Archive for Marzo, 2021

Covid, «in Italia il picco sarà tra 7 giorni: la crescita dell’ondata sta rallentando»

domenica, Marzo 14th, 2021

di Gianni Santucci

Tra le otto Regioni che domani, lunedì 15 marzo, passeranno in «rosso», sette (tranne la Puglia) sono vicine al picco della terza ondata, che dovrebbe arrivare tra una settimana o poco più.

Nella provincia di Trento, la massima restrizione scatta con il contagio già in regressione.

Un quadro che vale per tutta Italia: su base nazionale, l’indice di espansione della malattia ha rallentato la sua crescita tra 6 e 7 marzo. «I dati mostrano segnali di livellamento. Che la velocità di crescita sia in decremento è ormai un fatto assodato», spiega Carlo La Vecchia, epidemiologo e docente di Statistica medica all’università «Statale» di Milano.

E dunque tra una settimana o poco più l’R(t), indice che definisce l’espansione dell’epidemia, dovrebbe tornare intorno o sotto 1 (in fase «regressiva»). Uno scenario che implica un interrogativo: che senso ha imporre il livello più rigido di contenimento quando la terza ondata del Covid-19 si sta per chiudere?

Calcoli «indipendenti»

Da oltre un anno la comunità scientifica lombarda fa riferimento al lavoro di Alberto Gerli, ingegnere, che ha elaborato un modello matematico di previsione sull’epidemia che si è rivelato di eccezionale efficacia. Per fare un esempio: intorno al 10 febbraio, Milano registra una media di 400 nuovi «positivi» al giorno; il 14 febbraio il Corrierepubblica le elaborazioni «indipendenti» di Gerli, che identificano l’«ingresso» massiccio delle varianti e prevedono per la città una crescita fin sopra i mille contagiati al giorno entro fine mese. Il 25 febbraio, «puntuale», Milano sballa i mille positivi, arrivando poi sopra 1.500. La credibilità di queste elaborazioni sta dunque nel fatto che, come accadde già a ottobre, vengono poi «confermate» dai dati reali.

Gerli propone un modo più semplice per calcolare l’R(t): si considerano i casi delle ultime due settimane e si confrontano con quelli di due settimane sfasate all’indietro (di fatto, tra 7 e 21 giorni fa). «Un calcolo — spiega l’ingegnere — che ci restituisce l’andamento, e messo insieme all’incidenza dei casi per 100 mila abitanti dice quanto sia grave la situazione».

La forza dell’«indice Gerli» è la tempestività, cioè mostrare quale sia l’R(t) oggi, mentre le elaborazioni «ufficiali» scontano sempre un ritardo, perché riferite a dati di oltre 10 giorni prima. «Il momento di intervenire — riflette l’ingegnere — sarebbe quello in cui gli indici iniziano a salire. Ormai sappiamo che le curve dell’epidemia durano 40 giorni, e che se si vuole contenere la crescita bisogna farlo nei primi 17 giorni. Altrimenti, le “curve” seguiranno il loro corso “naturale”».

Dunque nei prossimi giorni i contagi in Italia continueranno ad aumentare, con probabili picchi di 35-40 mila casi intorno al 20 marzo: e a limitarli non saranno le «zone rosse», perché l’epidemia inizierà a «sgonfiarsi» da sola.

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Covid, perché i vaccinati devono seguire le stesse regole dei non vaccinati?

domenica, Marzo 14th, 2021

di Margherita De Bac

Perché anche i soggetti che sono stati vaccinati ricevendo due dosi devono restare a casa se abitano nelle zone rosse?
Anche quando si è protetti dal vaccino non è completamente esclusa la possibilità di infettarsi. Tutti i vaccini, non solo gli anti-Covid, non sono uno scudo al 100%. L’immunità arriva fino a una certa percentuale (nel caso dei preparati AstraZeneca, Pfizer e Moderna si va dal 70 al 95%) e molto dipende dalla risposta individuale che può essere più o meno pronta. Alcuni non reagiscono in modo ottimale.

Vale per tutti i vaccini contro le malattie infettive?
Anche chi fa l’antinfluenzale, che tra l’altro ha una copertura inferiore rispetto agli anti-Covid, non schiva la probabilità di prendere l’infezione.

Quindi chi ha completato il ciclo di inoculazioni deve comportarsi come tutti?
Deve restare a casa e rispettare i limiti di spostamento imposti nelle varie Regioni, indossare le mascherina e curare l’igiene delle mani. Questi sono farmaci nuovi, le campagne vaccinali sono cominciate da poche settimane, il numero delle persone che hanno ricevuto le dosi è ancora troppo limitato per trarre conclusioni definitive. Dunque è bene osservare le regole e considerarsi potenzialmente esposti per non rischiare di essere contagiati dal virus. Con alte probabilità non ci ammaleremo, ma potremmo sviluppare una forma asintomatica che passa il Sars-CoV-2 ad altri.

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America’s Cup, regate annullate per poco vento

domenica, Marzo 14th, 2021

FABIO POZZO

Niente da fare, oggi, nel golfo di Hauraki, per l’America’s Cupi. Non c’è abbastanza vento per disputare le regate e il direttore di gara Iain Murray, dopo una lunga attesa, rinvia gara 7 e gara 8 del duello tra Emirates Team New Zealand e Luna Rossa a domani, lunedì 15 alle 16.15 (4.15 ora italiana). Attesi, secondo windy, una media di 9 nodi con raffiche fino a 19.

Per regolamento devono esserci almeno 6,5 nodi per 5 minuti consecutivi prima dello start. Il punteggio resta dunque fermo sul 3-3. Vince chi arriva primo a 7 vittorie.

LA STAMPA

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Letta torna contro venti e maree

domenica, Marzo 14th, 2021

Massimo Giannini

Contro venti e maree, si intitolava il penultimo saggio di Enrico Letta per il Mulino. Profetico, a suo modo. I venti che gli spireranno contro nel Pd saranno poderosi, nonostante l’unanimismo di facciata che i soliti cavalieri, congiurati e giullari di corte riservano sempre al sovrano alla vigilia dell’incoronazione. E le maree che gli si gonfieranno intorno nel Paese saranno insidiose, tra il populismo gentile di Conte e quello truce di Salvini. Ma se c’è una speranza, per ridare un’anima alla sinistra riformista e un’ancora alla democrazia italiana, lui la rappresenta. Letta segretario del partito dei progressisti è un altro esito del Big Bang politico innescato dall’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi. Una rivoluzione copernicana che ha scompaginato gli equilibri già precari del bipopulismo perfetto (o del tripolarismo imperfetto) nato con le elezioni del 2018. Sono implosi i Cinque Stelle, polverizzati in galassia e trascinati infine sulla Terra da un Grillo in casco da astronauta.

È tornata in orbita la Lega, depurata dalla sbornia al mojito del suo Capitano e rilanciata dal governismo di Giorgetti e dal pragmatismo dei cacicchi del Nord. Ed è esploso il Pd, distrutto non solo dal “poltronismo” esasperato che resiste, ma anche dal cupio dissolvi identitario che cresce. L’istantanea più plastica e più drammatica di quello che D’Alema a suo tempo definì “l’amalgama mal riuscito” l’ha fatta per primo Federico Geremicca, sul nostro giornale. In 14 anni il Pd ha cambiato 7 segretari. Di questi, solo 2 sono rimasti nella “ditta” (Franceschini e ora Zingaretti). Altri 3 hanno cambiato partito (Bersani, Epifani, Renzi). Altri 2 hanno cambiato mestiere (Veltroni, Martina). Basta questo a suggerire l’idea di una discreta bancarotta politica. Ma ovviamente c’è di più.

C’è un partito che, nell’eterna e destabilizzante transizione italiana, ha sempre pagato un prezzo troppo alto alla sua “volontà di governo”. Salvo due parentesi molto diverse tra loro (il Prodi post-ulivista del 2006-2008 e il Renzi neo-cesarista del 2014-2016) il Pd ha costantemente cercato di garantire la stabilità del sistema e la governabilità del Paese in momenti nei quali i risultati del voto non offrivano né l’una né l’altra.

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Gentiloni: «Una forte ripresa è possibile. Ripensiamo il Patto di stabilità»

domenica, Marzo 14th, 2021

di Federico Fubini

Gentiloni: «Una forte ripresa è possibile. Ripensiamo il Patto di stabilità»

Commissario, con la pandemia imprese e famiglie italiane hanno risparmiato oltre 140 miliardi di euro, il 9% del Pil. Anche altrove in Europa è successo qualcosa di simile. Segno della paura delle persone o del potenziale della ripresa?

«Le due cose insieme — risponde Paolo Gentiloni —. Siamo ancora in piena terza ondata della pandemia e le conseguenze per l’attività economica restano forti. Ma i vaccini ci permettono di vedere la luce in fondo al tunnel. Viene di qui questa impressione di contrasto tra la situazione molto difficile che stiamo vivendo e previsioni economiche di segno completamente diverso: noi alla Commissione siamo d’accordo con l’Ocse e la Bce nel dire che la zona euro — inclusa l’Italia — nel 2021 e nel 2022 possa avere livelli di crescita con pochi precedenti negli ultimi decenni».

Per ora la svolta non si vede.

«È una delle difficoltà di questa fase. Siamo ancora dentro la pandemia e va sconfitta, ma dobbiamo già guardare avanti. Questa non è una guerra con un prima e un dopo nettamente separati, un momento in cui inizia la ricostruzione. L’emergenza andrà avanti per mesi, ma gradualmente prenderà corpo una ripresa che potrebbe diventare impetuosa. È qui che può avere un ruolo molto importante il risparmio accumulato in questo anno, perché la domanda compressa di consumi potrebbe dar luogo a una crescita molto forte. Naturalmente ci sono contrasti stridenti, con settori che restano in crisi e tante persone che hanno perso il lavoro e certo non hanno potuto accumulare risparmi. Nel complesso, la prospettiva ha potenzialità straordinarie. Non solo per far crescere il Pil ma per avere un’economia più sostenibile. Ma dipenderà dalla campagna vaccinale, dai piani di Recovery, dalle scelte dei governi. Niente è già garantito».

Perché le imprese e famiglie spendano servono certezze. Non sarebbe utile chiarire come cambieranno le regole europee di bilancio?

«Guardiamo la realtà: nel 2020 abbiamo preso decisioni vitali. La sospensione del Patto di stabilità, quella delle regole europee sugli aiuti di Stato, il piano pandemico di acquisti della Bce hanno consentito ai Paesi spese straordinarie per l’8% del Pil. Abbiamo ricevuto richieste di autorizzazione di aiuti di Stato per tremila miliardi e qualcuno temeva distorsioni nel mercato europeo, perché per metà venivano dalla Germania. Poi si è visto che fra marzo e dicembre gli esborsi sono stati di meno di 600 miliardi. E che prima per spesa è la Francia, seconde poco distanti Germania e Italia, quarta subito sotto la Spagna. C’è stata meno divergenza di quanto si temesse e le imprese hanno avuto liquidità. Non è un caso se nel 2020 il numero di fallimenti in Europa è stato il più basso da anni. Next Generation EU e il fatto che abbiamo già avuto emissioni di debito comune di successo, per il programma Sure, rassicurano i mercati. Di fronte alla pandemia, c’è stata una rivincita europea».

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Coronavirus in Italia, il bollettino di oggi 13 marzo: 26.062 nuovi casi e 317 morti

sabato, Marzo 13th, 2021

di Chiara Severgnini

Coronavirus in Italia, il bollettino di oggi 13 marzo: 26.062 nuovi casi e 317 morti

Sono 26.062* i nuovi casi di coronavirus in Italia (ieri sono stati +26.824, qui il bollettino). Sale così ad almeno 3.201.838 il numero di persone che hanno contratto il virus Sars-CoV-2 (compresi guariti e morti) dall’inizio dell’epidemia. I decessi odierni sono 317 morti (ieri sono stati +380), per un totale di xx vittime da febbraio 2020. Mentre le persone guarite o dimesse sono 2.579.896: 14.970 complessivamente quelle uscite oggi dall’incubo Covid (ieri +14.443). E gli attuali positivi — i soggetti che hanno il virus — risultano essere in tutto 520.061 (+ 10.744 rispetto a ieri).

*La Regione Abruzzo comunica che dai dati già comunicati è stato eliminato 1 caso in quanto non caso di Covid-19. La Regione Emilia Romagna comunica che dai dati già comunicati sono stati eliminati 26 casi, positivi a test antigenico ma non confermati da tampone molecolare. La Provincia Autonoma di Bolzano comunica che dai dati già comunicati sono stati eliminati 4 casi, positivi a test antigenico ma non confermati da tampone molecolare.

I tamponi

I tamponi totali (molecolari e antigenici) sono stati 372.944, 3.308 in più di ieri quando erano stati 369.636. Il tasso di positività è pari al 6,9%: ieri era 7,2%.Qui la mappa del contagio in Italia.

Le vittime

Le vittime: sono 317 contro le 380 di ieri.

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Smart working, come farlo nel modo giusto? Domande e risposte di lavoratori e manager

sabato, Marzo 13th, 2021

MILANO – Lo smart working diventa standard nella Pubblica amministrazione e per gli osservatori unanimi resterà ben presente anche dopo la pandemia. Molti si stanno attrezzando, qualcuno ancora naviga a vista. In attesa di una sua sistemazione definitiva, il lavoro “agile” apre a molti interrogativi, che sono poi problemi assai concreti di organizzazione della vita e del lavoro che molti hanno sperimentato in alcuni mesi. Sia come dipendenti/lavoratori, che come datori.

Calcola il tuo stipendio giusto

Ecco alcune delle domande e risposte più frequenti che Variazioni, consulente tecnico del Ministero per le pari opportunità per l’adozione dello smart working, ha raccolto durante la sua esperienza sul campo nelle aziende e a contatto con i lavoratori.

Le domande dei lavoratori

Secondo quale criterio dovrei scegliere se lavorare a casa o in ufficio?

In smart working si può scegliere di lavorare dove si vuole, in base all’attività da svolgere. Nessun limite se lavori in autonomia e non stai facendo un’attività che richiede il coinvolgimento di altri colleghi. Scegliere anche in base alle caratteristiche dello spazio di lavoro: se è necessaria maggiore concentrazione o silenzio recarsi in un luogo isolato, una saletta dell’ufficio o una stanza o studio nella propria abitazione. Se l’attività richiede socialità si può scegliere di lavorare in ufficio o in luoghi che lasciano spazio a stimoli esterni e creatività. In ogni caso è importante definire le proprie esigenze anche in relazione al proprio ruolo, autonomia lavorativa e sempre in accordo con il proprio responsabile.

Anche quando l’attività richiede collaborazione è sempre l’obiettivo da raggiungere che determina la scelta del luogo: le attività che richiedono collaborazione possono essere svolte sia in smart working, sia in sede. Bisogna chiedersi quale obiettivo si vuole raggiungere con quel determinato meeting, quale importanza e priorità avrebbe vedersi fisicamente. Una riunione di brainstorming, una ricorrenza importante necessaria per prendere delle decisioni cruciali e fare il punto sul lavoro svolto, e in generale tutte quelle attività condivise che richiedono tempo e hanno spesso dinamiche informali potrebbero essere più produttive in presenza, in un luogo stimolante, comodo e confortevole. Diversamente una riunione operativa con scopo informativo potrebbe essere velocemente risolta in videochiamata.

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Coronavirus, morto Raoul Casadei il re del liscio: la musica piange

sabato, Marzo 13th, 2021

di Emilio Marrese

BOLOGNA. Raoul Casadeinon ce l’ha fatta. Un’altra vittima illustre del coronavirus. La star del liscio si è spenta stamattina all’ospedale Bufalini di Cesena (lo stesso dove da giovedì è ricoverato Gianni Morandi, ma per una grave ustione).

Casadei aveva 83 anni e si era contagiato insieme a vari parenti, che si trovano in quarantena fiduciaria a Villamarina di Cesenatico nella tenuta di famiglia. Dopo il ricovero del 2 marzo scorso le sue condizioni erano andate aggravandosi progessivamente.

Casadei: “Mi manca l’Italia che sapeva sognare, ora troppa volgarità”

Il cordoglio dell’Italia

“Gli artisti come Raoul non moriranno mai rimarrà sempre vivo nella sua musica e nelle sue canzoni che viaggiano nell’aria e continuano a esistere”. Lo ha detto Mirko Casadei, il figlio di Raoul che dal padre ha ereditato la guida dell’orchestra, in un messaggio vocale inviato al Tgr Rai dell’Emilia-Romagna. “Oggi – ha detto – è un giorno triste per la Romagna, per tutta Italia, per la musica popolare”.

“Mi stringo al dolore della famiglia Casadei in questo triste giorno in cui la musica italiana perde uno straordinario interprete e un autore che ha saputo coniugare tradizione e innovazione in un percorso di grande qualità artistica. Giustamente definito ‘il re del liscio’, Casadei è stato un musicista amato in tutto il mondo che con energia e passione ha fatto ballare intere generazioni portando la tradizione popolare nelle piazze e tra la gente. Io ho avuto la fortuna di conoscerlo e l’entusiasmo suo e della sua famiglia mi hanno fatto amare ancora di più la sua musica e la romagna”.
Così il ministro della cultura, Dario Franceschini.

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Il lungo declino dei partiti (e il futuro incerto del Pd)

sabato, Marzo 13th, 2021

di Ernesto Galli della Loggia

Le dimissioni del segretario Nicola Zingaretti sono la conferma dello stato critico in cui versa il Partito democratico, al quale l’ultimo colpo è stato inferto da Mario Draghi. Il suo governo, infatti, per il semplice fatto di esserci, non per altro, è valso a mettere definitivamente fuori gioco la forma partito tradizionale di cui il Pd era rimasto fino ad oggi l’ultimo rappresentante nella sua qualità di unico erede a tutti gli effetti della Prima Repubblica.

Dal 1945 al 1994 quella forma partito — con le sue assemblee di sezione, le sue federazioni provinciali e regionali, il suo comitato centrale, segreteria e direzione — costituì un modello organizzativo fatto più o meno proprio da tutte le formazioni politiche. Anche perché esso ricalcava lo schema degli organi di governo e delle relative assemblee elettive che la democrazia italiana si era data con la Costituzione. Un medesimo partito obbediente al centro dal più piccolo comune della penisola al Paese nel suo insieme.

È accaduto però che a un certo punto, sotto l’urto imprevedibile delle cose — nello scompiglio ideale e pratico prodottosi con le inchieste di Mani Pulite e nella inquietante sorpresa per la comparsa in quella circostanza di un attore del tutto inedito come la Lega — è accaduto, dicevo, che il sistema dei partiti della Prima Repubblica nel tentativo di trovare il modo di salvarsi in realtà abbia finito per suicidarsi. In prima fila — mosso dalla falsa sicurezza che in quel modo avrebbe potuto sopravvivere al crollo — il Partito ex comunista nelle sue varie successive ibridazioni e denominazioni.

Il suicidio avvenne in due tappe, grazie a due decisioni convergenti. La prima fu il nuovo sistema di elezione diretta dei sindaci con il potere attribuito loro di scegliersi una giunta di propria fiducia (1993); la seconda l’elezione egualmente a suffragio diretto dei presidenti della giunta regionale (1999) — quest’ultimo provvedimento enormemente rafforzato nella sua portata dal successivo nuovo Titolo V della Costituzione (2001) con il relativo, inconsulto allargamento dei poteri delle Regioni. Cioè del potere dei presidenti delle loro giunte, gratificati all’istante e per sempre del titolo abusivo di «governatori» che nessuno sarebbe più riuscito a togliergli.

Da quel momento i vecchi partiti cominciarono a non esistere, a non poter esistere più, essendo erosa una condizione fondamentale della loro esistenza, vale a dire il loro carattere nazionale e per così dire ideologico-impersonale. Da allora in poi riuscirono a mantenersi in campo e a resistere solo i partiti personali. Quelli con un uomo o una donna soli al comando e basta — senza sezioni, senza troppi congressi e al limite senza neppure più gli iscritti sostituiti dagli elettori — i partiti che infatti cominciarono subito a proliferare sulla scia della Lega di Bossi seguita a ruota da Forza Italia.

Grazie poi ai poteri conferitigli dalle due novità istituzionali di cui sopra i «governatori» delle Regioni e in misura minore anche i sindaci diventarono i decisori assoluti delle politiche in loco, e specialmente i «governatori» diventarono anche i padroni delle ingenti e crescenti risorse collegate ai nuovi compiti attribuiti alle Regioni. Questo fatto ne fece rapidamente i veri padroni del partito nei rispettivi territori. Sempre più anche la formazione delle liste elettorali locali, la scelta dei candidati al Parlamento, dipese dalla loro volontà o come minimo dal loro beneplacito. Da tempo in Puglia, in Emilia o in Campania, quello che pensa il Nazareno conta assai meno di quello che vogliono Emiliano, Bonaccini o De Luca. Nelle periferie italiane, insomma, così come è venuto progressivamente meno il potere dello Stato centrale e del governo allo stesso modo è venuto progressivamente meno anche il potere dell’apparato centrale dei partiti d’un tempo. E dunque del Pd, il loro unico sopravvissuto.

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Cluster ombra e finti positivi: quanto incidono gli errori sulle chiusure?

sabato, Marzo 13th, 2021

Giuseppe De LorenzoAndrea Indini

Un’intera famiglia bloccata in casa. Il tampone molecolare di uno dei tre figli, il più grande, è risultato positivo al Covid-19. Tutti in quarantena, dunque. Sanno già cosa significa perché due di loro, il padre e il secondogenito, ci sono già passati da quell’inferno: contagiati entrambi lo scorso autunno, durante la seconda ondata di epidemia.

Eppure, a questo giro, qualcosa non torna. E così qualche ora dopo l’esito, essendo l’infetto ancora completamente asintomatico, decidono di ripetere il tampone. Il risultato, questa volta, è di segno opposto: negativo. Cosa succede se è il tampone a sbagliare? Se il positivo è, in realtà, un falso positivo e quindi negativo? Cosa succede se la percentuale di questi errori non sono casi isolati ma finiscono per incidere percentualmente sul bollettino quotidiano e quindi sulle scelte del Comitato tecnico scientifico e del governo?

Il cluster fantasma

Il caso emblematico di questo problema è il focolaio fantasma scoppiato a inizio mese al Teatro alla Scala di Milano. Iniziato tutto il 21 febbraio. Una ballerina sta male: i sintomi sono quelli del Covid e un test molecolare lo conferma. Tre giorni dopo tutti i ballerini vengono controllati ma l’esito è negativo. Il 26 un nuovo giro di screening fa emergere un secondo caso e i vertici decidono di sospendere le attività del corpo di ballo. Salta così la registrazione dello spettacolo Omaggio a Nureyev che avrebbe dovuto essere trasmesso in streaming la domenica successiva. In realtà, la ballerina risultata positiva si negativizza nel giro di breve e così la preccupazione rientra. Per poco, però. Perché la settimana successiva sono punto e a capo e i numeri sono quelli di un maxi focolaio. Solo nel corpo di ballo i positivi sono, infatti, trentaquattro.

Tra quelli che finiscono in quarantena c’è chi non nasconde la propria incredulità per l’esito. “Non ce n’è uno che sta male – ci dice – è possibile che siano tutti asintomatici”. E poi il dubbio: “Come è possibile che, con tutti i controlli a cui ci sottopongono e con le regole ferree che seguiamo, sia esploso un cluster del genere da un giorno con l’altro?”. Le domande rimbalzano nella testa dei ballerini costretti a stare a casa in quarantena. Anche all’ospedale Sacco, che sta seguendo il caso, vogliono vederci chiaro e così predispongono un altro test molecolare per tutti quanti. E questo ribalta l’esito: sui 45 artisti, che erano risultati positivi, ben 44 sono negativi. Niente maxi cluster.

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