Archive for Luglio 24th, 2021

Nessuno usi Falcone e Borsellino per attaccare la riforma Cartabia

sabato, Luglio 24th, 2021

Riccardo Mazzoni

«Falcone e Borsellino si saranno girati tre volte nella tomba a sentire questo tipo di riforma. Conoscendo l’integrità di questi grandi uomini morti in nome di un’idea, penso che non bisognava nemmeno avvicinarsi alla tomba, alla lapide di questi grandi uomini nel momento in cui si produce un sistema di norme che favorirà i faccendieri e i mafiosi». Parole definitive e musica da requiem della giustizia pronunciate in un’intervista dal procuratore Gratteri, il quale ha ovviamente tutto il diritto di esprimere i suoi dubbi sulla riforma Cartabia, ma farsi scudo di due simboli come Falcone e Borsellino, pretendendo di fornire un’interpretazione autentica del loro pensiero, significa trasformare quelle critiche in mera propaganda. Perché la loro concezione della giustizia è stata lontanissima dalla grancassa mediatica con cui il procuratore di Catanzaro ama accompagnare le sue inchieste, anzi le sue maxi-inchieste, compresa l’ultima, denominata «Rinascita Scott», ancora alla fase iniziale e i cui esiti sono tutti da definire, col rischio eventuale di finire come le precedenti, ossia con un ridimensionamento totale delle accuse e con un numero di condannati inversamente proporzionale al clamore suscitato. Come, per fare un solo esempio, quella dal suggestivo titolo «Marine», con 125 arrestati e sole otto condanne, di cui cinque per reati lievi.

La ministra Cartabia, finita nel mirino di alcune punte di diamante della magistratura, con la sponda scontata del Csm, per aver presentato una riforma che rimette in linea la giustizia col dettato costituzionale, forse dovrebbe regalare a Gratteri, come ha già fatto con l’ex ministro Bonafede, il libro che contiene la tesi di laurea di Falcone, che in tutta la sua carriera non smarrì mai la bussola del garantismo, anche quando nel 1983 fu chiamato a guidare il pool antimafia, il cui lavoro sarebbe approdato nel maxiprocesso alla mafia dell’87 che si concluse con 360 condanne, a dimostrazione della solidità dell’impianto accusatorio di un’inchiesta che per la prima volta riuscì a fare luce su un mondo di cui si conosceva l’esistenza, ma di cui non erano note la struttura, l’estensione, le ramificazioni e la dimensione internazionale. Falcone si pose per primo il problema della compatibilità delle maxi-inchieste con il processo di tipo accusatorio, avendo ben presente che il nuovo rito scoraggiava il ricorso ai maxiprocessi. Aveva insomma intuito che un uso eccessivo del reato associativo, come quello previsto dal 416 bis, «può generare fenomeni di abnorme gigantismo processuale e rischia di appiattire la valutazione delle responsabilità individuali».

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Burioni e l’intolleranza della ragione

sabato, Luglio 24th, 2021

Vittorio Macioce

È mattina presto e il virologo si sveglia nervoso. È tempo di sbeffeggiare la malacarne dei non vaccinati. Roberto Burioni ti ha fatto compagnia i primi giorni della pandemia con il suo Virus, la grande sfida. È un libro che vale la pena di leggere. Solo che anche lui ogni tanto non si riconosce. Questo accade quando il leone da tastiera acquartierato nelle sue viscere prende il sopravvento e batte veloce una manciata di caratteri. Il risultato è questo. «Propongo una colletta per pagare ai no vax gli abbonamenti Netflix per quando dal 5 agosto saranno agli arresti domiciliari chiusi in casa come dei sorci». Il virologo, sciagurato, controfirma.

Prima di lui ci ha pensato Ilaria Capua, che in televisione dichiara: «I no vax paghino il ricovero in ospedale». Lo dice come provocazione, ma si capisce che la considera una punizione efficace. Non si può essere troppo indulgenti con chi si mette dalla parte sbagliata della storia.

È l’intolleranza della ragione e sta diventando contagiosa. Non lascia quartiere. Non c’è tempo. Non c’è redenzione. Non contano i dubbi, le paure, le incertezze. Non si può essere recalcitranti. Questo vale per chi ne fa una questione ideologica e per chi sta nella zona grigia dei tentennanti. È una questione di fede.

Il dubbio è se l’approccio «puritano» sia quello più saggio. Il puritano si riferisce al governo delle teste rotonde di Oliver Cromwell. È l’idea che per il bene di tutti non ci può essere spazio per chi diserta. È davvero questa la strada per vaccinare il numero più alto di persone? È l’insolenza, il livore, la demonizzazione, il puntare l’indice con disprezzo verso chi non merita più il diritto di cittadinanza. È definirli sorci, come cavie da laboratorio, per alimentare ancora di più i sospetti. Magari no. Tutto questo finisce solo per rendere odioso il passaporto vaccinale. È ottusità che risponde a ottusità. È il tradimento degli scienziati.

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Draghi smonta l’asse gialloverde. L’accelerata per il semestre bianco

sabato, Luglio 24th, 2021

Pasquale Napolitano

Meno di un tempo (40 minuti appena) per chiudere la partita contro Lega e M5S. La doppietta del presidente del Consiglio Mario Draghi, nella conferenza stampa di giovedì sera, archivia i rigurgiti dell’era gialloverde. Un colpo a Matteo Salvini sul green pass, l’altro sulla Giustizia a Giuseppe Conte, leader in pectore del M5s. Risultato in cassaforte. Giovedì sera, poco dopo le 19, è ufficialmente iniziato il «semestre Draghi». Pancia a terra e pedalare: è questo il segnale che l’inquilino di Palazzo Chigi vuole lanciare a Lega e M5S. L’uno-due, «inaspettato», segna un cambio di passo per l’esecutivo. Basta distinguo e logoramenti. L’avvertimento, in vista dell’apertura del semestre bianco, arriva forte e chiaro alle orecchie di Salvini e Conte. Dal 3 agosto le Camere non potranno più essere sciolte per sei mesi, fino all’elezione del prossimo Capo dello Stato.

Draghi gioca d’anticipo e va all’attacco. Il timore che da settimane rimbalza tre le forze di maggioranza non cambia: l’inizio del semestre bianco, la certezza di non andare a elezioni anticipate, può far scattare il rompete le righe. La paura per Draghi è di finire nel Vietnam politico, tra posizionamenti e propaganda da parte di Lega, Pd e M5s. La trappola perfetta per condurre il governo su un binario morto. Uno scenario che spinge l’ex numero uno della Bce alle contromisure. Patti chiari e vita lunga al governo. L’asse gialloverde, Lega e Ms5, si è ricostituito nelle ultime settimane grazie alla lunga trattativa per l’introduzione dell’obbligo del green pass in Italia. Grillini e leghisti hanno giocato di sponda, provando ad alzare un muro contro una versione molto estensiva dell’utilizzo della certificazione verde. Draghi ha fatto di testa sua, senza cedere alla pressione gialloverde: via libera all’obbligo del green pass anche per bar e ristoranti. Demolito il fortino di Lega e Cinque stelle.

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Covid, sfida alla quarta ondata: il governo potrebbe imporre il Green Pass nelle classi, in uffici e fabbriche senza distanziamento

sabato, Luglio 24th, 2021

Fatto il “Green pass per lo svago” ora il governo pensa alle fase due, quella che dovrebbe renderlo obbligatorio anche per chi lavora, va a scuola, viaggia e si sposta in città con metro e bus. Dopo ferragosto dovrebbe essere il turno di navi, aerei e treni a lunga percorrenza, a settembre dei settori scuola e lavoro. Sull’obbligo vaccinale per i docenti «ne parleremo la prossima settimana, il Presidente del consiglio è stato molto chiaro», ha ricordato il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi.

Ma Draghi ha già detto che la riflessione riguarderà anche i trasporti, mentre sul «pass per lavorare», al di là delle prese di distanza d’obbligo gli sherpa di Confindustria, sindacato e ministero del Lavoro hanno iniziato a confrontarsi sotto traccia. Più che a un obbligo esteso a tutti si pensa una formula circoscritta, si fa per dire, ai luoghi di lavoro dove non è possibile il metro di distanziamento e a quelle attività che comportano un contatto stretto con il pubblico, come camerieri, negozianti, baristi e sportellisti, tanto per fare un esempio. L’obbligo per gli insegnanti scatterà se al 20 agosto non si sarà più che dimezzata la pattuglia di quei 222mila renitenti alla vaccinazione. Fermo restando che Figliuolo vuole immunizzare il 60% degli studenti tra i 12 e i 19 anni per riprendere le lezioni in presenza e sicurezza.

Più complicato imporre il green pass su metro bus e treni regionali per il via vai di passeggeri. Ma se a settembre il traguardo dell’immunità di gregge non fosse vicino finirà per essere obbligatorio anche nel trasporto pubblico locale. Che nell’Italia che riparte non può viaggiare ancora a metà capienza.

SCUOLA
L’obiettivo è arrivare al 60% di studenti con la prima dose

«Ora che c’è il green pass ora dobbiamo mettere la testa sulla scuola», dice il generale Figliuolo ai suoi il giorno dopo il varo del decreto anti-Delta. E prima di tutto chiede alle regioni di quantificare e comunicare le mancate adesioni alla campagna vaccinale entro il 20 agosto. Oltre che «conseguire la massima copertura vaccinale del personale scolastico», che per Figliuolo significa almeno un 93% coperto da prima dose. In caso contrario scatterà l’obbligo di vaccinazione. Che per come procedono al rallentatore le immunizzazioni tra il personale scolastico sembrerebbe scontato, visto che in una settimana i vaccinati con entrambe le dosi sono soltanto 11mila in più su un totale di 1 milione 153mila, mentre in 222 mila restano senza alcuna copertura vaccinale. Ma in realtà docenti e bidelli vaccinati potrebbero essere di più, perché come sospetta l’Istruzione alcuni di loro sono stati registrati per età e non come lavoratori della scuola. Se saranno i numeri reali sui docenti immunizzati a far decidere se introdurre o no l’obbligo, resta il problema dei ragazzi, che tra i 12 e i 19 anni in circa sette casi su dieci non hanno ricevuto nemmeno una dose. Figliuolo punta a vaccinarne il 60% prima del ritorno in classe. Se riuscirà nell’impresa non solo non ci sarà nessuno studente in Dad, ma quasi ovunque si potrà dire addio alla mascherina. Questo perché l’Istruzione darebbe indicazione a comporre le classi collocando nello stesso banco i vaccinati, distanziando di un metro solo chi non lo è. Sotto i 12 anni per ora niente vaccino, quindi per loro, come già indicato dal Cts, o si riesce a garantire il distanziamento in classe oppure si sta con la mascherina su. In attesa che arrivino le fiale formato baby.

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Se il presidente alza la voce

sabato, Luglio 24th, 2021

UGO MAGRI

Ma come, non doveva spegnere le candeline? Nel giorno dell’ottantesimo compleanno, Sergio Mattarella spiazza chi pensava di sublimarlo nel ruolo (politicamente innocuo) del «Nonno d’Italia», che tanto ancora potrebbe dare alla Repubblica se non fosse purtroppo anziano e alla vigilia del «semestre bianco», dunque incamminato verso un lungo addio. Proprio mentre lo sommergono i messaggi di auguri, e perfino la squadra olimpica glieli canta da Tokyo, il festeggiato interviene energicamente due volte. La prima di mattina per calmierare le tensioni sulla giustizia, rinviando un dibattito al Csm sulla riforma Cartabia che avrebbe versato altra benzina sul fuoco delle polemiche. Se ne discuta, certo, però in un clima sgombro da faziosità: così fa intendere il Capo dello Stato, deludendo chi vorrebbe trasformare l’organo di autogoverno delle toghe in un ariete contro il governo.

La seconda volta il presidente si fa sentire nel pomeriggio, chiarendo che mai più consentirà stravolgimenti tipo quello appena subito dal decreto «Sostegni-bis», dove il testo originale di ben 479 commi è quasi raddoppiato durante l’esame parlamentare perché i nostri eroi, deputati e senatori di qualunque colore, hanno fatto a gara nell’aggiungere voci di spesa che nulla c’entravano con il Covid ma semplicemente volevano attingere al fiume dei denari europei. Uno sconcio che nessuno ha impedito. Se i presidenti delle due Camere non vigileranno in futuro contro gli emendamenti «omnibus», e se lo stesso governo non alzerà barricate per impedire l’assalto alla diligenza, alla prima occasione Mattarella rifiuterà di metterci (oltre alla firma) la faccia: circostanza che potrebbe materializzarsi già con il «decreto Semplificazioni» su cui stanno scatenandosi i peggiori appetiti. Due segnali, insomma, lanciati nello stesso giorno. Per un Capo dello Stato considerato agli sgoccioli, davvero non c’è male.

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Uniti in nome delle diversità, la sfilata che libera l’orizzonte

sabato, Luglio 24th, 2021

GIULIA ZONCA

DALL’ INVIATA A TOKYO. La ragazza dalle lunghe trecce rosa sarebbe fragile ma accende il mondo. Succede di non essere perfetti e scoprirsi incredibili e Naomi Osaka passa dal ruolo di tennista suscettibile che fatica a parlare in pubblico e preferisce ritirarsi dal Roland Garros piuttosto che rispondere alle domande a ultima tedofora delle Olimpiadi più complicate della storia. Diventa l’atleta che scioglie la paura e la faccia del motto con cui questi Giochi vogliono essere ricordati: «Unity in diversity». 

La musica dei videogiochi che fa da colonna sonora alla cerimonia è ideale per i supereroi delle Olimpiadi: «Dragon Quest», «Monster Hunter», «Fantasy Star Universe», temi da cacciatori di felicità, da portatori di futuro. Gli atleti entrano in scena con tutte le loro storie e le mescolano, come degli X-Men che trovano i superpoteri proprio cercando di nascondere i difetti. Gente che a un certo punto si è sentita a disagio perché troppo dotata in qualcosa, considerata strana eppure capaci di prodigi. Eccoli, sono così, tutt’altro che indistruttibili, anzi spaventati dal Covid, costretti a così tante precauzioni da non poter stare dietro alla loro imprescindibile routine, obbligati uscire dalla ripetitività che li rende forti ed esporsi ai dubbi però decisi a prendersi questa occasione e a renderla meravigliosa.

Si muovono con cautela con il bandierone da tenere a quattro mani in una sfilata delle nazioni che il Cio ha voluto il più possibile alla pari e persino l’Iran accetta l’invito di presentare un uomo e una donna insieme, come l’Italia che apre la via dell’oro con due che lo hanno portato al collo: Jessica Rossi ed Elia Viviani. Separati, distanziati, ma questo anno e mezzo sbandati li ha resi più testardi e più attenti, ormai disposti a sfoggiare i loro numeri speciali. Sanno di essere guardati, imitati e sanno che questo è un palco unico, quello in cui si giocano il successo e pure quello con cui possono spingere per una società più aperta. Una che non giudichi Osaka perché si sente provata e ha bisogno di passare un po’di tempo fuori dalla mischia.

Non sono robot, sono gente disposta al sacrificio e portata a riconoscerlo. Sono come non te li aspetti e il Giappone che mette l’ultima torcia in mano ad Osaka, con papà haitiano e vita americana, consegna pure la bandiera a Rui Hachimura, cestista della Nba, madre giapponese e padre del Benin. Si celebrano gli «hafu» che starebbe per «metà e metà», per un’idea di multiculturalismo che la squadra di casa propone con 35 atleti su 583 e che la monocromatica società nasconde. Solo il 4 per cento degli abitanti di Tokyo è nato in un altro stato contro il 35 per cento di Londra. Quando Hachimura è stato scelto, i suoi social si sono impregnati di insulti razziali, ma questo gruppo gioca contro lo stereotipo. La parata apre le Olimpiadi blindate e scardina punti di vista dallo sguardo contro. Libera l’orizzonte.

I lacci arcobaleno della capitana dell’hockey tedesco, gli adesivi per la comunità Lgbtq del Canada e il saluto festosissimo in mezzo alla piccola, compatta e seriosa parata di Hong Kong che fa pensare a un momento di euforia per pretendere libertà. Loro limitati da una Cina sempre più invadente, costretti a inventarsi comunicazioni alternative e scrivere sui muri proteste che ogni giorno vengono affogate nella vernice bianca, non parlano ma si vogliono farsi vedere. I campioni mostrano i muscoli per essere un punto di riferimento. Gli islamici della Gran Bretagna si sentiranno più inclusi dopo che uno di loro per la prima volta ha rappresentato l’isola ai Giochi.

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Intervista a Davigo: «Io indagato? Diedi i verbali di Amara a Ermini: né lui né Salvi mi dissero di denunciare»

sabato, Luglio 24th, 2021

di Luigi Ferrarella

L’ex consigliere Csm Piercamillo Davigo: «Ermini convenne sulla gravità, ma né lui né Salvi mi dissero di denunciare. E nessuno mi ha interrogato»

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Dottor Davigo, perché non avvisò in modo formale il Csm dell’asserita stasi investigativa della Procura di Milano sui verbali di Amara?
«Non si poteva in quel caso. Se la procedura da seguire non consente di mantenere il segreto, allora non si può seguire. Al Csm, nonostante le cautele adottate, vi era stata la dimostrazione pochi mesi prima sulla notizia dell’indagine perugina su Palamara. Nell’aprile 2020 Storari mi descrisse una situazione grave, e cioè che a quasi 4 mesi dalle dichiarazioni di Amara su un’associazione segreta i suoi capi non avevano ancora proceduto ad iscrizioni, che il codice invece richiede “immediatamente”. Per evitare possibili conseguenze disciplinari gli consigliai di mettere per iscritto. Pure se una Procura non crede a un dichiarante, non può sottrarre al controllo del gip la notizia di reato: deve iscriverla e poi chiede l’archiviazione. Storari mi diede file word del pc a supporto della memoria».

Cioè i verbali: non le pare distinzione di lana caprina?
«Lo può pensare chi trova rilevante il contenitore anziché il contenuto. A inizio maggio Storari mi disse che nulla era cambiato e anzi che Greco lo aveva rimproverato per la sollecitazione. A questo punto ritenni urgente avvisare il Csm. E informai il vicepresidente Ermini».

Solo a parole? O gli mostrò i verbali segretati? O glieli consegnò anche?
«In uno dei colloqui successivi glieli diedi, stampati, tutti quelli che avevo, “così li puoi consultare”. Anche perché venivano chiamati in causa consiglieri sia del Csm in carica sia del precedente. Ermini convenne sulla serietà e gravità della situazione».

Le disse che ne avrebbe parlato con il Quirinale?
«Preferisco qui non coinvolgere altre persone, ho riferito ai pm di Roma e Brescia».

Poi lei ne parlò anche con il pg della Cassazione, Salvi.
«Non mostrò alcuna sorpresa, segno che doveva essere stato già informato».

Gli disse che lei aveva i verbali? Glieli fece vedere?
«No, non me lo chiese. Ma nemmeno mi disse “No, guarda che così non va bene…”».

Il pg Salvi contesta nel disciplinare a Storari d’aver cercato di condizionare l’attività della Procura di Milano. Lei è in pensione, ma vale pure per lei, ed è accusa sanguinosa per un pm storico di Milano e Mani pulite.
«Quindi, se uno cerca di fare rispettare la legge, poi bisogna sentire il procuratore generale della Cassazione dire una cosa del genere che è fuori dal mondo? Nessuno si è sognato di dirmi di formalizzare. Non lo fece Ermini e non lo fece Salvi. Se mi avessero chiesto di formalizzare, avrei fatto subito una relazione di servizio. Salvi, se riteneva irregolare la procedura, essendo titolare dell’azione disciplinare e anche autorità giudiziaria e anche vertice della magistratura inquirente, poteva e doveva interrogarmi subito come persona informata sui fatti. Eppure non lo ha fatto, salvo poi prendersela con Storari. Se mai forse ho sbagliato io a illudermi che l’intervento del procuratore generale — cioè la telefonata a Greco, dopo la quale almeno fu iscritta a Milano la notizia di reato — potesse aver avviato a risoluzione la questione. La verità è che Storari in un Paese serio sarebbe destinatario di un encomio per aver cercato di fare rispettare la regola, invece è sconfortante sia sottoposto ad azione disciplinare».

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Le scelte decise del premier e i fragili equilibri dei partiti

sabato, Luglio 24th, 2021
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di   Francesco Verderami

Le parole pronunciate dal presidente del Consiglio l’altro ieri dimostrano come i partiti fatichino a comprendere Draghi e il suo metodo. Il premier non è un mediatore: per gestire l’eterogenea maggioranza che lo sostiene non ricerca compromessi, ma mira a comporre le differenti posizioni in modo dinamico, per evitare che il governo resti incastrato in equilibri fragili e perciò instabili. E una volta trovata la sintesi, traduce l’accordo in decisioni e provvedimenti. Le forze politiche hanno avuto modo di verificare la novità di approccio ma non riescono ad adeguarsi. Ripropongono sempre gli schemi e i riti del passato, che Draghi non manca di additare e respingere: dal Pd alla Lega, passando per M5S, in questi mesi nessuno è stato preservato dai suoi richiami.

Se giovedì ha impresso un’accelerazione, con toni forti e irrituali, è stato per superare manovre tattiche e dilatorie che sembravano una prova generale in vista del semestre bianco, quando il Parlamento non potrà essere sciolto in caso di crisi. È chiaro che nessuno ha la forza e nemmeno l’intenzione di far cadere il governo, semmai le fibrillazioni riflettono le contraddizioni interne ai partiti e alle coalizioni, l’avvicinarsi delle scadenze elettorali e l’imminenza della corsa per il Quirinale.

Ma il premier — pur rispettando la natura della sua maggioranza e le esigenze di chi la compone — ha voluto porre tutti davanti alle loro responsabilità. È consapevole di come la fase politica sia problematica, tuttavia non è disposto a veder scaricato sul governo un surriscaldamento eccessivo dei rapporti tra alleati che sono al tempo stesso avversari.

C’è un patto che i partiti hanno firmato quando gli hanno accordato la fiducia. C’è un impegno verso il Paese che vive una difficile fase sociale, economica e sanitaria. E c’è un contratto sottoscritto con l’Europa per i fondi del Recovery plan. Il governo ha questi impegni: vincere la sfida contro il Covid e aiutare il sistema nazionale a ripartire. Nel primo caso, l’annuncio dell’introduzione del green pass ha fatto immediatamente aumentare le prenotazioni per le vaccinazioni. Nel secondo, ci si muove con realismo misto a prudenza. È vero che i dati economici fanno ben sperare, eppure tanto il premier quanto il ministro dell’Economia tengono un profilo basso per non alimentare illusioni: tranne alcune grandi aziende pubbliche, l’Italia non dispone di multinazionali ma di realtà industriali medio-piccole. La ripresa dipenderà dalla capacità del tessuto produttivo di rispondere agli stimoli.

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Salvini: «Draghi? Sono rimasto male. Io vaccinato per scelta, non voglio imporre nulla»

sabato, Luglio 24th, 2021

di Cesare Zapperi

Il leader della Lega: «Capisco chi si lamenta del lasciapassare. Non abbiamo i numeri per bloccare la decisione Ma eviteremo ulteriori obblighi inaccettabili»

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Segretario, com’è che ha fatto la prima dose di vaccino giusto dopo l’introduzione del Green pass da parte del governo? Temeva di non poter andare al Papeete?
«Ma no, non scherziamo, la vaccinazione era stata prenotata per tempo, mica si può decidere dalla sera alla mattina…» risponde il leader della Lega Matteo Salvini.

Lei era contrario al Green pass ma il consiglio dei ministri l’ha approvato.
«E resto contrario. Abbiamo cercato di limitare i danni che sarebbero derivati nel caso di applicazione estensiva (nei bar, sui treni, nei luoghi di lavoro). Avremmo tolto i diritti civili a 30 milioni di persone. Vedremo fra 15 giorni».

La contrarietà leghista non ha fermato Draghi.
«Il presidente ha fatto questa scelta d’intesa con Speranza. Noi avremmo agito diversamente. A differenza dei 5 Stelle che minacciano e poi non fanno nulla, noi se abbiamo qualcosa da dire lo diciamo a voce alta ma non mettiamo a rischio gli equilibri».

Draghi è stato molto duro con lei. Ci è rimasto male?
«Sono rimasto stupito negativamente. Ma non voglio commentare le sue parole».

Vi siete sentiti dopo quell’uscita?
«No, l’avevo sentito prima del Consiglio dei ministri e avevamo dialogato amabilmente su tante questioni. Se aveva qualche osservazione da muovermi poteva dirmelo al telefono e non attraverso una conferenza stampa».

Eppure, finora lei è stato il più «draghiano» della maggioranza.
«Mah. Un giorno Letta mi dà quasi dell’assassino perché ho detto che un cittadino di Voghera ha diritto di difendersi se viene aggredito. Il giorno dopo, pur non essendo un No Vax, mi vedo attribuite colpe che non ho. Anche basta, direi…».

Il vostro no al green pass non è stato considerato?
«Siamo stati gli unici ad opporsi in Consiglio dei ministri. Non abbiamo i numeri per bloccare la decisione. Abbiamo messo agli atti il nostro dissenso e adesso attendiamo di vedere come si evolverà la situazione».

Sulle sue pagine social molti sostenitori la accusano per non aver bloccato tutto.
«Capisco i tanti che si lamentano. A loro dico di avere fiducia, noi non cambieremo idea e ci batteremo sempre per tutelare la libertà di scelta e per evitare che vengano imposti obblighi (per esempio a scuola) inaccettabili».

A lei non piacerà il green pass, ma ieri è scattata la corsa alla vaccinazione. Forse è stata una mossa utile.
«Io sono per la libertà di scelta. Da vaccinato non voglio imporre niente a nessuno. Se tanti hanno deciso di sottoporsi alla vaccinazione sono contento per loro. Però, stiamo attenti alle controindicazioni».

A cosa si riferisce?
«Ho passato la giornata al telefono con imprenditori, ristoratori, responsabili di agenzie di viaggio preoccupati per il crollo delle prenotazioni. Anche le associazioni di categoria hanno lanciato l’allarme. Siamo sicuri che non stiamo facendo danni?».

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Corsa al Green pass, boom di prenotazioni per il vaccino | Figliuolo: “Da +15% a +200%”

sabato, Luglio 24th, 2021

Numeri in forte crescita, tanto che nel Lazio è andato in tilt il sito regionale per le registrazioni. In Piemonte raddoppiate le richieste, aumenti esponenziali in Abruzzo e Friuli Venezia Giulia, mentre in Puglia +10%

E’ corsa a vaccinarsi dopo il via libera al decreto che impone l’uso del Green pass per entrare in ristoranti, bar, piscine, palestre, cinema e teatri: nelle ultime 24 ore oltre 150mila italiani si sono collegati ai portali regionali per prenotare la prima dose ed andare così ad aggiungersi entro il 6 agosto, data in cui scatterà l’obbligo, a quei 40 milioni di cittadini che hanno già scaricato il certificato.

Boom di prenotazioni, Figliuolo: “Da +15% a +200%”

“Abbiamo registrato un boom di prenotazioni che vanno dal +15% al +200% in base alle Regioni”, ha spiegato al Tg5 il commissario straordinario per l’emergenza, Francesco Paolo Figliuolo. “In Friuli Venezia Giulia – ha aggiunto – abbiamo registrato un +6mila%”. Leggi Anche

La scelta del governo ha dunque prodotto l’effetto desiderato: incentivare la vaccinazione ed evitare di dover richiudere una serie di attività in piena estate a causa del nuovo aumento dei contagi dovuto alla diffusione della variante Delta che, come conferma l’ultimo monitoraggio, è ormai predominante in Italia. E il cambio dei parametri, ampiamente concordato con le Regioni anche nelle percentuali, ha consentito di non far scattare la zona gialla per Lazio, Veneto, Sicilia e Sardegna.

Il boom delle prenotazioni è scattato subito dopo la conferenza stampa del premier Mario Draghi: in Lombardia si è passati da 28mila a 62mila prenotazioni in 24 ore mentre sia in Piemonte che in Campania c’è stato un raddoppio rispetto agli ultimi giorni: rispettivamente da 10 a 20mila e da 5 a 10mila. Aumenti quasi esponenziali anche in Abruzzo e Friuli Venezia Giulia mentre la Puglia ha fatto registrare un +10%.

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