Archive for Aprile, 2021

Denise Pipitone, i dubbi sulla pista russa. L’ex pm che indagò: “Buffonata mediatica”

mercoledì, Aprile 7th, 2021

Laura Anello

Come trasformare la tragedia della scomparsa di una bambina di quattro anni in uno show tra verità e finzione degno di un romanzo d’appendice. Il caso sollevato dalla trasmissione tv “Chi l’ha visto”, quello dell’orfana russa Olesya Rostova che cerca la sua famiglia e che sembra somigliare alla madre di Denise Pipitone – la piccola sparita nel nulla a Mazara del Vallo nel 2004 – è diventato un canovaccio che va oltre il circo mediatico, oltre lo spettacolo del dolore. E che si allunga, di giorno in giorno. Adesso il verdetto atteso ieri – è lei o non è lei Denise Pipitone? – viene rinviato a oggi. Sempre in tv, si intende.

Si dà il caso infatti che ieri sulla trasmissione russa “Lasciali parlare” – un programma che in Italia definiremmo trash – era atteso il faccia a faccia tra la famiglia di Denise (era annunciata la madre Piera Maggio, poi la presenza è stata derubricata a quella dell’avvocato) e la ragazza, durante il quale sarebbero stati rivelati i risultati del test sul suo gruppo sanguigno (doveva essere in prima battuta il test del Dna, ma anche qui non si è andato troppo per il sottile). In barba al dolore di una famiglia, ai magistrati di un’inchiesta che va avanti da diciassette anni e che ha visto incriminare e poi prosciogliere la sorellastra di Denise, e alla tragedia di una bambina sulla cui fine nulla si sa. In un sussulto di dignità, dopo giorni di tam tam sul disvelamento, l’avvocato di Piera Maggio, Giacomo Frazzitta, l’altro ieri ha fatto sapere – meglio tardi che mai – che non avrebbe partecipato alla trasmissione se prima non avesse avuto i risultati degli esami del sangue. Ieri nuovo colpo di scena: i risultati sono arrivati, il programma è stata registrato, ma la tv russa ha deciso di rinviarne la trasmissione a domani e fino ad allora – dice l’avvocato Frazzitta – «bisogna mantenere un comprensibile riserbo». Non di riserbo si tratta, e tanto meno comprensibile, ma di un accordo con la televisione che avrebbe accettato di fornire il risultato del test all’avvocato prima della registrazione della trasmissione, a patto di mantenere l’embargo sulla notizia fino a oggi, quando andrà finalmente in onda, per pure ragioni di audience.

«Ho appena ricevuto la comunicazione, via mail, dall’avvocato di Olesya – dice Frazzitta a metà giornata – una mail di collaborazione, a questo punto parteciperò al programma russo. Ma non posso dire nulla nel merito: ho l’embargo sul contenuto. Posso solo dire che trasmetteremo tutto in Procura a Marsala e i magistrati sanno cosa fare». Peccato che la procura di Marsala, ieri sera, non avesse ricevuto nulla.

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Caro Conte, tra Russia, Haftar e gilet gialli ecco dove avete sbagliato in politica estera

mercoledì, Aprile 7th, 2021

Massimo Giannini

Caro Presidente Conte,

La ringrazio per la Sua lettera e per la Sua attenzione. Capisco le ragioni che la spingono a replicare ai contenuti del mio editoriale. Ma mi corre l’obbligo di replicare a mia volta, per ribadire i fatti che Lei considera «falsità» e che invece, purtroppo, non lo sono. Scrivo «purtroppo» perché le questioni di cui stiamo parlando riguardano non già le baruffe chiozzotte tra i partiti di casa nostra, ma la politica estera del Paese, che è materia delicata ed essenziale a definirne il profilo e a tutelare l’interesse nazionale.

Il primo «fatto» è il severo giudizio di Mohammed bin Zayed, emiro di Abu Dhabi, sulla «sostanziale inutilità» dei due incontri ufficiali avuti con Lei a proposito della Libia e sulla sua ferma volontà di non replicarne altri. Per bollare come «falsità» questo mio resoconto Lei spiega che dopo quei due incontri ha avuto con lo Sceicco «ulteriori colloqui», a conferma dell’«eccellente rapporto personale instaurato». Io non so se dopo il marzo 2019 vi siano state conversazioni telefoniche tra voi: non ce n’è traccia nelle comunicazioni ufficiali di Palazzo Chigi. Ma so per certo e ribadisco quello che ho scritto, e che mi è stato riferito da una fonte primaria e autorevolissima che, sul terreno, ha istruito e segue da sempre il dossier libico-emiratino.

Il secondo «fatto» è il blitz del 17 dicembre 2020 per liberare i 18 pescatori mazaresi sequestrati dai libici. Qui non ci dividono «falsità», come Lei dice, ma semplicemente opinioni. La mia rimane quella che ho scritto: il volo improvvisato a Bengasi e le modalità con le quali è stato organizzato il rilascio dei sequestrati, con tanto di photo-opportunity pretesa da Haftar, restano una pagina opaca della nostra storia diplomatica.

Comprendo il “movente”: dopo aver respinto «altre richieste non accoglibili» (sono parole Sue) quella foto era evidentemente l’unica che ritenne di accogliere per raggiungere il risultato, cioè il rilascio dei pescatori. Fu dunque un gesto di realpolitik. Ma l’evidenza rimane: come ho scritto, fu comunque un episodio imbarazzante.

Detto tutto questo, Caro Presidente Conte, La voglio rassicurare sugli ultimi due punti della Sua lettera. Da parte mia non c’è nessuna intenzione di denigrare chi c’era ieri per lodare chi è arrivato oggi. Lei ha guidato l’Italia in una stagione infausta, soprattutto per la nostra collocazione geopolitica. Sa meglio di me che sulla credibilità del Paese che Lei rappresentava nei consessi internazionali hanno pesato fortemente le sbandate filorusse della Lega e le intemerate filocinesi dei Cinque Stelle.

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“Stabilizzare la Libia”. La missione di Draghi tra migranti e sicurezza

mercoledì, Aprile 7th, 2021

Ilario Lombardo

È nella coda polemica del viaggio di Mario Draghi in Libia che va cercato il senso anche politico della sua prima visita all’estero da presidente del Consiglio. Da una parte c’è la sinistra, quella all’opposizione di Leu, delle Sardine e una porzione di Pd rappresentata da Matteo Orfini, che definisce «inaccettabili» le dichiarazioni del premier. Dall’altra c’è la destra, anche qui un mix di opposizione, Fratelli d’Italia, e maggioranza, Forza Italia, che esulta e si congratula perché, dice Giorgia Meloni leader di FdI, «è un bene che il premier riparta da quanto lasciato dall’ultimo governo di centrodestra», nel 2011, tre anni dopo che Silvio Berlusconi e Muahammar Gheddafi siglarono il Trattato dell’amicizia.

Per l’Italia la Libia significa affari e sicurezza. E tenendo in vista questi due obiettivi che Draghi atterra a Tripoli con l’abito del pragmatismo che più lo fa sentire a suo agio e, in una dichiarazione congiunta con il primo ministro del governo unitario di transizione Hamid Dbeibah, si spinge fino a esprimere «soddisfazione per quello che la Libia fa per i salvataggi» dei migranti. Lo choc a sinistra e nell’area liberal che si batte per i diritti dei migranti è scontato, ma Draghi sa che è un pegno evidente che va pagato per non criminalizzare il fragile alleato, mentre faticosamente tenta di risorgere da un conflitto tribale che negli ultimi sette anni ha destabilizzato l’area del Mediterraneo. «Il problema non è solo geopolitico, è anche umanitario – aggiunge il capo del governo –. Da questo punto di vista l’Italia è forse l’unico Paese che continua a tenere attivi i corridoi umanitari».

In poche parole, e poche ore, Draghi concede molto credito al nuovo esecutivo che deve traghettare il Paese fino alle elezioni del 24 dicembre. Con il presidente del Consiglio c’è il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che appena rientrato a Roma rimarca quanto il dossier sia «di massima priorità»: «Stabilizzare la Libia significa mettere in sicurezza le nostre coste, offrire nuove opportunità di sviluppo alle nostre imprese». Grandi opere, energia e accordi per regolamentare i flussi migratori, con un sottinteso chiaro: per l’Italia e l’Europa diventa essenziale il controllo e la prevenzione sulla circolazione delle possibili varianti del coronavirus. Draghi chiama alle sue responsabilità l’Europa «investita del compito di aiutare il governo libico» anche nei suoi confini meridionali. Non ci sono solo le partenze dei barconi dalla costa, ma anche gli arrivi attraverso la porta d’ingresso sub-sahariana.

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“Niente AstraZeneca sotto i 60 anni”. Stretta in arrivo e rischia anche J&J

mercoledì, Aprile 7th, 2021
“Niente AstraZeneca sotto i 60 anni”. Stretta in arrivo e rischia anche J&J

Paolo Russo

ROMA. Non c’è pace per il vaccino di AstraZeneca, che a breve potrebbe essere vietato agli under 55 o a chi è sotto i 60 anni anche in Italia, seguendo l’esempio di Germania, Canada, Norvegia, Olanda e Danimarca che hanno deciso di utilizzarlo solo dalla sessantina in su o addirittura di sospenderlo. La decisione dell’Aifa, la nostra Agenzia del farmaco, arriverà subito dopo il pronunciamento dell’Ema, l’omologa europea, che già oggi potrebbe sovvertire il parere espresso poco tempo fa dicendo che sì, c’è un nesso causale tra il ribattezzato «Vaxzevria» e le rare trombosi cerebrali dei seni venosi rilevate in Europa negli ultimi due mesi.

L’Ema probabilmente non arriverà a porre limiti di età per l’utilizzo del siero anglo-svedese. Questo perché, come ci spiega una fonte autorevole di Amsterdam, «serviranno più tempo e studi più approfonditi per capire in che misura il rapporto rischio-beneficio per determinate fasce di età resta a vantaggio del vaccino». E poi l’Ema considererà il fatto che AstraZeneca ha poche alternative nei Paesi dell’Est, che hanno optato massicciamente sul ben più economico ritrovato di Oxford. Ma del fatto che ci sia una connessione tra questo vaccino, le trombosi cerebrali e alcuni tipi di eventi emorragici, gli esperti riuniti ad Amsterdam ne sono oramai convinti. E stanno esaminando uno studio tedesco secondo il quale in alcuni rari casi il vaccino darebbe luogo a una risposta immunitaria che va a ridurre le piastrine nel sangue, generando quei rari eventi avversi segnalati da diversi Paesi. Sappiamo poi che i casi si sono verificati quasi esclusivamente nella popolazione sotto i 55 anni e che l’80% ha colpito le donne. E gli esperti dell’Ema sospettano che potrebbe esserci una predisposizione genetica, anche se serviranno studi più approfonditi per accertarlo.

L’incidenza dei casi sul numero di vaccinati resta bassissima, sicuramente di gran lunga inferiore alle morti provocate dal virus nella popolazione anziana. Ma i 31 eventi trombotici segnalati in Germania pur su 2,7 milioni di vaccinati hanno destato allarme perché si sono verificati in soli due mesi, con un’incidenza superiore a quella di 3 casi l’anno su 100 mila persone che si riscontrano nella popolazione generale. In Gran Bretagna, dopo averli contati sulle dita di una mano ora si è arrivati a 30 casi e il numero sale rapidamente. Segno che forse prima non erano stati segnalati dal sistema di sorveglianza.

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La fine della solidarietà

mercoledì, Aprile 7th, 2021
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di   Massimo Gramellini

Non sarà troppo riduttivo e un po’ cinico bollare le proteste di ristoratori e ambulanti impoveriti dalla pandemia come la rivolta egoista di una piccola borghesia di «bottegai» che non pagano le tasse? Nessuno intende avallare blocchi stradali e danneggiamenti assortiti. Sbraitare l’uno sopra l’altro senza mascherina non è il modo ideale di garantire riaperture in sicurezza e forse continua a non esistere risposta migliore a questa tragedia che chiudere tutto il chiudibile per vaccinare il più in fretta possibile, magari partendo dai fragili e non dai raccomandati. Ma ascoltare le ragioni della disperazione è un esercizio minimo di umanità. Tra chi ieri ha fatto esplodere la sua rabbia per le strade c’erano agitatori politici di basso conio, ma anche commercianti che non vedono un euro da oltre un anno e piccoli imprenditori che per pagare gli stipendi sono ormai costretti a rivolgersi agli strozzini. Eppure, bastava scorrere le piazze virtuali dei social per accorgersi di una spaccatura drammatica che riecheggia nelle conversazioni private. La fine di ogni forma di empatia. I commentatori più feroci affermavano di non provare alcuna pietà per chi pratica «il nero». E i più miti, si fa per dire, sostenevano che chi si dedica all’iniziativa privata dovrebbe sapere che il rischio del fallimento fa parte del mestiere: insomma, un inno impietoso al darwinismo sociale, fatto da gente che spesso sui diritti civili si proclama orgogliosamente di sinistra.

La pandemia ha esasperato la spaccatura, trasformando i garantiti in tifosi acritici del lockdown – conta solo la salute, il resto seguirà – e gli autonomi in negazionisti o quantomeno in minimizzatori. Una guerra tra poveri – anzi, tra ex benestanti – combattuta a colpi di stereotipi: «fannulloni» contro «evasori», stipendiati contro autonomi, garantiti contro abbandonati a sé stessi. Funziona così: se un pensionato o un dipendente pubblico si lamenta per una disparità di trattamento ai suoi danni, il «popolo delle partita Iva» gli sbraita addosso, trattandolo da privilegiato. Quando invece, come ieri, sono le partite Iva a protestare, è dai tinelli a stipendio fisso e pensione assicurata che si levano sfottò contro una categoria accusata di voler attingere alla cassa comune dello Stato senza contribuirvi con il pagamento delle imposte.

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Proteste di ristoratori e ambulanti a rischio di escalation. Il Viminale: distinguere i lavoratori da chi cavalca l’ira

mercoledì, Aprile 7th, 2021

di Fiorenza Sarzanini

Proteste di ristoratori e ambulanti a rischio di escalation. Il Viminale: distinguere i lavoratori da chi cavalca l'ira

È la fine della tregua, la miccia che può accendere il rogo. Perché le analisi degli specialisti dell’ordine pubblico non delineano un’unica regia dietro la protesta che attraversa l’Italia, ma paventano timori forti per quello che potrà succedere a breve. E se adesso individuano nei gruppi dell’estremismo chi soffia sul fuoco del disagio sociale, per un futuro non troppo lontano non escludono la possibilità che si saldino interessi apparentemente distanti proprio per creare disordine fomentando lo scontro. I segnali non sono rassicuranti. Episodi apparentemente slegati rischiano di diventare tasselli di un’unica strategia che mira allo sfascio. O forse a qualcosa di ancor più inquietante. Ci sono le minacce e i proiettili al ministro della Salute Roberto Speranza e al governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini arrivati negli ultimi giorni. Ma c’è anche l’incendio del portone dell’Istituto superiore di sanità di Roma il 17 marzo scorso, l’ordigno lanciato quattro giorni fa contro il centro vaccinale di Brescia. Atti di violenza che rischiano di degenerare. Ecco perché la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, dopo aver «espresso solidarietà al poliziotto ferito a Roma», ha voluto sottolineare «l’evidente disagio delle categorie economiche più colpite dalla grave crisi innescata dalla pandemia che merita la doverosa attenzione del governo».

Gli estremisti

Ristoratori, ambulanti, negozianti, baristi, titolari di centri sportivi, commercianti: è lungo l’elenco dei lavoratori che da mesi fanno i conti con la chiusura delle attività. Ma ancora più lungo è quello di chi non riuscirà a riaprire. Su questo tasto battono le formazioni che mirano a tenere alto il livello dello scontro.
Basta scorrere le immagini delle manifestazioni per scorgere i militanti di Casa Pound a Roma e gli antagonisti a Torino, ma anche per ricordare come già ad ottobre a Napoli e a Palermo furono i clan a fomentare i cortei e i sit-in. Oppure a sottolineare come alcuni siti internet riconducibili a formazioni anarchiche abbiano inneggiato all’attacco contro la sede dell’Istituto superiore di sanità. Non è una firma, ma una condivisione forte, un messaggio che incita ad andare avanti su questa strada della ribellione anche violenta.

La strategia

Nelle circolari e nelle disposizioni inviate dal gabinetto del ministro e dal capo della polizia Lamberto Giannini a prefetti e questori viene sempre evidenziata la necessità di rispondere in maniera proporzionale agli attacchi, di non intervenire fino a che la situazione non diventi pericolosa, di dare spazio a chi è mosso dalla disperazione per il lavoro che manca.

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Vaccino Covid, Draghi fiducioso: la campagna procede. Regioni in pressing: alzare le saracinesche

mercoledì, Aprile 7th, 2021

di Monica Guerzoni

Per la prima volta da quando è presidente del Consiglio, Mario Draghi si trova assediato e pressato da ogni parte. I presidenti delle Regioni vogliono alzare le saracinesche delle attività economiche già dal 20 aprile, la Lega invoca un calendario delle riaperture, i ristoratori e gli ambulanti non reggono più le restrizioni e, complice chi soffia sul fuoco, si scontrano con le forze dell’ordine a pochi passi da Palazzo Chigi. Tornato nel pomeriggio dalla sua prima missione in Libia, Draghi ha trovato i manifestanti ancora in piazza e, al telefono con i ministri, ha dato la linea: solidarietà verso chi soffre, ma anche fermezza, per impedire che il disagio di chi non lavora a causa della pandemia venga strumentalizzato mettendo a rischio l’ordine pubblico.

Nuove limitazioni per AstraZeneca

Anche sul fronte vaccini i problemi non mancano. Il tanto atteso cambio di passo ancora non si vede e oggi potrebbe arrivare la notizia di una limitazione ulteriore nell’uso di AstraZeneca, il siero su cui l’Italia ha fortemente puntato. Eppure dalle stanze del governo arrivano messaggi tranquillizzanti. Il primo è che «i vaccini ci sono» e d’ora in avanti toccherà alle regioni dare il massimo per somministrarle. Il ministro della Salute Roberto Speranza pensa che adesso i governatori «hanno tutte le armi per correre» e ritiene che una eventuale limitazione di AstraZeneca non costringerà il commissario Figliuolo a modificare in corsa il piano italiano, perché «stiamo già vaccinando per anzianità».

La frenata? Fisiologica

Quanto alla frenata degli ultimi giorni, che ha visto l’asticella delle somministrazioni scendere sotto quota 100 mila, a Palazzo Chigi ritengono che un rallentamento in corrispondenza delle festività pasquali sia «fisiologico». E se da alcune regioni arriva la «forte preoccupazione» per i tagli di AstraZeneca, che il 14 aprile consegnerà 175 mila dosi invece delle 340 mila previste, anche qui l’input è ridimensionare, perché la metà delle dosi mancanti verrà distribuita assieme alle consegne del 16 e 23 aprile.

Ripartenze da decidere con le regione

Draghi insomma ha «piena fiducia» nel lavoro del generale Francesco Paolo Figliuolo e si mostra come lui convinto che, a fine mese, l’Italia raggiungerà le 500 mila iniezioni al giorno. Per il governo è un obiettivo strategico, al quale è legato il tema esplosivo delle riaperture. Per Draghi la campagna vaccinale e la ripartenza di bar, ristoranti, palestre, e cinema sono due facce della stessa medaglia, due dossier da esaminare insieme. Domani il capo dell’esecutivo lo farà con i presidenti delle Regioni durante un vertice che avrà al centro il Recovery plan, ma che di certo si allargherà al destino delle attività commerciali.

Pressioni da destra e sinistra

I governatori della Lega vogliono date precise per programmare «a lungo termine» la riapertura: «Via libera a cinema e teatri con il contingentamento, ristoranti aperti a cena nelle regioni con dati da zona gialla, locali con saracinesca alzata fino alle 18 anche in zona arancione…».
Il presidente della Liguria Giovanni Toti ricorderà a Draghi di essere stato lui a evocare «il gusto del futuro» e chiederà un calendario per riaprire. Ma le pressioni non vengono solo da destra. Il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, che guida la Conferenza delle Regioni, vede la curva del virus in discesa e si prepara a ragionare con il premier di «parziali riaperture».

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Vaccini, Astrazeneca in ritardo, in arrivo 1,5 milioni di dosi Pfizer

mercoledì, Aprile 7th, 2021

di Alessandro Trocino

ROMA — La buona notizia è che ieri sono arrivati 1,5 milioni di dosi Pfizer, il lotto di vaccini più consistente consegnato dall’inizio della campagna. Una boccata d’ossigeno soprattutto per la somministrazione agli over 80 e ai soggetti fragili, che sono aumentate del 20 per cento la scorsa settimana, ma che ancora restano indietro. La cattiva notizia è che Astrazeneca continua ad arrancare e ha fatto sapere che delle 340mila dosi previste per il 14 aprile ne arriveranno la metà, ovvero 175mila, mentre le altre saranno consegnate il 16 e il 23 aprile.

I ritardi sugli over 80

Un quadro complesso. Con vaccinazioni praticamente ferme a Pasqua, come e più di tutti i weekend e nei festivi. Forniture insufficienti e caos con il consueto di rimpallo di responsabilità tra le autorità centrali e le Regioni. Nonostante tutto la struttura del il generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario all’emergenza Covid, conferma l’obiettivo di arrivare a 500 mila vaccinazioni a fine aprile, smentendo chi paventa uno slittamento a maggio, se non dopo. E si aspetta di immunizzare l’80 per cento della popolazione entro settembre. Certo, dipenderà molto dalle forniture. Perché Astrazeneca, che è il vaccino su cui ha puntato maggiormente l’Europa, continua ad alimentare dubbi sulla sicurezza e a non rispettare i patti. E qualche dubbio c’è anche per il vaccino di Johnson &Johnson, che dovrebbe consegnare i primi lotti il 14 aprile.

I contrasti con le Regioni

Ma c’è anche un contrasto che si fa sempre più forte con le Regioni. Che contestano la mancanza di vaccini, mentre dal centro si ricorda che ci sono ben 3 milioni di dosi disponibili, non ancora somministrate. Il mistero non è così insondabile, visto che sono note le differenze di velocità tra le Regioni. Alessio D’Amato, assessore del Lazio, non è molto diplomatico: «Sono un po’ stanco del balletto delle cifre e sono molto preoccupato. Se vogliamo raggiungere i 500 mila di vaccinazione abbiamo bisogno di 15 milioni e mezzo di dosi in Italia e di uno e mezzo in Lazio. Il resto sono solo chiacchiere». Ad aprile, invece, le dosi previste sono solo 8 milioni, salvo miracoli dell’ultimo minuto. Le dosi, dopo gli inizi, vengono distribuite in proporzione alla popolazione. Non sarebbe il caso di darle a chi riesce davvero a somministrare, per accelerare la campagna? «Non voglio entrare in questo – dice D’Amato – Prima di tutto io voglio che mi sia data la quota che ci spetta, il 10 per cento. Poi, quando ci sarà abbondanza, se si vuole dare una premialità a chi va più veloce, va benissimo. Ma mi pare che si stia creando la tempesta perfetta. Ci sono dubbi su Astrazeneca e Johnson & Johnson arriva a scartamento ridotto: 30 mila dosi le facciamo due giorni».

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Covid, la protesta degli ambulanti scende nelle piazze: scontri davanti alla Camera

martedì, Aprile 6th, 2021

In molte città italiane è scesa in piazza quest’oggi la protesta degli ambulanti che chiedono di poter tornare a lavorare. Da Nord a Sud, non sono mancati momenti di tensione, soprattutto a Milano e Roma. Covid, tensione in piazza davanti Montecitorio durante la protesta dei ristoratori

Milano
Mattinata di tensione nel centro di Milano per due distinte manifestazioni di protesta che hanno visto il proprio epicentro tra la Stazione Centrale e via Gioia. In strada i lavoratori delle imprese dei bus turistici, particolarmente colpite dalla crisi provocata dalla pandenmia. Una quarantina di autisti si sono ritrovati tra via Gioia e viale Zara, nella zona dove si si erge il grattacielo della Regione Lombardia per chiedere idealmente all’Ente sostegno e aiuti per fronteggiare la situazione. Più animata la protesta degli ambulanti. Questi si sono ritrovati in piazza Duca d’Aosta, dove sorge l’edificio della stazione centrale del capoluogo lombardo: qui, al grido di «lavoro lavoro», circa 200 ambulanti si sono dati appuntamento per invocare ristori e per chiedere di «riaprire il prima possibile in modo da poter ritornare a lavorare».  Il corteo dei furgoni degli ambulanti paralizza la zona della Stazione Centrale a Milano

Un centinaio i mezzi con cui si sono dati appuntamento nel luogo del ritrovo, con inevitabili impatti sulla circolazione della zona. Il presidio, monitorato sempre dalle forze dell’ordine, si è poi spostato verso la zona del Lazzaretto ma è stato bloccato dalla polizia in quanto non autorizzato. Attimi di tensione crescente e poi la soluzione, con il permesso concesso di proseguire, a piedi, verso la prefettura dove i manifestanti potrebbero essere accolti dalle autorità.

Un momento degli scontri davanti alla Camera tra manifestanti e polizia
Un momento degli scontri davanti alla Camera tra manifestanti e polizia

Roma 
Momenti di alta tensione davanti Montecitorio, con scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine, schierate in assetto anti sommossa. A manifestare davanti la Camera, da alcune ore, sono diverse categorie di esercenti commerciali le cui attività sono ancora chiuse per le norme anti Covid (tra cui ristoranti, palestre, ambulanti). Mentre nelle prime fase della manifestazione la situazione sembrava tranquilla, con le proteste che si limitavano a cori e urla nei megafoni, da alcuni minuti la tensione è andata crescendo, con lanci di fumogeni e alcuni manifestanti che hanno tentato di sfondare le transenne a protezione della piazza. Le forze dell’ordine hanno contenuto i tentativi di sfondamento, fermando alcuni manifestanti. Oltre ai fumogeni, sono state lanciate anche alcune bottiglie. 

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Calano i redditi ma le tasse tornano a salire

martedì, Aprile 6th, 2021

Il 2020 è stato un anno difficile per le famiglie, che hanno visto ridursi il reddito e, per effetto della contrazione dell’economia, hanno subito un peso delle tasse crescente. L’anno si è chiuso con un calo complessivo del Pil dell’8,9% e l’inizio del 2021 non registrerà ancora un’inversione di tendenza. Per il primo trimestre dell’anno Confindustria stima una contrazione del prodotto interno lordo, nonostante la sostanziale tenuta dell’industria, interrotta solo nel mese di marzo. Le restrizioni alla mobilità, le chiusure e i rallentamenti delle vaccinazioni non hanno aiutato l’economia e per l’atteso rimbalzo bisognerà aspettare ancora, probabilmente fino al secondo trimestre. Il governo presenterà le sue stime aggiornate per l’anno in corso tra una decina di giorni nel Documento di economia e finanza atteso a metà aprile, ma la fotografia scattata dall’Istat sull’ultima parte del 2020 mostra come le famiglie italiane abbiano sofferto per gli effetti della pandemia anche in autunno.

Il quarto trimestre dell’anno evidenzia innanzitutto un calo del reddito disponibile, sceso dell’1,8% rispetto al trimestre precedente. A diminuire sono stati anche i consumi, calati del 2,5%. La differenza tra il più significativo ribasso della spesa e quello meno pesante del reddito ha fatto però sì che la propensione al risparmio aumentasse fino al 15,2%, 0,5 punti percentuali in più rispetto al trimestre precedente.

Con le misure restrittive e la chiusura di molte attività di ristorazione, ricreative e culturali, il risparmio è diventato una della caratteristiche della crisi legata alla pandemia, nonostante l’evidente contrazione di risorse a disposizione delle famiglie. Proprio questa diminuzione, ha determinato una diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie rispetto al trimestre precedente del 2,1%. Tutti dati a cui se ne somma anche un altro, legato indissolubilmente al crollo del Pil: nel 2020, in coincidenza con il deciso ridimensionamento del prodotto, tornato ai livelli del 1997, la pressione fiscale è salita al 43,1% con un picco del 52% nel quarto trimestre (quando il Pil è diminuito dell’1,9%).

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