Archive for Marzo 11th, 2021

Covid, a Bologna è boom di contagi: «La gente è sfinita»

giovedì, Marzo 11th, 2021

di Marco Imarisio, inviato a Bologna

Chissà domani, su che cosa metteremo le mani. In via D’Azeglio le luminarie con i versi di una delle canzoni più belle di Lucio Dalla sono sempre accese. Con la fatica che si fa ad immaginare un futuro qualunque e con il bisogno di consolazione che tutti ci portiamo addosso, anche solo guardarle è qualcosa che un po’ scalda il cuore. Alle 17 di un mercoledì di marzo ci passano sotto in tanti. E ci si sente quasi in colpa a pensare che forse sono troppi, per una città in zona rossa da una settimana, che pure fatica a contenere contagi al settanta per cento attribuibili alla variante inglese, una città assediata che si trova nel centro della regione più colpita da questa terza fase del virus, dove il direttore generale della Ausl Paolo Bordon chiede aiuto dicendo che i posti letto non bastano più, e per destinarne di nuovi al Covid servono anche nuovi medici, anestesisti e infermieri. Non importa come, non importa da dove. Perché le altre ondate, dice, «erano niente in confronto a questa».

Piazza Maggiore

Eppure, è così. Sarebbe facile, incrociare situazioni in distonia tra loro. Da una parte le giovani universitarie sedute sui gradini di piazza Maggiore che chiacchierano tra loro con il drink in mano. Dall’altra le notizie dei ricoveri sospesi in tutti gli ospedali cittadini, e il punto nascita di Bentivoglio convertito alla lotta contro il male, e bollettini affatto tranquillizzanti, una media di contagi che dal primo al 7 marzo è stata di 538 su centomila abitanti, con Rt schizzato anche sopra quota 1,30. Sono dati da prima ondata. Anche se ogni paragone con il passato recente appare improponibile. Nel giro di un anno è cambiato tutto, la nostra testa, il modo di intendere serrate più o meno dichiarate, la percezione collettiva del male, il suo modo di colpire. Bologna non è un caso atipico. È solo che tutto è diventato più difficile, anche resistere in una città dotta per antica definizione e civile per pratica quotidiana. «Non c’è alcun rilassamento rispetto alle misure che abbiamo preso, ma è vero che c’è uno sfinimento collettivo». Ogni sera Giuliano Barigazzi esce dal suo ufficio di Palazzo d’Accursio, dove lavora come assessore alla Sanità, e si fa un giro nel centro, lungo le zone dell’aperitivo e dei potenziali assembramenti. «Piuttosto, è vero che questo andare e venire di colori sta sfibrando le persone. La gente non ne può più, è allo stremo delle forze. Una chiusura totale come avvenne la scorsa primavera non sarebbe immaginabile oggi. Non solo per le eventuali conseguenze economiche, ma per quelle sociali. Crollerebbe tutto». Durante il febbraio appena trascorso c’era il sole e il sistema a semaforo segnava giallo. «Stiamo pagando le conseguenze di quei giorni di semilibertà?» si chiede Barigazzi. «Può essere. Ma non biasimo nessuno, né qui né a Roma, intesa come governo. Ormai bisogna tenere conto di come siamo diventati, della natura umana. L’assenza di una strada chiara per uscire da questo incubo ci sta spegnendo dentro».

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Pd, Letta prepara la svolta: rivedere il patto con M5S. E nelle città candidati diversi

giovedì, Marzo 11th, 2021

di Mario Ajello

Bisogna risolvere la questione dei tempi del congresso. Gli ex renziani di Base riformista lo vogliono il prima possibile dopo il voto comunale di ottobre, ossia non intendono affidarsi mani e piedi all’Enrico. Dopo di che, la via di Letta per la leadership del Pd sembra assai percorribile. Oggi o al massimo domani lui scioglie la riserva. I segnali che manda sono di disponibilità: «L’importante è che non ci sia finta unanimità. Capisco i dubbi ed è bene che tutti si chiariscano così si potrà lavorare meglio». Intanto, da Franceschini a Zingaretti, da Zanda a Orlando ai Giovani Turchi di Orfini e Verducci e a tutti gli altri (per esempio Amendola che è sempre in contatto con l’amico Letta), è per lo più un coro da «Enrico ti aspettiamo» (dalla Picierno in giù e in su sui social e tra i parlamentari) e quanto è «autorevole» Enrico e «con lui i signori della guerra deporranno le armi». Di sicuro, dicono i suoi, le deporrà lui: non disposto a «fare vendette» sui nemici di prima perché vuole andare avanti tutti insieme. Anche se qualche renziano teme il repulisti.
IDENTIKIT
Già ci si interroga: quale sarà il nuovo identikit del partito di Letta e lui alcune idee chiare sembra avercele. Con Conte ha un buon rapporto personale – si è schierato con lui e contro la «follia» di Renzi nei giorni della crisi di governo – ma la modalità rispetto al leader dei 5Stelle sarà quella della competition is competition. Nessun appiattimento sul grillismo, nessuna subalternità anche ridicola come quella che s’è vista finora per cui Conte era considerato dagli zingarettiani «il punto di riferimento dei progressisti» e il grande federatore del dem-grillismo. Macché: Conte nell’ottica di Letta ora guida un partito alleato ma rivale che con Giuseppi designato leader ha già tolto il 5 per cento dei voti al Pd nei sondaggi e lo ha precipitato al quarto posto. Dunque, sarà gara con i pentastellati. Anche perché, se a Letta ormai considerato «il Draghi del Pd» dovesse andare tutto bene – dal voto amministrativo all’elezione per il Colle, dall’investitura a leader tra primarie e congresso – la sfida per le politiche del 2023, o anche prima, avrà due candidati premier contrapposti: lui e Conte. Nel frattempo, lo schema dell’alleanza rosso-gialla nel voto per le città, schema caro a Zingaretti, verrà rivisto così: andare con candidati separati al primo turno (Roma naturalmente è il caso simbolo) per poi convergere semmai al ballottaggio e dunque il Pd farà attenzione a schierare personalità non troppo indigeste all’elettorato grillino.

TRASFORMAZIONE
Il patto con M5S andrà riscritto dunque. «Ci si rapporterà da potenza a potenza, ma la potenza più forte dobbiamo essere assolutamente noi». Così dicono dalle parti di Letta, che ha come consigliere politico in campo, uno dei pochi amici che nel 2014 non lo tradì: Marco Meloni, ex parlamentare, rottamato al tempo del renzismo.

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Lockdown-Dpcm, più facile passare in zona rossa e arancio. Pasqua, stretta come a Natale

giovedì, Marzo 11th, 2021

di Marco Conti

Si ascolta, si valuta e poi si decide in Consiglio dei ministri, magari con un decreto legge, quali misure in più servono per arginare la pandemia. Nessuna decisione è uscita dalla cabina di regia di ieri pomeriggio. L’appuntamento per la nuova stretta è per domani. Regole per tutti, salvaguardando però il meccanismo delle fasce, ma con un automatismi in più che permetteranno di decretare più facilmente zone rosse e arancioni. Criteri che entreranno in vigore dalla prossima settimana, anche per dare tempo a tutti di organizzarsi. Soprattutto a ristoranti e bar ed esercizi commerciali che rischiano di pagare il prezzo più alto.

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Si può dare per certo che per entrare nella fascia più a rischio, la rossa, si adotterà il sistema della chiusure per i territori che avranno più di 250 contagi ogni 100 mila abitanti. Un criterio già in atto ma che scatterà in automatico, e non più a discrezione del presidente di regione, provocando l’immediato passaggio – dopo sette giorni di continuo sforamento – in zona rossa. Si attendono invece altri dati dall’Istituto Superiore di Sanità per valutare se e come inasprire i criteri per restare in zona gialla. 

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La riunione della cabina di regia convocata da Mario Draghi ieri era particolarmente affollata. C’erano, oltre al presidente del Consiglio, il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, i ministri Mariastella Gelmini, Dario Franceschini, Elena Bonetti, Giancarlo Giorgetti, Roberto Speranza, Daniele Franco e Stefano Patuanelli, il Segretario generale di Palazzo Chigi Roberto Chieppa, il Capo di Gabinetto Antonio Funiciello, il presidente dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro e il direttore del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli.

Gli scienziati continuano a chiedere di innalzare le misure. Lo ha chiesto il Cts nel parere fornito al ministero della Salute, e lo hanno ripetuto durante la riunione Brusaferro e Locatelli secondo i quali vanno inasprite le restrizioni anche nelle zone gialle per limitare il più possibile gli spostamenti. Anche senza ulteriori restrizioni, con i nuovi dati del monitoraggio settimanale l’Italia è destinata tutta, o quasi, a finire in zona rossa o arancione già dalla prossima settimana.

Se si escludono Sicilia, Sardegna e Valle d’Aosta, la curva epidemiologica fotografa un peggioramento specie al Nord, ma in sofferenza sono anche le terapie intensive delle regioni meridionali. Tutti i ministri nella riunione hanno preso atto della situazione critica, ma nella discussione si è riproposta la divisione tra rigoristi e aperturisti. Ovvero Speranza, Franceschini e Patuanelli da una parte e Giorgetti, Bonetti e Gelmini dalla parte opposta. I primi (Leu, Pd e M5S) favorevoli ad una sorta di chiusura nazionale, mentre i secondi (Lega, Iv e FI) continuano a puntare sul meccanismo delle fasce limitandosi a dire sì all’inasprimento del criterio automatico della zona rossa se si superano in sette giorni i 250 contagi ogni 100 mila abitanti. 

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