Archive for Aprile, 2021

Conte fa melina e Casaleggio punta su “Dibba”Bozza automatica

venerdì, Aprile 23rd, 2021

Domenico Di Sanzo

Potrebbe essere una dichiarazione di Davide Casaleggio a sbloccare lo stallo in cui si è cacciato Giuseppe Conte, rifondatore del M5s. «Casaleggio qualcosa farà, Conte ormai aspetta l’annuncio del divorzio da parte di Rousseau per partire», spiegano trafelate fonti del Movimento. Tra i Cinque stelle circola l’ipotesi che sia stato proprio Conte a impedire un accordo con il figlio del cofondatore Gianroberto, che invece nelle ultime settimane aveva lanciato criptici segnali di dialogo. Ignorati dall’ex premier, deciso a liberarsi di tutte le sovrastrutture del vecchio M5s. Ignorato l’ultimatum di Casaleggio, scaduto ieri, sul ripiano dei debiti, l’avvocato foggiano aspetta che a fare la prima mossa sia il presidente dell’Associazione Rousseau. Così da prendere atto della separazione e provare a organizzare un partito con un contenitore diverso e un’altra piattaforma. Spetta a Casaleggio muovere la pedina, come scritto da lui stesso l’8 aprile, il giorno dell’ultimatum al M5s. «Siamo costretti, a causa dell’enorme ammontare di debiti, a definire una data ultima: il 22 aprile 2021 – scrivevano da Rousseau – qualora i rapporti pendenti non verranno definiti entro questa data, saremo costretti a immaginare per Rousseau un percorso diverso». Per certi versi si tratta di un assist per Conte, che ha come unico obiettivo quello di rivoluzionare il Movimento. Rinviando però a data da destinarsi la discussione sul terzo mandato.

Però l’ex premier è preoccupato da un possibile epilogo legale del divorzio con Casaleggio. Il guru potrebbe creare problemi sul simbolo. Mentre continuano insistenti le voci su una sua volontà di mettere su un nuovo partito, con alla guida Alessandro Di Battista. Dibba che ieri è tornato a scrivere su Twitter dopo tre anni per rilanciare un suo articolo scritto per il giornale online Tpi. Nonostante le congetture, pare che Casaleggio non voglia fondare un nuovo movimento. Almeno non subito. Nel caso di un fallimento della leadership di Conte, c’è ancora uno spiraglio aperto nei confronti del M5s. Ad oggi è la stessa strategia di Di Battista. L’ex deputato romano preferisce stare alla finestra. Con lui Virginia Raggi, personaggio decisivo per il futuro dei grillini. A ottobre un risultato positivo della Raggi a Roma e una delusione per i candidati giallorossi nelle altre città, potrebbero rappresentare un’occasione per destabilizzare Conte.

Nelle ultime ore viene declinata con accenti diversi la questione dei dati degli iscritti. Il titolare dei dati è il M5s, il trattamento è in capo a Rousseau. Quindi Conte non dovrebbe avere problemi a ottenere il database. Restano invece le incognite della nuova piattaforma e dello Statuto, che certifica l’osmosi tra il Movimento e l’associazione di Casaleggio. Perciò l’avvocato potrebbe fondare un nuovo partito, sotto le mentite spoglie del Movimento. Dall’altro lato, il guru è convinto che senza Rousseau sarà difficile gestire i Cinque stelle. Perché passano dalla piattaforma non solo le votazioni, ma anche la certificazione delle liste e la tutela legale per Garante e capo politico.

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Comune di Roma, concorsone per 200 mila: riaprono le candidature

venerdì, Aprile 23rd, 2021

di Lorenzo De Cicco

La corsa al posto fisso al Comune di Roma è partita. E fa gola a tanti: in 177 mila si sono già candidati, ma ora che il Campidoglio ha riaperto le liste, secondo le simulazioni che circolano a Palazzo Senatorio si arriverà a superare quota 200mila aspiranti dipendenti pubblici. Tanti quanti sono gli abitanti di una città come Trieste o Parma. Si comincia il 17 maggio con la selezione dei dirigenti, 3.725 candidati per 52 contratti in palio.

Poi entro i primi dieci giorni di giugno, via agli esami per la categoria degli impiegati e dei funzionari. Il concorso è stato sbloccato ieri, con una nota congiunta firmata dall’amministrazione di Virginia Raggi e dal Ministero della Pubblica amministrazione guidato da Renato Brunetta. Si sfrutterà il decreto legge 44 del primo aprile, che velocizza le selezioni in tutta Italia, e il nuovo protocollo del Cts.

Sullo schermo 

Tante le novità, causa pandemia, rispetto alla prima versione del concorso. La principale: ci sarà una prova unica. Niente test pre-selettivo. Gli aspiranti travet e vigili saranno radunati, a distanza di sicurezza, nei padiglioni della Fiera di Roma. Massimo 3mila alla volta, per due turni al giorno. Tutti riceveranno un tablet, che sarà disinfettato tra un esame e l’altro, poi avranno 60 minuti di tempo per rispondere a 60 domande. Chi ottiene almeno 21 sarà in graduatoria come “idoneo”, i migliori avranno il posto già dalla fine dell’estate, se tutto filerà liscio, senza intoppi procedurali come avvenuto 10 anni fa con l’ultimo concorsone. Altra novità da segnare: dato che le regole sono cambiate, il bando è riaperto. Ci si potrà candidare da oggi per i prossimi 30 giorni, la domanda va presentata sulla piattaforma Step One, gestita dal Formez, il centro di assistenza della pubblica amministrazione. Per chi si era già candidato non cambia nulla.

I profili

I posti da aggiudicare sono 1.522, compresi i 52 da dirigente. Si cercano 500 vigili urbani, 250 impiegati amministrativi e 100 funzionari, 200 impiegati del settore «tecnico, costruzione, ambiente e territorio», 100 addetti per i servizi informatici, 20 avvocati, 140 funzionari assistenti sociali, 80 funzionari del comparto scuola, altri 80 per i servizi tecnici.
Con i candidati scaglionati, servirà almeno un mese e mezzo per terminare le prove. Il Comune ieri ha spiegato che sono stati pianificati circa 35 giorni di esami (esclusi i festivi), che «permetteranno di procedere alle assunzioni entro fine estate». Nei padiglioni della Fiera, arriverà la Protezione civile per assicurare le distanze di sicurezza.

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Zona gialla Lombardia, Lazio e altre 10 regioni da lunedì (ma Rt ancora alto). Sardegna resta rossa

venerdì, Aprile 23rd, 2021

di Mauro Evangelisti

L’indice di trasmissione nazionale scende ancora, ma lentamente: l’Rt la settimana scorsa era a 0,85, nel report della cabina di regia atteso per oggi si assesterà tra 0,80 e 0,83. Diminuisce però in modo più deciso l’incidenza, cioè il numero di casi ogni centomila abitanti su base settimanale: nessuna regione sarà sopra al valore di 250 che, già di per sé, farebbe scattare la fascia rossa. Le valutazioni di oggi saranno importanti perché coincidono con il ripristino delle fasce gialle a partire da lunedì prossimo al quale possono aspirare almeno 12 regioni. Tra queste c’è sicuramente il Lazio, visto che l’Rt è sceso a 0,78 e l’incidenza continua a calare, passando da 180 a 160.

Allo stesso tempo, rispetto a una settimana fa, i posti letto di terapia intensiva occupati da pazienti Covid sono diminuiti del 13 per cento e tutti questi dati insieme concederanno al Lazio di tornare a un livello di chiusure meno rigide. Discorso simile per il Veneto. Spiega il governatore Luca Zaia: «In Veneto abbiamo indici da zona gialla: l’Rt è a 0,71 e l’incidenza è a 126,8, l’occupazione nelle terapie intensive è del 22 per cento (con il limite al 30) e nelle aree non critiche al 20 (rispetto al limite del 40). Quindi, siamo di fatto in zona gialla». Stesso colore all’orizzonte anche per le due regioni che per prime sono state costrette a chiusure molto severe, in alcune province, a causa dell’uragano rappresentato dalle varianti: Umbria e Abruzzo.

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Recovery, tagli al superbonus e meno opere al Centro Italia

venerdì, Aprile 23rd, 2021

di Luca Cifoni

È ancora il superbonus ad accendere la polemica sulla versione quasi finale del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che il governo approverà oggi per poi portarlo all’inizio della prossima settimana in Parlamento. Ma anche la distribuzione territoriale delle risorse per le infrastrutture appare al momento sbilanciata, a sfavore del Centro Italia. L’impegno finanziario complessivo, distribuito sulle sei missioni, arriva a 221,5 miliardi includendo i circa 30 del Fondo complementare, ovvero risorse nazionali da utilizzare con le stesse regole di quelle europee. Proprio sotto questa voce sono stati spostati circa 8 miliardi (su un totale di 18,5) destinati a compensare il minor gettito della detrazione del 110 per cento per i lavori di riqualificazione energetica e prevenzione sismica. Ma non c’è la proroga della super-agevolazione, che quindi è destinata ad esaurirsi nel corso del 2022: un’assenza che ha già provocato la reazione di Confindustria. Il vicepresidente Emanuele Orsini parla di «gravissimo errore che danneggerebbe il settore delle costruzioni, volano dell’economia e ad altissima intensità di occupazione». Alla richiesta di una proroga che arrivi a coprire tutto il 2023 si sono uniti i rappresentanti di varie forze di maggioranza, da Forza Italia al Pd al Movimento Cinque Stelle.

I NODI

C’è poi il nodo delle infrastrutture, in particolare quelle ferroviarie. Qui il prospetto riassuntivo delle spese programmate evidenzia una sorta di tripartizione. Da una parte le “Linee ad alta velocità nel Nord che collegano all’Europa” a cui sono destinati 8,57 miliardi. Poi i “Collegamenti ferroviari ad alta velocità verso il Sud per passeggeri e merci” con una dote di 4,64 miliardi. Infine le “Connessioni diagonali”, che dovrebbero almeno in parte interessare il Centro ma hanno a disposizione solo 1,58 miliardi. In questo caso non c’è una particolare compensazione nella tabella del Fondo complementare (risorse aggiuntive sono previste solo per le linee regionali) mentre resta da verificare il contenuto dell’ulteriore “provvista” da 10 miliardi circa annunciata in Parlamento dal ministro dell’Economia destinata proprio ad infrastrutture ferroviarie.

Nel Pnrr firmato Draghi e Franco non è poi menzionato esplicitamente meccanismo del cashback, il programma di rimborsi per i cittadini che usano la moneta elettronica al posto del contante. In precedenza era “coperto” proprio con fondi europei, per ben 4,75 miliardi: ora invece il finanziamento dovrebbe essere trovato nell’ambito del bilancio nazionale. Il cashback sarà comunque oggetto di revisione, soprattutto negli aspetti che legando una quota dei premi al numero di transazioni hanno scatenato i comportamenti opportunistici di una parte degli utenti. Non è nemmeno escluso che il programmo termini anticipatamente alla fine di quest’anno. Nell’ambito della missione numero 2, “Rivoluzione verde e transizione ecologica” (quella che da sola assorbe la maggior quantità di risorse, con 57 miliardi nel Pnrr e 11,65 nel Fondo complementare) si nota un consistente spostamento interno di risorse. La componente “Transizione energetica e mobilità sostenibile” guadagna complessivamente oltre 8,5 miliardi, con un forte potenziamento della spinta alle energie rinnovabili e all’idrogeno (che da solo attira più di 3 miliardi). Perde forza invece l’efficientamento energetico degli immobili pubblici, che ora potrà contare su non più di 1,23 miliardi, da distribuire tra scuole ed edifici giudiziari. 

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Negozi raddoppiati in sei mesi grazie al crowdfunding di clienti e fornitori, così la start up ha superato il Covid

venerdì, Aprile 23rd, 2021

Giuliano Balestreri

In poco più di sei mesi, nel pieno della pandemia globale, Barberino’s ha raddoppiato da 6 a 12 i suoi punti vendita, ha aperto il primo negozio all’estero – puntando su Seul – e ha assunto 10 persone: «Siamo ancora a ranghi ridotti, ma i dipendenti cresceranno ancora» dice Michele Callegari confondatore della start up italiana nata nel 2015.

Quella della catena di barberie tricolore è una delle storie di resilienza di chi di fronte a una crisi che ha spazzato via il 90% del giro d’affari ha avuto il coraggio – e la forza – di rilanciare anziché alzare bandiera banca. Una scommessa vinta grazie alla community di fornitori, dipendenti e clienti che hanno permesso a Barberino’s di concludere con successo una campagna di equity crowdfunding da 1,25 milioni di euro. Un’operazione replicata anche per l’apertura del barber shop di Torino a cui hanno contribuito simbolicamente i clienti stessi continuando comprare dei voucher senza sapere quando avrebbero potuto riscattare i loro trattamenti.

«Sono traguardi che abbiamo raggiunto grazie alla comunità che si riconosce nella nostra impresa agli investitori che hanno puntato su di noi, non certo per merito dello Stato» prosegue Callegari che poi spiega: «Abbiamo ricevuto il 60% di credito d’imposta per l’affitto dei locali per i mesi di marzo, aprile e maggio; un ristoro pari al 10% del fatturato perso per il solo mese di aprile 2020 e nulla per gli altri. Senza dimenticare che lo Stato non ha considerato tutti gli altri costi ancillari di un’attività retail dalle assicurazioni ai costi fissi come le utenze». Un duro colpo per una società che ha portato il proprio fatturato dai 50mila euro del 2015 a quota 1,4 milioni nel 2019. Senza dimenticare che per i dipendenti continua a esserci la cassa integrazione, ma l’assegno – già fortemente ridotto – arriva in ritardo. «La verità è che non saremmo stati in grado di anticipare a tutti la cassa integrazione – prosegue l’imprenditore -, per questo abbiamo deciso di essere molto trasparenti con tutti i dipendenti privilegiando che davvero aveva bisogno di aiuto».

Nonostante la crisi, però, i fondatori non hanno mai smesso di credere nel progetto convinti che, anzi, i mesi di lockdown spingeranno la clientela ad apprezzare maggiormente i servizi alla persona. «Noi – dice Callegari – rappresentiamo qualcosa di diverso rispetto al classico barbiere, abbiamo trasformato barba e capelli in un’esperienza per se stessi. In un’ora da regalarsi per il proprio benessere. Un momento in cui staccare la spina dal mondo e sentirsi più belli. Una vera pausa di relax».  

Adesso Barberino’s sbarca anche in Corea del Sud, in quello che è il primo mercato al mondo per il beautycare: una sorta di binocolo sul futuro per interpretare quali siano i possibili prossimi trend della tecnologia nel settore. E anche per allargare il commercio online dei prodotti di bellezza.

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Draghi pronto al compromesso: “Da metà maggio coprifuoco alle 23”

venerdì, Aprile 23rd, 2021

Ilario Lombardo

È vero, Mario Draghi non se lo aspettava. Non pensava che Matteo Salvini potesse arrivare a un centimetro dal Consiglio dei ministri con un preciso accordo e poi non onorarlo imponendo ai suoi ministri di astenersi dal votare il decreto sulle riaperture. Ma sta cominciando a prendere le misure delle oscillazioni del leader leghista e delle ragioni che stanno dietro alla sua irruenza politica. E così il giorno dopo lo strappo sul coprifuoco mantenuto alle 22 si fa trovare pronto e disponibile al compromesso, consapevole che finché non sarà lui il bersaglio delle critiche e delle accuse il suo pragmatismo non passerà come cedimento.

Il premier ha comunque fatto un passo indietro quando le Regioni hanno pesantemente accusato il governo di muoversi fuori dalla Costituzione per aver deciso «in contrasto con le posizioni concordate» di lasciare la scuola in presenza al 70% alle superiori. Il presidente del Consiglio ha sentito la ministra agli Affari Regionali Maria Stella Gelmini e insieme hanno concordato di concedere deroghe per arrivare, da subito, anche al 50%. Lo stesso ha fatto sul coprifuoco. È nella ragionevolezza dei numeri, sostiene Draghi, che va trovata la soluzione. Vaccini e contagi. Dunque è nei fatti che appena sarà possibile ci saranno modifiche al decreto e si aprirà ancora un po’. Tutto il resto, sostiene chi è vicino al premier, «è propaganda». La data che adesso è sulla bocca di tutti è lunedì 17 maggio. Sulla base dell’andamento epidemiologico che verrà fotografato venerdì 14 maggio si potrebbe spostare l’orario del coprifuoco alle 23. Ma andrà prima assorbito e analizzato l’effetto su due settimane delle aperture del prossimo lunedì: ristoranti e bar aperti all’esterno, cinema, teatri, mostre. Molta più gente si riverserà in strada aumentando le opportunità di assembramento. Se la curva non avrà picchi all’insù, visto anche il prevedibile aumento della popolazione vaccinata, l’alleggerimento delle restrizioni sarà conseguente. Fino a che punto, però, è tutto da vedere. Perché Salvini è già pronto a rilanciare sui ristoranti anche al chiuso prima di giugno.

La speranza del suo numero due Giancarlo Giorgetti è che però la prossima volta la decisione sia coordinata. Per indole Draghi ama scomporsi poco, anche se questa volta, il blitz di Salvini a pochi minuti dal Cdm lo ha irritato. Giorgetti invece si anima più facilmente e il racconto del suo sfogo fatto da diversi ministri è eloquente. «Se mi dici ok al decreto prima della cabina di regia, ok alla riunione prima del Cdm, poi non è che mi mandi così davanti a tutti a dire abbiamo cambiato idea…». A quanto pare, però, Giorgetti avrebbe confessato di aver ricevuto un altro ordine, ben più radicale. Salvini gli aveva detto di votare no, poi si è lasciato convincere a limitarsi all’astensione, altrimenti non avrebbe potuto evitare una rottura forse insanabile con il governo.

L’imbarazzo di Giorgetti è stato sotto gli occhi di tutti. Di Draghi, per primo. Il leghista non ha mai avuto paura a definire il premier un amico. Ci ha scherzato su tante volte quando l’ex banchiere centrale a Palazzo Chigi era ancora solo un’idea coccolata da tanti: «Non lo racconto troppo in giro perché sennò dicono che sono amico dei poteri forti», scherzava Giorgetti.

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Coprifuoco, un decreto tra 15 giorni per abolirlo: l’obiettivo di governatori e Lega

venerdì, Aprile 23rd, 2021

di Monica Guerzoni

ROMA L’esito della battaglia delle regioni contro il governo, per cambiare il decreto sulle riaperture, sta nelle parole di un presidente sconsolato: «Cosa abbiamo portato a casa? Niente». La deroga per quei territori che non dovessero riuscire a garantire il 70% di scuola in presenza alle superiori è ben poca cosa per i governatori, delusi dalla «rigidità» del premier e arrabbiati con Mariastella Gelmini. Alla ministra degli Affari regionali i governatori di centrodestra rimproverano di non aver lottato per il coprifuoco alle 23 e di aver «lasciato solo Giorgetti» pure sulle altre «cose di buon senso» chieste al governo.

Gli echi di uno scontro istituzionale sfiorato non si spegneranno presto, anche perché la tensione tra governo e regioni si incrocia con il «caso Salvini» e i sospetti che il leader della Lega mediti di uscire dalla maggioranza. Eppure per Palazzo Chigi l’incidente è chiuso. «Tempesta in un bicchier d’acqua», è la lettura ufficiosa. Fonti di governo smentiscono che in Consiglio dei ministri il premier abbia «cambiato le carte in tavola» e assicurano che Mario Draghi non vuole tenere il coprifuoco alle 22 fino al 31 di luglio, quando scadrà il decreto. «Faremo un monitoraggio attento e appena la situazione epidemiologica migliora potremo fare altri allentamenti», è la linea con cui il premier ha rassicurato l’ala destra della maggioranza.

Quanto alla scuola, l’altro capitolo che ha acceso fibrillazioni, Gelmini ha cercato una mediazione facendo da pontiera tra Palazzo Chigi da una parte e Fedriga, Toti e Zaia dall’altra. La regola del decreto è in parte derogabile, purché i territori che avessero seri problemi a gestire in sicurezza i trasporti non scendano al di sotto del 50% di lezioni a distanza. Un compromesso che ha allentato le tensioni, anche se per i leghisti è solo «un contentino ai % Stelle, su insistenza di Patuanelli».

«Il problema è risolto», ha garantito Gelmini ai governatori, spiegando che anche Forza Italia vuole l’abolizione del coprifuoco, ma che la decisione «l’ha presa Draghi» e a lei è toccato adeguarsi. Il clima in maggioranza resta gelido e gli spifferi si sentono. Dentro Forza Italia, dentro la Lega, tra i partiti di centrodestra e tra destra e sinistra. Non siamo al tutti contro tutti, ma il rischio logoramento è dietro l’angolo. Prova ne sia la girandola di telefonate per mediare e smussare che ha visto al lavoro Giorgetti, Gelmini, Fedriga… Al telefono con il sottosegretario Roberto Garofoli, il presidente della Conferenza ha assicurato che «le regioni non cercano la rissa», ma «la gente è arrabbiata» e i governatori fanno proposte «per evitare che la tensione esploda».

Salvini si dice convinto che questo round lo abbia vinto «la linea chiusurista di Speranza, Pd e 5 Stelle» e che i partiti di centrosinistra vogliano spingerlo fuori dal governo. Visto il clima, Enrico Letta chiede una tregua, un «patto di concertazione e corresponsabilità» per fare quelle «riforme irripetibili» che l’Europa si aspetta dall’Italia. Ma all’irritazione del segretario del Pd per le mosse di Salvini, che deve decidere «se sta dentro o se sta fuori», corrisponde l’ira della Lega.

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Governo Draghi, le forzature pericolose nella maggioranza

venerdì, Aprile 23rd, 2021

di Massimo Franco

È un po’ troppo presto. Registrare i primi smarcamenti all’interno della maggioranza senza aspettare nemmeno che il Paese sia stato messo in sicurezza è preoccupante. Denota una visione ombelicale nella quale si mescolano calcoli politici e pulsioni caratteriali. Ma il saldo è comunque in perdita.

Vedere il leader Matteo Salvini alla testa della protesta di Regioni e Comuni della Lega perché Palazzo Chigi ha mantenuto il coprifuoco alle dieci di sera invece di spostarlo alle undici, lascia stupefatti. Per un aspirante premier è un atteggiamento populista. Anche perché appena la settimana scorsa lo stesso Salvini aveva esultato per le riaperture decise dal governo. Se le era intestate, con l’aria di chi si schermisce solo per sottolineare ulteriormente la propria vittoria. E su Mario Draghi aveva speso parole di stima e quasi di gratitudine. Di colpo, invece, è tornato a scartare, appoggiandosi come braccio armato anche alla conferenza delle Regioni guidata del leghista friulano Massimiliano Fedriga.

Forse soffre la sua concorrente di destra, Giorgia Meloni, che ha ironizzato su quel successo leghista sostenendo che sarebbe poca cosa e bisognerebbe riaprire di più e subito. Ma la leader di Fratelli d’Italia è all’opposizione e questo in democrazia fa la differenza.

Per la Lega è diverso. Ha ministri e sottosegretari. Si vanta di essere «il partito maggiore», seppure nei sondaggi e in fase calante. Giura col suo capo di essere «il più leale alleato di Draghi». Esclude di volere uscire dalla maggioranza, additando come eventuali sabotatori M5S e Pd. Rivendica di avere avuto con il premier sei telefonate nella sola giornata di mercoledì: conversazioni «amichevoli, franche e leali». Il problema è che mentre fa affermazioni così impegnative, Salvini piccona Palazzo Chigi. Rimprovera il governo di avere disatteso gli impegni con le Regioni. Scolpisce un «siamo leali ma non fessi» che dovrebbe essere la spiegazione e l’alibi per l’astensione sull’ora del «coprifuoco».

Dietro si intravede la pressione della lobby degli enti locali: un grumo di interessi che cerca a intermittenza di scaricare sullo Stato le inadempienze e gli errori collezionati nei lunghi mesi della pandemia. Riemerge, potenziato dalla collocazione bifronte di Salvini, il tentativo maldestro dei poteri periferici di tamponare la propria impopolarità. Viene utilizzato lo scontento comprensibile di chi, vedendo il proprio lavoro a rischio, sottovaluta i costi già sperimentati di una risalita dei contagi. Ma aizzare le Regioni e l’opinione pubblica contro «Roma» è una manovra particolarmente riprovevole in una fase nella quale si compie il massimo sforzo per voltare pagina con le vaccinazioni.

Sia chiaro: l’eterogeneità della coalizione guidata dall’ex presidente della Banca centrale europea è un fatto. Pensare che un governo in cui convivono grillini, dem e leghisti possa conciliare all’infinito obiettivi elettorali, inclinazioni culturali e interessi economici divergenti sarebbe da illusi. Ma che appena due mesi dopo la sua formazione l’esecutivo venga bersagliato dall’interno testimonia non solo scarsa consapevolezza del momento che l’Italia sta vivendo. Dimostra anche la miopia strategica di chi ritiene di potersi comportare come nel passato, a prescindere dalla fase nuova che si è aperta. Tentazione che peraltro non riguarda solo la Lega.

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Spostamenti tra regioni e pass verde Covid anche per i bambini: le Faq sul nuovo decreto

venerdì, Aprile 23rd, 2021

di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini

Il tampone per spostarsi per motivi di turismo tra le regioni arancione e rosse dovrà essere fatto anche dai minori. È uno dei chiarimenti sulle norme del decreto approvato dal governo che sarà in vigore dal 26 aprile al 31 luglio.
Ecco le altre risposte a tutti i dubbi ancora aperti.

Il pass o «certificazione verde»: i chiarimenti


Che cos’è la certificazione verde?

Il foglio che serve a spostarsi tra regioni arancione e rosse per turismo e deve attestare che la persona è vaccinata, oppure guarita dal Covid oppure ha effettuato un tampone antigenico o molecolare nelle 48 precedenti.

Chi rilascia la certificazione?
La struttura che ha effettuato il vaccino, quella che ha eseguito il test (comprese le farmacie), la struttura dove si è stati ricoverati oppure il medico di famiglia.

Chi deve fare il tampone per viaggiare per turismo?
Tutti ad eccezione dei bimbi sotto i 2 anni. Si applica infatti l’articolo 51, comma 8, del Dpcm: «Ai fini dell’ingresso nel territorio nazionale, i bambini di età inferiore ai due anni sono esentati dall’effettuazione del test molecolare o antigenico».

Gli spostamenti tra regioni: i chiarimenti


Ci si può spostare tra regioni gialle?

Si, senza limitazioni.

Se ci si deve spostare tra regioni arancioni o rosse per motivi di lavoro, salute o urgenza, devo avere la certificazione verde?
No, basta l’autocertificazione.

Ci sono limitazioni per andare nelle seconde case?

Dal 26 aprile nelle seconde case, che si trovano in zona gialla o arancione, si potrà andare anche con parenti e amici: al massimo in quattro persone. In zona rossa soltanto il nucleo familiare e la casa deve essere disabitata.

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Parisi: «Quando vaccineremo gli over 77 i decessi caleranno a cento al giorno»

venerdì, Aprile 23rd, 2021

di Alessandro Trocino

Parisi: «Quando vaccineremo gli over 77 i decessi caleranno a cento al giorno»

Primo obiettivo, mettere in sicurezza gli over 60 entro giugno. Secondo, immunizzare l’80 per cento della popolazione entro settembre. Terzo, prepararsi a ricominciare, in autunno, con una nuova campagna di vaccinazione. Senza dimenticare che, immunizzata l’Europa, non si può tralasciare il resto del mondo, e non solo per altruismo. Giorgio Parisi, docente di meccanica statistica dell’Università Sapienza di Roma e presidente dell’Accademia dei Lincei, è ottimista, con cautela, e ragiona sull’impatto della campagna di vaccinazione sulle prossime riaperture.

Non si preoccupa tanto delle riaperture, il professore, ma di un altro aspetto: «La vera questione è il controllo degli effetti delle aperture. Se non siamo in grado di verificare per tempo cosa succede, allora rischiamo. Dobbiamo capire quanto gli alunni contagino genitori. Quanti clienti diffondono il virus. È fondamentale riattivare il tracciamento». Detto questo, i vaccini, spiega, sono l’arma migliore che abbiamo: «L’uso dei farmaci va a rilento, perché i virus, a differenza dei batteri, sono minuscoli e variano spesso. Spero molto nei nuovi anticorpi monoclonali studiati in Italia da Rino Rappuoli. Quelli attuali vanno dati entro due giorni dall’insorgere della malattia, si somministrano solo in ospedale e con un’infusione che dura un’ora e mezza». Meglio i vaccini, per ora.

Ed eccoci al primo step: «Fino a un mese fa, i due terzi delle vittime avevano più di 77 anni. Una volta vaccinati loro, passeremo automaticamente da 300 decessi al giorno a 100». Se si considera che tra gli under 50 le vittime sono poco più dell’un per cento, appare evidente che più la campagna avanza per età, più si riducono le vittime. Non solo: «La riduzione del numero di ricoveri, superiore a quella delle terapie intensive, dimostra i primi effetti sui più anziani, che difficilmente finiscono intubati». Per Parisi l’immunità di gregge si raggiunge con l’80 per cento della popolazione immunizzata. Ma per far questo bisogna vaccinare il 90 per cento dei cittadini: «Sì, perché i vaccini, mediamente, hanno un’efficacia del 90 per cento. E quindi per arrivare all’80 per cento della popolazione bisogna vaccinarne il 90». Il 90 della popolazione sopra i 16 anni? «No, degli over 12. Ci sono già studi che dicono come i vaccini proteggano dai 12 ai 16 anni. Sotto i 12, vedremo. Non è detto che sarà necessario proteggerli, visto che a quell’età il Covid fa meno danni dell’influenza».

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