima e -7,7% i
decessi. Diversa è la situazione settimanale negli ospedali: +8,9% i
ricoveri ordinari e +8,9% le degenze in terapia intensiva. «Nel pieno
della terza ondata — afferma Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe —
si intravedono i primi segnali di miglioramento: dopo quattro settimane
consecutive si inverte il trend dei nuovi casi settimanali». La
riduzione dei nuovi positivi su base settimanale coinvolge soprattutto
le regioni che hanno attuato restrizioni maggiori tre settimane fa (come mostra la tabella di Gimbe in basso).
La curva dei nuovi positivi sul sito della Protezione civile
La Lombardia è la regione più colpita per numero di nuove infezioni: torna sopra quota 5 mila casi (per la precisione +5.046 positivi) come il 18 e il 19 marzo, grazie a oltre 59 mila tamponi, ossia il numero di test regionali più alto della giornata (qui il bollettino della Lombardia). Con oltre 2 mila nuovi contagi ci sono cinque regioni: Piemonte (+2.582, qui il bollettino), Emilia-Romagna (+2.070), Campania (+2.068), Lazio (+2.055) e Puglia (+2.033). Seguono con un aumento a quattro cifre: Veneto (+1.861) e Toscana (+1.518). Tutte le altre regioni hanno un incremento a due o tre cifre.
Non chiedete a Guido Bertolaso se a
fine marzo partirà davvero la vaccinazione delle persone fragili in
Lombardia, altrimenti si innervosirà moltissimo. Dirà che criticare
Bertolaso è uno sport nazionale, citandosi in terza persona come un
tempo usava fare soltanto Muhammad Ali, e interromperà l’intervista
televisiva congedandosi dalla giornalista che ha osato fargli addirittura una domanda (nella fattispecie Tonia Cartolano di Sky)
con uno stizzito «Arrivederci e buon lavoro», che nella neolingua dei
potenti significa «Tu proprio non hai capito con chi stai parlando».
Il problema non è Bertolaso in sé, ma Bertolaso
fuori di sé, una condizione ormai comune alla maggioranza dei personaggi
pubblici. Abituatisi sui social a monologare con lo specchio, appena
una domanda proveniente dall’esterno sfonda la cappa protettiva del loro
ego reagiscono con stizza e quasi con stupore. Nella considerazione di
chi molto si considera, il contraddittorio è scaduto da nobile arte
filosofica a trappola meschina. Tutti si offendono per tutto e pensano
che offendersi sia il modo migliore per dimostrare di avere ragione. Non
si accettano domande che non siano innocui palleggi da fondo campo e
ogni tentativo di intensificare lo scambio viene vissuto come un
sabotaggio. Allora si preferisce buttare la racchetta e andare via, nel
paradiso degli autoapplausi dove ci si complimenta e ci si compatisce da
soli.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella davanti a un ritratto di Dante
Alberto Cavallari, chiosando una
famosa riflessione di Elias Canetti, sosteneva che «ci si rifugia nel
calendario per rivivere il presente attraverso i suoi anniversari e per
cercare una garanzia verso ciò che avverrà. Date e ricorrenze di
determinati giorni sono di capitale importanza nella paranoia generale e
servono anche ad assorbire la paura».
Chissà se coloro che oggi celebrano il settimo centenario della morte di Dante Alighieri(anniversario se non altro per questi motivi da onorare) sono pienamente consapevoli del valore che ancora riveste la sua opera. Tutti siamo debitori di quel che il suo genio ci ha trasmesso, e lo provano le iniziative in corso ovunque nel mondo. Noi italiani in particolare, dato che è stato l’artefice della nostra lingua e che ci ha trasmesso un’idea di Nazione, quando la nostra una Nazione ancora non era.
Tra chi Dante l’ha amato fin dai banchi del liceo, c’è Sergio Mattarella. Il quale, per formazione intellettuale, è un umanista. Si è accostato alla Divina Commedia già dall’adolescenza,
e non ha mai smesso di coltivarne la lettura. Fatale dunque proporgli
il tema di un’opera che, come fu detto del lavoro dello storico francese
Fernand Braudel, è «paragonabile al famoso buco magico di Borges…
Infatti, attraverso di esso vediamo il più piccolo granello di sabbia
insieme a tutti i deserti, il passato insieme all’avvenire, la primavera
insieme all’inverno».
Signor Presidente, un anno fa,
annunciando questo anniversario, lei disse che «figure come quella di
Dante vanno esaminate sotto la luce dell’universalità più che
dell’attualità». Ma anche oggi parrebbe inevitabile citare l’invettiva
che scaturisce dopo l’incontro con Sordello: «Ahi serva Italia, di
dolore ostello…». È l’apice delle descrizioni che il poeta fa di un
Paese scosso da lotte intestine e particolarismi, schiacciato da
intermittenti decadenze. Guardando al presente, alla nostra cronica
carenza di autostima e alla retorica del declino che ci ossessiona, poco
sembra cambiato rispetto al 1300. «Devo dirle che non mi ha
mai convinto il tentativo di attualizzare personaggi ed epoche storiche
diverse. Eviterei, quindi, analogie tra l’Italia di Dante, uomo del
Medioevo, e l’Italia di oggi. Ci separano settecento anni, un tempo
incommensurabile. Peraltro, alcune delle difficoltà e dei punti critici,
che lei individua nel nostro carattere di italiani, affondano le radici
in tempi a noi molto più vicini: in un’Unità nazionale che si è formata
in ritardo rispetto ad altri Stati europei e che ha proceduto —
inevitabilmente — per strappi e accelerazioni progressive e che ha visto
la coscienza popolare assimilare l’esperienza unitaria con più lentezza
e fatica rispetto al progetto che animava i protagonisti del movimento
unitario».
Dobbiamo insomma ricordare che, al di là
delle suggestioni e degli infiniti livelli di lettura, l’autore della
«Commedia» parla a ogni epoca e chiunque può trovare chiavi per
rispecchiarsi nel suo poema. «È così. Anche per questo motivo,
nel discorso dello scorso ottobre, ho parlato dell’universalità di
Dante. Cioè della sua capacità di trascendere il suo tempo e di fornire
indicazioni, messaggi e insegnamenti validi per sempre. Dante è stato
punto di riferimento e di ispirazione per generazioni di italiani a
prescindere dalle specifiche situazioni di secoli ed epoche differenti.
Pensiamo, per esempio, alla riscoperta da parte dei romantici, al vero e
proprio “culto” civile di cui fu oggetto durante Risorgimento o
all’esaltazione retorica che ne fece il fascismo. Proprio la sua fortuna
lungo l’arco del tempo dovrebbe indurci a riflettere di più sul lascito
— artistico, culturale, morale, quindi unificante — del sommo poeta».
Lombardia e Valle d’Aosta in rosso, Lazio e Toscana in arancione.
In attesa delle valutazioni della cabina di regia, le regioni
analizzano i dati Rt. E fanno previsioni sulla fascia di colore che
scatterà lunedì 29 marzo. È appena iniziato l’incontro tra i governatori
e la ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini per parlare
di vaccini ma anche delle prossime misure. «Siamo al lavoro perché
aprile sia il mese della rinascita, delle riaperture, del rilancio. Il
sostegno più efficace è il ritorno al lavoro: gli italiani hanno tenuto
duro un anno, si meritano il ritorno alla vita», dichiara il leader
della Lega Matteo Salvini.
Il caso del Veneto
«Le
proiezioni che abbiamo è di un Rt ai limiti della zona arancione e
abbiamo una incidenza ancora intorno ai 250 casi ogni 100mila abitanti.
Le legge prevede che questi parametri debbano rientrare sotto soglia per
cambiare zona, stiamo aspettando con ansia le attribuzione dei
parametri», spiega il presidente del Veneto Luca Zaia. «Direi
proprio di no: siamo a 248 nuovi casi su 100mila abitanti e abbiamo un
Rt di 1,09-1,10, quindi siamo in zona arancione», dichiara il
governatore della Toscana Eugenio Giani.
Le regioni in zona rossa
Il Campania, Friuli Venezia Giulia, l’Emilia-Romagna, il Piemonte, la Provincia di Trento, le Marche, la Lombardia e la Puglia sono già rosse. Come detto, le rosse Lazio e Veneto potrebbero cambiare colore.
L’ordinanza di Speranza e le regole in zona rossa
L’ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza sarà firmata domani, venerdì 26 marzo, ed entrerà in vigore lunedì. Dal 3 al 5 aprile tutta Italia tornerà in rosso per evitare gli spostamenti durante le festività pasquali. Nelle zone arancioni rimangono chiusi bar e ristoranti, aperti parrucchieri e centri estetici, i negozi. Si può circolare all’interno del Comune. Nelle zone rosse i negozi sono chiusi – tranne quelli inseriti nella lista dei codici Ateco che consentono l’ingresso al pubblico come servizi essenziali — chiusi bar e ristoranti, anche i parrucchieri e i centri estetici. Vietato uscire di casa se non per comprovate esigenze.
Il governo per
riaprire in sicurezza le aule dopo Pasqua pensa all’utilizzo dei
tamponi. Due team sanitari dlel’esercito inviati in Molise e Basilicata
La scuola al primo posto. Mario Draghi, nell’intervento di ieri nell’emiciclo parlamentare in vista del Consiglio europeo, era stato chiarissimo: la prima cosa da far ripartire sono le scuole. Dopo Pasqua. E aveva aggiunto «speriamo». Ora per mettere in moto le prime speranze, si comincia con la pianificazione. E così nel vertice di stamattina a palazzo Chigi oltre si sono gettate le prime basi. Ma come fare? Lo spiega il generale Francesco Figiluolo: «Monitorare l’andamento dei contagi nelle scuole con test periodici per i ragazzi e i docenti. A sottoporre la richiesta – che sarà valutata in maniera definitiva solo nei prossimi giorni – è stato il ministro per l’Istruzione Patrizio Bianchi». In buona sostanza, si inizierà a controllare con tamponi sia gli studenti che i loro professori, innalzando ancora di più le misure di controllo per rendere sicure le aule e salvaguardare la didattica. Intanto, anche sul fronte del sostegno alle Regioni il governo inizia a muoversi. Due team sanitari mobili dell’Esercito, infatti, sono pronti per partire in Molise e in Basilicata proprio «a sostegno della campagna vaccinale, in particolare delle persone di elevata fragilità ed over 80, così come indicato dalle raccomandazioni del ministero della Salute».
ROMA. «Io guadagno 1400 euro netti al mese. A questa cifra devo sottrarre mille euro per la colf», spiega alla Stampa.it un
arcivescovo diocesano al massimo dell’anzianità di servizio. Rispetto a
quelle dei presuli che governano le diocesi italiane, in Vaticano le
retribuzioni (pur tagliate ora da papa Francesco per la crisi Covid)
restano più generose. Come cittadini della Santa Sede non pagano le
tasse in Italia, abitano in appartamenti messi a loro disposizione in
Curia ma, come accade spesso, si trovano a dover ristrutturare a proprie
spese case di ampia metratura. E devono pagare lo stipendio alle
religiose che li assistono tra le mura domestiche.
Distinzione Occorre
fare una distinzione, infatti, sugli stipendi di un cardinale delle
diocesi italiane e un porporato della Curia, in quanto vi è una netta
distinzione tra Chiesa italiana (Cei) e Curia romana (Santa Sede), anche
amministrativamente parlando. Un vescovo italiano (cardinale o no)
rientra nel sostentamento del clero della Cei e il suo stipendio
può arrivare a un massimo di 1.700 euro lordi mensili, più o meno
1.300-1.400 netti. Il cosiddetto piatto cardinalizio dei porporati al
servizio della Santa prevede una somma attorno ai 5.000 euro netti (in
Vaticano non ci sono le tasse). Sono solo questi ultimi, insieme ai capi
dicastero non cardinali e ai segretari delle Congregazioni ( i
ministeri della Santa Sede), a essere interessati dalla misura papale.
Eccezioni
Il Pontefice ha disposto dal 1° aprile il taglio degli stipendi, ma procedendo «secondo criteri di proporzionalità e progressività con la finalità di salvaguardare gli attuali posti di lavoro».