Archive for Aprile, 2021

Vaccino, Garattini: «È più probabile morire cadendo dal letto, timori sono sproporzionati»

mercoledì, Aprile 14th, 2021

di Mario Ajello

Grande scienziato, uno dei maestri della farmacologia in Italia: Silvio Garattini
Professore, dopo tutta la bufera su AstraZeneca, e i danni che le polemiche hanno creato sull’andamento della campagna vaccinale, ora la stessa storia con Johnson&Johnson?
«E’ sconfortante. In un momento delicato come questo, in cui serve accelerare il più possibile ovviamente in sicurezza il numero delle persone vaccinate, per un numero di casi infinitesimale e tutti da verificare di vaccini che possono aver dato qualche problema si rischia di mandare all’aria l’unica politica adatta a fermare il virus. Che è quella della somministrazione del siero. Sei casi problematici su 7 milioni di vaccinati con Johnsons&Johnson stanno scatenando una paura assolutamente sproporzionata. E che le autorità americane, in collegamento con l’Ema devono saper affrontare bene, sennò la psicosi cresce in maniera incotrollabile». 

Affrontare come? 
«Informando, informando, informando. Serve un’informazione capillare, meticolosa, continua, nel nostro Paese e in tutti gli altri, che dica sulla base dell’evidenza scientifica che i benefici dei vaccini sono immensamente maggiori rispetto alle criticità limitatissime che, come per ogni farmaco, compresa l’aspirina, anche i vaccini possono avere. La vicenda AstraZeneca, con tutte le richieste di disdette di quel vaccino che stiamo vedendo nelle varie regioni, speravo restasse un fatto isolato. Invece, rieccoci da capo. Con le accuse, sempre legate a eventuali problemi di trombosi, sul vaccino americano. Ma lei lo sa che volare in aereo è cento volte più pericoloso rispetto ad assumere un vaccino testato e autorizzato dagli organi preposti? Lo sa che è più facile morire cadendo dal letto che prendendo un siero anti-Covid? Questa è la comunicazione giusta, e semplice, che bisogna fare». 

I media invece terrorizzano e giocano demagogicamente con l’anti-vaccinismo? 
«Tutti devono stare più attenti nella comunicazione, perché si rischia di rovinare il grande sforzo di immunizzazione che si è messo in campo. I social sono un lungo di grandi comunicazioni e di grandi distruzioni. Sul web due casi di problematicità legati ai vaccini lievitano artificiosamente fino a diventare duemila o due milioni nella percezione della gente. E così non va. Bisogna in tutti i modi e con ogni canale spiegare al pubblico che nei vaccini bisogna avere fiducia e che i loro benefici sono infinitamente superiori ai rischi. Il pasticcio che si è fatto con AstraZeneca deve valere da anti-modello da non ripetere con Johnson&Johnson. Già in Israele, in Inghilterra, negli Usa, abbiamo la riprova che questi vaccini funzionano. Il contagio in quei Paesi è diminuito molto e anche le ospedalizzazioni e il numero di morti. Il rischio qui da noi di una nuova ondata di sfiducia avrebbe conseguenze devastanti. Ripeto: 6 casi problematici su milioni e milioni di iniezioni sono quasi niente».

Ma la gente ha paura. 
«Perciò va informata molto meglio. Con pazienza e abnegazione. Le vaccinazioni a tappeto servono anche per evitare ulteriori lockdown. Finché in Italia non saranno vaccinati 40 milioni di cittadini, il pericolo resta. Per ora, purtroppo, siamo molto lontani da questa cifra. I vaccinati con prima e seconda dose sono 5 milioni. Non possiamo permetterci lentezze».

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Autostrade, Perez stringe i tempi per presentare l’offerta vincolante

mercoledì, Aprile 14th, 2021

di Roberta Amoruso e Rosario Dimito

Atlantia cerca di capire le vere intenzioni di Florentino Perez per conoscere i tempi della presentazione di un’offerta binding su Autostrade, dopo la manifestazione di interesse inviata la scorsa settimana in cui si ipotizzava una valutazione di 9-10 miliardi. Niente esclude che l’eventuale proposta spagnola possa alla fine essere messa in competizione con quella del consorzio Cdp-Blackstone-Macquarie: va ricordato che il fronte azionario è diviso tra favorevoli all’uno e all’altro. E’ però un fatto che da ieri il colosso di Madrid, partner con il 50% meno una azione di Atlantia in Abertis, attraverso il proprio advisor Santander è nella data room di Aspi per visionare tutti i dati della concessionaria, compreso il Piano economico finanziario, in modo da poter esprimere un valore definitivo.

L’accelerazione delle ultime ore è avvenuta con una lettera firmata dai vertici di Atlantia (il presidente Fabio Cerchiai e l’ad Carlo Bertazzo) ad Acs, che in risposta alla missiva dell’8 aprile, ha chiesto di firmare un non disclosure agreement (accordo di riservatezza) propedeutico all’ingresso nel luogo virtuale dove sono conservati i numeri dell’attività di Aspi, contratti compresi. Dall’esame di questi dati potrà essere formulata una proposta vincolante, da contrapporre eventualmente a quella di Cdp (9,1 miliardi per il 100%, al lordo di 870 milioni di indemnities legati al crollo del Ponte di Genova e ai rischi sulla Variante di Valico; vanno però considerati anche i 400 milioni eventualmente rivenienti da ristori).

Le scadenze

I tempi per la proposta spagnola devono comunque essere stringenti perché l’offerta della cordata guidata da Cassa ha due scadenze: entro venerdì 16 il cda di Atlantia dovrà prenderne atto in modo da convocare l’assemblea dei soci per sottoporne la valutazione entro il 28 maggio. E venerdì 16 Atlantia ha convocato il proprio board per rispettare la prima scadenza (anche se non si esclude la circostanza di un eventuale rinvio fino al massimo al 28 aprile, vista la situazione). Entro venerdì la holding assieme ai propri advisor (Mediobanca, Bofa Merrill Lynch, JpMorgan, Goldman Sachs) dovrebbe avere da Madrid un feedback sulla tempistica in modo da poter mettere i propri soci nelle condizioni di valutare entrambe le offerte.


Il doppio scenario

Dalle interlocuzioni fra gli advisor delle parti emerge comunque che il gruppo iberico sarebbe nelle condizioni di presentare un’offerta competitiva entro il 20 maggio, in modo che l’assemblea degli azionisti possa essere convocata a ridosso del 28, termine ultimo fissato dalla cordata Cdp per l’ok all’offerta.
Fin qui lo scenario a), secondo il quale l’offerta di Perez potrebbe essere oggettivamente in competizione con quella di Cdp. Negli ultimi giorni ha tuttavia preso consistenza uno scenario b), vale a dire la possibilità che il presidente del Real Madrid proponga a Cdp un’alleanza (probabilmente sostituendosi a uno dei due fondi o addirittura a entrambi) per gestire insieme Aspi nell’ambito di un gruppo con valenza europea.

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M5S, il limite invalicabile

mercoledì, Aprile 14th, 2021

di PIERFRANCESCO DE ROBERTIS

Il dibattito all’interno del Movimento 5 Stelle si sta incentrando sul limite dei due mandati. Proprio nel giorno dell’anniversario della morte di Gianroberto Casaleggio, che l’aveva pensato e ne aveva fatto uno dei punti qualificanti del programma originario. La vecchia guardia dei Di Maio e dei Crimi, quelli che hanno già fatto due mandati, sono per il superamento del limite, quelli che invece il limite non l’hanno superato (Di Battista) sono per confermarlo. E’ evidente che la questione è agitata in maniera strumentale da ambedue le parti, come spesso accade in politica (pensiamo alla questione femminile, stiracchiata di qua o di là a seconda delle convenienze del momento) e c’è da dar poco credito a quanto dicono i diretti, direttissimi, interessati.

Una considerazione però si può fare sul merito della vicenda, perché ogni tanto il merito conta. Il limite dei due mandati non era, non è, un punto qualunque del programma ma l’essenza stessa del grillismo. Era l’idea che la politica non è una professione ma un servizio, che in fondo uno equivale a uno, che la rappresentanza è fatta da cittadini per i cittadini. Un’idea sbagliata, ma un’idea. Perché uno non equivale a uno, perché per svolgere certi compiti serve una preparazione, e non si possono affidare incarichi delicati al primo che passa. Come purtroppo abbiamo visto accadere.

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Amministrative, Letta punta sulle primarie

mercoledì, Aprile 14th, 2021

di ANTONELLA COPPARI

Enrico Letta durante il filo diretto con i militanti alla web radio del Pd
Enrico Letta durante il filo diretto con i militanti alla web radio del Pd

Maneggiare con cura. Sa bene Letta che le amministrative sono una patata bollente, e dunque si affida ad una delle carte identitarie del Pd per sciogliere la matassa: “Saranno un banco di prova per la costruzione di un’alleanza vincente per le politiche del 2023. La via maestra è quella delle primarie“. Se non c’è accordo su un candidato, dunque, sotto con la competizione che ha segnato la storia del partito. Ma non ovunque, né con la stessa formula o gli stessi tempi: a Roma, dove il Nazareno immagina una kermesse ultra-popolare non certo una fredda partecipazione da remoto, realisticamente i gazebo non potranno essere messi in strada prima di luglio. Altrove, invece, le primarie si faranno prevalentemente online, con qualche seggio fisico per le persone più anziane. Le somme si tireranno alla fine del mese, però Letta & co. hanno tracciato una mappa delle città in cui si voterà in autunno, partendo dai sei capoluoghi di regione.

La piazza centrale, quella che da sola vale metà partita ma pure la più complicata, è Roma. Se dovesse spuntare l’asso Zingaretti, di primarie non si parlerebbe più, altrimenti sarà la base a decidere. Il punto è che nella capitale la scelta difficile non è tra diversi candidati del Pd ma nell’eventuale coalizione: aprire le urne per l’intera alleanza (ipotesi altrove praticabile) qui è impossibile. Chiunque sia il ’campione’ democratico dovrà vedersela con Calenda (sostenuto da Italia viva ) che non ha alcuna intenzione di partecipare, e soprattutto con Virginia Raggi. Un passo indietro della sindaca in carica risolverebbe moltissimi problemi ma è fantapolitica. Meno irrealistica, ma non per questo probabile, la disponibilità a sorpresa della prima cittadina a correre per le primarie. Per il Pd sarebbe un grosso guaio: alte le chance di una sua vittoria.

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Ecco perché frau Angela ha fallito

mercoledì, Aprile 14th, 2021

di CESARE DE CARLO

Sedici anni sono un battito di ciglia nella storia dei popoli. Ma se riconsideriamo la storia di Angela Merkel dal 2005, quando per la prima volta fu eletta cancelliera, e la confrontiamo con l’eredità che lascerà al successore a settembre, quei sedici anni appaiono un’eternità. Non c’era ancora la crisi finanziaria. In Italia governava Berlusconi. In Francia Chirac. In Gran Bretagna Tony Blair. Non eravamo condizionati dai virus digitali dei social network. E tanto meno dai virus patogeni come quello fuoriuscito dalla Cina. L’Europa guardava avanti. La Germania ne era la guida, forte di un marco trasfuso nell’euro.

E la paffuta signora venuta dal freddo godeva di luce riflessa dopo che Helmut Kohl era andato a scovarla nella ex Germania comunista. Ebbene, sarebbe stato proprio il suo grande elettore quattro anni fa, prima di morire, a sentenziare: ha distrutto la mia Europa. Non solo l’Europa. Ha avviato la dissoluzione del suo partito, la Cdu. Ha fatto germogliare i populismi di destra e sinistra come conseguenza di una irresponsabile politica migratoria (Wir schaffen das). Ha fatto lo sgambetto a Cameron pochi mesi prima del referendum sulla Brexit. Ha imposto l’austerity all’Europa del sud, trasformando una crisi regionale, in Grecia, in una catastrofe continentale. Ha ingessato la Banca Centrale Europea impedendole di copiare il Quantitative easing della Federal Reserve americana. E quando Mario Draghi finalmente potè adottarlo, i danni erano già fatti.

Insomma bilancio controverso, per usare un termine elegante. Ma se vogliamo chiamare le cose con il loro nome quel bilancio è il frutto di una conduzione tanto arrogante quanto miope se non addirittura ottusa. Angela Merkel non ha visto i guai che avrebbero investito l’Europa, snobbata sino all’ultimo con la designazione a suo presidente della modesta Ursula von der Leyen. Non è riuscita a programmare una coordinata reazione alla maledizione cinese. Che delusione vederla elemosinare i vaccini dalla Russia postcomunista!

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Recovery, una sfida da vincere a tutti i costi

mercoledì, Aprile 14th, 2021

Francesco Profumo*

Siamo all’ultimo miglio. Entro il 30 aprile gli Stati dell’Ue, e quindi anche l’Italia, dovranno presentare i Piani nazionali per la ripresa e la resilienza (Pnrr). I Piani definiranno la programmazione e l’impiego della maggior parte delle risorse di Next Generation EU (Ngeu). Al contempo, metteranno alla prova la capacità di progettare, organizzare e gestire degli Stati membri, oltre che delle istituzioni europee di sostenere, coordinare e monitorare una mole di progetti e investimenti mai visti nella storia dell’Unione. E’ una doppia sfida, dopo l’anno horribilis 2020, perché queste risorse non vadano sprecate, ma riescano a costruire l’asse portante per la crescita, per l’occupazione e per la prosperità diffusa dei 500.000.000 di cittadini dell’Unione europea. L’impresa è difficile e richiederà un grande impegno da parte di tutti gli attori pubblici e i privati, a livello regionale, nazionale ed europeo. È una sfida che non solo non dobbiamo perdere, ma dobbiamo vincere alla grande. Con il Next Generation EU (Ngeu) – finanziato con risorse raccolte sui mercati finanziari, con garanzia europea e quindi a tassi di interesse sui prestiti molto bassi – l’Ue mette in campo 750 miliardi che finanziano programmi specifici finalizzati ad alimentare una ripresa sostenibile e a costruire un’Europa più resiliente.

All’interno di Next Generation EU, la Recovery and resilience facility (Rrf) è un dispositivo temporaneo, non un fondo, ed è lo strumento più importante finanziato da Ngeu: 672,5 miliardi di euro, da distribuire ai 27 Paesi dell’Unione tra il 2021 e il 2026, finalizzati a sostenere le riforme e i progetti degli Stati membri, allo scopo di attenuare l’impatto a livello sociale ed economico della pandemia per rendere le economie più sostenibili, resilienti e meglio preparate per le sfide poste dalle transizioni digitale e verde dei prossimi decenni. Di questi, 312,5 miliardi sono per sovvenzioni a fondo perduto e la restante parte, 360 miliardi, sotto forma di prestiti, a tasso agevolato, da restituire dal 2028 al 2058. Per l’Italia, come noto, sono a disposizione circa 209 miliardi da Next Generation EU, il 27,8% del totale a livello Eu, di questi 193 miliardi provengono da Rrf e il resto da altri programmi. E’ una mossa senza precedenti.

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Il report censurato e le bugie di Guerra lo scandalo Oms lambisce Speranza

mercoledì, Aprile 14th, 2021

niccolò carratelli monica serra

Al ministero della Salute ora temono che da Bergamo possano arrivare brutte sorprese. Che l’inchiesta che ha coinvolto il direttore vicario dell’Organizzazione mondiale della sanità, Ranieri Guerra, possa finire per toccare gli uomini più vicini al ministro Roberto Speranza. I magistrati vogliono chiarire se qualcuno, nel ministero, abbia avuto un ruolo nell’affossamento del rapporto dell’Oms, in cui si parlava del mancato aggiornamento del Piano pandemico italiano e di una reazione «caotica» e «improvvisata» del nostro Paese alla prima ondata del Covid. «Piena fiducia nel lavoro della magistratura – ha detto ieri Speranza a Porta a Porta – chiunque ha avuto funzioni in questa pandemia, dall’Oms fino al sindaco dell’ultimo paese, deve serenamente mettersi nelle condizioni di poter rispondere di quello che ha fatto». Fonti di palazzo Chigi smentiscono le indiscrezioni che vorrebbero Mario Draghi intenzionato a sostituire il ministro della Salute, ricordando le parole pronunciate dal premier nell’ultima conferenza stampa: «L’ho voluto io nel governo e ha la mia stima». Certo, come dimostra la rapida uscita di scena dell’ex commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri (coinvolto nella vicenda della fornitura di mascherine cinesi irregolari), un eventuale sviluppo negativo dell’inchiesta di Bergamo potrebbe far cambiare idea a Draghi. Anche perché, tra le chat a disposizione dei pm, potrebbero esserci anche quelle tra Speranza, il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro e il capo di gabinetto del ministro, Goffredo Zaccardi. Conversazioni comunque inutilizzabili ai fini processuali prima dell’eventuale via libera del Parlamento. Speranza prova, con fatica, a tenere separata la sua posizione da quella di Guerra: «Le dinamiche interne all’Oms non riguardano il nostro Paese», ha detto. Peccato che in una delle tante mail ora in mano ai magistrati, Guerra scriva che «uno degli atout di Speranza è stato sempre il poter riferirsi a Oms come consapevole foglia di fico per certe decisioni impopolari e criticate (…). Se anche Oms si mette in veste critica non concordata con la sensibilità politica del ministro (…) non credo che facciamo un buon servizio al Paese». Insomma, certe dinamiche hanno fatto la differenza, specie nell’anno di presidenza del G20, con Speranza che a settembre guiderà il meeting dei più importanti ministri della Salute a livello mondiale.

Cosa sapeva Speranza? Interrogato dai magistrati lo scorso 28 gennaio, il ministro ha detto di aver saputo del rapporto (poi censurato) dell’Oms sull’Italia solo dopo la sua pubblicazione, il 13 maggio 2020. Il ricercatore che lo ha redatto con la sua squadra, Francesco Zambon, sostiene invece di aver condiviso il documento con le autorità italiane almeno un mese prima. Per capire come siano andate le cose, il pool di magistrati di Bergamo, guidati dal procuratore aggiunto Maria Cristina Rota, sta analizzando migliaia di pagine di chat e mail, acquisite in questi lunghi mesi di indagine.

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Draghi cambia piano: dal 2022 solo Pfizer e Moderna

mercoledì, Aprile 14th, 2021

ilario lombardo paolo russo

È abbastanza certo ormai che il destino del vaccino Johnson&Johnson sarà lo stesso di AstraZeneca. Dopo i pochissimi casi di trombosi rilevati negli Stati Uniti e la sospensione decisa dalle autorità americane, fonti del governo italiano confermano che l’orientamento immediato è di circoscriverne l’uso solo agli over 60, come una settimana fa, a livello europeo, era stato deciso per il siero di Oxford. Ma c’è anche un’altra notizia che emerge dalle preoccupazioni sullo stop a J&J, e che coinvolge la famiglia dei farmaci anti-Covid alla quale appartiene. Si chiamano vaccini a vettore virale: AstraZeneca, J&J e Sputnik. Tutti e tre finiti nella bufera di questi giorni di ansie e incertezze, i primi due per motivi scientifico-sanitari, il terzo anche per ragioni geopolitiche. Secondo quanto è venuta a conoscenza La Stampa da una fonte del ministero della Salute, la Commissione europea, d’accordo con i leader di molti Paesi, avrebbe deciso che alla scadenza dei contratti validi per l’anno in corso non saranno rinnovati quelli con le aziende che producono vaccini di questa tipologia. Si vuole puntare tutto sui sieri a Rna messaggero, che trasporta le istruzioni per la produzione della proteina Spike utilizzata dal coronavirus, permettendo così all’organismo di produrre anticorpi specifici e di immunizzarsi. Sarebbe il trionfo di Pfizer e Moderna, che fino ad ora hanno dato più sicurezza (anche sul fronte contrattuale, dicono nel governo) mentre verrebbero penalizzati AstraZeneca, J&J, già autorizzati dall’Ema, Sputnik, che ancora deve ricevere il via libera, ma anche il vaccino made in Italy, in fase di sperimentazione, ReiThera. In fondo, il presidente del Consiglio Mario Draghi aveva già avvertito in conferenza stampa che l’Ue non avrebbe replicato l’errore di firmare contratti senza vere garanzie, specificando che «i prossimi saranno fatti meglio».

Intanto tra ministero della Salute, struttura commissariale e Palazzo Chigi si è discusso dei possibili impatti sul piano vaccinale della frenata su J&J, che gode dell’indubbio vantaggio di essere monodose. Secondo quanto sostiene la stessa multinazionale Janssen, il time out, deciso «in via precauzionale», dovrebbe durare un paio di giorni. Già oggi l’azienda fornirà alla Fda e all’agenzia europea Ema alcuni dati che farebbero meglio capire la connessione tra l’antidoto e i sei casi di rare trombosi cerebrali riscontrate negli Usa a fronte di quasi sette milioni di somministrazioni. Il problema è sempre quello che ha spinto molti Paesi europei, tra i quali l’Italia, a indirizzare solo verso gli over 60 l’altro vaccino che utilizza il meccanismo del vettore virale, quello di AstraZeneca.

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Vaccino Johnson & Johnson sospeso: in Italia l’ipotesi di darlo agli over 60

mercoledì, Aprile 14th, 2021

di Fiorenza Sarzanini

Il timore più forte adesso riguarda la mancanza di dosi, ma anche l’effetto che il blocco del vaccino Johnson & Johnson potrà avere sui cittadini. Perché in questa fase del piano vaccinale le dosi del siero statunitense arrivate in Italia sono solo 184mila e dunque il rallentamento del piano non sarà troppo incisivo. Ma entro la fine di giugno il contratto prevede una fornitura da 7 milioni di dosi, se la sospensione dovesse durare a lungo le conseguenze sarebbero gravissime. E potrebbero portare — proprio come sta accadendo per AstraZeneca — alla rinuncia anche fra chi si è già prenotato. Al momento le forniture sono state interrotte, il problema potrebbe sorgere però entro qualche giorno quando le agenzie regolatorie concederanno il via libera all’inoculazione del preparato di Johnson & Johnson. L’ipotesi è prevedere una limitazione per chi ha meno di 60 anni, autorizzandone l’uso per tutti gli altri. Ma a quel punto sarà obbligatorio rivedere la distribuzione per garantire che ogni fascia di età abbia a disposizione il vaccino adatto, evitando che questo nuovo intoppo allunghi ulteriormente i tempi della campagna.

Il fermo precauzionale

L’annuncio della sospensione decretata negli Stati Uniti arriva mentre i camion della Janssen entrano nella struttura di Pratica di Mare, alle porte di Roma, dove vengono custodite le scorte. E si trasforma in una doccia gelata. Il ministro della Salute Roberto Speranza convoca una riunione urgente con gli esperti di Aifa, l’Agenzia del farmaco che fornisce le linee guida e dunque le indicazioni d’uso. All’incontro partecipa anche il direttore della Prevenzione Giovanni Rezza, immediati vengono presi contatti con i ministri dell’Unione Europea. La casa farmaceutica fa sapere di aver sospeso le consegne in via precauzionale, l’Italia decide così di non diramare alcuna direttiva. Una decisione che Speranza apprezza «perché bisogna evitare che ognuno vada per sé» e poi conferma che non si tornerà indietro: «Appena l’Ema e Stati Uniti ci daranno notizie definitive, prenderemo la strada migliore ma penso che anche questo vaccino dovrà essere utilizzato perché è importante» (qui quante dosi potrà fare ogni regione dal 16 al 22 aprile).

Il commissario

Nella struttura guidata dal generale Francesco Paolo Figliuolo conoscono bene i rischi di questo ennesimo stop.

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Speranza resiste all’assedio del centrodestra: fare un passo indietro? Assolutamente no

mercoledì, Aprile 14th, 2021

di Monica Guerzoni

Speranza resiste all'assedio del centrodestra: fare un passo indietro? Assolutamente no

L’assalto mediatico che lo ha investito di certo non gli fa piacere, maRoberto Speranza si mostra tranquillo e prova a prenderla con filosofia. «È una battaglia politica e non mi scandalizzo», ripete a chi gli chiede se Salvini riuscirà a ottenere la sua testa e se l’Italia avrà presto un nuovo ministro della Salute «aperturista». Lui di certo non si muove, determinato com’è a vincere la guerra contro il Covid-19: «Passo indietro? Assolutamente no». Mario Draghi non glielo ha chiesto e anche ieri, al telefono, lo ha rassicurato.

La squadra per ora non cambia. Fonti di governo assicurano che il ministro di Leu resterà al suo posto e spazzano via ogni ipotesi di incarico internazionale, su vaccini o altro, che mai Draghi gli avrebbe proposto. Anche dallo staff di Speranza parlano di «notizie senza fondamento» e ricordano che il presidente ha espresso a Speranza la sua fiducia in pubblico, «con grande chiarezza». Era cinque giorni fa e il capo dell’esecutivo, con tono secco se non seccato, svelò in conferenza stampa il retroscena del suo incontro con il leader della Lega: «A Salvini ho detto che ho voluto io Speranza nel governo e che ne ho molta stima». Ma il fuoco amico sul ministero chiave per la lotta al Covid non si è fermato, anzi.

Il caso è esploso e la maggioranza si è spaccata tra chi, a destra, vuole le dimissioni del campione del rigore e chi, a sinistra, difende il ministro più apprezzato dagli italiani. Il Pd, a cominciare dal segretario Enrico Letta, sostiene Speranza «a spada tratta» e al Nazareno assicurano che la stima di Palazzo Chigi sia sinceramente condivisa anche dal Quirinale. Il Movimento, da Patuanelli a D’Incà, fa muro a protezione dell’esponente di Leu e la lettura nei 5 Stelle è che «Salvini colpisce Speranza perché rappresenta un ponte tra Conte e Letta».

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