Archive for Marzo, 2021

Vaccini, si cambia: tocca ai settantenni. Gli under 55 dovranno aspettare luglio

giovedì, Marzo 11th, 2021

paolo russo

ROMA. Il piano vaccini si rifà per la terza volta il trucco, cercando di partire a razzo con gli anziani dai 79 anni in giù, rimettendo in fila come gli altri le «categorie protette», che stavano facendo passare avanti i soliti furbi. * La bozza messa a punto dai tecnici di regioni e ministero della Salute prevedeva in realtà una operazione a tenaglia, che avrebbe stravolto l’ordine delle priorità, immunizzando contemporaneamente non solo gli anziani, ma anche gli italiani dai 40 anni in su. Una scelta ritenuta necessaria sia per fermare le varianti che colpiscono maggiormente chi è meno in là con gli anni, sia per riattivare il prima possibile la macchina produttiva del Paese, proteggendo chi è in età di lavoro.

Un ragionamento che si è però scontrato con la paura di lasciare indietro chi è comunque più esposto al rischio di finire in ospedale o peggio ancora. Ma il calendario vaccinale cambierà comunque per l’ennesima volta. Vuoi per la decisione di qualche giorno fa che ha esteso agli over 65 l’uso del farmaco di AstraZeneca, vuoi per l’accordo raggiunto dal governo con le regioni che prevede di procedere a passo spedito con il metodo israeliano, immunizzando per fasce di età.

I tecnici di Speranza stanno ancora finendo di mettere a punto la bozza dopo essersi confrontati con gli assessori regionali alla Sanità e questa mattina la Conferenza delle regioni esaminerà il nuovo piano che dovrebbe poi veder luce entro il weekend. La bozza prevede che prima di tutto si porti a termine l’immunizzazione degli ultraottantenni, che in tre casi su quattro devono ancora fare il richiamo. Per loro non ci sarà l’indicazione su quale antidoto utilizzare, ma tutte le regioni sono già partite con quelli di Pfizer e Moderna a Rna messaggero e con questi vaccini si finirà l’opera. Contestualmente, come richiesto dal ministro degli Affari regionali Mariastella Gelmini, sarà la volta dei disabili, dei loro care giver e delle persone che vivono in comunità.

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Sileri: “Resistere per 4 settimane, in arrivo l’effetto immunità. No agli stop generalizzati”

giovedì, Marzo 11th, 2021

Federico Capurso

I casi continuano a salire e per il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri questo vuol dire solo una cosa: «Questa settimana ci saranno altre regioni destinate a cambiare colore, virando verso l’arancione o il rosso». Non sta passando la terza ondata, al contrario: «Siamo nella fase di piena, ma non per questo servono misure generalizzate piuttosto aumentiamo i controlli».

Il Cts propone di introdurre misure da zona rossa nei prossimi weekend fino a Pasqua compresa. Non la convince?
«Si propone un “contenimento” come lo abbiamo vissuto sotto Natale, ma quello era un periodo diverso, quindici giorni di shopping, di incontri familiari, e c’era un alto rischio di incontri tra le mura domestiche. Nelle prossime settimane, invece, la situazione sarà diversa. Il blocco nei weekend aiuta a impedire gli assembramenti, ma quello si può fare aumentando i controlli».
Da alcune regioni si chiedono misure più stringenti. I medici del Piemonte hanno lanciato un appello per renderlo immediatamente zona rossa.
«I medici che stanno sul territorio vanno sempre ascoltati, ma atteniamoci ai dati. Ci sono delle aree che devono diventano rosse, senza dubbio, poi possono essere più o meno estese, dal comune alla provincia, fino all’intera regione».

Gli scienziati propongono misure più rigide anche per le zone gialle. Sono necessarie?
«La zona gialla non ha effetti di contenimento, ma mettere delle misure restrittive uguali in tutta Italia non mi sembra utile. Molte regioni diventeranno rosse o arancioni nei prossimi giorni e quindi ci saranno già restrizioni maggiori. Strette generalizzate finirebbero per toccare situazioni dove ci sono andamenti positivi, come in Sardegna. Resistiamo ancora 4 settimane».

Perché 4 settimane?
«Sarà il tempo utile a vedere i primi benefici delle vaccinazioni. Negli ultimi 10 giorni c’è stato un impulso positivo e dobbiamo accelerare con un altro milione e mezzo di dosi a settimana. A quel punto si potrà davvero vedere la luce in fondo al tunnel».

Reggerà la riapertura di teatri e cinema a fine marzo?
«Credo di sì, mantenendo l’apertura per teatri e cinema nelle zone gialle, non nelle altre».

Non c’è il pericolo che con un numero di contagi troppo alto si finisca per rallentare la campagna vaccinale?
«Chiaramente, più esposizione c’è, più il virus circola. Ripeto, servono più controlli».

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Guerre culturali e silenzi intorno e dentro al Pd

giovedì, Marzo 11th, 2021

di Paolo Mieli

Bisogna dar atto a Nicola Zingaretti di essersi comportato da italiano perbene, di quelli che, se annunciano le dimissioni, poi ne traggono le conseguenze e vanno fino in fondo. Semmai gli si può rimproverare di aver motivato l’addio mettendo insieme la richiesta di primarie che saliva dalla periferia (del tutto legittima) e un’opaca guerra per le «poltrone» sulla quale non ha saputo o voluto essere più circostanziato. Resta il fatto che si è impegnato a lasciare il Nazareno e domenica prossima, a quanto pare, tornerà in Regione Lazio. Verrà sostituito, si dice, da Enrico Letta, sicché tra una settimana il Pd e il M5S di Giuseppe Conte saranno guidati da due ex presidenti del Consiglio il che renderà i rispettivi partiti più solidi. E, soprattutto, più forti nel dialogo con il governo presieduto da Mario Draghi oltreché nella contrattazione per la scelta del futuro capo dello Stato. Se tutto andrà al meglio per loro, alle elezioni politiche le due formazioni del centrosinistra potrebbero avere anche un vantaggio su quelle del centrodestra. Qualora riescano a conquistare la maggioranza dei seggi alla Camera e al Senato, i due partiti avranno pronta la soluzione per il governo della prossima legislatura: il leader di quello che avrà ottenuto più voti andrà a Palazzo Chigi, l’altro, se vorrà, gli farà da vice.

Certo l’immagine del Pd non è uscita rafforzata dal terremoto di vertice. «Da quindici anni non vinciamo una elezione politica, ma per oltre undici siamo stati al governo», ha constatato con amarezza Gianni Cuperlo. Il Pd è ormai «impermeabile ai sentimenti e alle passioni… congegnato per restare serbatoio di governo e sottogoverno», ha sentenziato implacabile Erri De Luca. Zingaretti lascia un’organizzazione politica che, secondo Luca Ricolfi, «per la profondità e capillarità della sua occupazione dei gangli del potere è macchina di autopromozione più di qualsiasi altro partito». Il Pd, a detta di Arturo Parisi, è «un partito governista destinato nei fatti ad essere subalterno a chiunque gli prometta di riportarlo al governo». Lo stesso Parisi si è poi mostrato immalinconito da quel genere di assemblee dem «che da sempre ruzzolano inarrestate verso il voto finale, ogni volta uguale: unanime». Questi — e altri mille dello stesso tenore — sono i commenti di osservatori dall’interno del Pd o, in ogni caso, non ostili al Pd.

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Covid, a Bologna è boom di contagi: «La gente è sfinita»

giovedì, Marzo 11th, 2021

di Marco Imarisio, inviato a Bologna

Chissà domani, su che cosa metteremo le mani. In via D’Azeglio le luminarie con i versi di una delle canzoni più belle di Lucio Dalla sono sempre accese. Con la fatica che si fa ad immaginare un futuro qualunque e con il bisogno di consolazione che tutti ci portiamo addosso, anche solo guardarle è qualcosa che un po’ scalda il cuore. Alle 17 di un mercoledì di marzo ci passano sotto in tanti. E ci si sente quasi in colpa a pensare che forse sono troppi, per una città in zona rossa da una settimana, che pure fatica a contenere contagi al settanta per cento attribuibili alla variante inglese, una città assediata che si trova nel centro della regione più colpita da questa terza fase del virus, dove il direttore generale della Ausl Paolo Bordon chiede aiuto dicendo che i posti letto non bastano più, e per destinarne di nuovi al Covid servono anche nuovi medici, anestesisti e infermieri. Non importa come, non importa da dove. Perché le altre ondate, dice, «erano niente in confronto a questa».

Piazza Maggiore

Eppure, è così. Sarebbe facile, incrociare situazioni in distonia tra loro. Da una parte le giovani universitarie sedute sui gradini di piazza Maggiore che chiacchierano tra loro con il drink in mano. Dall’altra le notizie dei ricoveri sospesi in tutti gli ospedali cittadini, e il punto nascita di Bentivoglio convertito alla lotta contro il male, e bollettini affatto tranquillizzanti, una media di contagi che dal primo al 7 marzo è stata di 538 su centomila abitanti, con Rt schizzato anche sopra quota 1,30. Sono dati da prima ondata. Anche se ogni paragone con il passato recente appare improponibile. Nel giro di un anno è cambiato tutto, la nostra testa, il modo di intendere serrate più o meno dichiarate, la percezione collettiva del male, il suo modo di colpire. Bologna non è un caso atipico. È solo che tutto è diventato più difficile, anche resistere in una città dotta per antica definizione e civile per pratica quotidiana. «Non c’è alcun rilassamento rispetto alle misure che abbiamo preso, ma è vero che c’è uno sfinimento collettivo». Ogni sera Giuliano Barigazzi esce dal suo ufficio di Palazzo d’Accursio, dove lavora come assessore alla Sanità, e si fa un giro nel centro, lungo le zone dell’aperitivo e dei potenziali assembramenti. «Piuttosto, è vero che questo andare e venire di colori sta sfibrando le persone. La gente non ne può più, è allo stremo delle forze. Una chiusura totale come avvenne la scorsa primavera non sarebbe immaginabile oggi. Non solo per le eventuali conseguenze economiche, ma per quelle sociali. Crollerebbe tutto». Durante il febbraio appena trascorso c’era il sole e il sistema a semaforo segnava giallo. «Stiamo pagando le conseguenze di quei giorni di semilibertà?» si chiede Barigazzi. «Può essere. Ma non biasimo nessuno, né qui né a Roma, intesa come governo. Ormai bisogna tenere conto di come siamo diventati, della natura umana. L’assenza di una strada chiara per uscire da questo incubo ci sta spegnendo dentro».

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Pd, Letta prepara la svolta: rivedere il patto con M5S. E nelle città candidati diversi

giovedì, Marzo 11th, 2021

di Mario Ajello

Bisogna risolvere la questione dei tempi del congresso. Gli ex renziani di Base riformista lo vogliono il prima possibile dopo il voto comunale di ottobre, ossia non intendono affidarsi mani e piedi all’Enrico. Dopo di che, la via di Letta per la leadership del Pd sembra assai percorribile. Oggi o al massimo domani lui scioglie la riserva. I segnali che manda sono di disponibilità: «L’importante è che non ci sia finta unanimità. Capisco i dubbi ed è bene che tutti si chiariscano così si potrà lavorare meglio». Intanto, da Franceschini a Zingaretti, da Zanda a Orlando ai Giovani Turchi di Orfini e Verducci e a tutti gli altri (per esempio Amendola che è sempre in contatto con l’amico Letta), è per lo più un coro da «Enrico ti aspettiamo» (dalla Picierno in giù e in su sui social e tra i parlamentari) e quanto è «autorevole» Enrico e «con lui i signori della guerra deporranno le armi». Di sicuro, dicono i suoi, le deporrà lui: non disposto a «fare vendette» sui nemici di prima perché vuole andare avanti tutti insieme. Anche se qualche renziano teme il repulisti.
IDENTIKIT
Già ci si interroga: quale sarà il nuovo identikit del partito di Letta e lui alcune idee chiare sembra avercele. Con Conte ha un buon rapporto personale – si è schierato con lui e contro la «follia» di Renzi nei giorni della crisi di governo – ma la modalità rispetto al leader dei 5Stelle sarà quella della competition is competition. Nessun appiattimento sul grillismo, nessuna subalternità anche ridicola come quella che s’è vista finora per cui Conte era considerato dagli zingarettiani «il punto di riferimento dei progressisti» e il grande federatore del dem-grillismo. Macché: Conte nell’ottica di Letta ora guida un partito alleato ma rivale che con Giuseppi designato leader ha già tolto il 5 per cento dei voti al Pd nei sondaggi e lo ha precipitato al quarto posto. Dunque, sarà gara con i pentastellati. Anche perché, se a Letta ormai considerato «il Draghi del Pd» dovesse andare tutto bene – dal voto amministrativo all’elezione per il Colle, dall’investitura a leader tra primarie e congresso – la sfida per le politiche del 2023, o anche prima, avrà due candidati premier contrapposti: lui e Conte. Nel frattempo, lo schema dell’alleanza rosso-gialla nel voto per le città, schema caro a Zingaretti, verrà rivisto così: andare con candidati separati al primo turno (Roma naturalmente è il caso simbolo) per poi convergere semmai al ballottaggio e dunque il Pd farà attenzione a schierare personalità non troppo indigeste all’elettorato grillino.

TRASFORMAZIONE
Il patto con M5S andrà riscritto dunque. «Ci si rapporterà da potenza a potenza, ma la potenza più forte dobbiamo essere assolutamente noi». Così dicono dalle parti di Letta, che ha come consigliere politico in campo, uno dei pochi amici che nel 2014 non lo tradì: Marco Meloni, ex parlamentare, rottamato al tempo del renzismo.

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Lockdown-Dpcm, più facile passare in zona rossa e arancio. Pasqua, stretta come a Natale

giovedì, Marzo 11th, 2021

di Marco Conti

Si ascolta, si valuta e poi si decide in Consiglio dei ministri, magari con un decreto legge, quali misure in più servono per arginare la pandemia. Nessuna decisione è uscita dalla cabina di regia di ieri pomeriggio. L’appuntamento per la nuova stretta è per domani. Regole per tutti, salvaguardando però il meccanismo delle fasce, ma con un automatismi in più che permetteranno di decretare più facilmente zone rosse e arancioni. Criteri che entreranno in vigore dalla prossima settimana, anche per dare tempo a tutti di organizzarsi. Soprattutto a ristoranti e bar ed esercizi commerciali che rischiano di pagare il prezzo più alto.

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Si può dare per certo che per entrare nella fascia più a rischio, la rossa, si adotterà il sistema della chiusure per i territori che avranno più di 250 contagi ogni 100 mila abitanti. Un criterio già in atto ma che scatterà in automatico, e non più a discrezione del presidente di regione, provocando l’immediato passaggio – dopo sette giorni di continuo sforamento – in zona rossa. Si attendono invece altri dati dall’Istituto Superiore di Sanità per valutare se e come inasprire i criteri per restare in zona gialla. 

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La riunione della cabina di regia convocata da Mario Draghi ieri era particolarmente affollata. C’erano, oltre al presidente del Consiglio, il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, i ministri Mariastella Gelmini, Dario Franceschini, Elena Bonetti, Giancarlo Giorgetti, Roberto Speranza, Daniele Franco e Stefano Patuanelli, il Segretario generale di Palazzo Chigi Roberto Chieppa, il Capo di Gabinetto Antonio Funiciello, il presidente dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro e il direttore del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli.

Gli scienziati continuano a chiedere di innalzare le misure. Lo ha chiesto il Cts nel parere fornito al ministero della Salute, e lo hanno ripetuto durante la riunione Brusaferro e Locatelli secondo i quali vanno inasprite le restrizioni anche nelle zone gialle per limitare il più possibile gli spostamenti. Anche senza ulteriori restrizioni, con i nuovi dati del monitoraggio settimanale l’Italia è destinata tutta, o quasi, a finire in zona rossa o arancione già dalla prossima settimana.

Se si escludono Sicilia, Sardegna e Valle d’Aosta, la curva epidemiologica fotografa un peggioramento specie al Nord, ma in sofferenza sono anche le terapie intensive delle regioni meridionali. Tutti i ministri nella riunione hanno preso atto della situazione critica, ma nella discussione si è riproposta la divisione tra rigoristi e aperturisti. Ovvero Speranza, Franceschini e Patuanelli da una parte e Giorgetti, Bonetti e Gelmini dalla parte opposta. I primi (Leu, Pd e M5S) favorevoli ad una sorta di chiusura nazionale, mentre i secondi (Lega, Iv e FI) continuano a puntare sul meccanismo delle fasce limitandosi a dire sì all’inasprimento del criterio automatico della zona rossa se si superano in sette giorni i 250 contagi ogni 100 mila abitanti. 

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“È sotto tutte le attese…”. Un ‘altra bomba sul Pd Gualtieri ora può saltare

mercoledì, Marzo 10th, 2021

Gabriele Laganà

Anche se le amministrative sono state spostate in autunno a causa dell’emergenza sanitaria, tutti i partiti sono già al lavoro per individuare i candidati giusti da presentare agli elettori.

In casa Pd la situazione appare particolarmente difficile. Non basta il caos seguito alle dimissioni del segretario Nicola Zingaretti. Ora, infatti, i dem stanno ragionando sul nome per il Campidoglio. Tutto ruota intorno a Virginia Raggi. Se l’attuale sindaco si dovesse ripresentare, allora sarebbe estremamente complicato un accordo tra Pd e M5s. A quel punto i dem dovrebbero affrontare i pentastellati come rivali. Già, ma il Pd su chi dovrebbe puntare? Per la candidatura al Campidoglio nei giorni scorsi era circolato il nome dell’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Un esponente di spicco e figura nota per il ruolo che ha coperto fino a poche settimane fa. Eppure la situazione non è così semplice.

Perché secondo quanto riferisce Tpi sondaggi riservati che circolano al Nazareno circa la candidatura di Gualtieri non sono affatto buoni. L’ex ministro, come spiegano autorevoli fonti dem, sarebbe “molto al di sotto delle attese”. Un risultato negativo, questo, che fa ipotizzare una uscita di scena di Gualtieri. Un altro bel guaio per il Pd.

Il partito, però, si trova ad affrontare anche la questione segretario. Stando ad indiscrezioni riportate da Tpi la partita, però, potrebbe essere chiusa. “Renzi fa la mossa del cavallo? E noi rispondiamo col colpo del cartoccio”, avrebbero spiegato dalle parti dell’ormai ex segretario dem. Il nome che metterebbe molti d’accordo nel Pd sarebbe quello di Enrico Letta. L’ex premier è “autorevole, antirenziano, aperto alle alleanze coi 5 Stelle. Ha un ottimo rapporto con Zingaretti, lo ha pure votato alle primarie. È perfetto. Perfetto”.

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Le mosse di Enrico Letta per sminare le insidie nel Pd: durata, pienezza e contenuto del mandato

mercoledì, Marzo 10th, 2021

Fabio Martini

E’ ad un passo dal traguardo, intende superarlo, ma prima di accettare, Enrico Letta sta cercando di sminare tutte le insidie che lo attendono una volta diventato segretario del Pd su indicazione dei principali notabili del partito. In mattinata ha diffuso un tweet improntato alla sincerità: «Sono grato per la quantità di messaggi di incoraggiamento che sto ricevendo. Ho il Pd nel cuore e queste sollecitazioni toccano le corde più profonde. Ma questa inattesa accelerazione mi prende davvero alla sprovvista; avrò bisogno di 48 ore per riflettere bene. E poi decidere».  In effetti gli eventi sono precipitati velocemente: alcune delle principali personalità del Pd – Zingaretti e Franceschini in primis – altre fuori dall’orbita partitica – Prodi, Gentiloni – lo spingono ad accettare, altri si sono allineati, come Orlando e Bettini, ma Letta vuole chiarire tre aspetti: durata, pienezza e contenuto del mandato. 

Durata: Letta chiede che il congresso si tenga secondo il timing previsto dallo Statuto, nel 2023 e dunque che il suo sia un mandato pieno, non da “reggente” di fatto. E dunque chiede che nella sostanza sia confermata la linea politica portata avanti da Zingaretti (in particolare l’alleanza con i Cinque stelle, ma soprattutto un Pd sempre più di sinistra), una linea che invece la corrente di Base riformista ha chiesto di discutere attraverso un Congresso anticipato da svolgere entro l’anno.

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Piano vaccinazioni, si cambia. Arriva il modello israeliano, immunizzazione per fasce di età

mercoledì, Marzo 10th, 2021

Paolo Russo

Il Piano vaccini cambia di nuovo pelle. Vuoi per la decisione del Ministero della salute di qualche giorno fa che ha esteso agli over 65 l’uso del ritrovato di AstraZeneca, vuoi per l’accordo raggiunto dal Governo con le regioni che prevede di procedere a passo spedito con il metodo israeliano immunizzando per fasce di età, lo stesso dicastero di Speranza sta in queste ora mettendo a punto la terza versione del calendario vaccinale. Che si spera riesca una volta a mettere fine alla babele di regole regionali, che privilegiando questa o quella categoria ha finito per favorire i furbetti del vaccino. Il nuovo testo sarà presentato nel week end, rendono noto fonti di Palazzo Chigi, ma l’ossatura c’è già. Covid, Draghi: “Emergenza sanitaria in peggioramento, ma con vaccini via d’uscita non è lontana”

Prima di tutto bisognerà portare a termine l’immunizzazione degli ultraottantenni, che in tre casi su quattro devono ancora chiudere il cerchio con il richiamo. Per loro non ci sarà l’indicazione su quale antidoto utilizzare, ma tutte le regioni sono già partite con quelli di Pfizer e Moderna a Rna messaggero e con questi vaccini si finirà l’opera. Contestualmente, come richiesto dal ministro degli Affari regionali Maria Stella Gelmini, sarà la volta di disabili e loro caregiver, e delle persone che vivono in comunità.
Nello stesso tempo si andrà avanti con le prenotazioni dei due milioni di persone estremamente vulnerabili, già individuate nell’ultima versione del Piano vaccinale. Ossia pazienti affetti da forme particolarmente gravi di malattie respiratorie, neurologiche, diabete, fibrosi cistica, renali, epatiche, cerebrovascolari, onco ematologiche e emoglobinopatie, sindrome di Down, trapiantati, grandi obesi. Covid-19 e variante inglese, come proteggersi: i consigli dell’esperto

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Contratti pubblici, patto con Draghi: nei rinnovi 107 euro in più a dipendente e smart working

mercoledì, Marzo 10th, 2021

di Michelangelo Borrillo

«La pandemia e il piano di rilancio e resilienza richiedono nuove professionalità e nuove forme di lavoro. Nuove professionalità richiedono investimenti e nuove regole. Questo è quello che oggi stiamo cominciando: ci tengo a confronto e dialogo». Sono le parole con cui il premier Mario Draghi, nella sala verde di Palazzo Chigi, ha introdotto la firma del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale. Un patto firmato dal ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri che prevede il rinnovo del contratto (con 107 euro in più) e l’individuazione di una disciplina del lavoro agile (smart working) per via contrattuale.

Il settore pubblico «come motore» della società

«Innanzitutto — ha esordito Draghi nel suo discorso — grazie a tutti voi. Nel corso delle consultazioni ho avuto modo di esprimervi quanto tenga a questo confronto e a questo dialogo. Oggi è la prima occasione formale di incontro dopo la formazione del governo e vi ringrazio molto. Voglio ringraziare il ministro Brunetta, che ha preparato questo patto. Grazie ancora alle Confederazioni qui presenti. Il buon funzionamento del settore pubblico è al centro del buon funzionamento della società. Se il primo funziona, funziona anche la seconda. In caso contrario, la società diventa più fragile, più ingiusta. Per questo bisogna considerare questo ruolo centrale delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici. Questo è ancor più vero con la pandemia, se pensate alla capacità e al sacrificio dei medici, degli infermieri, degli insegnanti, delle forze dell’ordine, del personale degli enti territoriali e statali nel fornire i servizi essenziali». PUBBLICITÀ

Le risorse

La valorizzazione del personale

Il patto stabilisce che coesione sociale e creazione di buona occupazione saranno i pilastri di ogni riforma e di ogni investimento pubblico previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nello specifico, gli obiettivi sono quattro: riconoscere alla Pubblica amministrazione il ruolo centrale di motore di sviluppo e catalizzatore della ripresa perché la semplificazione dei processi e un massiccio investimento in capitale umano sono strumenti indispensabili per attenuare le disparità storiche del Paese, curare le ferite causate dalla pandemia e offrire risposte ai cittadini adeguate ai bisogni. In secondo luogo, assicurare la partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori nell’innovazione dei settori pubblici, sostenuta dagli investimenti in digitalizzazione e avviare, inoltre, una nuova stagione di relazioni sindacali che punti sul confronto con le organizzazioni delle lavoratrici e dei lavoratori e porti a compimento i rinnovi contrattuali del triennio 2019-2021. dipendenti pubblici

Valorizzare, infine, il personale pubblico in servizio e stabilire il diritto-dovere soggettivo di ogni pubblico dipendente alla formazione. Il personale pubblico, quindi, va valorizzato. E su questo Draghi, che ha fornito anche dei numeri, è stato chiaro: «A fronte della centralità del settore pubblico, con riferimento alla situazione attuale, c’è veramente molto da fare. Partiamo da due numeri: l’età media oggi dei dipendenti pubblici è di quasi 51 anni, mentre venti anni fa era di 43 anni e mezzo. Dal punto di vista demografico, quindi, per ragioni che trovano la loro radice in eventi anche lontani, c’è stato un progressivo indebolimento della struttura demografica della pubblica amministrazione».

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