Archive for Marzo, 2021

Coronavirus in Italia, il bollettino di oggi 29 marzo: 12.916 nuovi casi e 417 morti

lunedì, Marzo 29th, 2021

di Paola Caruso

Coronavirus in Italia, il bollettino di oggi 29 marzo: 12.916 nuovi casi e 417 morti

Sono 12.916 i nuovi casi di coronavirus in Italia (ieri sono stati +19.611, qui il bollettino). Sale così ad almeno 3.544.957 il numero di persone che hanno contratto il virus Sars-CoV-2 (compresi guariti e morti) dall’inizio dell’epidemia. I decessi odierni sono 417 (ieri sono stati +297), per un totale di 108.350 vittime da febbraio 2020. Le persone guarite o dimesse sono complessivamente 2.870.614 e 19.725 quelle uscite oggi dall’incubo Covid (ieri +17.950). Gli attuali positivi — i soggetti che hanno il virus — risultano essere in tutto 565.993, pari a -7.242 rispetto a ieri (+1.357 il giorno prima).

I tamponi e lo scenario

I tamponi totali (molecolari e antigenici) sono stati 156.692, ovvero 115.938 in meno rispetto a ieri quando erano stati 272.630. Mentre il tasso di positività è 8,2% (l’approssimazione di 8,242%): vuol dire che su 100 tamponi eseguiti più di 8 sono risultati positivi; ieri era 7,2%. Qui la mappa del contagio in Italia.

Meno contagi in 24 ore rispetto a ieri, a fronte di molti meno tamponi. E il rapporto di casi/test sale di un punto all’8,2% (succede sempre con meno tamponi), dal 7,2% di domenica. Oggi la curva tocca il punto minimo della sua altalena, come di consueto, a causa del più basso numero di analisi della settimana (sono quelle processate domenica). Per esempio, lo scorso lunedì (22 marzo) sono stati registrati +13.846 con un tasso di positività dell’8,2%. Lo scenario sembra stabile: la percentuale di positivi odierna è identica a quella di lunedì scorso.

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Vaccini Covid, «Johnson& Johnson arriverà in Italia il 16 aprile»

lunedì, Marzo 29th, 2021

di Carlotta De Leo

Vaccini Covid, «Johnson& Johnson arriverà in Italia il 16 aprile»

Il vaccino monodose Janssen (di Johnson & Johnson) arriverà in Italia dal 16 aprile. La notizia – che potrebbe rappresentare la tanto attesa svolta per l’accelerazione della campagna vaccinale- è stata annunciata dal presidente del Consiglio regionale della Liguria, Gianmarco Medusei, e confermata da fonti vicine al commissario per l’emergenza Covid Francesco Paolo Figliuolo.

L’arrivo in Italia

«Il Commissario Figliuolo mi ha confermato che i vaccini Johnson & Jonhson arriveranno in Italia dal 16 aprile» scrive Medusei su Facebook dopo l’inaugurazione dell’hub vaccinale alla Fiera del mare a Genova.«Ce lo auguriamo, oltre alla vaccinazione che è prevenzione, auspico anche una maggiore produzione di anticorpi monoclonali, che si stanno dimostrando particolarmente efficaci anche sulle varianti» aggiunge. Per Medusei, «inutile negare che ci siano ancora tante problematiche, ma bisogna accelerare per poter ripartire».

L’approvazione dell’Ema

Lo scorso 11 marzo, il vaccino Janssen (di Johnson & Johnson) è stato il primo vaccino monodose contro il Covid-19 a ricevere l’approvazione dell’Ema, il quarto dopo Pfizer- BioNTech, Moderna e AstraZeneca. L’efficacia del vaccino -ha sottolineato l’Ema – è stata dimostrata in uno studio clinico che ha coinvolto oltre 44mila persone dai 18 anni in sui negli Stati Uniti, in Sudafrica e nei Paesi dell’America Latina: ha avuto un’efficacia del 67% e si è dimostrato altamente protettivo (fino all’85%) contro la malattia grave. Potrà essere utilizzato a partire dai 18 anni di età. Secondo gli accordi – e al netto di ritardi che finora, purtroppo, non sono stati pochi – dovrebbero arrivare nell’Unione Europea 200 milioni di dosi entro la fine del 2021, a partire dal secondo trimestre con i primi 55 milioni di dosi. Ogni dose ha il costo di 15 euro.

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Londra registra zero morti per Covid per la prima volta in 6 mesi

lunedì, Marzo 29th, 2021

Londra registra zero morti per Covid-19 per la prima volta in sei mesi. Lo scrive la Bbc riportando i dati diffusi dalla Public Health England (PHE), che mostrano come non si siano registrati decessi di pazienti londinesi entro 28 giorni da test positivo per coronavirus.

Al culmine della crisi sanitaria, nell’aprile 2020, a Londra si erano registrati circa 230 decessi al giorno legati al virus. “Questo è un traguardo fantastico, ma siamo molto lontani dal tornare alla normalità”, ha detto un sanitario citato dalla Bbc. La città rappresenta il 12% di tutti i decessi per coronavirus nel Regno Unito ed è stata l’epicentro della prima ondata di pandemia lo scorso anno. 

Sono 30 milioni i britannici che hanno ricevuto una prima dose di vaccino anti-Covid in tre mesi di campagna vaccinale, e intanto il tasso di contagio cala ancora: i casi sono scesi di un terzo a 3.862 e anche i decessi ulteriormente diminuti, a soli 19. Sono 30,151 milioni le persone che hanno ricevuto la loro prima dose tra l′8 dicembre e il 27 marzo, circa il 57 per cento di tutti gli adulti. Altre 3 milioni e mezzo di persone hanno avuto una seconda dose, il che vuol dire che in tre mesi sono state somministrate 33,678 milioni di dosi in tutto.
Il traguardo delle 30 milioni di dosi è stato salutato con orgoglio tanto dal premier, Boris Johnson, che dal ministro della Sanità, Matt Hancock, che dal responsabile governativo per i vaccini, Nadhim Zahawi.

Intanto il Paese attende l’imminente arrivo di oltre 500 mila dosi del nuovo vaccino statunitense, quello Moderna: si aggiungerà alle milioni di dosi di Pfizer e Oxford-AstraZeneca, già disponibili nel Regno Unito, e aprirà la strada all’immunizzazione di coloro che hanno meno di 50 anni. 

Intanto Boris Johnson invita alla prudenza i suoi connazionali, mentre il paese si appresta a compiere i primi significativi passi in direzione di un allentamento delle restrizioni anti-Covid. Sarà consentito incontrarsi all’aperto in gruppi di sei persone, anche all’interno di giardini privati, mentre potranno riprendere le attività sportive all’aperto.

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“La cura ai sanitari no-vax? Via lo stipendio e vedrete”

lunedì, Marzo 29th, 2021

Enza Cusmai

Salvatore Giuffrida, siciliano di sangue e ligure nella formazione, è direttore generale dell’ospedale S. Martino di Genova, polo sanitario con circa 5mila dipendenti.

È l’ospedale in cui un sanitario no vax ha infettato 17 pazienti.

Oggi arriva in Liguria il generale Figliuolo e il capo della Protezione civile Curcio. Messaggi per loro?

«A loro chiedo solo di accelerare sui vaccini. E vorrei mandare a dire al premier Draghi di fare presto».

Riguardo a cosa?

«Al decreto sugli operatori no vax. Noi datori di lavoro abbiamo le mani legate. Siamo costretti a tenerci in corsia gente che può trasmettere il virus ai pazienti e rischia a sua volta di ammalarsi. Inaccettabile».

Perché non li spostate come suggeriscono in molti, compreso il governatore Bonaccini?

«Non so se sentirmi annoiato o infastidito da queste chiacchiere. Persino in Procura si dice che sono sanzionabili i datori di lavoro che non spostano i non vax».

Dunque?

«Chi lascio in corsia se trasferisco gli operatori che rifiutano il vaccino? Se allontano 30 infermieri di rianimazione io tolgo 6 posti letto. E questi pazienti dove li mando? Con gli spostamenti faccio un dispetto al sistema ospedaliero: i posti letto sono in proporzione al numero dei dipendenti».

Da voi quanti sono i no-vax?

«L’adesione al vaccino tra i medici è pressoché totale, ma tra infermieri, oss, tecnici la percentuale dei vaccinati si ferma all’85%».

Quindi il 15% è scoperto?

«Esatto. Circa 400 operatori sanitari che fanno parte della catena assistenziale nei reparti e negli ambulatori rifiutano di vaccinarsi. Che faccio, li mando tutti al centralino?».

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Grillo salverà i soliti big. Rielezione vietata ai peones

lunedì, Marzo 29th, 2021

di ELENA G. POLIDORI

Conte sistemerà tutto”, sostiene l’ex ministra grillina, Fabiana Dadone. Ma quella scelta ponderata dell’”Elevato” Beppe Grillo di blindare, anche nel nuovo Movimento, la regola dello stop al terzo mandato elettivo, ha provocato un tale terremoto interno da costringere molti parlamentari, già al secondo giro, a guardarsi intorno e a offrirsi ad altri partiti, nella speranza di non restare fuori dal prossimo Parlamento. “Grillo ha spiezzato tutti – spiegano nel M5s – perché non solo espone Conte al fuoco incrociato per i prossimi due anni, ma manda anche al macero chi dovrebbe sovvenzionare il nuovo M5s; se Conte avalla la scelta di Grillo, il partito se lo fa da solo”.

Pare, comunque, che anche Conte sia della stessa opinione di Grillo sul tema e che sia ben consapevole delle difficoltà di coesione dei gruppi grillini di qui a fine legislatura, ma “è tutto già messo in conto”, sostiene una fonte vicina all’ex premier. L’idea, infatti, sarebbe quella di allontanare dagli scranni tutti quegli eletti nel 2018 che Grillo stesso ha definito “miracolati” per sostituirli (in misura minore, ovviamente, per il taglio dei parlamentari, ndr) con persone selezionate e di fiducia. Ovviamente, in questa scrematura avranno una deroga personaggi come Di Maio, Crimi, Paola Taverla e Laura Castelli (ma forse ci saranno anche Patuanelli, Fraccato e D’Incà) per meriti acquisiti nell’ambito dei ruoli ricoperti nei governi che si sono succeduti in questi anni. Insomma, un piano che se anche rischia di mettere in difficoltà Conte – e forse anche molto, in prima battuta – alla lunga si potrebbe tramutare in un vantaggio, con l’ex premier che si troverebbe a selezionare di persona la nuova classe dirigente grillina, avvalendosi della vecchia guardia come collante tra passato e futuro dei 5 stelle; nel nome del merito, ma non solo. Fatto che, comunque, non viene digerito per niente, in queste ore, dentro le fila dei gruppi parlamentari stellati, visto che l’”Elevato” ha comunicato la sua decisione senza farla precedere, come è più o meno sempre avvenuto, da un ragionamento con gli eletti; insomma, una bomba a sorpresa.

In tutto questo, si staglia ancora la questione legata al rapporto con Rousseau che per il 90% dei parlamentari non può essere portato avanti, mentre le parole di Grillo sono state interpretate come un tentativo di salvare il rapporto con il figlio dell’altro fondatore, Davide Casaleggio, al punto da far reagire alcuni ‘duri’ con un sincero “e allora ciao”; un’amarezza di fondo sfociata poi nella frase rivelatrice: “Cominciamo a guardarci intorno?”.

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Covid, la nuova alba tra concerti e partite. Il mondo fa le prove di normalità

lunedì, Marzo 29th, 2021

di RICCARDO JANNELLO

Prove di “back in live”, ritorno in diretta per gli spettacoli e lo sport, abbandonati causa Covid dai loro seguaci costretti agli streaming. Ma dalla Spagna all’Olanda, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, dalla Germania al Messico e al Giappone si stanno cercando soluzioni per tornare a vedere il pubblico nei teatri e sulle tribune. Anche perché i lavoratori dello spettacolo sono allo stremo, soprattutto in Italia. “Che emozione, c….” è il colorito commento di Pau Rodriguez, uno dei cinquemila fortunati che hanno assistito l’altra sera nel Palau de Sant Jordi di Barcellona al concerto dei “Love of Lesbian”, il primo evento “massivo” con pubblico nella pandemia.

L’esperienza – nell’arena che ha una capienza di 17.960 spettatori – dimostra che le “bolle” possono funzionare se esiste un protocollo bene organizzato, in questo caso affidato a un virologo, il professor Boris Revollo, e già richiesto all’estero. I cinquemila del Sant Jordi, ampiamente selezionati e prenotati (biglietto fra i 23 e i 28 euro), si sono dovuti sottoporre 48 ore prima a un test antigenico (compreso nel prezzo) e presentare in QR Code sullo smartphone il risultato negativo. Prima di entrare – e ciò ha causato code e ritardo sull’orario d’inizio – gli spettatori sono stati sottoposti a un nuovo test rapido – e sei sono stati rimandati indietro perché positivi –, al controllo della temperatura e sono stati forniti se non l’avessero avuta di una mascherina FPP2. Quindi l’ingresso in sala, senza distanziamento, ma suddiviso in tre diversi settori. “Non si sono verificati incidenti”, dichiarano entusiasti gli organizzatori, che hanno parlato di un primo esperimento di “Festival per una cultura sicura” grazie anche a un nuovo impianto di aereazione. “Siamo sulla strada giusta – ha detto dal palco Santi Balmes, il cantante dei ’Love of Lesbian’ –, ma il vitus là fuori esiste ancora. La battaglia continua”.

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Priorità dubbia/La pretesa delle toghe che ignora i più fragili

lunedì, Marzo 29th, 2021

Carlo Nordio

Come se non bastassero il colossale pasticcio combinato dall’Europa nella contrattazione e nella distribuzione dei vaccini, e quello dello Stato nell’omettere, fino all’intervento di Draghi, un criterio omogeneo e razionale della loro somministrazione. Come se non bastassero gli incomprensibili e scandalosi privilegi concessi da varie Regioni nella concessione di un farmaco salvavita a chi in pericolo di vita non versava.

Come se non bastassero il crollo della fiducia dei cittadini nell’Europa, dimostratasi inetta, e nello Stato, dimostratosi fino a ieri disattento e confusionario. 
Come insomma se non bastasse l’ondata di sospetto che si è abbattuta sulle varie istituzioni preposte a gestire questa aggressione del Covid che da “guerra lampo” si è trasformata “in drole de guerre”, cioè in una strana guerra gestita da ciascuno come meglio gli pare, ecco l’ultima notizia: l’Anm, l’Associazione nazionale magistrati, non solo lamenta che «le linee guida del Parlamento non prevedono più, tra i gruppi target di popolazione cui offrire il vaccino in via prioritaria, i lavoratori del comparto giustizia», ma adombra addirittura, pur nel velato linguaggio burocratese, «la sospensione dell’attività giudiziaria non urgente».

Credo che il cittadino, a cominciare dagli anziani magistrati come chi scrive, ne abbia tratto una sensazione di sorpresa, di disgusto e di ribellione. Sorpresa per un atteggiamento che farà precipitare – ammesso che ci sia ancora lo spazio per precipitare dopo le rivelazioni di Palamara – la credibilità delle toghe nella considerazione generale. Disgusto per una manifestazione di presunzione che sconfina nell’arroganza. E ribellione perché la larvata minaccia di sospensione è tanto più grave in quanto proveniente da chi dovrebbe garantire la legalità e, vorremmo dire, anche la Giustizia e il buon senso.

Perché questo nostro sgomento? Perché il raziocinio e la solidarietà civile indicano, come prioritarie, due sole categorie. La prima è quella degli operatori sanitari, per la semplice ragione che se scoppia un incendio le prime maschere antigas le devi dare ai pompieri incaricati di spegnerlo. E la seconda è quella dei soggetti fragili, equamente divisi secondo le fasce di età e la sofferenza di patologie che ne aumentano il rischio. 
Tutte le altre possono accampare, e magari lo fanno, criteri diversi: la scuola, la produzione industriale, il commercio, la cultura, il rito religioso ecc. Ma solo dopo l’esaurimento delle altre due, come finalmente pare abbia deciso questo governo.

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Lockdown, verso chiusure sino a maggio. «Con questi dati un mese senza zone gialle»

lunedì, Marzo 29th, 2021

di Lorenzo De Cicco e Mauro Evangelisti

ROMA Raggiungeremo una zona di sicurezza sul fronte dei contagi solo a maggio, quando sarà possibile ripristinare la fascia gialla per le Regioni. La riapertura delle scuole prevista dopo Pasqua presenterà comunque un conto sul fronte epidemiologico. E le varianti, sempre più aggressive e veloci nella diffusione, non lasciano alternative. La carica virale degli ammalati, anche per l’effetto delle mutazioni del Covid, è diventata molto più alta. Fino a raddoppiare. Lo spiega bene un’analisi delle Uscar, le unità speciali dei tamponi del Lazio, che attraverso 27 medici “sentinella” ha rilevato e studiato la «concentrazione antigenica» con i tamponi quantitativi. Risultato: se fino a novembre la carica virale, la contagiosità, era di media al livello 40, ora, spiega Pier Luigi Bartoletti, il responsabile delle Uscar, «è il doppio, poco sotto 100. Ma abbiamo registrato anche pazienti oltre quota 120».

Il pressing

Il centrodestra preme per le riaperture. Forza Italia, in particolare il capogruppo alla Camera, Roberto Occhiuto, premette che i numeri sono ancora drammatici, ma dice che «il prossimo decreto del governo dovrà prevedere una sorta di tagliando da fare a metà aprile, che magari, con numeri meno drammatici, possa portare a qualche mirata riapertura». Salvini e la Lega negli ultimi giorni spingono perché ad aprile si riapra. Draghi ha deciso di affidarsi ai numeri, senza azzardi.
Questo lo scenario di partenza, ma oggi cosa prevedono le simulazioni? Partiamo proprio da ieri: quasi 20.000 nuovi casi positivi anche la domenica, malgrado la flessione dei tamponi nel fine settimana. La diminuzione degli infetti è appena percettibile rispetto a sette giorni prima. E l’obiettivo dei 50 casi ogni 100mila abitanti su base settimanale, indicato dagli esperti come la vera zona di sicurezza, appare lontanissimo, visto che nell’ultimo report il dato nazionale è stato quasi cinque volte più alto. Ultimo tassello: abbiamo l’ennesimo incremento dei posti letto. Le analisi dei numeri che circolano sia al Ministero della Salute sia alla cabina di regia sia al Cts arrivano tutte alle stesse conclusioni: pensare di riaprire oggi, ripristinando il colore giallo, significherebbe disperdere gli effetti dei sacrifici fatti. Per prevedere l’andamento dei contagi, gli scienziati guardano all’esperienza del 2020. Allora, per cessare il lockdown, fu necessario attendere maggio ma oggi vi sono elementi nuovi, alcuni giocano a nostro favore, altri no. In questa primavera 2021 abbiamo un’arma in più che si chiama vaccini, sono state eseguite oltre 9 milioni di somministrazioni. E rispetto a un anno fa ci sono 3,2 milioni di italiani che sono già stati positivi: i casi di reinfezione esistono, ma per fortuna non sono frequenti. Ci sono però anche fattori che non aiutano: nel 2020 anche in primavera le scuole restarono chiuse, dopo Pasqua elementari e prime medie riaprono anche nelle regioni in fascia rossa, significa molte più persone in giro e molte più occasioni per il virus di circolare.

Flourish logo

A Flourish bar chart race

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Il premier forte coi piedi d’argilla

lunedì, Marzo 29th, 2021

MASSIMILIANO PANARARI

A pensarci un attimo, è un po’ come inserire un motore Ferrari su un’utilitaria. Fuor di metafora, ci troviamo in presenza di un nuovo possibile capitolo dell’eccezione e dell’anomalia italiana.

Proprio quando il Covid-19 ha svelato il deperimento di sistemi-Paese ben più solidi del nostro. E quando, per contro, l’Italia si trova a essere guidata da una delle personalità più autorevoli del proscenio della governance globale. Con il rischio, pertanto, che Mario Draghi risulti un leader “sproporzionato” rispetto a una Nazione che appare da tanti punti di vista in letargo e rinunciataria, largamente adattatasi all’idea del suo declino. Ovvero, il paradosso inquietante che il premier considerato come l’italiano più prestigioso in circolazione non possa contare in maniera compatta e convinta sul proprio sistema-Paese. Un po’ come se rimanessero soltanto dei nani sulle spalle del gigante, o sulle ali del Draghi (beninteso, sempre di espressioni figurate si tratta, e non di immagini politicamente scorrette). Ed è una sensazione raggelante perché riferita a una Nazione che, pur zavorrata da vari deficit e difetti, ha potuto sempre contare su energie e risorse straordinarie in seno alla società civile e al mondo economico.

Nel corso di questi giorni alcune voci (come Massimo Giannini e Giampiero Massolo su queste colonne e Stefano Folli su Repubblica) hanno evidenziato un ritorno da protagonista dell’Italia sul palcoscenico continentale. Determinato, per l’appunto, dal fatto che da alcune settimane siede a Palazzo Chigi l’ex presidente della Bce. Una finestra di opportunità – come lo è anche, sul piano interno, la (seppur tesa) fase di decantazione e tregua tra i partiti – che potrebbe consentire all’Italia, fra la transizione tedesca del post-Merkel e i problemi francesi, di rientrare pienamente nel gruppo di testa dell’Ue. E di radicarsi saldamente, e a pari titolo, nel gruppo di testa e nella leadership maggiormente collegiale di un processo di integrazione destinato a correre sempre più velocemente per effetto delle implicazioni politico-economiche della pandemia. Col pericolo assai concreto, tuttavia, che l’«intendenza non seguirà». Tra crescita drammatica della povertà, un’opinione pubblica smarrita e disorientata, l’attesa messianica (e deresponsabilizzante) nei confronti di un salvatore, una forma diffusa di rassegnazione, la scarsa resilienza e le ferite laceranti di svariati settori produttivi e l’infragilimento del capitale sociale è come se l’Italia avesse interiorizzato definitivamente il declino, sotto gli effetti della «glaciazione» pandemica come pure di un discorso pubblico prevalente decisamente inadeguato (e che ha finito, de facto, per incoraggiare l’aspettativa assistenzialistica e il fatalismo).

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Combattere il centralismo delle Regioni

lunedì, Marzo 29th, 2021

Massimo Cacciari

Non so se dipenda da mia scarsa “sensibilità”, ma un cambiamento di passo nell’affrontare la situazione da parte del governo Draghi non l’ho finora notato. Certo, la campagna vaccinazioni non era stata, evidentemente, predisposta in modo efficace e dunque si è dovuto improvvisare. Resta il fatto che nel complesso delle inefficienze e disorganizzazioni burocratiche di cui l’Europa ha fatto mostra noi risultiamo ai primissimi posti. Per l’ennesima volta è emerso il fallimento storico del regionalismo italiano, come l’istituzione dell’Ente Regione abbia finito col tradire le pur pallide istanze federaliste contenute nella Carta costituzionale. Ogni Regione procede secondo un concetto di “autonomia” sempre più stretto parente di quello di anomia, moltiplicando disuguaglianze nel trattamento di cittadini di uno stesso Paese.

Si levano voci che vorrebbero addirittura ricentralizzare la politica sanitaria, ignorando che ciò comporterebbe appunto riformare Costituzione scritta e materiale. Nonché trasformare l’assetto delle forze politiche e i loro equilibri, poiché esse fondano le proprie fortune anche sull’esistenza di questi catafalchi centralistici che chiamiamo Regioni. Su tutto questo il governo Draghi c’entra davvero poco o nulla e non saranno certo le Banche centrali a fare quelle riforme, a prender quelle decisioni audaci, senza cui le membra d’Italia continueranno a “corrompersi”. Altro si dovrebbe esigere, o almeno dovrebbero esigere le categorie interessate, le imprese e i cittadini più drammaticamente colpiti dal maledetto virus. Equità in aiuti, sussidi, ristori(lasciamo perdere il lessico), anzitutto. Spiegare come si intenda far fronte allo straordinario aumento del debito che questi aiuti comportano e comporteranno.

Non lo si ripeterà mai abbastanza: non siamo affatto “tutti sulla stessa barca”, come ripete la insopportabile retorica dominante; la pandemia moltiplica disuguaglianze di ogni genere, su alcune delle quali è ben difficile intervenire, su altre invece doveroso. Doveroso è rimediare all’iniquità palese nella distribuzione dei sussidi, già comunque ora del tutto insufficienti. Il governo Draghi ha fatto bene ad allargare la platea di coloro che dovrebbero “ristorarsi” dei “ristori”, ma ora la torta non può restare uguale, né il metodo della sua spartizione. In base al calcolo attuale il “ristoro” incide percentualmente, per imprese che avevano un pari fatturato nel 2019, in misura maggiore per quelle che hanno subito una perdita minore.

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