Archive for Aprile, 2021

Riaperture, il piano: al ristorante (a maggio) solo se prenotati, a teatro con il tampone

lunedì, Aprile 12th, 2021

di Marco Conti

Tutti vorrebbero riaprire tutto, ma quando poi si guardano i dati della pandemia prende il sopravvento il timore di finire, tutti, come la Sardegna che in tre settimane è passata dalla zona bianca a quella rossa-fuoco. Purtuttavia una riunione per poter valutare se in qualche regione si è compiuto il miracolo – non vaccinando come in Puglia quasi solo magistrati e avvocati – non si nega. L’appuntamento è fissato per venerdì 16 nella ormai consueta riunione della cabina di regia che valuta l’andamento del virus e stabilisce i colori delle regioni. Prima di quella data non è ancora in agenda una riunione del premier Draghi con i capidelegazione dei partiti.

La macchina

Con l’ultimo giro di vite, che ha abolito la zona gialla sino al 30 aprile, l’indice di contagiosità è sceso dello 0,6% a settimana. Un trend positivo, ma servono ancora tre settimane per arrivare in zona sicura e «bruciare le tappe – come spiega in tv il ministro della Salute Roberto Speranza – significherebbe vanificare il lavoro fatto sinora». Il governo procede, quindi, con la consueta cautela e non si azzardano date mentre il presidente del Consiglio continua il suo pressing telefonico sulle aziende farmaceutiche che dovrebbero consegnare i vaccini e su Bruxelles. In settimana sono previsti nuovi arrivi, ma alcune regioni, Lazio e Veneto soprattutto, hanno messo in moto una macchina che potrebbe lavorare ancora di più solo se ci fossero le dosi sufficienti.

Flourish logo

A Flourish bar chart race

L’Italia recupera

Francia e Germania in questo momento risultano avvantaggiate dal fatto che producono in casa vaccini e possono quindi contare sul 30% della produzione pur partecipando alla ripartizione europea. L’Italia, per usare le parole del ministro Giorgetti, si è data «una sveglia» solo ora avendo perso molto tempo nei mesi passati.
L’obiettivo resta comunque quello di arrivare al mezzo milione di dosi al giorno perché, come dimostra ciò che accade nel Regno Unito, solo attraverso la somministrazione massiccia del siero si può far uscire il Paese dalle restrizioni.

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La vera svolta? Meno annunci e più vaccini

lunedì, Aprile 12th, 2021

di GABRIELE CANE’

Ma quante volte avremo accelerato, cambiato passo, impresso una svolta? Quante volte abbiamo invertito l’ordine dei fattori senza che il prodotto sia cambiato granché? Parliamo di vaccinazioni, e come accade da mesi, siamo obbligati a farlo al futuro, più che al presente o al passato. Faremo, andremo, fisseremo. C’è qualcosa che non quadra nella messa in sicurezza dal virus, che significa meno morti e più economia, vita, futuro. Ci sono parecchi conti che continuano a non tornare: il fatto che un terzo degli over 80 aspetti ancora la prima dose, innanzitutto, e che la percentuale degli ultra settantenni vaccinata sia minima

Non torna anche che per i cittadini dai 60 anni in su abbiano aperto le prenotazioni solo Lazio e Campania che non risultavano essere dei modelli di sanità virtuosa. Mentre è di poche settimane fa l’annuncio del fiume di fiale che doveva inondare l’Italia ad aprile, e già lo tsunami vaccinale viene fatto scivolare a giugno.

Allora, siccome in plancia di comando c’è una persona di indubbio valore come il generale Figliuolo, con l’esperienza di una vita “al fronte”, e con il retroterra di uno dei pochi organi funzionanti dello Stato, l’Esercito, possiamo anche permetterci di parlare senza artifici diplomatici. Per dire, ad esempio, che non può essere solo una questione di approvvigionamenti, visto che altri Paesi europei viaggiano a 500-600mila vaccinazioni al giorno e noi siamo alla metà: significa che ci mettiamo del nostro (eccome) nella lentezza. Con un dubbio, Generale: che ci sia stato troppo ottimismo nelle previsioni, e dunque nella relativa comunicazione. Per cui forse è meglio attenersi alla regola aurea di Draghi: niente annunci, ma report a cose fatte.

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Draghi sceglie Bernabè per portare Ilva fuori dalle secche

lunedì, Aprile 12th, 2021

di Giovanni Pons

La richiesta è arrivata da Mario Draghi in persona, visto che i due si conoscono dal lontano 1972. Segno che il presidente del Consiglio sta prendendo in mano i dossier più scottanti dell’economia per cercare di imprimere una sterzata rispetto alle indicazioni dei precedenti inquilini di Palazzo Chigi. E Franco Bernabè, ex ad dell’Eni negli anni ’90 e per ben due volte ad di Telecom Italia tra il 1999  eil 2013, non ha potuto opporre un rifiuto, anche se il compito appare gravoso.

Da presidente di Ilva dovrà infatti coordinarsi con l’amministratore delegato e indirizzare le scelte per cercare di far uscire dalle secche l’acciaieria più importante d’Europa. La svolta dovrebbe arrivare a maggio quando il Ministero dell’Economia sbloccherà i 400 milioni con cui Invitalia parteciperà all’aumento di capitale di Am InvestCo – la società di ArcelorMittal che gestisce gli impianti siderurgici – diventandone socia al 40%. In virtù di questa quota la società guidata da Domenico Arcuri potrà designare tre persone per il nuovo consiglio di amministrazione, tra cui il futuro presidente, mentre al gruppo franco-indiano, a cui rimarrà una partecipazione del 60%, spetteranno altri tre consiglieri tra cui indicare l’amministratore delegato. 

La vera questione, a questo punto, è se il gruppo guidato da Lakshmi Mittal vorrà confermare nel ruolo di capoazienda Lucia Morselli, a un anno e mezzo di distanza dalla sua designazione. In effetti la manager cresciuta alla scuola di Franco Tatò si è fatta conoscere in questo periodo per una gestione dal pugno di ferro che ha portato dei risultati gestionali di tutto rispetto ma anche molti malumori.

Seguendo le orme del suo mentore ha tagliato i costi sia a livello manageriale, respingendo le richieste di inserimento nelle prime linee di uomini targati ArcelorMittal tranne il direttore finanziario, sia a livello di personale operativo, gestendo la Cassa Integrazione Covid in modo da minimizzare gli esborsi. Molti sacrifici per la forza lavoro, dunque, giustificati da una domanda di acciaio che nel periodo più buio della pandemia è crollata del 70%. Ma dall’altro lato il suo carattere brusco ha esasperato gli animi, reso più tese le relazioni sindacali, i rapporti con i fornitori e quelli con le istituzioni.

Esemplificativa in questo senso è l’ultima mossa per cui l’Ilva si è guadagnata le pagine dei giornali, con il licenziamento in tronco di un dipendente accusato di aver condiviso sui social un post sulla fiction Mediaset  “Svegliati amore mio”. La miniserie racconta una vicenda per molti aspetti analoga a quella del rione Tamburi di Taranto, dove la presenza del polo siderurgico, a ridosso delle abitazioni del quartiere, ha prodotto effetti devastanti sulla salute degli abitanti.

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Soeder l’incontenibile e Laschet il moderato: in Germania corsa a due per il dopo Merkel

lunedì, Aprile 12th, 2021

dalla nostra corrispondente Tonia Mastrobuoni

BERLINO –  Markus Soeder ha sciolto le riserve e ha rivelato ieri il segreto di Pulcinella: si candida per il dopo Merkel. Il leader della Csu ha lanciato il guanto di sfida ad Armin Laschet, presidente della Cdu. “Sono pronto”, ha detto al vertice dei due partiti conservatori alleati da sempre. Dopo mesi di stentoree promesse cui nessuno aveva creduto – “il mio posto è in Baviera” – il leader della sorella minore dei conservatori si è detto pronto ad agguantare lo scettro di Angela Merkel. Sempre che nei prossimi giorni vinca la contesa con Laschet. E sempre che la Cdu/Csu riesca a vincere le elezioni. Il che non è affatto scontato. Peraltro, i sondaggi in caduta libera giocheranno un ruolo enorme nelle prossime, concitate ore che decideranno il futuro della Germania. I Verdi tallonano la Cdu/Csu a soli cinque punti. E in un mese, i conservatori ne hanno già perso dieci: sono al 27%.

Per gli osservatori più prussiani e innamorati della coerenza, Soeder sarebbe carne da cannone per i giornali tedeschi. Le sue giravolte sono leggendarie. Il governatore della Baviera è stato per anni lo spauracchio dei profughi che flirtava con Orban e fustigava Merkel. Dopo la bruciante sconfitta elettorale in Baviera del 2018, il leader Csu è diventato mansueto come un agnellino con la cancelliera e si è candidato a diventare il migliore amico delle api e dei Verdi, avanzati nelle urne mangiandosi grandi fette del suo elettorato. La sua opinione, dice chi lo critica, può cambiare come i suoi costumi di carnevale, e nella stagione dei coriandoli Soeder si è fatto immortalare come Ludovico di Baviera, Shrek, persino Marilyn Monroe, con tanto di labbra allungate in frequenti e voluttuosi baci. Già noto per precipitarsi da un microfono all’altro, durante la pandemia è diventato incontenibile. I giornalisti che lo seguono non hanno più una vita, raccontano. Dalla sua, Soeder ha un’energia da titano e un ego grande come i castelli di Ludovico di Baviera. Ma anche una crisi sanitaria affrontata con piglio e, almeno lì, con coerenza e fedeltà nibelunga alla linea di Merkel. Il leader della Csu ormai vola nei sondaggi. Anche quelli nazionali. Ed è qui che cominciano i dolori, per la Cdu e per il suo presidente, Armin Laschet.

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Scontro sulla rifondazione del M5S di Conte. Casaleggio accusa: vogliono il terzo mandato

lunedì, Aprile 12th, 2021

Federico Capurso

Fallita ogni trattativa, Davide Casaleggio e il Movimento 5 stelle imbracciano le armi per una guerra. Si mostrano l’uno all’altro come due corpi estranei, inconciliabili. Tanto da spingere il figlio del fondatore a sollevare la teoria di un complotto ordito contro di lui: «Rousseau è stata messa in difficoltà finanziaria per rimettere sul tavolo il terzo mandato e altre regole fondamentali del M5S», dice ospite di Lucia Annunziata a In mezz’ora in più. Si riferisce ai mancati versamenti da parte dei parlamentari grillini, che avrebbero lasciato l’associazione Rousseau sommersa dai debiti, e guarda a se stesso come a un baluardo in difesa delle regole delle origini, ultimo argine alla «scelta sbagliata di trasformare il Movimento in partito, un’organizzazione del secolo scorso». Le sue parole sono pietre che piovono sui deputati e su Giuseppe Conte, in quello stesso momento riuniti in video collegamento per discutere del progetto di rifondazione del partito. L’ex premier, alle prese con la seconda giornata di ascolto del gruppo parlamentare, preferisce tenersi a distanza dalle polemiche: «Movimento o partito? Sono classificazioni che non ci importano. Il rapporto con Rousseau va chiarito – aggiunge poi –, ma io sono l’ultimo arrivato e non posso intervenire su un rapporto consolidato negli anni». È quindi il capo politico Vito Crimi che prende la decisione di replicare abbandonando ogni diplomazia: «Quelle di Casaleggio sono parole non solo false, ma diffamatorie e misere».

Lo spazio per una riconciliazione, dunque, si è esaurito. Non è un caso che all’evento Sum, organizzato da Rousseau per commemorare la morte di Gianroberto Casaleggio, nessun parlamentare del Movimento sia stato invitato. Interverranno in video Beppe Grillo e un ex come Alessandro Di Battista, nessun altro. Non c’è «alcuna intenzione di andare per le vie legali con Rousseau», assicura comunque Crimi, ma «andremo avanti qualunque sia la piattaforma, perché il M5S è titolare della lista degli iscritti, con tutto quello che ciò comporta». L’intenzione di trascinare Casaleggio in tribunale non c’è, ma la possibilità esiste e i vertici si sono preparati all’eventualità. Dopo il divorzio, la soluzione seppur temporanea è quella che l’ex presidente del Consiglio lascia intendere durante la riunione: «Il voto online può essere affidato a una società esterna, ma tutte le altre funzioni, come la formazione, devono essere svolte dal Movimento».

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Se Draghi rilancia l’Europa

lunedì, Aprile 12th, 2021

Gian Enrico Rusconi

Ci si è chiesto perché Mario Draghi abbia chiamato “dittatore” Erdogan con un “strappo lessicale e istituzionale” che è inconsueto nel galateo della diplomazia. O perlomeno così è stato sino ad oggi. Massimo Giannini ha offerto due chiavi di lettura che meritano un‘ulteriore riflessione. La prima riguarda il premier turco Erdogan, che è un pessimo autocrate, maschilista e nazionalista, ma non può essere definito formalmente un ‘dittatore’, essendo stato eletto dai cittadini, che nel contempo hanno assegnato all’opposizione le tre più importanti città turche. Quella turca potrebbe quindi essere collocata tra quelle che chiamiamo “democrature”.

Ma queste sono tali non tanto per l’iniziativa del leader dominante, quanto per la qualità del consenso dei cittadini stessi. Occorre quindi ragionare sulla qualità del consenso democratico oggi , non solo per le “democrature”, più di quanto non si faccia .

La seconda chiave di lettura della affermazione di Draghi è geo-strategica. Più esattamente, la sua reazione risponde al venir meno della leadership europea, con il netto declino dell’asse franco-tedesco che la ha a lungo caratterizzata. Tale venir meno è segnato dall’imminente uscita dalla politica attiva della cancelliera Merkel e dalle difficoltà crescenti di consenso interno per Macron. Dietro e oltre questi leader storici non si vede una classe politica europea capace di prendere il loro posto e quindi di imporsi. Questo tocca soprattutto la Germania, che dovrà fare i conti con il rapporto ambivalente verso la Russia di Putin, sin qui gestito abilmente da Merkel. La cancelliera ha combinato una solida cooperazione energetica con la Russia (gasdotto Nord Stream 2) con la critica ferma per la persecuzione del dissidente Navalnyj . Ma ora la situazione si è ulteriormente aggravata con il riaccendersi della tensione politico-militare tra Ucraina e Russia, che anni fa la Germania (insieme all’UE) era riuscita a controllare. Davanti a questa nuova crisi l’Europa sembra ora politicamente impotente.

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Massimo Garavaglia: “Pronti ad anticipare il pass europeo. Obiettivo: tutto riaperto il 2 giugno”

lunedì, Aprile 12th, 2021

Amedeo La Mattina

ROMA. Il ministro per il Turismo Massimo Garavaglia conferma che nei prossimi giorni la cabina di regia comincerà a programmare alcune aperture, sempre sulla base dei dati scientifici e dell’andamento dei contagi. Settore per settore: «Ogni settimana che passa perdiamo pezzi di Pil e non ce lo possiamo permettere». E per quanto riguarda la stagione turistica l’esponente della Lega dice di lavorare per farla ripartire «a maggio, almeno per le spiagge, con protocolli rafforzati all’inizio». Per Garavaglia comunque la cosa più importante è dare una prospettiva. «Ovvio che sarei più contento se le spiagge, come l’anno scorso, aprissero a metà maggio». In ogni caso, enfatizza, entro la festa della Repubblica dovrà essere aperto tutto o quasi tutto.

Ministro, ci sono delle date per la riapertura? Lei ha parlato del 2 giugno e il premier Draghi ha detto di augurarsi che ciò avvenga anche prima.
«Certo, il presidente ha ragione. Quando ho parlato del 2 giugno facevo riferimento alla più importante festa nazionale, ossia quella della Repubblica. In Francia ad esempio hanno indicato il 14 luglio. Mi riferivo a una data finale entro la quale mi auguro sia aperto tutto o quasi tutto. Ovviamente dipende dal piano vaccinale. Da tempo diciamo che dobbiamo programmare. Sappiamo che, finché i numeri non lo consentono, bisogna essere molto prudenti. Ciò non vuol dire che non si deve programmare. Ci sono attività che puoi aprire il giorno dopo: per esempio domani una Regione è in arancione e allora i parrucchieri possono riaprono. Ci sono invece delle attività che hanno bisogno di settimane se non di mesi di anticipo per programmare l’apertura. Ogni settore ha una storia a sé». Può fare qualche esempio concreto?
«Le fiere e i congressi internazionali sono una cosa, e si può precedere una data più ravvicinata, i parchi tematici e acquatici hanno bisogno di tempo per programmare i lavori di manutenzione e fare prevendita. Sono convinto che in settimana si sbloccherà il tema dei congressi e delle fiere internazionali: è fondamentale perché significa mettere in sicurezza già qualche evento estivo, ad esempi Pitti Uomo a Firenze».

Massimo Garavaglia: “Pronti ad anticipare il pass europeo. Obiettivo: tutto riaperto il 2 giugno”

Comunque si va verso una sorta di cronoprogramma delle aperture?
«Le proposte noi le abbiamo fatte. Parleremo in settimana con chi di dovere e penso che si potrà iniziare a dare delle date settore per settore, con dei protocolli che possono essere più stringenti in una fase iniziale e diventare più larghi con il passare del tempo».

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La settimana decisiva per i vaccini: arriva Johnson & Johnson e Pfizer promette consegne anticipate

lunedì, Aprile 12th, 2021

di Fiorenza Sarzanini e Alessandro Trocino

ROMA Una settimana per capire se la guerra contro il Covid ha recuperato sulla tabella di marcia e può proseguire senza intoppi fino all’obiettivo finale, ovvero contenere il virus immunizzando il 70 per cento della popolazione entro la fine di settembre. Dipenderà in gran parte dalla tempestività delle forniture di vaccino, che se ritardassero farebbero sballare i piani del commissario Figliuolo, già rivisti al ribasso nelle ultime settimane. Tanto che al momento è arrivata la raccomandazione a non superare le 300mila dosi al giorno in modo da tenersi al riparo di fronte a nuovi intoppi. Ostacoli causati dalle carenze dei contratti europei che il ministro della Salute Roberto Speranza continua comunque a difendere «perché altrimenti avremmo avuto la guerra di un Paese contro l’altro».

Gli arrivi

Per avere qualche certezza in più, il presidente del Consiglio Mario Draghi sta chiamando le società interessate per garantire la regolarità delle consegne. Uno spiraglio di luce arriva da Pfizer. L’azienda statunitense ha promesso di anticipare di un mese le consegne dei prossimi trimestri. Se questo impegno venisse davvero rispettato le Regioni potrebbero andare a pieno regime prima che arrivi il grosso delle dosi del secondo trimestre. Da aprile a giugno dovrebbero essere a disposizione 52 milioni di dosi. Tra otto e dieci sono programmate ad aprile. Se le oltre 40 rimanenti fossero concentrate su giugno, sarebbe impossibile mantenere il ritmo delle 500 mila vaccinazioni al giorno che il commissario ha intenzione di raggiungere. La media del mezzo milione quotidiano dovrebbe scattare nell’ultima settimana di aprile. Per questo le Regioni non consumano tutte le dosi per mantenere la scorta per i richiami.

Questa settimana arriverà in Italia per la prima volta il vaccino di Johnson & Johnson, che si basa sulla stessa tecnica d Astrazeneca. Si tratta di circa 184mila dosi, le prime delle 400-500mila attese tra il 16 e il 19 aprile. Le fiale dell’unico vaccino monodose dovrebbero arrivare tra domani e mercoledì all’hub della Difesa all’aeroporto di Pratica di Mare, assieme a 175mila dosi di Astrazeneca. Entro mercoledì, inoltre, Pfizer dovrebbe consegnare in tutta Italia oltre un milione di dosi. Sempre per l’inizio della settimana è prevista la consegna da parte di Moderna di circa 400 mila dosi, sufficienti per aumentare il ritmo della campagna, sempre che davvero le promesse siano rispettate. In queste settimane si è visto che Pfizer ha consegnato con regolarità, ogni settimana. Moderna consegna di solito piccole quantità, quindi non è al momento decisivo. Il fornitore più irregolare è Astrazeneca, che accumula spesso ritardi, tagliando i quantitativi.

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Noi e il virus, un’uscita faticosa

lunedì, Aprile 12th, 2021

di Beppe Severgnini

Oggi un nuovo assaggio di libertà, in buona parte d’Italia. Tutte le Regioni — tranne Campania, Puglia, Sardegna e Valle d’Aosta — passano dalla zona rossa alla zona arancione. Per la Lombardia è il diciassettesimo cambio cromatico. La variazione permette di uscire liberamente di casa, all’interno del comune. Negozi, parrucchieri e centri estetici sono aperti. I ragazzi fino alla terza media possono rientrare a scuola; anche metà degli studenti delle superiori tornano in aula. Rientrano gli universitari. Restano le restrizioni per bar e ristoranti: solo asporto. Rimane il coprifuoco dalle 22 alle 5 del mattino.

Resta anche una consapevolezza: l’entrata nella fase acuta della pandemia — è accaduto tre volte in un anno — è sempre rapida e drammatica. L’uscita — ogni volta — si rivela lenta, complicata e faticosa. La fatica non consiste solo nel rispettare le regole. È faticoso anche guardarsi intorno e capire che alcuni non l’hanno fatto, non lo fanno e non lo faranno.

Ci sono violazioni veniali: le uscite di casa, anche in zona rossa, sono ormai lasciate alle responsabilità individuali (un’autoregolamentazione ufficiosa e silenziosa, secondo la migliore tradizione nazionale). Ci sono poi violazioni dettate dall’età e dall’esasperazione: mi chiedo chi si sia avvicinato a un gruppetto di adolescenti intimandogli di mantenere le distanze. Ci sono, infine, violazioni irritanti: dai bar che chiudono la porta d’ingresso e aprono quella sul retro; al calcio, che insiste per ottenere privilegi (come può, il governo, garantire che gli stadi italiani saranno aperti per i campionati Europei?).

I media, com’è giusto, devono segnalare episodi ed eccessi, che purtroppo non sono mancati. Ma non sono trecento esagitati riuniti a Milano per un video rap a rivelare la temperatura sociale. In grandissima maggioranza — ripetiamolo, anche se molti non vogliono sentirlo dire — noi italiani abbiamo dimostrato tenacia e pazienza. Alcuni hanno sofferto — soffrono ancora — più di altri. Sarebbe opportuno pensare a loro: sostegni e ristori servono a galleggiare, non a riprendere la navigazione.

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Dad e Did, Decreto Ristori e Sostegni, Asl, Ats, Asp e Nuova Imu: qual è la differenza? Cambiare sigle per non cambiare nulla

lunedì, Aprile 12th, 2021

di Milena Gabanelli e Rita Querzè

L’efficienza di un Paese si vede anche dalla chiarezza con cui la pubblica Amministrazione comunica ai cittadini la propria attività. Ogni servizio è classificato con un nome o un acronimo e se li cambi spesso, anche quando la sostanza rimane identica, la gente si confonde. Purtroppo l’ufficio complicazione affari semplici lavora giorno e notte. La Dad, Didattica a distanza, lo scorso settembre, con l’inizio del nuovo anno scolastico, è diventata Did (Didattica integrata a distanza), ma gli studenti continuano a fare sostanzialmente la stessa cosa, cioè seguire le lezioni dal computer, e tutti continuano a chiamarla Dad. E peraltro esiste già un’altra Did: la «Dichiarazione immeditata di disponibilità al lavoro». Cambiare nome a volte serve solo a marcare la differenza fra un governo e l’altro. Prendiamo i provvedimenti che servono a risarcire chi è stato danneggiato dalla pandemia: fino a ieri si chiamavano «Ristori», adesso sono diventati «Sostegni». Che cosa c’è di nuovo? Niente. Il nuovo governo ha cambiato il nome anche ad alcuni ministeri: quello dell’Ambiente è diventatodella Transizione ecologica (Mite), quello delle Infrastrutture e dei Trasporti è ora delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili. Ci eravamo abituati al Mit, non sarà immediato familiarizzare con il Mims. Il ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione è diventato ministero della Transizione Tecnologica e dell’Innovazione Digitale. Maquillage o sostanza? Vedremo.

Enti che cambiano nome

Anche gli enti cambiano spesso carta d’identità. Un esempio su tutti: Equitalia. Molti presero alla lettera nell’estate 2016 il «bye bye Equitalia» dell’allora presidente del consiglio Matteo Renzi, e così da luglio 2017 è stata sostituita da Agenzia entrate-riscossione. Equitalia era una spa (partecipata al 51% dall’Agenzia delle entrate e al 49% dall’Inps) mentre adesso Agenzia entrate-Riscossione è un ente pubblico economico, sottoposto alla vigilanza del ministero dell’Economia. Si sarebbe potuto fare questo passaggio mantenendo il nome, visto che «I contribuenti troveranno nuovo logo, nuova modulistica, mentre i servizi saranno svolti in continuità con la precedente gestione» diceva l’ultima nota della stessa Equitalia, prima di dissolversi. E infatti le cartelle esattoriali si sono continuate a pagare come sempre. Ma qui la questione di fondo era proprio il nome: Equitalia aveva una brutta reputazione. Il problema è che cambiare insegne, carta intestata, sistemi informatici, biglietti da visita ha un costo per lo Stato e, quindi, per i cittadini. Certo non tutti i cambi di nome sono operazioni di marketing: per esempio, l’Agenzia delle Entrate è nata nel 2001 da una costola del ministero delle Finanze che agiva attraverso le Intendenze di finanza sul territorio. A differenza del ministero, l’attività dell’agenzia è basata sull’autonomia, solo gli obiettivi da raggiungere sono concordati attraverso un contratto di servizio. I risultati parlano: l’indice di redditività (il rapporto tra i costi dell’agenzia e le entrate garantite dal suo lavoro) è salito da 1,93 del 2008 a 6,32 del 2019.

Tassa sui rifiuti: 4 nomi in 10 anni

Il caso della tassa sui rifiuti è un esempio da manuale. Negli anni ‘90 si decide di dare agli enti locali maggiore potere impositivo con il federalismo fiscale. E quindi dal ‘93 al ’97 gli italiani hanno pagato la Tarsu, cioè la Tassa per lo Smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani. Nel ‘97 con il decreto Ronchi è stata istituita la Tia, Tariffa di Igiene Ambientale. Nel dicembre 2011 è arrivata la Tares, con il decreto Salva Italia. Infine nel dicembre 2013 è stata introdotta la Tari con la legge di Stabilità. Poi diversi Comuni hanno continuato lo stesso con la Tares perché la legge lo consentiva. Quattro cambi di nome in poco più di 10 anni. Inoltre ogni Comune può gestire con una certa autonomia esenzioni e agevolazioni, creando un’enorme confusione. Il risultato è che se chiedi ad un cittadino come si chiama la tassa sui rifiuti che sta pagando spesso non lo sa.

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