Archive for Aprile, 2021

Il derby al governo tra Salvini e i suoi nemici

giovedì, Aprile 22nd, 2021

Insomma, proviamo a ricapitolare questa storia in cui un’oretta di coprifuoco è diventata una specie di linea del Piave. Dopo aver spiegato che il provvedimento sulle aperture di pochi giorni fa era una sua grande vittoria, Salvini si astiene sulla vittoria, dando ordine – proprio così: ordine – di non votarlo in nome di quell’oretta in più cui simbolicamente ha ancorato il destino dei ristoratori. Un evidente segnale tutto politico all’esterno, perché il suo sbandierato successo non è stato percepito come tale da quelle inquiete categorie che hanno occupato la A1, o che si sono incatenate a Sarzana, il cui urlo di dolore ha le sembianze di voti alla Meloni che, avanti di questo passo, di qui a tre mesi rischia di scavalcare la Lega nei sondaggi. Al tempo stesso è un evidente segnale all’interno, a quella delegazione di governo leghista, considerata troppo arrendevole. L’uomo, si sa è sospettoso, teme trame, non si fida di Giorgetti, vede rosso su Zaia cui ha preferito il più malleabile Fedriga a capo della Conferenza Stato Regioni. E con una certa brutalità ha fatto capire non solo che comanda lui, ma che la parola degli altri non vale nulla, punto.

A proposito di conferenza Stato Regioni, dopo il coprifuoco, arriva come casus belli anche la scuola. Mai si era vista una convocazione ad horas per commentare, anzi per attaccare un decreto del governo, che non ribalta gli accordi presi ma cerca solo di aprire (non di chiudere) le scuole un po’ di più, per l’esattezza del dieci per cento in più. È evidente la politicizzazione dell’organismo, impressa proprio dal neo presidente Fedriga che, in verità ha trovato terreno fertile tra i governatori piuttosto inclini, per ragioni di consenso, a tenere chiuse le scuole preferendo aprire i ristoranti, perché l’apertura delle scuole è un rischio che fa perdere voti, mentre i voti dei ristoratori si perdono che sono chiusi.

La cronaca dell’attivismo di Salvini, tornato battagliero anche nella postura, loquace al punto da trasformare la sua giornata in una diretta facebook senza soluzione di continuità potrebbe proseguire con la richiesta di dimissioni di una sottosegretaria pentastellata, rea di un’intervista troppo provocatoria o citando una serie di dichiarazioni che neanche stesse all’opposizione, secondo quella dinamica già sperimentata (in modo catastrofico) nel Conte 1: il governo non come luogo per cercare la sintesi, in nome di una comune assunzione di responsabilità, ma come terreno di una campagna elettorale permanente in cui contano solo le proprie bandiere, mentre, quando non vengono piantate, l’alleato di governo diventa un avversario, si chiami Speranza o Orlando, da dare in pasto alla delusione rispetto alle aspettative suscitate.

Sgomberiamo il campo da un riflesso condizionato, sin dai tempi del Papeete. Salvini non vuole uscire, almeno per ora, dal governo, anche perché il voto non è nelle sue disponibilità. Sarebbe lapidato da quel blocco produttivo che ce lo ha spinto e non è disposto a perdere l’occasione della gestione del Recovery. Quindi semplicemente, andrà avanti così.

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Covid, il coprifuoco serve per ridurre i contagi? Che cosa dice la scienza

giovedì, Aprile 22nd, 2021

di Cristina Marrone

La scelta del governo Draghi di confermare il coprifuoco dalle 22 alle 5 del mattino anche in piena estate ha sollevato malumori tra i cittadini ma soprattutto tra i ristoratori che speravano in una boccata di ossigeno con i locali aperti anche di sera. Difficile immaginare ristoranti deserti entro le 22 nelle grandi città o nelle località marine nei mesi di giugno e luglio. Da più parti era infatti stato proposto di allungare almeno di un’ora il periodo di «libera circolazione» chiudendo tutto alle 23 (dal momento in cui la cena sarà possibile solo all’aperto, dove i contagi sono meno probabili se viene mantenuto il distanziamento.

L’obiettivo di limitare le interazioni sociali

Il Comitato tecnico scientifico (Cts) ha spiegato in una nota che «alla luce delle situazione epidemiologica attuale, il Cts in una strategia di mitigazione del rischio di ripresa della curva epidemica, ritiene opportuno che venga privilegiata una gradualità e progressività di allentamento delle misure di contenimento, ivi compreso l’orario d’inizio delle restrizioni di movimento». «A livello nazionale dare un’ora in più a milioni di persone per interagire vuol dire dare milioni di chance in più al virus di circolare» aggiunge l’immunologo Sergio Abrignani, membro del Cts. L’idea di base che ha portato al mantenimento del coprifuoco è dunque limitare le interazioni sociali tra la popolazione più giovane, quella che si muove di più e che sarà l’ultima ad essere vaccinata.

Viola: spostare di un’ora non cambia nulla per i contagi

Antonella Viola, immunologa, professoressa ordinaria di Patologia generale all’Università di Padova, al contrario, è favorevole ad allungare di un’ora il coprifuoco, arrivando alle 23, a patto che vengano mantenuti i controlli: «La chiusura alle 22, a fronte di un beneficio del tutto discutibile per i contagi, crea un danno enorme ai ristoratori. Chi sta pensando o si è organizzato con strutture all’aperto ha bisogno di fare due turni. Inoltre i ragazzi per eludere il problema dormiranno tutti insieme, con feste illegali notturne e questo è molto peggio». Su Facebook scrive che « Spostare il coprifuoco di 1 ora, alle 23, permetterebbe ai ristoratori di affrontare con maggiore fiducia la ripartenza. Così come aiuterebbe il mondo dello spettacolo, duramente colpito dalle restrizioni. E non cambierebbe invece nulla dal punto di vista dei contagi, a patto che continuino i controlli. Sono piccoli passi che vanno incontro alle esigenze di tante persone e che farebbero la differenza». Il rischio è che con i tempi ridotti tutti si vedranno alle stesse ore, senza possibilità di «spalmare» gli avventori di bar e ristoranti

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Recovery, i numeri di Draghi: 221,5 miliardi tra Pnrr e fondo complementare

giovedì, Aprile 22nd, 2021

di Carmine Fotina ed Emilia Patta

Draghi: “Ristrutturare sanita’”. Nel Recovery oltre 20 mld

Il piano italiano per il Next Generation Eu arriva venerdì in consiglio dei ministri con cifre e progetti rivisitati. Mario Draghi negli incontri dei giorni scorsi si è limitato ad ascoltare senza rivelare i dettagli del Piano, e solo nella tarda serata schede e tabelle – non ancora il testo completo – sono iniziate a circolate tra i ministri in vista della cabina di regia con i capidelegazione che dovrà mettere a punto gli ultimi dettagli prima del via libera finale in Cdm.

I numeri del Piano

Il governo presenterà un pacchetto complessivo di interventi da 221,5 miliardi. Da un lato ci sono 191,5 miliardi coperti con il Recovery Fund vero e proprio (138,5 per nuovi progetti e 53 per sostituire coperture di progetti già in essere), dall’altro i 30,04 del Fondo complementare alimentato con lo scostamento di bilancio in cui dovranno confluire i progetti “esclusi” dal Piano.

I due fondi – come chiesto da tutti i partiti della maggioranza – avranno le medesime procedure semplificate, con obiettivi intermedi e target, ma le risorse nazionali non avranno obbligo di rendicontazione a Bruxelles e in alcuni casi potranno essere spese oltre il 2026.

Il monitoraggio complessivo sarà consultabile su un sito internet. Confermata la struttura in sei missioni e 16 componenti. Per «Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura» sono previsti 42,55 miliardi (38,25 per nuovi progetti), per «Rivoluzione verde e transizione ecologica» 57 (34,6), per «Infrastrutture per mobilità sostenibile» 25,33 (14,13), per «Istruzione e ricerca» 31,88 (24,1), per «Inclusione e coesione» 19,12 (di cui 14,81), per «Salute» 15,63 (12,65). Cifre che portano appunto al totale di 191,5 miliardi.

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Andrea Romano, deputato pd, e il figlio morto: «Da due mesi non riesco a seppellirlo. Raggi si vergogni»

giovedì, Aprile 22nd, 2021

di Claudio Bozza

Andrea Romano, deputato pd, e il figlio morto: «Da due mesi non riesco a seppellirlo. Raggi si vergogni»

Il deputato Andrea Romano, a fianco la protesta delle imprese funebri che chiedono scusa ai famigliari «perché non ci consentono di seppellire i vostri cari»

«Oggi sono due mesi che mio figlio Dario non è più con la sua mamma, con i suoi fratelli, con me. Due mesi che non riusciamo a seppellirlo: Ama non dà tempi di sepoltura degni di una città civile. Anzi, non dà alcun tempo. Sindaca Virginia Raggi, la tua vergogna non sarà mai abbastanza grande». È lo sfogo di Andrea Romano, deputato del Pd. Un dolore enorme, che il parlamentare e la sua famiglia hanno tenuto riservato per lungo tempo: «Poi basta, non ce l’ho fatta più», racconta al Corriere.

«Dario se ne è andato serenamente», aveva confidato Romano agli amici e ai colleghi più vicini. E poi: «Il nostro ragazzo aveva una grave malattia fin dall’infanzia…». Due mesi fa se ne è andato. L’ultimo desiderio della famiglia era di salutare Dario con un funerale ristretto, poi la sepoltura.

Ma ciò non è stato possibile, perché Roma è da tempo sprofondata nel caos riguardo alle tumulazioni. «Da due mesi attendo assieme a Costanza, la mamma di Dario, di poter rendere l’ultimo saluto a nostro figlio, ma non possiamo nemmeno accedere al deposito del cimitero di Prima Porta, dove sono accatastate le sue ceneri — racconta ancora Romano —. Ero assai restio, vista la mia carica politica, a rendere pubblica la vicenda. Ma poi ho deciso di denunciare questo dramma, perché è lo stesso che stanno vivendo centinaia di famiglie romane».

La famiglia ha già una tomba dove seppellire il ragazzo: «Ma non è sufficiente, perché Ama, la società municipalizzata che si occupa anche dei cimiteri, non riesce ad organizzare nemmeno la tumulazione. E l’emergenza Covid è una giustificazione che viene solo sfruttata per giustificarsi». Proprio nei giorni scorsi, a Roma, un gruppo di imprese funebri aveva organizzato una protesta con un cartello emblematico: «Scusate se non riusciamo a seppellire i vostri cari», rivolgendosi appunto alle famiglie che non stanno ottenendo risposte dalla municipalizzata competente.

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A sinistra c’è aria di girotondi, Nanni Moretti scende in campo: deluso da Draghi

giovedì, Aprile 22nd, 2021

Nanni Moretti è pronto a tornare nell’agone politico? A suggerirlo un articolo de La Stampa che raccoglie il giudizio del regista di Ecce Bombo e Bianca, totem della sinistra salottiera romana e non solo, tutt’altro che lusinghiero nei confronti del premier Draghi Draghi, Reo, naturalmente, di aver concesso troppo all’arcinemico Matteo Salvini.  Moretti è lontano dalle intemerate di Piazza Navona, il palcoscenico da cui il 2 febbraio 2002 sparò a zero contro l’Ulivo colpevole, a suo dire, di aver consegnato il Paese all’odiato Silvio Berlusconi. Ma il regista di Palombella rossa oggi con SuperMario a Palazzo Chigi, Enrico Letta alla guida del Partito democratico e l’odiato Massimo D’Alema lanciato verso l’Asia, ha ricominciato a parlare di politica, con gli “amici”; sottolinea il quotidiano torinese che raccoglie uno “sfogo” che potrebbe precedere un un impegno più deciso e strutturato. “Sulle riaperture Draghi mi ha deluso: perché cede a Salvini?”, è la frase attribuita a Nanni e veicolata dal quotidiano. “Non è Piazza Navona, ma poco ci manca”, si sottolinea.

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Draghi non molla il coprifuoco. Riapre davvero solo la scuola

giovedì, Aprile 22nd, 2021

Franco Bechis

Mario Draghi non ha voluto lasciare nemmeno uno spiraglio, e ha tenuto duro nel decreto riaperture su paletti molto stretti, molto più stretti di quelli che furono messi l’anno scorso da Giuseppe Conte per uscire dal lockdown totale. Certo, spaventa il numero dei contagi attualmente esistenti perché è un piccolo esercito: ieri erano ancora 475.635. Quando l’anno scorso l’Italia riaprì- il 15 maggio – i contagi in quel momento censiti erano 72.070. Certo, si facevano molti tamponi in meno di oggi e quindi i numeri assoluti hanno poco senso. Oggi siamo al 4% di contagi rispetto ai tamponi, il giorno della riapertura pressoché totale dell’Italia eravamo all’1% rispetto ai tamponi fatti. Quindi un pizzico di prudenza è giustificata, anche se continuo a non comprendere perché si riapra poco e con grande cautela ogni attività, mentre in maniera robusta la scuola che si è rivelata il luogo più pericoloso della seconda ondata senza paragone con altro. Se la prudenza si usa sui ristoranti, sui bar, sulle palestre, su tante attività ma non su altre che hanno dimostrato a sufficienza di essere in cima alla pericolosità per la diffusione del virus, allora diventa assai più difficile capire e giustificare le scelte del governo. Va bene aspettare, attendere che la curva scenda come sta facendo (al 15 marzo eravamo al 9% nel rapporto contagi-tamponi, al 15 aprile al 5% e ora al 4%), e osare di più quando saremo all’1%. Ma se lo si fa per tutto, non in questo modo che sembra strizzare l’occhio a una scelta ideologica molto alla sinistra e girare la testa se si tratta di decidere su chi è più rappresentato dalle forze di centrodestra (come le partite Iva e i commercianti). Così è un governo strabico, e non è in questo modo che si era presentato a tutti Draghi.

Nel decreto riaperture di ieri però manca una parola decisiva, che è responsabilità del premier pronunciare davanti agli italiani: speranza. Se vogliamo fare un gioco di parole in quel testo c’è tantissimo Speranza (si asseconda la prudenza maniacale del ministro della Salute), ed è totalmente assente la speranza. Non che si chieda al premier di forzare promesse che non sa se può mantenere (come quelle inserite nel piano vaccinazioni, perché in questi giorni avremmo dovuto raggiungere le 500 mila dosi inoculate e non è così).

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Il centro per disabili era un lager: picchiati i pazienti. Blitz dei carabinieri: tre operatori arrestati

giovedì, Aprile 22nd, 2021

di Francesco Patanè

Cinque dipendenti avevano trasformato un centro residenziale per l’assistenza ai disabili affetti da paralisi spastica in un luogo di terrore, con violenze fisiche e verbali, minacce e umiliazioni nei confronti degli ospiti disabili, incapaci di difendersi o di chiedere aiuto. Schiaffi, calci, insulti e minacce erano all’ordine del giorno nella struttura privata nel quartiere Brancaccio a Palermo. Fino a questa mattina quando i carabinieri della stazione di Brancaccio hanno messo fine alle torture subite dai disabili con l’esecuzione di cinque misure di custodia cautelare firmate dal gip su richiesta della procuratrice aggiunta Laura Vaccaro e dei suoi sostituti del dipartimento fasce deboli della procura di Palermo. Per tre operatori è stata disposta la misura degli arresti domiciliari, mentre altri due hanno l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria con contestuale “divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalle persone offese”. I cinque indagati sono ritenuti a vario titolo responsabili del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi.

Mesi di intercettazioni e videoriprese hanno accertato la violenza che quotidianamente subivano i disabili ospiti della struttura: le telecamere nascoste piazzate dai carabinieri hanno ripreso un dipendente che prendeva per i capelli un ragazzo seduto sul divano e lo trascinava a terra, hanno immortalato un suo collega mentre colpiva ripetutamente un paziente alla testa e al volto quando era con gli altri ospiti in una delle stanze comuni della struttura, hanno filmato un operatore prendere la testa di un ragazzo e sbatterla contro un muro. In altre immagini un dipendente della struttura lancia contro il paziente una sedia a rotelle. Immagini tremende che testimoniano la violenza dei cinque dipendenti della struttura nei confronti dei disabili spastici.

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Quando l’America di Nixon scoprì l’ambientalismo

giovedì, Aprile 22nd, 2021

di Federico Rampini

NEW YORK.  Il movimento ambientale americano ha dei pionieri illustri: nell’Ottocento, Henry David Thoreau e John Muir furono tra i teorici di quello che allora si chiamava “conservazionismo”. Influenzarono i due presidenti-cugini, Theodore e Franklin Roosevelt, ambedue attivi nella creazione di parchi nazionali e nella tutela delle terre sotto giurisdizione federale. Ma l’ambientalismo moderno è una creatura degli anni Sessanta. Convergono a farlo nascere negli Stati Uniti tre fattori. In primo luogo alcuni episodi d’inquinamento grave (anche in seguito ai test nucleari) vedono reagire una società civile più sensibile. In secondo luogo, la rivoluzione culturale giovanile – culminata nella Summer of Love di San Francisco nel 1967 – ha una forte componente naturalistica, riscopre i “nativi” (quelli che un tempo chiamavamo indiani d’America) come un modello di attenzione all’ecosistema.

Nel parco. La folla nel primo Earth Day (foto: Lambert/Getty Images) 

In terzo luogo c’è il contributo degli scienziati: è nella seconda metà degli anni Sessanta che cominciano a maturare al Massachusetts Institute of Technology e in altre università d’eccellenza le teorie sui “limiti dello sviluppo”. Coincidono con scenari apocalittici – ispirati al pensiero malthusiano – sulla “bomba demografica” e l’impossibilità di sfamare un pianeta sovrappopolato; l’esaurimento irreversibile di risorse naturali; i danni dell’inquinamento per la salute.

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Le telefonate a D’Alema, l’incognita Dibba. Conte: “Una settimana per il mio M5S”

giovedì, Aprile 22nd, 2021

ILARIO LOMBARDO

Se dovesse rispondere alla domanda su cosa abbia fatto in questi due mesi, da quando non è più presidente del Consiglio, Giuseppe Conte direbbe: «Li ho passati in gran parte al telefono». Sin dal primo giorno in cui ha lasciato Palazzo Chigi l’avvocato ha dovuto fare i conti con un suo limite e una categoria che in politica è essenziale: il tempo. Ora dice di essere «pronto» e che tra una settimana presenterà il suo progetto di rifondazione del M5S. Intanto però ha dilatato il più possibile il tempo, inseguito prima dalle preghiere di chi desiderava che rimanesse punto di riferimento della coalizione tra M5S e Pd e infine di chi (tutto lo stato maggiore dei 5 Stelle più Beppe Grillo) lo ha convinto che fosse meglio avere un partito alle spalle, anche se quel partito è la bolgia indiavolata dei grillini, in eterno equilibrio sopra il Big Bang. A casa della compagna Olivia Palladino, nel pieno centro di Roma, a parte qualche corsetta per recuperare forma, Conte ha intessuto lunghe e profonde conversazioni telefoniche con Goffredo Bettini, amico e stratega del Pd, con il segretario dem Enrico Letta, con il vice Peppe Provenzano, con l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema, con il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, Pd anche lui. Una corrispondenza d’amorosi sensi che non è sfuggita ai musi lunghi del M5S. «Risponde al Pd e non a noi» lamentano. E, a eccezione del capo reggente Vito Crimi e del ministro Luigi Di Maio, sembra proprio che sia così.

In questi due mesi Conte ha parlato poco in pubblico. Ha partecipato a due assemblee del M5S, costretto dalla necessità di placare l’ansia dei grillini che si sentono tagliati fuori, senza una guida e senza una voce. Accanto a lui, in religiosa attesa, sono rimasti i collaboratori più fedeli: il portavoce Rocco Casalino, Maria Chiara Ricciuti, il social media manager Dario Adamo. A loro ha confidato la sua convinzione: «Il M5S deve diventare un partito a tutti gli effetti». Un partito che non può essere esposto agli umori di Beppe Grillo o «ai ricatti» dell’imprenditore privato Davide Casaleggio. Ogni mattina che si sveglia Conte deve autoconvincersi di aver fatto la scelta giusta e non è facile farlo quando ti trovi il M5S nella guerra dei Balcani. Alessandro Di Battista e Casaleggio, in piena sindrome scissionista, e ora anche Grillo che se ne esce a difesa del figlio accusato di stupro con un video che fa a pezzi i principi fondativi del suo stesso Movimento, e costringe l’ex premier a dare una risposta, sollecitato anche dal Pd, nella speranza di preservare la suspense sulla presentazione del nuovo M5S. Oggi invece scadrà l’ultimatum fissato da Casaleggio jr. O gran parte dei parlamentari pagano le somme dovute all’Associazione Rousseau per il funzionamento dell’omonima piattaforma del M5S, oppure il divorzio sarà doloroso. Casaleggio ha detto che è pronto a portarsi via software e database con le centinaia di migliaia di iscritti del M5S. Crimi gli ha detto che non può farlo e gli ha inviato una diffida.

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L’azzardo del capitano

giovedì, Aprile 22nd, 2021

MARCELLO SORGI

Non era affatto scontata la rottura tra Draghi e Salvini, che lo ha portato ad astenersi sul mantenimento del coprifuoco alle 22 e sul decreto riaperture, un provvedimento che solo venerdì aveva approvato, considerandolo una vittoria della Lega. Un obiettivo centrato grazie alla lunga campagna a favore dei ristoratori e del movimento “Io apro”, anche quando le manifestazioni più recenti degli esercenti avevano assunto forme non proprio pacifiche. Come altre volte, Salvini avrebbe potuto minacciare senza poi arrivare alle estreme conseguenze.

Se invece s’è deciso a rompere, è in primo luogo perché ha avvertito le spinte che venivano dalle Regioni a guida leghista, e in particolare dai presidenti Fedriga, Friuli, oggi alla guida della Conferenza delle Regioni, e Zaia, Veneto, decisi a spostare alle 23 il coprifuoco e a ottenere un via libera per i ristoranti al chiuso. E poi perché ha sentito troppo forte sul collo il fiato della leader di Fratelli d’Italia, Meloni. Così, dopo aver sostenuto che l’anticipo al 26 aprile delle riaperture era il risultato della presenza della Lega al governo e della sua personale interlocuzione con il premier, e il Carroccio non sarebbe stato accontentato se fosse stato all’opposizione, alla fine non è riuscito a resistere. Da quando il governo è nato, e sono ormai quasi tre mesi, il Capitano leghista vive questa contraddizione.

Fosse stato per lui il dilemma se entrare o no nel governo di unità nazionale si sarebbe risolto molto probabilmente con la Lega fuori. Sono state le pressioni dei governatori e dell’elettorato leghista delle Regioni del Nord, a forte presenza imprenditoriale, che volevano scommettere su Draghi, a convincerlo. Ma dal primo momento, il leader leghista, abituato a fidarsi del suo fiuto, spesso infallibile, ha capito di dover fare i conti con la martellante concorrenza della Meloni. Tal che, più lui si batteva per dimostrare la giustezza della propria posizione a metà tra maggioranza e opposizione, tra senso di responsabilità e populismo, tra conversione all’europeismo e ritorno all’abbraccio con Orban, più la Meloni continuava a colpirlo ai fianchi, per dimostrare che la sua ambiguità non era credibile, che l’unico partito che poteva vantarsi di non esser mai stato al governo con le sinistre era Fratelli d’Italia, e la sola vera battaglia contro l’odiato ministro della Salute, Speranza, era quella condotta dalla destra d’opposizione, con la mozione di sfiducia, mentre Salvini doveva accettare che Speranza sedesse al fianco di Draghi nella conferenza stampa dell’annuncio delle riaperture e ricevesse dal premier piena solidarietà e attestazioni di stima.

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