Archive for Aprile, 2021

Aspettando Nicola (Atto secondo)

mercoledì, Aprile 21st, 2021

Si rischia sempre lo stesso pezzo, a proposito di Pd e amministrative: aspettando Nicola. Però adesso c’è una scadenza all’attesa, il 20 giugno, giorno in cui sono state fissate le primarie del Pd (per gli amanti della storia il 20 giugno evoca le famose elezioni di 45 anni fa in cui il Pci raggiunse il 33,5 per cento, altri tempi). Le ultime verifiche, prima dell’annuncio, riguardano la possibilità di un “primarie day”, in tutte le città, come Bologna, dove sono necessarie per sciogliere quantomeno i nodi del Pd. Il che significa che, più o meno, di qui a un mese ma anche prima, l’ex segretario e presidente della Regione Lazio dovrà dire una parola definitiva e poi partecipare a consultazioni che sembrano più un pro forma.

Raccontano che al momento è più possibilista, almeno questa è la sensazione di Enrico Letta, perché molto spinto dai suoi che intravedono la possibilità di un nuovo ciclo lungo al Campidoglio. Anche se restano non banali i dubbi, su come verrebbe percepito questa sorta di ascensore istituzionale dalla Regione al Comune, in piena campagna di vaccinazione, peraltro gestita con successo. Raccontano anche che Zingaretti è molto contrariato dalla vicenda “concorsopoli” in Regione ma, appunto, sarebbe complicato spiegare che, dopo aver lasciato il Pd per “vergogna” verso le correnti, l’abbandono della Regione, pochi mesi dopo, è motivato dalla “vergogna” verso meccanismi clientelari di cui è stato all’oscuro nel corso della sua lunga amministrazione.

Però la riflessione è in atto proprio sul come gestirle: in caso di dimissioni le deleghe le assumerebbe il sui vice, Daniele Leodori, fino al voto, la cui data di svolgimento è oggetto di un approfondimento, se assieme alle amministrative o alla successiva finestra elettorale. Quanto questi ragionamenti siano concreti lo attesta anche tutto il chiacchiericcio attorno ai successori: Leodori, potente vice di rito franceschiniano o l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato, molto vicino a Zingaretti e forte di una gestione molto efficiente della campagna vaccinale. E lo attesta anche l’attendismo di Roberto Gualtieri, che sta ritardando il suo annuncio della candidatura a Roma, proprio per evitare di essere costretto a un passo indietro qualora arrivasse il fatidico sì di Zingaretti.

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Il video choc di Grillo arriva in Parlamento. L’imbarazzo del M5S

mercoledì, Aprile 21st, 2021

alessandro di matteo

ROMA. Il Grillo furioso finisce sotto processo in Parlamento, il video in cui il fondatore del Movimento 5 stelle difende il figlio coinvolto in una inchiesta per stupro diventa oggetto di dibattito alla Camera e persino tra i 5 stelle cominciano ad emergere malumori. Un caos che certo non semplifica la vita di Giuseppe Conte, impegnato a rilanciare un Movimento già abbastanza dilaniato al proprio interno. L’ex premier, pressato da molti parlamentari 5 stelle e dal Pd, alla fine è costretto a prendere le distanze da Grillo, perché quelle parole sulla ragazza che non sarebbe credibile perché ha denunciato solo una settimana dopo sono davvero poco difendibili. Nella bagarre, peraltro, entra anche la moglie di Beppe Grillo, Parvin Tadjik, che sui social network risponde a Maria Elena Boschi che l’altro ieri aveva attaccato “l’elevato” definendo «una vergogna» le sue parole.

La Tadjik assicura che esiste un «un video che testimonia l’innocenza dei ragazzi, dove si vede che lei (la ragazza che ha denunciato lo stupro, ndr) è consenziente». La moglie di Grillo prova a spostare l’attenzione dalla discussione sulla denuncia in ritardo, forse nella consapevolezza che questo argomento è quello troppo spesso usato da chi è accusato di stupro. «La data della denuncia è solo un particolare». Parole che la Boschi non lascia correre: «Io non faccio il processo sui social, gentile signora. Le sentenze le decidono i magistrati, non i tweet delle mamme. Aspetti il processo anche lei e spieghi a suo marito che è meglio credere nella giustizia anziché fomentare l’odio con il giustizialismo». La capogruppo di Iv coglie anche l’occasione per ricordare: «Per me suo figlio Ciro è innocente fino a sentenza passata in giudicato. Suo marito Beppe invece è colpevole di aver creato un clima d’odio vergognoso. Odio contro di me, contro mio padre, ma soprattutto contro tanti italiani che non possono difendersi», E per Giulia Bongiorno, l’avvocato che difende la ragazza, il video è certamente una prova, ma contro Ciro Grillo: «E’ un boomerang. Porterò il video di Beppe Grillo in Procura perché reputo che sia una prova a carico, documenta una mentalità». Quella del fondatore M5s, assicura, è una linea tipica degli accusati di violenza sessuale, «una strategia che tende a sostituire i ruoli processuali: le ragazze diventano imputate. La famiglia della ragazza ieri era totalmente distrutta, tra lacrime e disperazione. Stanotte non si è dormito, il dolore si è amplificato».

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Magrini (Aifa): “Se le dosi scarseggeranno rivaluteremo i limiti d’età”

mercoledì, Aprile 21st, 2021

NICCOLÒ CARRATELLI

Su questa anomalia avete messo a lavoro un gruppo di esperti di coagulazione del sangue: risultato?
«Sono tra i migliori coagulologi italiani, si sono riuniti quasi tutti i giorni e domani (oggi, ndr) sarà pubblicato il documento frutto del loro lavoro. Hanno analizzato tutti i casi sospetti di trombosi finora denunciati in Italia, abbiamo chiesto per tutti un set di informazioni di laboratorio per avere una standardizzazione, aprire un registro e cercare di definire le cure migliori per futuri casi: ad esempio, non si deve dare l’eparina, ma altri anticoagulanti e associare le immunoglobuline ad alto dosaggio».

Nessuna indicazione possibile, però, su come prevenire questi eventi trombotici?
«Come detto, non ci sono fattori predisponenti, quindi non ci sono esami clinici da fare prima né valutazioni possibili su condizioni patologiche che uno sa o sospetta di avere. E non ci sono farmaci da assumere, prima o dopo la vaccinazione. Sono conclusioni già condivise dalla Società italiana per l’emostasi e la trombosi e dalla comunità scientifica internazionale».

Nell’incertezza, meglio evitare di usare J&J e AstraZeneca per vaccinare trentenni o quarantenni?
«Diciamo meglio negli anziani, per il momento, sapendo che potremmo anche usarli, se necessario: se avessimo solo questi due vaccini a disposizione, li daremmo senza esitazioni a tutti, perché i benefici superano di gran lunga i rischi. Ma nei prossimi mesi avremo anche altre opzioni, a fine maggio è attesa anche la registrazione del vaccino Curevac, che usa la tecnologia dell’RNA messaggero, come Pfizer e Moderna, e ha dati preliminari molto buoni».

Quindi non ci sarà bisogno di riconsiderare questa indicazione di somministrazione agli over 60?
«Non è da escludere, perché potremmo avere ulteriori dati su questi vaccini e le evidenze scientifiche sono sempre in progress. A livello europeo, la maggior parte dei Paesi si sta regolando come noi o li ha addirittura sospesi. In caso di necessità, comunque, si potrebbero tranquillamente usare anche nella fascia 50-60 anni».

Un paradosso ricevere le forniture più corpose di AstraZeneca e J&J quando avremo già finito di vaccinare gli anziani, no?
«È chiaro che avremmo voluto avere più vaccini prima, ma c’è stato un accaparramento senza esclusioni di colpi tra i Paesi e l’Unione Europea si è comportata in modo più solidale, a mio avviso. Avremo comunque più dosi in questo trimestre, anche grazie a AstraZeneca e J&J, che ci servono ora. Ma, del resto, AstraZeneca aveva promesso di consegnare 3 volte più vaccini di quelli che sono effettivamente arrivati. Se poi, a partire dall’estate, avremo un eccesso di vaccini, magari potremo cedere dosi ad altri Paesi in difficoltà».

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Già vaccinato con la seconda dose di Pfizer, contagiato dalla variante sudafricana: primo caso in Piemonte

mercoledì, Aprile 21st, 2021

paola scola

Come volontario del sistema di soccorso piemontese, è stato vaccinato a gennaio. E ha ricevuto anche la seconda dose di Pfizer. Eppure un cinquantenne, che abita tra Saluzzo e Pinerolo, ha contratto il Covid. È lui il primo caso di variante sudafricana isolata in Piemonte.

Asintomatico e in buone condizioni, l’uomo si è sottoposto a tampone di screening preventivo per motivi di lavoro in un presidio dell’Asl To4. Il campione per riconoscere la presenza di una variante è stato inviato al laboratorio dell’Istituto di Candiolo, dov’è stata sequenziata la «sudafricana». «La sorveglianza dimostra la nostra capacità di intercettare le varianti e contenere il contagio – spiega l’assessore regionale a Ricerca e Innovazione, Matteo Marnati -. Da quando si è diffusa la variante inglese, abbiamo subito attivato i laboratori con cui collaboriamo, perché procedessero alle campionature, come richiesto da ministero e Iss. Aver individuato la variante ha anche valenza positiva: i laboratori sono stati rapidamente in grado di rilevarla». L’assessore alla Sanità, Luigi Icardi: «Abbiamo avviato la procedura per accertare se la persona vaccinata, ma contagiata, possa a sua volta essere contagiosa. Bisogna capire se possa ancora trasmettere il virus e in che misura. Con lo scenario delle varianti purtroppo siamo destinati a convivere, ma il monitoraggio in Piemonte permette di avere la situazione sotto controllo, mentre con le vaccinazioni combattiamo lo svilupparsi della malattia. La campagna è fondamentale».

Giovanni Di Perri, direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’«Amedeo Savoia» di Torino: «Il vaccino protegge contro la malattia, meno contro l’infezione. In questo specifico caso, l’essere stato vaccinato può essere la verosimile causa del fatto che l’infezione è asintomatica. Le infezioni nei vaccinati sono di durata più breve di quelle naturali. La persona è già vaccinata con Pfizer, che è noto dare protezione discreta contro la variante sudafricana. La circolazione di varianti è sotto monitoraggio molecolare, per verificare il grado di diffusione nel tempo».

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Minneapolis, la giuria inchioda Chauvin: “Colpevole dell’omicidio di George Floyd”

mercoledì, Aprile 21st, 2021

Paolo Mastrolilli

INVIATO A NEW YORK. Colpevole. Per tutti i tre capi d’accusa. Così si è chiuso ieri il processo a Derek Chauvin per l’omicidio di George Floyd, e forse si è aperto un nuovo capitolo nella storia delle relazioni razziali negli Stati Uniti. «Questo – ha commentato il presidente Biden – può diventare un momento decisivo per cambiare l’America».

I dodici giurati, sei bianchi, quattro neri e due multirazziali, hanno discusso meno di 11 ore, prima di trovare l’accordo unanime. Poco dopo le quattro del pomeriggio hanno giudicato l’ex poliziotto colpevole di omicidio colposo, preterintenzionale, e di terzo grado. E’ stato subito portato via in manette, e ora rischia fino a 40 anni di prigione. «Giustizia è fatta, ora possiamo tornare a respirare», è stato il commento del fratello di Floyd, Philonise. Per strada la gente ballava, neri e bianchi insieme, celebrando non solo la condanna di Chauvin, ma soprattutto la speranza di un nuovo inizio. Come ha promesso poco dopo Biden: «Questo verdetto non può riportare in vita George, ma è un passo gigantesco verso la giustizia in America. Ora dobbiamo fare di più». Cioè approvare al Senato il Floyd Justice in Policing Act per riformare la polizia, e «cancellare la macchia del razzismo sistemico, evitando però le violenze». Ai funerali di George, la figlia Gianna aveva detto a Biden che suo padre aveva cambiato il mondo: «Oggi ho potuto confermarle che è vero». Sentenza Floyd, Chauvin condannato per omicidio: l’ex agente ascolta la sentenza

Il 25 maggio scorso Chauvin aveva premuto il ginocchio per 9 minuti e 29 secondi sul collo di Floyd, sospettato di aver usato una banconota falsa da 20 dollari per comprare sigarette al negozio Cup Foods su Chicago Avenue. Uccidendolo, aveva aperto un nuovo capitolo nella tragica storia dei neri negli Usa, incarnato dal movimento Black Lives Matter. La rabbia aveva incendiato il paese, cambiando anche la campagna presidenziale, che Trump aveva cercato di distrarre dall’emergenza Covid, per trasformarla in un referendum sulle paure dei bianchi in declino demografico. Caso Floyd, la testimonianza del capo della polizia: l’uso della forza “doveva fermarsi prima”

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Ma chi è Grillo

mercoledì, Aprile 21st, 2021
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di   Massimo Gramellini

Grillo non è il primo politico che difende un parente stretto dalle accuse della magistratura dopo avere sbertucciato gli avversari quando facevano la stessa cosa. Però è il primo che non adombra il sospetto che si tratti di un complotto per fregare lui. E non per ingenuità, ma per inconsapevolezza del suo ruolo. In quel video intriso di machismo-leninismo, più che come un padre si esprime come un patriarca, ma di sicuro mai come un politico cosciente delle insidie e delle ricadute pubbliche dei suoi gesti. Il mistero ormai decennale di Grillo è questa sua natura di leader carsico, che solo saltuariamente si ricorda di rappresentare il partito di maggioranza relativa. Gli viene in mente certe sere, quando è costretto a sorbirsi al telefono i monologhi di Dibba o i silenzi di Conte doppiati da Casalino. O certe mattine, quando si tratta di scendere a Roma per disegnare alte strategie. Nel resto del tempo, che poi è la vita, Grillo continua a pensare a sé stesso come a un privato cittadino, la cui unica dimensione pubblica è quella del comico. Persino l’orrido video dell’altro giorno, se gli si toglie il volume, si trasforma nell’irresistibile macchietta di un vecchio burbanzoso e collerico.

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La legittima difesa della comunità calcistica

mercoledì, Aprile 21st, 2021

di Ernesto Galli della Loggia

Non è che per caso c’è stato un accordo segreto fra Florentino Perez e Matteo Salvini? Mi sembra impossibile che il presidente del Real Madrid e gli oligarchi del calcio europeo non abbiano pensato a quel che facevano quando hanno concepito il progetto di una Superlega. Il progetto cioè di sganciare le squadre di maggior prestigio e disponibilità finanziaria dai rispettivi campionati nazionali, dove hanno giocato da sempre, per fargli disputare un campionato continentale a loro soltanto riservato: mi sembra impossibile, dicevo, che non si siano resi conto di stare innescando in questo modo la tempesta perfetta del sentimento di appartenenza nazionale. Che infatti da 24 ore impazza furiosamente su tutte le radio (italiane ma credo che altrove sia più o meno la stessa cosa), in particolare sulle radio del tifo organizzato, all’insegna delle parole d’ordine «Non toglieteci la Juventus!», «Viva l’Inter e il Milan italiani!», «Abbasso l’europeismo delle élite e del denaro!», «Difendiamo il campionato dei nostri padri!». Proprio ascoltando queste voci assonanti almeno alla lontana con certa predicazione salviniana mi chiedo però: ma davvero ha qualcosa a che fare con il sovranismo leghista il sentimento di appartenenza che si fa sentire in queste ore e in questo modo? O forse siamo così avvelenati dalla polemica politica che non riusciamo più a distinguere, a ragionare e a prendere la giusta misura delle cose?

Mi aiuta un’esperienza recente. Non c’è bisogno di essere romanisti (personalmente fin da bambino sono un tifoso della Lazio) non c’è bisogno di essere romanisti, dicevo, per rimanere impressionati dalle ultime scene di «Mi chiamo Francesco Totti», il bel film di Alex Infascelli. Sono le scene dell’addio al suo pubblico, nello stadio che lo aveva visto protagonista di tante imprese, del grande capitano della Roma. Per un tempo interminabile decine di migliaia di persone di tutte le età di tutti i sessi, di tutte le condizioni sociali, agitando mille bandiere e mille sciarpe giallorosse piangono commosse e gridano il proprio entusiasmo e il proprio affetto al giocatore che per tanti anni è stato il simbolo delle loro speranze di vittoria, dei momenti di gloria così come di quelli amari della sconfitta. Che non sta affacciato a un balcone a ricevere l’omaggio della folla ma commosso piange anche lui, quasi sperduto in mezzo al campo, abbracciato alla moglie e ai figli. È Totti, ma naturalmente potrebbe essere Rivera o Gigi Riva, Paolo Rossi o Baggio. Quello che va in scena sugli spalti dell’Olimpico è il momento di autoriconoscimento di un’identità collettiva, di fusione emotiva di tale identità. Perché c’è poco da fare: siamo animali sociali, è nella nostra natura. Non possiamo vivere nell’isolamento autoreferenziale del nostro io, abbiamo bisogno di legami e di relazioni: e legami e relazioni producono inevitabilmente sentimenti, i quali non ci abbandonano. E così accade che siamo tifosi per sempre della stessa squadra, membri per sempre di una famiglia anche la più abominevole, per sempre cittadini di una patria.

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La Superlega è franata: ufficiale il ritiro del City e delle altre cinque inglesi, anche l’Inter si sfila dal progetto

mercoledì, Aprile 21st, 2021

di Guido De Carolis e Redazione Online

La Superlega è franata: ufficiale il ritiro del City e delle altre cinque inglesi, anche l'Inter si sfila dal progetto

Tifosi del Chelsea in rivolta contro la Superlega: Blues pronti alla marcia indietro (Epa)

La Superlega è nata morta. Il golpe è fallito. Il congiunto attacco politico e sportivo, contro i 12 club fondatori del nuovo torneo europeo, riservato ai più ricchi, è andato a segno. Ha sfaldato il fronte degli scissionisti fino a farlo crollare. Resterà solo un orribile progetto, naufragato due giorni dopo l’annuncio.

La prima squadra a ufficializzare il ritiro è stata il Manchester City. La crepa si è in fretta allargata e tutti i sei club inglesi sono usciti (anche se dal Chelsea non è arrivata nessuna nota). Poco dopo anche l’Inter ha fatto un passo indietro: «Il progetto della Superlega allo stato attuale non è più ritenuto di interesse». Gli addii mandano al macero l’idea, invisa a tutti, di un calcio d’élite. Una vittoria delle istituzioni, dell’Uefa e dei tifosi che sono riuscite a sventare la rivoluzione. La Superlega è naufragata.

Nella notte poi è arrivata la nota ufficiale della Superlega che ha confermato in sostanza la sospensione dell’iniziativa e si è detta intenzionata a «riconsiderare i passaggi per riconfigurare il progetto». Quel che rimane della secessione segnala che «alla luce delle circostanze attuali, valuteremo i passi più opportuni per rimodellare il progetto, avendo sempre in mente i nostri obiettivi di offrire ai tifosi la migliore esperienza possibile, migliorando i contributi di solidarietà per l’intera comunità calcistica». Secondo quanto riportato nel comunicato, i club inglesi sarebbero stati «costretti a prendere tali decisioni a causa delle pressioni esercitate su di loro». E, ancora, «siamo convinti che la nostra proposta sia pienamente conforme alle leggi e ai regolamenti europei, come è stato dimostrato oggi da una decisione del tribunale che tutela la Super League dalle azioni di terzi».

La valanga è partita dall’Inghilterra, il Paese più esposto e che il calcio moderno l’ha inventato a metà del 1800: oggi probabilmente l’ha salvato. La rivolta dei tifosi di Sua Maestà è stata intercettata dal Primo Ministro, Boris Johnson, deciso a voler «sganciare una bomba legislativa per fermare la Superlega».

L’avvertimento di una legge ad hoc per bloccare il progetto ha portato verso l’uscita il Manchester City, controllato dallo sceicco Mansour, componente della famiglia reale di Abu Dhabi. A cascata si sono mosse le altre della Premier League. Il gruppo dei pentiti si è ingrossato sempre più. Con un comunicato sul sito l’Arsenal ha chiesto perdono ai suoi tifosi, «abbiamo fatto un errore e ce ne scusiamo». Il Manchester United, il cui vicepresidente Ed Woodward, tra i cervelli dell’operazione Superlega, ha rassegnato le dimissioni sotto la spinta delle contestazioni dei tifosi dei Red Devils, si è accodato. Lo stesso hanno fatto Tottenham e Liverpool. Addirittura nei Reds i giocatori si sono ammutinati, schierandosi contro la società: «La Superlega non ci piace e non la vogliamo». Pure il Chelsea del magnate russo Roman Abramovich ha subito messo in moto gli avvocati per preparare i documenti per l’addio.

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Superlega, una cattiva idea per almeno 7 motivi (e mezzo)

martedì, Aprile 20th, 2021

di Beppe Severgnini

Superlega, una cattiva idea per almeno 7 motivi (e mezzo)

Sette motivi (e mezzo) per cui la Superlega sembra una cattiva idea.

1. Perché Napoli-Inter, domenica sera, è stata una buona partita. Così Atalanta-Juventus, nel pomeriggio. Cagliari-Parma, sabato, è stata ancora più bella. Atalanta, Napoli, Cagliari e Parma non vengono neppure prese in considerazione, per la Superlega. Ma quelle squadre – e tante altre, in Italia e in Europa – piacciono, a chi ama il calcio. Patrizi e plebei del pallone? Che tristezza.

2. Perché – tra campionati, coppe nazionali, coppe europee e squadre nazionali – si gioca ormai ogni pochi giorni. Quando si dovrebbe disputare la Superlega? In un universo parallelo, come Matrix?

3. Perché la Superlega è incompatibile con la Champions League. A quest’ultima si accede per merito, alla prima per denaro e accordi preventivi. La Superlega, come un resort di lusso, non prevede retrocessioni. Entri, paghi, rimani.

4. Perché la Superlega europea sembra una scopiazzatura della Nba americana: sfide incrociate, regole complesse, squadre perennemente in viaggio, marketing esasperato. Ma il basket Usa è arrivato lì attraverso un percorso. Non di colpo, a sorpresa, per le fantasie di qualche miliardario.

5. Perché, se è una questione di soldi, ci sono altri modi in cui le società di calcio – grandi e piccole – possono guadagnarne. Garantendo stadi sicuri e puliti, per esempio, e favorendo le trasferte. È un momento difficile, dopo un anno di pandemia? Le società non reggono più il peso degli ingaggi? Riducano quelli, invece di smontare tutto il resto.

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Covid, Draghi: “Ristrutturare la sanità: i vaccini fermano il peggio della pandemia ma non sappiamo quando finirà”

martedì, Aprile 20th, 2021

Rafforzare le catene di approvvigionamento dei vaccini. Sostenere la ricerca e ristrutturare i sistemi sanitari nazionali. Sono queste secondo il premier Mario Draghi, le tre sfide dell’Italia e dell’Unione europea nella lotta alla pandemia del coronavirus. “L’attuale pandemia ci impone di essere meglio preparati per il futuro. Dobbiamo sostenere la ricerca, rafforzare le catene di approvvigionamento e ristrutturare i sistemi sanitari nazionali. Dobbiamo rafforzare il coordinamento e la cooperazione globali”, ha sottolineato il presidente del Consiglio in un videomessaggio nel corso del webinar con la presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, in vista del Global Health Summit del prossimo 21 maggio a Roma.

Draghi ha quindi sottolineato “l’attuale pandemia ci impone di essere meglio preparati per il futuro e il nostro lavoro deve iniziare ora, poiché non sappiamo per quanto tempo durerà questa pandemia o quando ci colpirà la prossima”. Un monito, quindi, per il futuro e proprio in quest’ottica è stato organizzato il webinar online per un confronto con gli altri Paesi dell’Unione europea. “Anche a partire dal vostro contributo – ha precisato il premier – puntiamo a gettare le basi per la Dichiarazione di Roma che chiuderà i lavori del summit. La Dichiarazione – ha aggiunto Draghi – conterrà una serie di principi per rafforzare i nostri sistemi sanitari, migliorare le nostre capacità di risposta ed avere gli strumenti per rispondere a future emergenze sanitarie”.

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