Archive for Luglio 30th, 2021

Meteo: picchi di 45 gradi nel weekend. «È la più forte ondata di caldo dell’estate»

venerdì, Luglio 30th, 2021

Le colonnine di mercurio sono in aumento, soprattutto in Sicilia, e da domenica al Nord tornano i temporali. Gli esperti de Ilmeteo.it: «Non si escludono eventi meteo estremi come grandinate e nubifragi»

Caldo estremo e perturbazioni violente. L’estate 2021 ha visto più che mai acuirsi questi fenomeni meteorologici che gli esperti riconducono al cambiamento della corrente a getto (jet stream in inglese) e al surriscaldamento globale. Ma non è ancora finita perché fino al weekend l’Italia vivrà «la più forte ondata di caldo dell’estate, con punte fino a 45 gradi al Sud» ed entro domenica «un nuovo fronte perturbato in ingresso dalla Francia porterà violenti temporali sulle regioni settentrionali». A prevederlo sono gli esperti del sito ilmeteo.it secondo cui da oggi il sole tornerà a splendere su tutte le regioni settentrionali, fatta eccezione per qualche residuo e timido disturbo sui settori alpini.

In Sicilia picchi fino a 44/45 gradi

Prosegue il bel tempo pure al Centro-Sud con le colonnine di mercurio in graduale aumento: qui il picco del calore si raggiungerà però nel fine settimana, quando in alcune zone del Sud, specialmente sulla Sicilia, la colonnina di mercurio salirà ben oltre la soglia dei 40 gradi, arrivando a toccare picchi fino a 44/45° C nelle zone interne. Valori meno esasperati ma comunque molto caldi si raggiungeranno anche sulle regioni centrali, con valori massimi intorno ai 36 gradi nelle zone interne di Toscana, Umbria e Lazio.

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Le sabbie mobili di Draghi

venerdì, Luglio 30th, 2021

Un consiglio dei ministri convocato in mattinata, poi sospeso, poi riaggiornato nel pomeriggio, per disinnescare la minaccia dell’“astensione” che, su un provvedimento del genere, sarebbe stata una quasi crisi di governo. E poi incontri separati con la delegazione dei Cinque stelle, che a sua volta si era riunita con Conte, prima di incontrare Draghi. E poi una faticosa mediazione che consente, un po’ a tutti, a qualcuno di più a qualcuno di meno, di dire che è stata dura, ma “sui nostri valori non abbiamo ceduto”, evviva evviva: Conte sulla mafia ottiene una sorta di moratoria a tempo e norme speciali (si vedrà cosa dice l’Europa), Salvini sulla droga, il Pd sull’entrata in vigore da procrastinare per consentire agli uffici l’efficacia della riforma. Manca all’appello solo Bonafede la cui riforma, che prevedeva sempre e comunque, l’interruzione a vita della prescrizione, è stata smontata.

Insomma, per la prima volta da quando è nato il governo Draghi, palazzo Chigi si è trasformato nel set di un governo “normale”, ingabbiato nei rituali del precedente, col precedente premier che ha costretto l’attuale al suo format, cui è mancato solo l’appuntamento notturno. Prima ancora del merito è il metodo che si presta a una riflessione. Era chiaro che la giustizia, forse il tema più identitario per Movimento che, in Parlamento – anche se non nel paese – è il partito di maggioranza relativa, sarebbe stato un complicato. Ma questa storia racconta – e il disappunto trapelato da palazzo Chigi in giornata lo conferma – di un cambio di clima e, al tempo stesso di un rischio per Draghi.

Alla prima occasione utile si è manifestato il tentativo di destabilizzare il governo, da parte degli orfani del precedente, che questo assetto lo hanno subito, ma mai fino in fondo digerito. E mai hanno scommesso fino in fondo sulla nuova fase, ricollocando la propria funzione e la propria iniziativa, nelle condizioni date di un governo “di” emergenza e “per” l’emergenza, dentro cui cercare una coerente visione dell’interesse nazionale. Spiazzato dalla nascita del governo, Conte ha interpretato la collocazione del Movimento e la costruzione della sua leadership in chiave di “destabilizzazione”, con una certa complicità del Pd perché, diciamo le cose come stanno, se Enrico Letta, dopo che la riforma era stata approvata nella sua prima versione al cdm non si fosse accodato a Conte nel richiedere modifiche, probabilmente l’approvazione sarebbe stata molto più lineare e il compromesso finale meno arzigogolato.

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Conte minaccia lo strappo ma poi fa retromarcia per non lasciare la trattativa in mano a Grillo

venerdì, Luglio 30th, 2021

Il leader pentastellato si arrende: “Non è la nostra riforma, abbiamo dato un contributo”. Le accuse alla Lega e il rischio spaccatura nel Movimento.

Pasquale Napolitano

Conte minaccia lo strappo ma poi fa retromarcia per non lasciare la trattativa in mano a Grillo

Giuseppe Conte si ferma a un passo dallo strappo. L’ex premier prova in tutti i modi a far saltare il timing di Mario Draghi. A metà pomeriggio, il leader dei Cinque, dal suo quartiere generale (gli uffici del gruppo 5Stelle Camera), chiama al telefono Draghi per chiedere 48 ore di tempo: due giorni per trovare una mediazione tra i suoi sulla riforma Cartabia. Conte minaccia: «Il M5s non voterà (ipotesi astensione) la riforma del processo penale». Il presidente del Consiglio si rifiuta e rilancia: «Si va in Aula con il testo Cartabia e il voto di fiducia». È lo scontro finale. Ma forse decisivo che imprime la svolta. A quel punto Conte molla la presa. Al termine di cinque ore di trattative il Consiglio dei ministri trova l’intesa sulla riforma della Giustizia. Il futuro capo dei Cinque stelle deve digerire il passo indietro. A fine giornata si concede una granita al limone insieme allo staff alla gelateria Giolitti. Il punto di caduta è l’allungamento dei termini per l’improcedibilità sui reati di mafia. Il M5S piazza la bandierina, ottenendo il regime speciale per tutti i reati di mafia. Nel dettaglio, l’intesa dovrebbe prevedere nessun timing per i reati riconducibili al 416 bis e ter, dunque processi sine die. Mentre per i reati aggravati da mafia sei anni di appello, con un regime transitorio da qui al 2024. Dal 2025, l’appello scenderà a 5 anni. «Sulle modifiche alla riforma della Giustizia penale c’è stato un accordo unanime del Cdm» spiega il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà all’uscita da Palazzo Chigi. L’avvocato di Volturara ammette la ritirata: «Non è la nostra riforma, ma abbiamo dato il nostro contributo per migliorarla». E scarica la rabbia sulla Lega: «Sono davvero rammaricato per l’opposizione della Lega. Questo mi fa pensare. Quando si tratta di combattere la mafia siamo tutti sullo stesso fronte, poi quando si scende sui fatti concreti gli slogan scappano via». Il dato è chiaro: Conte non è riuscito a tenere compatto il Movimento. Tre le posizioni, che rischiavano di frantumare i gruppi parlamentari: Di Maio pro riforma, i duri e puri per la rottura, i contiani per una mediazione al rialzo. Spaccature che trovano conferme nelle stesse parole dell’ex premier: «Noi siamo una grande famiglia, esamineremo nei dettagli il testo e sono fiducioso che nella discussione generale saremo compatti. Questi sono miglioramenti che omaggiato tutte le vittime della mafia».

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Mario Draghi mette i partiti con le spalle al muro sulla riforma della giustizia: accordo o la conta

venerdì, Luglio 30th, 2021

Mario Draghi rimette tutti i partiti al loro posto. Il presidente del Consiglio ha lanciato un ultimatum alle forze politiche in merito allo scontro sulla riforma della giustizia: o si trova un accordo tra tutte le richieste in ballo o si va direttamente in aula con il testo uscito dallo scorso Consiglio dei ministri e si fa la conta dei voti. Il retroscena è fornito dal Messaggero, che riferisce come tale presa di posizione abbia fatto tornare tutti a posizioni più miti, soprattutto dopo la richiesta di una maggiore responsabilità da parte del Premier. “E’ giusto non mandare in prescrizione i processi di mafia, ma per la Lega è altrettanto doveroso prevedere che anche per i reati di violenza sessuale e traffico di droga i processi vadano fino in fondo” la nuova posizione di Matteo Salvini e della Lega, con una frizione con il Movimento 5 Stelle che esulterebbe e farebbe passare come una propria vittoria l’essere riusciti ad imporre lo stop alla improcedibilità per i processi di mafia e terrorismo.

Il presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio, il grillino Perantoni lo ha annunciato la “sintesi è vicina”. Ma c’è la grana Forza Italia: “Se si va in questa direzione non lo votiamo”. E anche il Partito Democratico storce il naso. Fatto sta che Marta Cartabia, ministro della Giustizia, non ha alcuna intenzione di stravolgere il suo testo: nel M5S l’irritazione per i suoi metodi non è ancora rientrata e la tentazione di togliere l’appoggio al Governo Draghi è ancora forte. Ma l’esecutivo va avanti per la sua strada: senza intesa si va dritti dritti in aula, con la richiesta che il provvedimento bypassi la Commissione. Nessuno faccia arrabbiare Supermario.

IL TEMPO

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Scuola, il governo assume 112mila nuovi prof. In aula col tampone

venerdì, Luglio 30th, 2021

Benedetto Antonelli

Mentre si discute da giorni sull’opportunità di introdurre o meno l’obbligo vaccinale per i professori, in vista della riapertura della scuola il Consiglio dei ministri, su proposta dei ministri Brunetta (Pubblica amministrazione) e Franco (Economia), approva «l’autorizzazione al ministero dell’Istruzione ad assumere, a tempo indeterminato, sui posti effettivamente vacanti e disponibili, per l’anno scolastico 2021/2022 un numero pari a 112.473 unità di personale docente». Intanto, slitta alla prossima settimana la presentazione del piano Bianchi sulla riapertura delle scuole a Regioni, Comuni e province, anche se il testo, assicurano fonti del Ministero, è pronto. Si attende la decisione sull’obbligo dei vaccini agli insegnanti e sulla gestione dei trasporti locali, che saranno in cabina di regia e in Consiglio dei ministri la la prossima settimana. Nel piano del ministro per il momento non si fa cenno all’obbligo, ma solo alla necessità che «il personale docente e non docente, su tutto il territorio nazionale, assicuri piena partecipazione alla campagna di vaccinazioni. Resta il vincolo delle mascherine anche in aula al di sopra dei 6 anni, ma non del distanziamento, che non permetterebbe una presenza al 100% degli studenti.

Non saranno necessari, come ha evidenziato anche il Cts, test diagnostici o screening preliminari di accesso e si dovrà individuare anche quest’ anno un referente Covid. In tutte le classi, inoltre, si dovrà garantire l’aerazione dei locali e la pulizia “quotidiana, accurata e ripetuta” degli ambienti e dovrà proseguire la pratica dell’igiene delle mani e la messa a disposizione di erogatori di prodotti disinfettanti in tutte le scuole». Il ministro della Salute, Roberto Speranza, fa capire che l’intenzione del governo è quella di inserire il green pass per gli insegnanti, se vorranno essere in contatto con gli studenti, proprio come chiede l’associazione nazionale dei presidi. «Siamo al lavoro per modalità che ci consentano una ripartenza della scuola in presenza e in sicurezza», scandisce. Mentre il ministro dell’Istruzione ha aperto un confronto con le parti sociali e le Regioni, Speranza promette che il comparto non sarà abbandonato: «Il governo non farà mancare un’iniziativa molto forte per raggiungere l’obiettivo» della presenza in sicurezza.

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Le minacce di astensione e la telefonata con Grillo. Poi Conte strappa l’intesa

venerdì, Luglio 30th, 2021

ILARIO LOMBARDO

ROMA. È il tono della voce – di solito controllato, pacato, piatto – che tradisce con il passare delle ore il nervosismo di Mario Draghi. La voce, raccontano i ministri che hanno partecipato in prima linea alle trattative, si indurisce e rompe gli argini della pazienza quando il presidente del Consiglio capisce che nessuna delle due parti è disposta a cedere sulla riforma del processo penale. Né il M5S che si impunta su un comma, contenitore di molti reati-satellite di mafia, per neutralizzare il più possibile la prescrizione. Né la Lega, Italia Viva e Forza Italia, decisi a non concedere più nulla ai 5 Stelle. La mediazione alla fine arriverà, e Draghi per questo ringrazierà soprattutto il ministro leghista Giancarlo Giorgetti, per aver trovato il modo di rendere conciliabili posizioni inconciliabili.

Sulla scena principale ci sono tre avvocati: da una parte Giuseppe Conte per il M5S, dall’altra Giulia Bongiorno, senatrice della Lega, difensore di Giulio Andreotti e di Matteo Salvini, e Niccolò Ghedini, senatore di Forza Italia e legale di Silvio Berlusconi. Sono loro a sfidarsi a distanza sui tecnicismi dell’improcedibilità. Ma concentrarsi troppo su quel punto dell’articolo del Codice di procedura penale, il 416 bis 1, che riguarda l’aggravante mafiosa di particolari delitti, sarebbe riduttivo per spiegare cosa davvero è avvenuto in una mattina e in un pomeriggio dove fino all’ultimo si è rischiato di scivolare nell’ennesima crisi di governo agostana. Una tensione arrivata talmente al limite da aver trascinato dentro le trattative il Quirinale e Beppe Grillo.

Interessi, strategia, propaganda: è la politica, pura, che si riprende la scena, e si impone su un’armonia artificiale, creando una profonda smagliatura al governo di unità nazionale. Non è quello che si aspettava Draghi per il 29 luglio, a quattro giorni all’inizio del semestre bianco, quando non sarà più possibile sventolare la minaccia dello scioglimento del Parlamento e delle elezioni anticipate. Il premier aveva promesso all’Europa per la fine del mese il via libera a tre riforme: giustizia, concorrenza, fisco. Le prime due sono considerate da Bruxelles vincolanti per i soldi del Recovery. Al mattino, dopo una notte di trattative che sembrano non portare a nulla, davanti al premier si materializza l’incubo di non veder approvata nessuna delle tre. Non il fisco e la concorrenza, rinviate a settembre, né, forse, la giustizia sulla quale la maggioranza è nello stallo più totale. È il motivo che spinge Draghi a tentare una forzatura. Convoca il Consiglio dei ministri alle 11.30, ma senza ordine del giorno. Vuole piegare Conte e i 5 Stelle, che ancora insistono ad avere correttivi alla legge e non si sentono abbastanza garantiti sui reati di mafia, terrorismo e violenza sessuale. Il Cdm inizierà solo un’ora e mezza dopo e verrà quasi subito interrotto per una lunga sospensione. Le riunioni con il M5S sono continue. Per Conte è la prima vera trattativa.

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Unicredit rompe gli indugi: “Trattiamo con il Tesoro per comprare Montepaschi”

venerdì, Luglio 30th, 2021

Francesco Spini

MILANO. Fine degli indugi: Unicredit tratta per rilevare il Monte dei Paschi di Siena, quantomeno una sua parte. La banca e il ministero dell’Economia hanno concordato «i presupposti per una potenziale operazione avente ad oggetto le attività commerciali di Mps», annunciano dall’istituto con una nota. Per Unicredit è un’opportunità da 3,9 milioni di clienti da aggiungere ai 16 milioni globali di cui 9 in Italia. Ci sono in ballo 80 miliardi di crediti, 87 di depositi, 62 miliardi di masse in gestione e 42 miliardi di masse in amministrazione. La crescita nel Centro Nord, dove è il 77% degli sportelli del Monte.

Difficile però quantificare ora cosa potrà finire a Milano: «Abbiamo un obiettivo in mente e puntiamo a concludere la trattativa il più presto possibile», spiega l’ad Andrea Orcel. «Il perimetro che possiamo acquisire lo si saprà sperabilmente in settembre». E quando al banchiere chiedono se lo Stato – oggi azionista del Monte al 64,2% con l’impegno di uscirne entro aprile 2022– potrà ora diventare socio di Unicredit, Orcel alza le mani: «Troppo presto per dirlo, bisogna prima vedere quale sarà la struttura dell’operazione».

Ancor prima che – almeno ufficialmente – parta la trattativa Andrea Orcel detta però le sue condizioni. Non rileverà Siena così com’è. Vuole una banca ripulita di crediti deteriorati e rischi legali. Non vuole perdere nulla in termini di patrimonio e redditività, anzi incrementarla in prospettiva. Orcel, insomma, attende Babbo Natale fuori stagione. «Durante il periodo di due diligence eseguiremo analisi dettagliate e verificheremo se saremo in grado di definire una transazione che possa soddisfare i parametri concordati – spiega il banchiere –. Allora e solo allora avremo gli elementi per decidere se procedere». I parametri in cui i colloqui dovranno svolgersi sono stringenti. L’operazione, anzitutto, dovrà assicurare piena neutralità dal punto di vista del capitale. Vuol dire che in sostanza, spiega Orcel in una conferenza telefonica tenuta in serata, «il Cet1 combinato dei due istituti», ossia il parametro che indica la patrimonializzazione di maggior qualità della banca, al netto delle sinergie, «fin dal primo giorno, dovrà essere uguale a quello attuale della banca», che al 31 marzo era pari al 15,9%. Una delle leve che potrà essere usata per centrare l’obiettivo è quello dei «deferred tax asset», le perdite fiscali che possono diventare credito d’imposta in caso di fusione con altre banche.

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Covid, in Italia è partita la quarta ondata? Pregliasco: «Numeri brutti, ma spero sia un colpo di coda»

venerdì, Luglio 30th, 2021

di Adriana Bazzi

Intervista al virologo dell’Università Statale di Milano: «La situazione è in linea con quanto successo in altri Paesi. Il green pass non può azzerare il rischio di contagio, ma contribuisce a ridurlo»

La quarta ondata di contagi da coronavirus è arrivata, come dimostrano i dati della Fondazione Gimbe e come molti esperti temevano?
«Speriamo sia solo un colpo di coda — commenta Fabrizio Pregliasco, virologo, docente all’Università Statale di Milano —. Comunque è una situazione in linea con quello che già è successo in altri Paesi, mentre noi vivevamo una sorta di luna di miele».

In che senso «luna di miele»?
«Noi siamo stati chiusi più a lungo: chi ha riaperto prima, come Spagna e Portogallo, ha visto risalire i contagi già nelle settimane scorse. E poi c’è stata quell’“eclissi di coscienza”, durante i festeggiamenti per la vittoria dell’Italia nell’Europeo di calcio, che ha favorito la diffusione del virus».

A proposito di contagio: dove si nascondono i rischi?
«Va ribadito un concetto: che ogni contatto fra persone può potenzialmente rappresentare un rischio di contagio, anche se basso. Anche i vaccinati (che nell’88% dei casi sono al riparo dall’infezione) in alcuni casi possono essere portatori del virus, nonostante la carica ridotta, e trasmetterlo agli altri» (ecco perché molti esperti, come il virologo americano Anthony Fauci, continuano a raccomandare l’uso della mascherina, ndr).

Questo non fa che sottolineare l’importanza della vaccinazione per ridurre il più possibile la circolazione del virus. Molti, però, sono ancora esitanti, e non parliamo dello zoccolo duro dei no vax. Perché questa esitazione?
«Molto è da attribuire a una sorta di cacofonia dell’informazione. È passata, per esempio, l’idea che i vaccini siano sperimentali e che alcuni possano interferire con il nostro Dna. Ma non è così. Le tecnologie che hanno permesso di mettere a punto i preparati a Rna (come Pfizer, ndr) e quelli a vettore virale (tipo AstraZeneca, ndr) sono allo studio da anni. E questa confusione informativa continua».

Si spieghi meglio.
«Per esempio, l’Ema ha dato indicazioni per la vaccinazione nei giovani a partire dai 12 anni. Alcuni Paesi, però, come la Germania o la Svezia, vaccinano, al momento, soltanto i ragazzi più fragili, in attesa di avere maggiori dati sugli effetti collaterali (sono descritti casi molto rari di miocardite fra i più giovani, ndr), mentre in Italia si seguono le indicazioni dell’Ema. Vaccinare i giovani, comunque, è fondamentale per la riapertura delle scuole».

E i docenti?
«Li paragonerei agli operatori sanitari, soprattutto coloro che hanno a che fare con i bimbi più piccoli. Io sarei per l’obbligo della vaccinazione».

Non pensa che una certa resistenza alla vaccinazione sia dovuta anche alla paura degli effetti collaterali?
«Gli effetti collaterali più importanti, come ad esempio i casi di trombosi con il vaccino AstraZeneca nelle donne giovani o quelli di miocardite con il vaccino Pfizer nei giovani, sono molto rari. E accettabili se si considerano i danni che la malattia comporta».

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Giustizia: toghe e doppie verità

venerdì, Luglio 30th, 2021

di   Paolo Mieli

Colpisce che il cento per cento dei magistrati che si sono fin qui pronunciati sulla riforma Cartabia abbiano espresso dissenso. Dissenso manifestato senza il ricorso ad eufemismi, anzi in termini assai impegnativi. È vero che due o tre di questi magistrati (quattro se comprendiamo Luciano Violante) hanno aperto qualche spiraglio al progetto messo a punto dalla ministra della Giustizia assieme a un gruppo di valenti giuristi.

Ma erano toghe in pensione: quelle tuttora in servizio hanno sparato alzo zero contro il provvedimento che, secondo i loro calcoli, avrebbe consentito il ritorno in libertà di centinaia di migliaia di delinquenti. Proprio così: centinaia di migliaia. E avrebbe altresì provocato la fine dello stato di diritto nonché, forse, della democrazia riconquistata con la Resistenza. Anche personalità fino ad oggi conosciute come poco inclini alle esagerazioni hanno fatto ricorso a quel genere di toni. Sia come singoli che come capi delle organizzazioni di categoria.

Ripetiamo: il cento per cento dei magistrati in servizio, presa la parola, si è pronunciato contro il progetto Cartabia votato all’unanimità dal precedente Consiglio dei ministri sostenendo che se fosse rimasto com’era e non fosse stato cambiato con una seconda decisione unanime, quella di ieri sera, avrebbe provocato al nostro Paese danni incalcolabili.

In casi come questo si è soliti sostenere che non tutti i magistrati la pensano come quelli che intervengono pubblicamente. Ma tenderemmo a escludere che ciò corrisponda al vero perché, se così fosse, dopo quasi trent’anni di riproposizione di questo copione, dovremmo pensare che tra pubblici ministeri e giudici non ce ne sia uno, neanche uno, capace di manifestare il proprio dissenso dal pensiero prevalente tra i colleghi. Tutti senza coraggio? Impossibile. Più verosimile che, con maggiore o minore intensità, siano d’accordo tra loro.

A questo punto si pone una domanda: cosa ha reso possibile questa unanimità delle toghe contro Mario Draghi e Marta Cartabia? La risposta può essere di due tipi. La prima – con maggiori probabilità di esser vicina al vero – è che il precedente accordo raggiunto dalla ministra avesse un carattere eccessivamente compromissorio; che lei e i saggi che l’hanno affiancata non si rendessero conto dello spropositato numero di mafiosi, terroristi e malfattori di ogni specie che grazie al loro provvedimento (nella prima versione) avrebbero riacquistato libertà; e che l’intero Consiglio dei ministri avesse concesso luce verde a questo piano nell’intima (e cinica) certezza che qualcun altro l’avrebbe rimesso in discussione. Fosse vero, dovremmo ringraziare quei parlamentari del M5S che con rapidità, resisi conto dei rischi, hanno ottenuto il nuovo compromesso che impedirà a mafiosi, terroristi e delinquenti d’ogni risma di uscire di prigione. E che risparmierà all’Italia un provvedimento che avrebbe «minato la sicurezza del Paese».

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Riforma giustizia, nove ore di liti. Poi arriva l’intesa. Regime speciale per i reati di mafia

venerdì, Luglio 30th, 2021

di Giuseppe Alberto Falci e Marco Galluzzo

Sì del M5S, il testo in Aula domenica. Ritirati tutti gli emendamenti, la soddisfazione di Cartabia

Nove ore di tensione in consiglio dei ministri, con la minaccia di astensione dei 5Stelle, ma alla fine l’ intesa sulla riforma della giustizia viene raggiunta. Mario Draghi ha difeso la struttura complessiva del provvedimento, introducendo un regime speciale per i processi per tutti i reati di mafia. Secondo l’accordo non si sterilizzano i tempi processuali per i reati riconducibili al 416 bis e ter, dunque si va avanti senza scadenza. Mentre per l’aggravante mafiosa si arriva a sei anni in appello, con un regime transitorio da qui al 2024. Dal 2025 l’appello scenderà a 5 anni. «Quella che si chiude — ha commentato il Guardasigilli Marta Cartabia — è un giornata importante, c’è stata un’approvazione all’unanimità, con piena convinzione di tutte le forze politiche e l’impegno a ritirare tutti gli emendamenti che erano stati presentati dalle forze di maggioranza con l’obiettivo di accelerare il più possibile il lavoro in Parlamento e concludere prima della pausa estiva questa importantissima riforma». Una giornata scandita da una tensione sempre crescente.

9.23 convocazione Cdm
Arriva l’sms di convocazione del Consiglio dei ministri. è fissato alle 11.30. Al centro del confronto la riforma del processo penale, la cui mediazione sembra essere vicina.

11.30 slitta la riunione
Il Cdm non comincia. Da Palazzo Chigi filtra che gli uffici starebbero definendo l’accordo. Scetticismo da via Arenula: «Intesa lontana» .

12.30 c’è una bozza
La volontà di Draghi resta una soltanto: sigillare l’accordo e far approdare il testo oggi in aula. Intanto, inizia a circolare una bozza di mediazione. «Basterà?» si domandano nel cortile di Montecitorio.

12.53 M5S in conclave
Scuro in viso e con passo lesto, il ministro grillino Federico D’Incà esce da Palazzo Chigi e si dirige a Montecitorio per incontrare Giuseppe Conte. Segue a ruota Stefano Patuanelli, ministro dell’Agricoltura. Ci sono anche una serie di parlamentari, fra gli altri l’agguerita Giulia Sarti, per esaminare la bozza sulla proposta emendativa del governo.

13.00 il no di Conte
Conte e i ministri sbottano: «La bozza non ci piace. Potremmo astenerci in consiglio dei ministri». Con due ore di ritardo inizia il Cdm. I 5Stelle disertano, sono ancora riuniti.

14.00 arriva il M5S
Dadone, Di Maio, Patuanelli e D’Incà si siedono al tavolo del Cdm e avvertono: «Si inseriscano nel testo le aggravanti alla mafia o per noi l’intesa sulla riforma Cartabia non c’è». Si tratta su tentato omicidio, corruzione, tentata strage, estorsione, riciclaggio, sequestro di persona commessi per agevolare la mafia.

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