Archive for Aprile, 2021

Il pianeta ha lanciato l’ultimo appello: rigenerazione o estinzione

giovedì, Aprile 22nd, 2021

CARLO PETRINI

Ogni anno in questo giorno di primavera si celebra la Giornata Mondiale della Terra. Una ricorrenza che ci ricorda di avere cura e attenzione per il pianeta che ci ospita, e che quest’anno mi piacerebbe fosse accompagnata anche da un sentimento di rigenerazione. Mi trovo infatti d’accordo con quella componente sempre più ampia del mondo scientifico, che sostiene che lo scatenarsi della pandemia, sia stata una sorta di risposta biologica con cui la nostra Terra Madre ha tentato di aprirci gli occhi sulle conseguenze del nostro sistema consumista, sulla profonda interconnessione del tutto e sulla comunione di destino a cui nessuno può sottrarsi. Ecco quindi che il fiorire della natura circostante, dovrebbe andare di pari passo con lo sbocciare nelle menti di nuovi valori e comportamenti che accolgano l’appello del pianeta e affrontino le problematiche che ci attendono.

Risponderemo al cambiamento climatico con coerenza e rapidità? Realizzeremo un modello di sviluppo rigenerativo? Dismetteremo l’attuale sistema agricolo dipendente da input chimici e ad alto consumo di energie per praticare invece un’agricoltura attenta alle risorse, alla biodiversità e agli ecosistemi? Adotteremo stili alimentari consapevoli, che ad esempio scelgono la carne con meno frequenza e con più attenzione? Creeremo una società più giusta?

Possediamo le conoscenze per agire in questo senso, ora dobbiamo avere anche la volontà di tramutarle in azioni. La storia e i fatti che stiamo vivendo ci dimostrano in modo chiaro che il vecchio paradigma basato su competitività e profitto è obsoleto. La prosperità infatti è vera solo se inclusiva. Ecco quindi che d’ora in avanti la strada per un futuro non solo felice, ma anche possibile, è quella in cui cooperazione, dialogo e beni comuni sono le direttrici da seguire. Solo così potremo davvero porre al centro la dignità umana e la salute del pianeta.

Lasciatemi ora fare alcuni esempi affinché le mie non sembrino parole al vento, ma istanze concrete che dovranno diventare sempre più numerose. Negli ultimi anni sono aumentati i mercati contadini, i gruppi di acquisto e altre forme di distribuzione alternative a quella organizzata, che hanno favorito la creazione di relazioni e momenti di dialogo tra produttori e consumatori, con un maggior guadagno per i primi e un costo pressoché invariato per i secondi, ma con una merce più fresca, di stagione che non ha percorso innumerevoli chilometri.

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Ora l’Europa ha bisogno di visione e ambizione

giovedì, Aprile 22nd, 2021

di Federico Fubini

La pandemia ha distrutto un milione di posti in Italia, sei volte tanti in Europa e dieci milioni negli Stati Uniti, ma non tutti stanno soffrendo allo stesso modo. Certi settori si sono adattati così bene che anche dopo faranno sicuramente tesoro di ciò che hanno imparato questi mesi. Le grandi case di moda per esempio tengono chiusi i loro negozi nei centri urbani e fuori di lì, tutto intorno, è una desolazione; ma dentro gli addetti ci sono tutti, sono ben vestiti e fanno orario pieno: mostrano borse e scarpe ai clienti in videochiamata da cellulare e poi fanno spedire a casa la merce che quelli ordinano. Alcuni grandi gruppi del lusso veleggiano già del 20% sopra i livelli di vendite di prima della pandemia (un anno d’oro dei mercati finanziari ha aumentato il potere d’acquisto dei loro clienti) e intanto hanno sviluppato una modalità ibrida — metà digitale, metà personale — per aumentare i ricavi da ogni commesso e da ogni metro quadro di negozio. Gli economisti li chiamano aumenti di produttività. Dal punto di vista di un funzionario di Shanghai o di un petroliere del Golfo, è la scoperta di un nuovo potere personale: comprare una cravatta in via della Spiga a Milano restando sul sofà di casa propria. Dopo Covid non ci rinunceranno.

Anche in altri settori la pandemia segna un’accelerazione dei processi. Nei primi tre mesi di quest’anno le fusioni fra imprese nel mondo hanno mosso 1.300 miliardi di dollari — record da quarant’anni — anche perché la pandemia ha insegnato ai manager a lavorare in modo diverso. «Con le videoconferenze puoi fare tre o quattro riunioni al giorno senza dover viaggiare — ha detto al Financial Timesun esperto delle fusioni di Bank of America — e chi prende le decisioni finali può partecipare».

Con il lavoro da casa, tante grandi aziende hanno sviluppato norme che le rendono più produttive: le riunioni su Zoom diventano coreografie dai tempi serrati e scanditi, ogni minuto usato al meglio. La pandemia ha moltiplicato il potere della tecnologia e di chi sa usarla. Ha reso il capitalismo più intraprendente di prima. Non lo ha depresso.

Questi esempi e altri hanno tuttavia un punto in comune: riguardano la parte alta dell’economia. Non gli ultimi o i penultimi. Al massimo riguardano alcuni fra coloro che sono nel mezzo, gli addetti dei laboratori di pelle in Toscana o in Veneto che forniscono le case di moda. Ma la stessa forma della recessione dà un’idea del tipo di ripresa che stiamo per avere. Gian Maria Milesi-Ferretti di Brookings Institutions di Washington nota che negli Stati Uniti l’occupazione nel 2020 è crollata tre volte più dell’attività economica, segno che i posti bruciati da Covid sono quelli meno pagati. Anche in Italia è andata così: si sono salvati gli istruiti e i protetti, non gli altri. E per questi ultimi le condizioni di rientro nel mondo del lavoro potrebbero essere ancora più precarie di prima: da ex cameriere di un ristorante che non riaprirà a rider, per esempio.

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Nuovo decreto, la Lega si astiene. Draghi: «Fatto grave che fatico a comprendere»

giovedì, Aprile 22nd, 2021

di Monica Guerzoni

Nuovo decreto, la Lega si astiene. Draghi: «Fatto grave che fatico a comprendere»

ANSA

Così gelido e irritato, i ministri non lo avevano ancora mai visto. Mario Draghi non si aspettava lo strappo della Lega sul decreto Covid e ne ha subito colto la portata politica. «È un fatto grave», ha commentato il presidente del Consiglio a riunione ancora in corso. Durante l’ultima cabina di regia il capodelegazione Giancarlo Giorgetti aveva garantito il voto a favore del Carroccio e invece, per dirla con la sintesi di un ministro, «poi Salvini ha forzato e si sono astenuti». Un partito di maggioranza che non vota un provvedimento chiave per la vita sociale ed economica del Paese è un passaggio che rischia di destabilizzare la maggioranza. Draghi non lo aveva messo nel conto, tanto che venerdì, nell’ultima conferenza stampa, aveva assicurato che lui non ha bisogno di lanciare appelli all’unità, perché in Consiglio dei ministri «c’è sintonia». In cinque giorni il clima è cambiato. L’sms con cui Salvini annunciava a Draghi che la Lega «non può votare questo decreto» perché «troppo punitivo» su ristoranti, palestre e piscine, non ha sortito gli effetti sperati. Le tensioni tra i partiti e le divisioni all’interno della Lega si sono riversate sugli incontri di Palazzo Chigi.

Se il Cdm è iniziato con un’ora di ritardo è perché Draghi si è chiuso in una pre-riunione con i capi delegazione Giorgetti, Gelmini, Franceschini, Speranza, Bonetti. Mentre Salvini, da fuori, continuava ad alzare la voce, il premier provava a ritrovare quella unanimità con cui la cabina di regia aveva approvato la bozza del decreto. «In questi giorni abbiamo visto tante richieste, anche di segno opposto — esordisce Draghi —. Ci sono scienziati che ci rimproverano di aver aperto troppo e chi invece chi chiede di fare di più. Ma se abbiamo spiegato le riaperture come un rischio ragionato, non possiamo già rimettere tutto in discussione». Dove il «tutto» in sostanza è l’orario del coprifuoco, che Lega, Forza Italia, Italia Viva e governatori delle Regioni volevano spostare alle 23. Il premier si oppone con forza e chiede ai rappresentanti dei partiti di «riconfermare lo schema dell’accordo».

Giorgetti era pronto a votare il provvedimento. Ma al momento di entrare in Cdm la delegazione leghista prende tempo e resta fuori dalla porta.

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Coprifuoco, spostamenti, ristoranti: le regole del nuovo decreto Draghi, in vigore da lunedì 26 aprile

giovedì, Aprile 22nd, 2021

di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini

Coprifuoco, spostamenti, ristoranti: le regole del nuovo decreto Draghi, in vigore da lunedì 26 aprile

Il governo ha approvato il nuovo decreto che fissa il calendario delle riaperture a partire dal 26 aprile e sarà in vigore fino al 31 luglio. Il coprifuoco è confermato alle 22. Nel provvedimento non viene fissata una data di scadenza, ma è stato chiarito che le misure saranno riesaminate in base all’andamento della curva epidemiologica e dunque è possibile che anche questo limite orario venga rivisto già alla fine di maggio. È stato prorogato lo stato di emergenza che consente il lavoro in smart working e la procedura d’urgenza per numerosi adempimenti, compresi quelli relativi alla campagna vaccinale.

Spostamenti: liberi, con il «pass» o l’autocertificazione

Dal 26 aprile spostamenti liberi tra le regioni in fascia gialla. Per muoversi tra regioni arancioni o rosse per motivi di lavoro, salute e urgenza basterà l’autocertificazione. Per spostarsi tra regioni arancioni o rosse per turismo, invece, sarà necessaria la certificazione verde. Il «pass» per i vaccinati vale sei mesi ed è rilasciato dalla struttura sanitaria. Anche per chi è guarito dal Covid-19 vale sei mesi: è rilasciato dalla struttura presso la quale è avvenuto il ricovero del paziente, dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta. Per chi ha effettuato il tampone antigenico o molecolare, che vale 48 ore, il «pass» è rilasciato dalle strutture sanitarie pubbliche, private autorizzate e dalle farmacie.

Ristoranti e bar: a pranzo o a cena, ma solo all’aperto

Dal 26 aprile in zona gialla riaprono i ristoranti e i bar a pranzo e a cena, ma soltanto all’aperto. Si potrà stare soltanto seduti al tavolo, massimo quattro persone, a meno che non si tratti di conviventi. La distanza è fissata a un metro. Dal primo giugno — soltanto in zona gialla — i ristoranti potranno restare aperti anche al chiuso dalle 5 alle 18. Si potrà stare soltanto seduti al tavolo, massimo quattro persone, a meno che non si tratti di conviventi. In zona arancione e rossa, invece, bar e ristoranti sono chiusi. Rimane consentito l’asporto di cibo e bevande fino alle 18 dai bar e fino alle 22 da enoteche, vinerie e ristoranti. È sempre consentita la consegna a domicilio di cibo e bevande.

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Caso Grillo, Bongiorno: «Porterò dai pm il video di Beppe Grillo, è un boomerang per il figlio e gli altri ragazzi»

mercoledì, Aprile 21st, 2021

di Giusi Fasano

Caso Grillo, Bongiorno: «Porterò dai pm il video di Beppe Grillo, è un boomerang per il figlio e gli altri ragazzi»

Questa storia non è il video di Grillo. Non sono le sue parole urlate alla telecamera. Non il suo dramma di padre. È prima di tutto la storia di una ragazza di 19 anni che racconta di aver subito una violenza sessuale e davanti a quella parola — stupro — rovesciare la prospettiva è un dovere. Quindi. C’è una ragazza (in realtà sono due, anche se dell’altra non si parla mai) che racconta al mondo di essere stata violentata. E ci sono quattro ragazzi che invece sostengono che non c’è stata nessuna violenza, che lei «ci stava», per essere chiari. È tutto lì il discrimine, nel concetto di una donna che «ci sta», che «era consenziente», che «ha denunciato dopo otto giorni…strano». E poi, dice Grillo, «c’è un video e si vede il gruppo che ride», che «sono ragazzi che si stanno divertendo», che «sono in mutande, saltellano col pisello così perché sono quattro coglioni, non quattro stupratori».

E se invece la ragazza sta dicendo la verità? Come può sentirsi la vittima di uno stupro se per ore e ore – ormai da due giorni – vede la sua storia su ogni sito, su ogni telegiornale, su ogni talk show, su ogni giornale, raccontata da un uomo che, in sostanza le dà della bugiarda? Giulia Bongiorno, l’avvocata che la difende, parla di «dolore amplificato», di notte senza sonno, di «lacrime e disperazione», e dice che «la famiglia della ragazza è totalmente distrutta». Rivela una quantità infinita di richieste di interviste ma «hanno scelto il silenzio», giura, anche se il video di Grillo – già dirompente il primo giorno – ha creato ancora più tempesta ieri.

«Quel video è un boomerang per il figlio e gli altri ragazzi», si è spinta a dire. «Ha ridicolizzato i fatti, una tipica strategia difensiva: si riduce in briciole un fatto in modo tale che sembri irrilevante. Ora mi aspetto un video in cui si dirà: beh, allora che sono venute a fare in Sardegna? È una strategia che tende a sostituire i ruoli processuali: le ragazze diventano imputate». Per entrare nel merito delle accuse dice che «il fascicolo penale è ricco di documenti, foto, video, chat. I fatti da valutare saranno tanti». Non sarà né un padre né la pubblica opinione a stabilire da che parte sta la ragione. Certo, al di là del video di cui parla Grillo, l’indagine deve essere stata complessa se la procura di Tempio Pausania ha chiuso l’inchiesta dopo più di un anno. Un capo di imputazione che dice cose tipo: «Costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno», «afferrata per la testa e costretta a bere mezza bottiglia di vodka», «costretta ad avere rapporti di gruppo» dagli indagati che hanno potuto contare sulle «sue condizioni di inferiorità fisica e psichica».

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La regina Elisabetta, 95 anni senza il suo Filippo. Harry è tornato in Usa da Meghan.

mercoledì, Aprile 21st, 2021

Londra, 21 aprile 2021 – E’ il compleanno più triste, per la Regina Elisabetta: 95 anni e per la prima volta – negli ultimi 73 anni – non può festeggiare con il marito Filippo al suo fianco, visto che il Principe è morto il 9 aprile all’età di 99 anni. E non ci sarà neppure il nipote ribelle Harry.
Di solito la regina trascorreva il giorno del compleanno nell’intimità familiare: i festeggiamenti ufficiali  si tengono tradizionalmente nel mese di giugno (quando si spera nel bel tempo) con la parata Trooping the Colour.  

Compleanno a Frogmore

Fonti vicine al Palazzo hanno fatto sapere che Elisabetta anche oggi non mancherà, come fa ogni giorno, di mettersi personalmente al volante della sua auto per raggiungere Frogmore, una delle parti preferite della tenuta di Windsor, per portare a spasso i suoi nuovi cuccioli, Fergus, un dorgi e il corgi Muick. È lì che è andata anche nei giorni scorsi, secondo il Mail, per cercare conforto in un idilliaco paesaggio dove i ciliegi sono ancora in fiore e i fiori primaverili adornano le rive di ridenti laghetti. È questo tipo di routine che, dicono le fonti, aiuterà la sovrana a fare i conti con il resto della sua vita senza il duca di Edimburgo.

Harry è tornato da Meghan

Oltretutto al compleanno, seppur in tono minore, non ci sarà neanche il nipote Harry, tornato negli Stati Uniti dalla moglie Meghan Markle, in avanzato stato di gravidanza, e dal figlioletto Archie. Non ha proprio voluto fermarsi qualche giorno di più, dopo essere volato la settimana scorsa nel Regno Unito per i funerali del nonno. 
Nei giorni scorsi sulla stampa britannica erano apparse indiscrezioni che avrebbe rinviato il rientro in California, anche alla luce del colloquio di due ore avuto con il fratello maggiore William e il padre Carlo, il primo faccia a faccia dopo la scioccante intervista concessa a Oprah Winfrey, ma il Daily Mail ha fotografato il suo arrivo nella villa a Montecito, in California, dove vive con la famiglia. 

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l golpe fallisce. Ma il vecchio calcio è finito

mercoledì, Aprile 21st, 2021

di MICHELE BRAMBILLA

L’altra sera mio figlio Martino, vent’anni, mi ha chiesto che cosa pensassi della Superlega che qualcuno vorrebbe ora far nascere nel calcio. Gli ho risposto nel modo seguente.
Ho avuto la tua età, caro Martino, in un mondo in cui tutti pensavamo che alcune cose fossero eterne: la Dc e il Pci, il Muro di Berlino, il Papa che resta Papa fino alla morte. Ho cominciato a fare il giornalista battendo i polpastrelli sulla tastiera di pesantissime macchine per scrivere: già la Lettera 22, portatile, sembrava un audace prodigio della tecnica. Si scriveva un pezzo anche grazie a una mezza dozzina di Marlboro. Quando arrivarono i computer e il divieto di fumo, molti di noi dissero: il mestiere è finito.

I giornali erano composti con il piombo e l’informazione era affidata quasi esclusivamente alla carta. Di telegiornali ce n’era uno solo, alle otto della sera, sull’unico canale esistente, il Nazionale. Quando arrivarono il secondo e il terzo canale pensammo a un progresso. Ma quando arrivarono le tv commerciali ci dicemmo che la tv non era più quella di una volta. Poi è arrivata la pay tv e abbiamo detto: la tv generalista è morta. Oggi vediamo Netflix sullo smartphone e diciamo: la tv è morta. Perché con lo smartphone si fa quasi tutto, e quindi diciamo che pure il cellulare – fantascienza solo l’altro ieri – è già morto. Quando arrivarono i supermercati dicemmo: i negozi sono morti. Oggi c’è Amazon e diciamo: i supermercati sono morti.

E così è cambiato il calcio. Quando, nel 1964, si disputò l’unico spareggio per lo scudetto, la Rai ce lo fece vedere solo alle 22,25 e nel palinsesto annunciato non c’erano neanche i nomi di Bologna e Inter: solo “cronaca registrata di un avvenimento agonistico”. Ancora negli anni Settanta seguivamo le partite la domenica pomeriggio alla radio, a “Tutto il calcio minuto per minuto”: ma solo a partire dal secondo tempo. Alle ore 19 la tv di Stato comunicava tutti i risultati tranne uno, quello della partita di cui sarebbe stata poco dopo trasmessa la registrazione di un tempo. Di ogni squadra di quell’epoca ricordiamo ancor oggi a memoria le formazioni, perché i numeri andavano dall’1 all’11 e giocavano sempre, più o meno, gli stessi.

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La macchiolina

mercoledì, Aprile 21st, 2021

Mattia Feltri

Non so se ricordate la scena di Schindler’s List in cui il comandante di Auschwitz controlla la vasca da bagno davanti allo schiavo che gliel’ha pulita, un ragazzino ebreo terrorizzato. Cerca qui, cerca là, finché una macchiolina non la trova. Oskar Schindler l’aveva convinto – furbescamente, per salvare qualche sventurato – della differenza fra Dio e gli uomini, non tanto nel diritto divino di disporre della vita e della morte, ma nella facoltà di perdonare. Così il comandante indica la macchiolina e al ragazzino raggelato glielo dice: io ti perdono. Mi sembra perfetto a proposito della messa sotto accusa di Jane Austen da parte della direttrice del Museo di Jane Austen. E già qui siamo ascesi a vette altissime: la custode della memoria di Jane Austen che pone in dubbio la memoria di Jane Austen. Ma ancora non ne conoscete le ragioni.

Il padre di Jane era un reverendo e l’amministratore d’una piantagione di zucchero di Antigua. Insomma, un colonialista. Per molto meno si sono abbattute statue, quindi siamo nell’ordinario dell’ossessione. Ma Jane che c’entra? Eh, c’entra perché beveva tè, l’infuso sul cui commercio l’Inghilterra ha fondato buona parte dello sfruttamento degli indigeni.

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Il museo di Jane Austen mette sotto accusa Jane Austen

mercoledì, Aprile 21st, 2021
Ritratto di Jane Austen
Ritratto di Jane Austen (1775-1817)

È una verità universalmente riconosciuta che le distese del politicamente corretto possono essere ampie e sconfinate. Così può accadere che il museo dedicato a Jane Austen voglia indagare la stessa Jane Austen con l’intento di approfondirne i presunti legami col contesto coloniale. In altre parole, è in corso “un’indagine” per capire se la scrittrice sia colpevole di aver fatto uso di tè, zucchero e cotone, considerati “prodotti dell’impero”. 

Lizzie Dunford, direttrice Jane Austen’s House Museum di Chawton, ha riferito al Telegraph la volontà di mettere in luce aspetti poco discussi della storia personale della scrittrice. Per esempio – viene evidenziato – il padre di Austen, il Reverendo George, oltre che pastore di una parrocchia locale fu amministratore di una piantagione di zucchero di Antigua. “La tratta degli schiavi e le conseguenze del colonialismo dell’era regency toccarono ogni famiglia possedesse mezzi economici durante quel periodo. La famiglia di Jane Austen non fece eccezione”, ha affermato la direttrice del museo. Dunford ha proseguito evidenziando che “in quanto acquirenti di tè, zucchero e cotone, gli Austen erano consumatori dei prodotti del commercio coloniale, con cui avevano legami anche più stretti tramite famiglia e amici”.

È stato dunque reso noto che tali circostanze saranno evidenziate con apposite indicazioni installate presso il Jane Austen’s House Museum, nell’ambito di un “processo costante e ponderato” di indagine storica sull’autrice. L’annuncio, ça va sans dire, ha scatenato subito polemiche. C’è chi ha definito l’iniziativa una “follia”, affermando che il museo sarebbe caduto vittima degli eccessi della cultura woke. 

L’istituzione austeniana non è sola. Durante l’ultimo anno, l’ondata di proteste di Black Lives Matter ha portato diverse organizzazioni storiche e di alto profilo a “rivalutare” eventuali legami con schiavitù e razzismo. Tanto che il governo del Regno Unito, lo scorso settembre, ha inviato una lettera a 26 musei che ricevono finanziamenti pubblici per imporre lo stop alle rimozioni di statue ritenute controverse. La missiva, pubblicata dal Telegraph, porta la firma del segretario di stato alla Cultura, Oliver Dowden, e sottolinea: “Il governo non supporta la rimozione di statue o oggetti similari. La storia comporta complessità morale. Le statue e altri oggetti storici sono stati creati da generazioni con diversi punti di visita e diversi modi di comprendere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Alcune rappresentano figure che hanno detto o fatto cose che oggi potremmo ritenere profondamente offensive, e che non difenderemmo”. “Anche se”, continua la lettera, “oggi potremmo non essere d’accordo con coloro che hanno creato quegli oggetti o con coloro che quegli oggetti rappresentano, gli stessi rivestono comunque un ruolo importante per insegnarci il nostro passato, con tutti i suoi errori”. 

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La grana per Draghi sono i licenziamenti, non il Recovery. Asse sindacati-5s

mercoledì, Aprile 21st, 2021

La questione era stata chiusa due settimane fa. E l’aveva chiusa Mario Draghi, che in conferenza stampa aveva parlato di “una posizione nota” sui licenziamenti. Sblocco in due tempi: per le grandi aziende dal primo luglio, per le più piccole da fine ottobre. Mario Draghi oggi, 20 aprile. All’ora di pranzo i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil si presentano a palazzo Chigi, convocati per parlare di Recovery e dei temi economici in agenda. La richiesta: niente licenziamenti dal primo luglio. Il premier rimanda all’incontro che il ministro del Lavoro Andrea Orlando terrà proprio con i sindacati domani. Non risponde né sì né no. Dice però una cosa tutt’altro che secondaria: “La discussione avverrà in quella sede”. Non è uno scaricabarile su Orlando, ma la consapevolezza che la questione è tutt’altro che chiusa. Bisognerà ancora mediare. Il dato nuovo, che scompiglia ancora di più la situazione, è però un altro: sono i 5 stelle, cioè un pezzo del Governo, a chiedere una nuova proroga del blocco dei licenziamenti. 

Perché lo schema sui licenziamenti potrebbe cambiare nuovamente non è una questione che riguarda solo l’idea di Draghi. Il premier – assicurano fonti di palazzo Chigi – la pensa sempre allo stesso modo e cioè che il blocco dei licenziamenti, in vigore da fine febbraio dell’anno scorso, non può durare all’infinito. E – proseguono le fonti – la decisione assunta con il decreto Sostegni di marzo non può essere messa in discussione dopo appena un mese. Ma Draghi sa che a contare è anche quello che dice la maggioranza che sostiene il Governo. E questa volta i 5 stelle, da sempre più attivi nella richiesta della proroga del blocco, si sono mossi con largo anticipo. Non con veline o ragionamenti tenuti all’oscuro del dibattito pubblico. Ma in Parlamento. Più di un emendamento al decreto Sostegni, all’esame del Senato, prevede un’ulteriore proroga dello stop ai licenziamenti: per tutte le aziende fino al 31 ottobre e fino al 31 dicembre per quei datori di lavoro che hanno accesso alla cassa integrazione in deroga e all’assegno ordinario e che non hanno usufruito delle 28 settimane previste per la prima delle due forme di ammortizzatore sociale. Altro non sono che le aziende più piccole e più fragili. Tutte queste proposte di modifica hanno la firma dei 5 stelle. La prima firma è di una figura di peso del Movimento: l’ex ministro del Lavoro Nunzia Catalfo. 

I grillini si muovono in Parlamento e lanciano un segnale a Draghi. Ma il pressing sul presidente del Consiglio ha anche un’altra matrice e soprattutto un possibile sviluppo differente. I sindacati premono per allungare il blocco dei licenziamenti fino alla fine dello stato di emergenza che il Governo si appresta a prorogare fino al 31 luglio. Una strategia in linea con quella portata avanti fino ad ora e cioè affiancare lo stop dei licenziamenti all’emergenza sanitaria. Il leader della Cgil Maurizio Landini ha ricordato a Draghi che dal primo luglio ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro a rischio nell’industria e nel settore delle costruzioni. E ha aggiunto un’altra questione, parallela a quella dei licenziamenti e allo stesso tempo seconda gamba della strategia dei sindacati: la riforma degli ammortizzatori sociali. Sono circa 3 milioni i lavoratori che prima della pandemia non avevano una protezione. Anche se non contemporaneamente – è il pensiero di Cgil, Cisl e Uil – questi lavoratori potrebbero ritrovarsi senza lavoro e senza un ammortizzatore sociale. Riassumendo: prima la riforma degli ammortizzatori, poi lo sblocco dei licenziamenti per i lavoratori delle imprese più piccole. 

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