Archive for Luglio 13th, 2021

Arriva il vortice ciclonico: cosa succede e dove scatta l’allerta

martedì, Luglio 13th, 2021

Alessandro Ferro

In poche ore si passerà dall’estate calda e soleggiata a temporali, grandinate e locali nubifragi: il maltempo in arrivo dalla Francia causerà un brusco e violento stop all’estate dapprima sulle regioni settentrionali per poi estendersi al Centro e nel fine settimana anche al Sud.

Così cambia il meteo

Un vortice ciclonico dalla Francia sta piombando sull’Italia con temporali e grandinate: come dimostrano le immagini sempre aggiornate del satellite, le prime nubi con locali temporali interessano già soprattutto la Lombardia ma non è che l’antipasto di quanto accadrà. Il vortice resterà sul Paese almeno per tutta la settimana con forti temporali nelle prossime ore sul Nordovest, soprattutto Piemonte e Val d’Aosta, ma nel corso della giornata il maltempo si estenderà al resto del Nord ma anche su Toscana, Umbria e Marche. Assieme ai temporali ci saranno grandinate, a volte eccezionali, ed improvvisi forti colpi di vento e più raramente trombe d’aria. L’aria fresca che alimenta il vortice farà crollare le temperature che perderanno anche 10°C rispetto alle ultime ore.

Dove scatta l’allerta

Milano si prepara perché tra le città più a rischio fenomeni violenti. “In connessione con l’allerta arancione per temporali – si legge sul sito del Comune – il Centro funzionale monitoraggio rischi naturali della Regione Lombardia segnala la possibilità di venti forti (raffiche di velocità tra i 35 e i 50 km/h) sul nodo idraulico di Milano. Si invitano i cittadini a evitare di frequentare luoghi in prossimità di alberature. Inoltre si invita a prestare attenzione a tutte le strutture e gli oggetti che potrebbero essere spostati dal vento”. La Protezione Civile aveva già lanciato un’allerta per la giornata di oggi sulle regioni settentrionali, Toscana ed Umbria sulle “Criticità per rischio temporali”. Ancora fase di attesa per le altre regioni centrali ma soprattutto per il Sud dove, per il momento, non cambierà granché.In vacanza adesso? Occhio al meteo “stravolto”

Il maltempo si estende

Come dicono gli esperti meteo, tra mercoledì 14 e giovedì 15 luglio il vortice ciclonico continuerà ad interessare il Nord mantenendo condizioni di forte instabilità atmosferica specialmente su l’area alpina, prealpina e l’alta pianura padano-veneta: su questi settori sono previsti nuovi forti temporali con locali grandinate, il tutto in un contesto climatico decisamente meno caldo. Nubi irregolari le troveremo poi anche su gran parte del Centro dove l’atmosfera si manterrà decisamente più asciutta, mentre al Sud sole e temperature elevate la faranno da padrone. Da venerdì 16 e nel corso del successivo weekend, il vortice ciclonico si sposterà ulteriormente verso il Centro-Sud con acquazzoni, temporali e calo delle temperature mentre il Nord comincerà a ritrovare un po’ più di stabilità.

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Il vaccino psicologico

martedì, Luglio 13th, 2021

Augusto Minzolini

A volte la retorica è stucchevole e spesso in queste occasioni si spreca, ma la serata magica di domenica, in cui gli Azzurri hanno espugnato Wembley dimostrando che l’Italian job è superiore allo stile inglese che ha perso il fascino di una volta e l’etichetta (il primo ministro Boris Johnson ha dovuto chiedere scusa per gli insulti razzisti dei suoi connazionali), resterà negli annali. E non solo come un fatto sportivo. Sarebbe riduttivo e sbagliato interpretarlo così.

Ci sono dei momenti nella Storia, infatti, in cui un avvenimento agonistico, un’immagine trionfale o un singolo gesto atletico segnano un’epoca. Ciò che è accaduto a Londra e, contemporaneamente, sulle strade d’Italia nel momento in cui Donnarumma si è esaltato parando il rigore di Bukayo Saka (con l’83,5% degli italiani bloccati davanti alle tv, se si somma lo share di Rai e di Sky), ha segnato la fine di un incubo. È saltato il tappo delle nostre ansie e paure, abbiamo ritrovato il coraggio e ci siamo sentiti – questo è il dato più importante – nuovamente liberi. Liberi di festeggiare, di sognare, di rischiare, di scommettere sul futuro e su di noi, perché la Nazionale di calcio ha dimostrato – è stato il «sentiment» di quel momento – che nulla è impossibile, nessun traguardo è irraggiungibile.

Era la medicina, o meglio il vaccino «psicologico», che ci voleva per scacciare via quella sensazione di impotenza che ci ha lasciato addosso il virus. Tant’è che al netto degli episodi di violenza che hanno caratterizzato i festeggiamenti (da condannare senza attenuanti), delle ripercussioni che avremo nell’indice di contagio per l’incoscienza di molti (troppi) che hanno già riposto nel cassetto la mascherina anche nelle occasioni particolari, c’è stato un impulso, un moto collettivo che ha spinto centinaia di migliaia di persone a scendere per strada.

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L’Italia s’è desta. Che bello sentirsi nazione

martedì, Luglio 13th, 2021

di MASSIMO DONELLI

Perché siamo felici? Semplice: la vittoria degli Azzurri spazza via tutto. In Italia, all’improvviso, scompaiono i campanili e ci sentiamo, per una volta, nazione. Niente più milanesi, romani, napoletani, bolognesi, fiorentini, palermitani o genovesi. Solo italiani. E quando segna il più juventino degli juventini, Leonardo Bonucci, che durante il campionato, tanto è amato dai supporter bianconeri quanto è odiato da chi tifa Inter, Milan, Roma o Napoli, tutti a esultare.

Vogliamo parlare, poi, degli italiani all’estero?

Di colpo, milioni di fratelli, figli, nipoti – emigrati per necessità o per scelta – possono andare in fabbrica, in ufficio, a bottega fischiettando orgogliosamente l’inno di Mameli. E sai che goduria farlo in Francia (dov’erano convinti di vincere facile), in Inghilterra (dove la davano per fatta al 100%), in Germania (dove non riescono mai a spiegarsi com’è che la sfanghiamo sempre), in Svizzera (dove, ricambiati, ci considerano un po’ alieni), in Olanda (dove ci vorrebbero, pensa te, frugali), in Spagna (dove ce la giochiamo fra terroni d’Europa), per non parlare di Svezia e Danimarca (dove ci riconoscono un buon clima e un’ottima cucina, ma nulla più)?

E sai che gusto sventolare il tricolore sulle nostre spiagge, finalmente ripopolate anche di stranieri, per la prima vera estate post-Covid, con nuovi contagi e la maledetta variante Delta, certo, ma con milioni di vaccinati che non corrono rischi mortali e senza ospedali al collasso o terapie intensive da tutto esaurito? Impagabile.

Eccola qui la felicità che può provocare un rigore decisivo parato da un ragazzo del Sud, Gigio Donnarumma, nato il 25 febbraio 1999 a Castellamare di Stabia (Napoli), grosso e forte come un vichingo, freddo – se serve – come un ufficiale inglese, ma italiano, anzi italianissimo, a partire dalla faccia e dallo slancio con cui morde la vita. E sì, miei cari, l’Italia s’è desta felice. E non vuol smettere di gioire.

QN.NET

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“È la nostra ultima chance”, così Veltroni sfila Draghi dalla corsa al Quirinale

martedì, Luglio 13th, 2021

Giada Oricchio

Mario Draghi come un calcio di rigore. A patto che sia quello di Bernardeschi e non di Saka. E’ Walter Veltroni, politico e scrittore, a usare la metafora calcistica per parlare del governo in carica. La conquista di Euro2020 da parte dell’Italia e la pazza gioia dei festeggiamenti inducono Concita De Gregorio e David Parenzo – conduttori di In Onda, lunedì 12 luglio – a indugiare su metafore calcistiche per capire quanto il lavoro di squadra faccia la differenza non solo su un campo di calcio, ma anche in politica.

L’ex segretario del Pd dà un giudizio tranchant di questa legislatura da ammucchiata: “Un paese regolare è quello in cui le forze politiche si rispettano, scrivono insieme le regole e poi ognuno agisce secondo la propria area di appartenenza, in questa legislatura è accaduto il contrario, sembra davvero un finale alla Blues Brothers. Siamo partiti con un governo Lega-5Stelle, è proseguita con un governo 5Stelle-PD, si è sviluppata con un governo Lega-5Stelle-PD. Tutto questo per impedire che governasse prima l’uno e poi l’altro. La verità è che Draghi è il nostro calcio di rigore”.

Veltroni fa una pausa e prosegue con tono greve: “Mario Draghi è l’ultima chance, abbiamo speso il giocatore più forte che avevamo”. La De Gregorio chiede se sia il primo o l’ultimo dei rigoristi e l’ex sindaco di Roma non ha dubbi: è l’ultimo, quello decisivo. “Se fallisse Draghi, il paese pagherebbe prezzi spaventosi. Siamo in un’emergenza sociale, sanitaria, lavorativa ed economica drammatica” prosegue l’ex Ministro allontanando l’ipotesi di Draghi al Quirinale:  “Mi auguro che si arrivi a fine legislatura ma che ci si arrivi in modo civile cioè con i partiti che si rendono conto che non possono continuare a giocare a terremotare un equilibrio tanto fragile. La soluzione ideale sarebbe che i partiti approfittassero di questi mesi per scrivere insieme le regole del gioco”.

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Il grande bluff del reddito di cittadinanza. Tridico certifica il fallimento della misura: beneficiari inoccupabili

martedì, Luglio 13th, 2021

Filippo Caleri

Il padre del reddito di cittadinanza, il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, svela con i suoi numeri il fallimento della misura che avrebbe dovuto consentire a chi non ha lavoro di trovarlo. Illustrando il rapporto annuale sull’attività dell’Istituto di previdenza ha spiegato che due beneficiari su tre dell’assegno sociale non sono immediatamente rioccupabili. Tradotto: il 66% di chi riscuote mensilmente l’assegno, al lavoro non ci pensa proprio. Probabilmente non ha nemmeno i requisiti per essere impiegato per situazioni oggettive ma l’ammissione di Tridico conferma quanto chiaro dall’inizio. E cioè che il «Reddito» in realtà è stato sempre uno strumento di sostegno alla povertà. Un beneficio economico sacrosanto per aiutare chi si trova in uno stato di difficoltà ma sempre spacciato dalla politica del M5s come uno strumento di inserimento lavorativo. Niente di più lontano dalla realtà. I due terzi dei 3,7 milioni di beneficiari della misura, pari quindi a 2,4 milioni d’individui, non risultano presenti negli archivi Inps degli estratti conto contributivi negli anni 2018 e 2019, e sono quindi distanti dal mercato del lavoro «e forse non immediatamente rioccupabili» ha spiegato Tridico. Il restante terzo, che invece risulta presente, rivela in media un reddito pari al 12% delle retribuzioni annue medie dei lavoratori del settore privato in Italia, e solo il 20% ha lavorato per più di 3 mesi nel corso del periodo precedente all’introduzione del sussidio, dipingendo quindi un quadro di considerevole esclusione sociale per gli individui coinvolti dalle misure.

Certo l’ottimismo non manca in casa Inps. Le opportunità di creare nuovi posti, da offrire a chi ha un reale interesse a lavorare, non è remota. L’istituto di via Ciro il Grande vede, infatti, segnali di ripresa, dopo questo anno e mezzo di pandemia. «Oggi i segnali di ripresa sono incoraggianti, robusti, sta a noi trasformarli in elementi strutturali di crescita e di vero rilancio, in particolare attraverso politiche inclusive e sostenibili», ha detto Tridico che ha nuovamente confermato come il Reddito di cittadinanza si sia configurato come strumento chiave contro gli effetti nefasti della pandemia sul sistema produttivo.

«L’impatto della pandemia ha avuto effetti differenziati sui lavoratori, proprio in relazione alle diverse coperture assicurative. Gli strumenti di sostegno al reddito, il Reddito di cittadinanza (fortunatamente introdotto prima della fase pandemica, e rafforzato nella sua copertura dall’introduzione temporanea del Reddito di Emergenza), l’indennità di disoccupazione (NASpI) e la Cassa Integrazione in deroga (introdotta in contemporanea con il decreto di chiusura dei settori produttivi non essenziali) hanno rappresentato una tutela contro il peggioramento delle condizioni di povertà e deprivazione nel periodo della crisi», ha proseguito.

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Covid in Italia, nuovi contagi in salita in 19 Regioni. L’allarme dell’Oms: «Effetti devastanti dagli Europei»

martedì, Luglio 13th, 2021

di Adriana Logroscino

Covid in Italia, nuovi contagi in salita in 19 Regioni. L'allarme dell'Oms: «Effetti devastanti dagli Europei»

C’è la salita costante dei contagi, al netto della flessione fisiologica della domenica: se i nuovi casi sono 888 e i decessi 13, il tasso di positività ieri ha sfondato il tetto dell’1 per cento: 1,2, precisamente. E c’è il timore dell’«effetto devastante» che potranno produrre i festeggiamenti per le partite degli Europei (il virgolettato è di Maria van Kerkhove, responsabile tecnico dell’Oms, che domenica sera davanti alla finale si è chiesta con un tweet: «Dovrei divertirmi a guardare il contagio avvenire davanti ai miei occhi?»).

I 2.500 positivi tra i tifosi di Euro2020

Un effetto che l’Ecdc già misura in 2.535 casi verificati, solo fino alla fase delle semifinali, e che, per quel che è successo l’altroieri in Italia, si calcolerà tra qualche giorno. Intanto c’è da decidere cosa fare. Almeno quattro le macroquestioni che impegnano il governo. Lo stato d’emergenza, in scadenza a fine mese, che a questo punto probabilmente dovrà essere prorogato fino a ottobre. L’ipotesi di una proroga trimestrale è più che altro una deduzione: senza stato di emergenza, verrebbe meno il presupposto dell’azione del commissario per l’emergenza che, invece, dovrebbe portare avanti la campagna di vaccinazione che ieri ha raggiunto quota 57 milioni di somministrazioni.Qui i dati in tempo reale.

Le possibili nuove restrizioni dove il virus galoppa

Altro tema, le eventuali nuove restrizioni che potrebbero scattare per singole aree in cui il contagio dovesse impennarsi. Secondo gli ultimi dati, l’incidenza aumenta in 19 Regioni, cioè quasi tutte (salve solo Valle d’Aosta e Provincia di Trento). E in alcune galoppa. C’è poi un’altra decisione da prendere: da tempo le Regioni chiedono di rivedere i parametri che fanno scattare l’assegnazione di un colore (zona bianca, gialla, arancione o rossa) e le relative restrizioni.

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Il metodo Draghi e l’arte di mediare

martedì, Luglio 13th, 2021

Marco Follini

Caro direttore, c’è il metodo Kominsky, e c’è il metodo Draghi. Michael Douglas, in una delle più belle serie televisive degli ultimi anni, insegna la pedagogia della recitazione confidando che l’esplicito sia un po’ la chiave di tutto e che il racconto contenga la soluzione di ogni problema. Il nostro presidente del Consiglio, invece, si affida piuttosto alla pedagogia dell’implicito, se non addirittura a quella del silenzio, per cercare di risolvere i problemi e dirimere i conflitti.

L’attitudine di Draghi a decidere senza lasciarsi intrappolare né in troppe discussioni né (apparentemente) in troppe mediazioni induce a pensare che il premier, pur con le sue buone maniere, sia per l’appunto quello che si dice un “decisionista”. Tanto più indotto a rivestire questi panni quanto più i partiti si rivelano a loro volta vittime delle loro molteplici indecisioni. La gestione delle più recenti nomine avvalora questa leggenda e fa piovere su Palazzo Chigi e sul suo inquilino alcune critiche che forse egli non merita e alcuni consensi che magari egli non apprezza.

Il punto è che questo ritratto di Draghi, che comincia ormai ad andare per la maggiore, non è così veritiero come può sembrare. Non fosse altro che per il fatto che questo suo “decisionismo” non è quasi mai univoco. Una volta infatti egli sceglie dando ragione agli uni, la volta dopo sceglie dando ragione agli altri. Così da guadagnarsi a giorni alterni l’applauso e il dissenso di pezzi variabili della sua popolosa maggioranza. Ma appunto per questo si può dire invece che Draghi sia piuttosto il mediatore, colui che sbrogliando per suo conto alcuni nodi libera le forze politiche dal viluppo delle loro incertezze e delle loro indecisioni. A patto, s’intende, che esse siano poi capaci di cogliere l’occasione per rimettersi finalmente a nuovo. Cosa sulla quale è lecito nutrire qualche dubbio, assieme a qualche aspettativa più speranzosa.

Fatto è che ogni volta che il premier sembra aver forzato la mano al sistema politico, egli ha piuttosto evitato che il sistema si impallasse e che i partiti finissero per litigare senza avere davvero l’intenzione di farlo, né forse l’idea di come farlo. Insomma, egli sembra aver imparato l’arte di mediare tra le indeterminatezze altrui. Infilzando i “suoi” partiti con intento non troppo ostile, scontentandoli in modi quasi scientificamente paritari e facendo in modo che infine resti nel loro animo politico, a dispetto di qualche temporaneo rammarico, una contentezza almeno parziale.

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Bisogna saper perdere

martedì, Luglio 13th, 2021

Elena Stancanelli

Partiamo dall’alto. Subito sotto Dio per la precisione: la famiglia reale inglese. Il loro compito politico è dare l’esempio, indicare comportamenti corretti, essere guardati. Sono il simbolico per eccellenza, e di simboli si è parlato molto in questi europei di calcio. Inginocchiarsi o rimanere in piedi prima della partita ha creato intorcinamenti ideologici nei poveri calciatori e nella Federazione calcio. Dilemma morale che è stato risolto adeguandosi a quello che facevano gli avversari. È un criterio come un altro, inutile giudicare. E comunque il simbolico chiede il simbolo, non le sue motivazioni. Per questa ragione la famiglia reale ha commesso il primo degli errori di fair play lasciandosi sorprendere, alla fine della partita, nell’atteggiamento dolente di chi sembrava stesse presenziando a un funerale. William, Kate e il principino George stretti in un abbraccio, i volti scuri, affranti. Per quel paio di persone al mondo che non sapessero dove si trovavano, sembravano testimoniare lo strazio davanti a una morte.

E invece erano allo stadio di Wembley, a guardare una partita di calcio. Importante, importantissima, ma sempre una partita di calcio. La regina non avrebbe mai fatto un errore simile. Né avrebbe permesso che il piccolo George fosse fotografato mentre ride come un pazzo dopo il primo goal dell’Inghilterra. È solo un bambino, si è detto. No, è l’erede al trono e a lui è concesso tutto tranne la naturalezza. O meglio: la sua naturalezza non può essere concessa alle telecamere, ed Elisabetta lo sa bene. Spiace per lui, ma, come tutti noi, vive nel reame del simbolico. Facesse quello che vuole quando è lontano dalla nostra vista, ma allo stadio deve comportarsi come ci si aspetta che si comportino le persone sportive.

I suoi avi erano più fortunati, non c’era internet, non c’erano i social, non c’erano neanche i telefonini. Ci si poteva nascondere ed essere bambini anche in casa Windsor. Così come si poteva essere calciatori e non avere nessuna idea di un movimento nato nella comunità afroamericana, contro la violenza della polizia americana, dopo la morte di un cittadino americano, George Floyd. Quel tempo è finito, ma il problema del simbolico è che mentre ti arrovelli se sia il caso di inginocchiarti o no, ti dimentichi di quello che stai facendo, cioè che sei un calciatore e devi almeno seguire le regole elementari del tuo stare in campo. Calciare un pallone e comportarti con sportività, perché quello che stai facendo è praticare uno sport, non combattere una guerra che lascia sul campo morti e feriti davanti ai quali la famiglia reale deve mostrare cordoglio. Dunque subito sotto la Corona, nella scala dell’esemplarità, c’erano ieri sera allo stadio di Wembley, i calciatori.

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Coronavirus, Macron: “Pass sanitario per aerei, treni e locali pubblici”

martedì, Luglio 13th, 2021

Leonardo Martinelli

PARIGI. La variante Delta del Covid imperversa ormai in Francia. «Assistiamo a una ripresa forte dell’epidemia, con questa variante che è tre volte più contagiosa – ha sottolineato Emmanuel Macron lunedì sera, in un discorso solenne in diretta tv, a partire dalle 20 -. La situazione resta sotto controllo, ma dobbiamo agire subito, per impedire in agosto un aumento rapido dei ricoveri in ospedale». In uno dei Paesi dove in Europa le idee no vax sono più diffuse, il presidente ha deciso d’imporre una stretta sui vaccini. Da una parte, l’obbligo a vaccinarsi per il personale sanitario (in Francia si faceva ancora molta resistenza da questo punto di vista). E dall’altra, l’obbligo del pass sanitario per accedere a una lunga lista di luoghi pubblici, compresi bar, ristoranti, teatri, cinema. Ma anche treni e aerei. 

«Più vaccineremo, meno spazi lasceremo al virus e più eviteremo l’aumento dei ricoveri», ha sottolineato Macron, invitando chi non l’ha ancora fatto a vaccinarsi (al momento attuale è poco più della metà della popolazione ad avere ricevuto la prima dose e quasi il 40% pure la seconda). «Nove milioni di dosi, ancora da iniettare, vi aspettano», ha precisato. Ma soprattutto è passato a misure coercitive, direttamente e indirettamente. Scatta da subito l’obbligo al vaccino per il personale sanitario (e non) degli ospedali e di tutti i centri di cura e assistenza come le Rsa per anziani. Poi, il pass sanitario (si ottiene se si è vaccinati o se risultati negativi al test) diventerà obbligatorio per accedere a bar, ristoranti, centri commerciali, ma anche aerei, treni, pullman in circolazione su lunghe distanze e ospedali. Ancora prima, dal 21 luglio il pass sanitario sarà necessario per tutti i francesi di più di 12 anni che vorranno accedere a «luoghi di cultura e divertimento»,  dove si ritrovino riunite più di 50 persone (finora la soglia era di mille). Significa i teatri, i cinema, i festival estivi, ma anche i parchi di divertimento. L’offensiva per spingere i suoi connazionali a vaccinarsi è andata oltre, toccando un vero tabù per la Francia. Era l’unico Paese in Europa dove il tampone molecolare (Pcr) per il Covid era gratuito per tutti (le spese venivano coperte dall’assistenza sanitaria pubblica). Macron ha annunciato che è finita: diventerà a pagamento, a parte in casi particolari e dietro presentazione di una ricetta medica. 

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Come si cambia

martedì, Luglio 13th, 2021

MATTIA FELTRI

Quelle dei Mondiali del ’90 furono notti magiche ma anche un po’ fetide. Chi ha memoria ricorderà i fischi dello Stadio Olimpico all’inno argentino, fino a subissarlo. La squadra di Diego Maradona portava la colpa d’averci eliminati (ai rigori, capita) e Dieguito, che da quasi un decennio elevava al divino il calcio italiano, se ne sentì stuprato. Leggemmo il labiale sul volto livido: «Hijos de puta», figli di puttana. Ma siccome si cambia, e si cambia pure in meglio, in questi Europei, nelle tre partite giocate all’Olimpico dagli azzurri, durante gli inni degli avversari non è volata una mosca. Il nostro è invece stato fischiato l’altra sera a Wembley, e probabilmente è vero, fra scorrettezze dei supporter, compresi i raggi laser puntati sugli occhi dei portieri rivali, e dei giocatori, molto attrezzati in fatto di simulazioni e proteste, gli inglesi si scoprono splendidamente europei, quasi italiani, proprio ora che la Brexit è compiuta. Del resto, senza l’eroica resistenza al nazismo nella seconda guerra mondiale, e senza l’incoraggiamento di Winston Churchill subito dopo, l’Unione europea forse non sarebbe mai nata.

L’Europa ce l’hanno addosso più di quanto credano e più di quanto dica la geografia. Però, a proposito di inni fischiati, c’è un ultimo episodio da raccontare. Solo cinque anni fa a Bari si giocò Italia-Francia, e parve giusto fischiare la Marsigliese. Il nostro capitano, Gigi Buffon, non si diede per vinto e cominciò ad applaudire, seguito dai compagni di squadra e rapidamente dal pubblico migliore, finché lo stadio non coprì i fischi. Certe volte basta così poco per non arrendersi ai peggiori.

LA STAMPA

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