Archive for Luglio, 2021

Patto Conte-Letta sulla prescrizione, ma Draghi non si fida e chiede lealtà

lunedì, Luglio 19th, 2021

ILARIO LOMBARDO

ROMA. Pochi giorni. Questo chiede il Pd a Mario Draghi. Pochi giorni per ritoccare la riforma del processo penale e ridefinire i canoni della prescrizione. Per Enrico Letta una scelta che con il passare dei giorni si è fatta obbligata, dopo la protesta dei magistrati, degli alleati del m5S e per i mal di pancia sempre più difficili da nascondere anche tra i democratici. Questa mattina Giuseppe Conte si presenterà all’incontro con Draghi con il sollievo di avere incassato la sponda nel Pd per cambiare la legge della ministra della Giustizia Marta Cartabia. Il premier e il suo predecessore si vedono per la prima volta dopo la crisi che a febbraio ha portato l’ex banchiere centrale a Palazzo Chigi. Per Conte è anche il primo confronto politico da leader del M5S, pur se non formalmente incaricato. I due sanno che le strade della mediazione possono essere infinite, ma conoscono anche le insidie che si presenteranno immediatamente, appena si renderà possibile riaprire i giochi sulla giustizia.

È il grande timore di Draghi, quello che esporrà oggi a Conte: aprire uno spiraglio di modifica significa spalancare la porta ai veti reciproci, cosa che dilaterebbe i tempi e decreterebbe il rinvio forse definitivo. Forza Italia e Italia Viva sono già sul piede di guerra, pronti a controproporre modifiche che andranno in senso opposto alle richieste sulla prescrizione di 5 Stelle e Pd. «Molto dipenderà da quanto si inasprirà il confronto in Commissione – spiega Carmelo Miceli – noi del Pd siamo consapevoli dell’importanza della riforma e della necessità che tutte le parti in causa debbano rinunciare a qualcosa». Il Pd asseconderà la battaglia di resistenza del M5S e deve farlo anche perché in ballo c’è il seggio per le suppletive di Siena dove Letta non può permettersi di perdere il sostegno del Movimento. Allo stesso tempo, però, i dem non seguiranno gli alleati fino allo strapiombo. «Sono sicuro che domani sarà una giornata positiva, nella quale si troveranno le giuste soluzioni» ha detto il leader Pd alla vigilia dell’incontro. Il patto tra Conte e Letta si poggia su una condizione: che i tempi siano celeri. Il segretario dem aveva dato questa garanzia a Draghi e vorrebbe mantenere la parola, anche se ora sposta all’«autunno» il termine per approvare l’intero pacchetto della riforma, che comprende anche il processo civile e il Csm, «perché alla base dei soldi del Pnrr»: un modo per guadagnare tempo e aprire alla possibilità di un ulteriore slittamento. Ieri anche la vicepresidente del Senato Anna Rossomando ha detto di «non temere una perdita di tempo, se si tratta di pochi giorni per arrivare alla meta». Bastano interventi mirati: «Non serve smantellare tutto, ma risolvere qualche criticità». «Le soluzioni tecniche ci sono», dice, e «la mediazione deve trovarla il governo e in particolare la ministra Cartabia».

Anche fonti vicine a Conte assicurano che non c’è alcuna volontà di sabotaggio. L’avvocato invita a guardare al modello tedesco e propone sconti di pena contro l’irragionevole durata del processo. Non solo. Nel M5S e nel Pd chiedono di allargare i reati per i quali la tagliola dell’improcedibilità (la prescrizione non più sostanziale ma processuale) interviene più tardi, a tre anni e non a due per l’appello, e a un anno e mezzo e non a uno per la Cassazione. In alternativa, I grillini non escludono di riesumare il lodo Conte – prescrizione sospesa dopo il primo grado per chi è condannato e non per chi è assolto – che fu ideato a inizio 2020 per scongiurare la crisi che si stava apprestando a scatenare Renzi prima che intervenisse la pandemia. Tra i 5 Stelle c’è anche chi vorrebbe far partire il calcolo dell’improcedibilità del secondo grado non al momento del ricorso ma quando il fascicolo arriva in Corte d’Appello, ma è un’ipotesi che è già stata bocciata al tavolo della maggioranza al ministero della Giustizia.

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Il secco no dei due Matteo: “La riforma non cambia, basta melina o salta tutto”

lunedì, Luglio 19th, 2021

AMEDEO LA MATTINA

ROMA. «Basta traccheggiare, perdere altro tempo o qui salta tutto». Dal centrodestra arriva un avvertimento forte agli alleati. A differenza del ddl Zan sulla omotransfobia, che non tira in ballo il governo anche se vede nettamente contrapposti i partiti della maggioranza, la riforma della giustizia entra invece nel cuore di Palazzo Chigi. E soprattutto è un tema centrale del Pnrr: se non vengono tagliati sensibilmente i tempi del processo penale del 25% e del 40% per quello civile, l’Italia rischia di non avere non solo i 2,7 miliardi legati alla giustizia, ma l’intera torta di 191 miliardi del recovery Plan. È un allarme lanciato di recente dalla stessa ministra Marta Cartabia e ripetuta in diverse occasione dallo stesso Mario Draghi a tutti i protagonisti del suo esecutivo. Oggi il premier incontrerà Giuseppe Conte per capire fino a dove il nuovo leader dei 5 Stelle intende spingersi. Anche perché il premier e la Guardasigilli hanno ben chiaro che i margini di modifica della riforma Cartabia, proprio perché approvata all’unanimità in Consiglio dei ministri (obtorto collo anche dai grillini), sono minimi, per non dire nulli.

Anche Enrico Letta ora parla di «piccoli cambiamenti». Non vuole certo tornare allo stop della prescrizione introdotta dalla riforma Bonafede. Il segretario del Pd tenta di venire incontro all’alleato con il quale vuole costruire un’alleanza elettorale stabile. Ma di mezzo ci sono il cosiddetto centrodestra di governo ovvero Lega e Forza Italia, e Italia Viva. L’avviso ai naviganti è chiaro: ogni cambiamento, «piccolo o grande che sia», deve ritrovare un accordo con tutti i partiti che sostengono Draghi. Il leader leghista non ha alcuna intenzione di favorire la corrispondenza di amorosi sensi tra Enrico e Giuseppe. Si sente forte della raccolta delle firme per i sei referendum che sta andando a gonfie vele». «Se raccogliamo un milione di firme saranno gli italiani a dire sì o no alla riforma della giustizia. Sono 30 anni che il Parlamento promette la riforma. Firmare è la cosa giusta perché fidarsi è bene, non fidarsi è meglio», avverte il capo leghista. Per Giulia Bongiorno il superamento della riforma Bonafede non si discute, non si possono mettere le lancette indietro. «Basta con la melina, non possiamo restare ostaggi per sempre dei processi», spiega l’avvocato e senatrice Bongiorno.

Nel centrodestra ovviamente non c’è nessuno che vuole farsi carico delle fibrillazioni della base parlamentare grillina e vengono considerate ridicole alcune proposte che circolano sui tempi della prescrizione, diversificandoli ad esempio in base alla gravità dei reati. Un’altra ipotesi che gira è quella di eliminare l’improcedibilità processuale quando scade il termine e introdurre uno sconto di pena. In sostanza se il processo d’appello supera i due anni, l’imputato ha diritto a una pena più bassa.

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Serve un obbligo per tornare liberi

lunedì, Luglio 19th, 2021

Michela Marzano

Proviamo a ragionare insieme sull’obbligo vaccinale. Un passo dopo l’altro. Senza salti logici e senza argomenti di autorità. Non basta d’altronde appellarsi a qualche grande filosofo o trincerarsi dietro alcune citazioni – saltando magari allegramente da Cicerone a John Stuart Mill o da Aristotele a Spinoza – per avere ragione. Spesso, per mostrare a qualcun altro che ha torto, è sufficiente individuare lo scopo che ci si prefigge, e provare a capire come lo si possa raggiungere nel miglior modo. Tanto più che sullo scopo da raggiungere sembra esserci unanimità: credo che non esista nessuno che non desideri tornare il più velocemente possibile alla normalità, ossia alla possibilità di andare al cinema, al ristorante, al bar, a spasso con gli amici, a una festa, in vacanza, a scuola e via di seguito, senza doversi porre il problema della capienza di un locale, dell’affollamento di un autobus o di un treno, dei gesti barriera, della mascherina, dei baci o degli abbracci. Una vita libera, quindi. Anche se, quando si parla di libertà umana, si parla sempre di libertà condizionata, visto che siamo esseri limitati e non onnipotenti e che, avendo un corpo, siamo sottomessi alle leggi della gravitazione, non possiamo cancellare la temporalità, e tutto ciò che diciamo o facciamo ha delle conseguenze non solo sulla nostra esistenza, ma anche sull’esistenza altrui.

Ma se lo scopo unanime è quello di tornare il più rapidamente possibile alla normalità, allora la questione che si pone riguarda il come e non il perché. Il che semplifica ulteriormente il problema, anche semplicemente perché i veri dilemmi riguardano per lo più le finalità e le giustificazioni dei nostri comportamenti: si può non concordare sul fatto che il valore cardine della vita sia l’uguaglianza oppure la libertà, ma quando si è d’accordo sul fatto che si debba perseguire l’uguaglianza, poi ci si accorda abbastanza facilmente anche sui mezzi più consoni da utilizzare. Si può litigare sul valore della vita – e considerare che la persona non abbia mai un prezzo ma sempre e solo una dignità, oppure credere che anche l’essere umano, come qualunque altro oggetto, possa essere strumentalizzato al fine di massimizzare il proprio interesse – ma, una volta deciso che, ad esempio, la dignità prevale sull’utilità, resta solo da stabilire con quali mezzi la si salvaguardi meglio. Ecco perché, quando si affronta il tema dell’obbligo vaccinale, è stupido scannarsi evocando la libertà o la dittatura. Oggi, non sono in ballo né la libertà né la dittatura, ma semplicemente il “come” tornare il più rapidamente possibile alla normalità. Sapendo che c’è un parametro che sfugge al nostro controllo, ossia il virus. Che continua a circolare e a mutare indipendentemente da noi. Un virus, tra l’altro, del quale ancora non si conosce tutto e le cui conseguenze a lungo termine, per chi ne è stato contagiato, sfuggono anche ai più grandi virologi. A differenza di un anno fa, però, c’è il vaccino. E i dati mostrano che chiunque abbia completato il ciclo vaccinale è molto più protetto di chi non si vaccina. Basta leggere le statistiche dei ricoveri e dei morti per avere accesso a questi dati, che non sono quindi il frutto di ipotesi campate in aria, ma una lettura neutra del reale. E quindi? Quindi, anche se il virus continua a fare il proprio lavoro – ossia continua a mutare per diffondersi –, ora esiste un modo per ostacolarne la diffusione: vaccinarsi.

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Conte al confronto con Draghi. Sul tavolo anche il voto di fiducia

lunedì, Luglio 19th, 2021

di Francesco Verderami

Il leader del Movimento oggi a Palazzo Chigi. Le (forti) distanze sulla giustizia

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Draghi nelle trattative cerca di ridurre un passo alla volta le distanze dall’interlocutore, anche quello più lontano, se del caso sfruttando una battuta. Conte nei colloqui invece è avvolgente e convenevole, spesso prolisso, così da prendere anche per stanchezza chi gli sta davanti. Insomma oggi la forma sarà salva, ma nella sostanza il faccia tra il premier e l’ex premier si preannuncia un muro contro muretto. D’altronde lo stesso leader del M5S riconosce una certa disparità nei rapporti di forza politici, se è vero che alla vigilia ha definito il faccia a faccia come una sorta di duello «tra Davide e Golia». Da una parte Conte, deciso a rappresentare con parole «schiette» l’agenda del Movimento che non vuol vedere cancellate le sue riforme. Dall’altra Draghi, che considera un atto dovuto ricevere il capo di un partito della sua maggioranza e già immagina il tenore revanscista del discorso.

Sbrigate le formalità, arriverà il momento di decidere le regole d’ingaggio. E i due sulla giustizia hanno già deciso. Nel senso che l’ex premier giudica il testo della Cartabia più o meno un colpo di spugna, visto che «centocinquantamila processi rischiano di svanire nel nulla». Mentre il premier la pensa esattamente al contrario, ma si limiterà a prendere atto di quanto ascoltato perché ritiene che il modo migliore per portare a casa il provvedimento sia restare fermi: ha dalla sua il deliberato del Consiglio, dove i ministri del M5S hanno votato l’impianto proposto dalla Guardasigilli. E chissà se farà notare all’ospite che, criticando la riforma, di fatto sta sfiduciando i suoi rappresentanti al governo.

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Perché i vaccinati positivi devono fare la quarantena? Quanto sono contagiosi per gli altri?

lunedì, Luglio 19th, 2021

di Silvia Turin

Il punto sugli studi e le regole con l’avanzata della variante Delta. L’infettività dipende dalla carica virale: essere completamente vaccinati la abbassa e ci rende meno contagiosi

Boris Johnson è stato «costretto» all’isolamento proprio alla vigilia della fine di tutte le restrizioni in Inghilterra: il primo ministro è stato infatti raggiunto dall’avviso di obbligo di quarantena a causa di una riunione avuta venerdì con il ministro della Sanità, Sajid Javid, risultato positivo al coronavirus pur essendo completamente vaccinato, come d’altronde lo è Boris Johnson. In Gran Bretagna la quarantena scatta se si viene «segnalati» dalla app di tracciamento del Covid e attualmente oltre mezzo milione di cittadini comuni in tutta l’Inghilterra è costretto a isolarsi perché ha avuto contatti con persone contagiate.

Ha senso isolarsi dopo un contatto a rischio per una persona completamente vaccinata?
«Non ha senso con le varianti precedenti, perché i vaccini proteggono anche dall’infezione. Con la variante Delta il rischio di infettarsi è più alto, tuttavia il virus si replica meno proprio perché c’è il vaccino, infatti le persone che si sono vaccinate o non sviluppano sintomi o fanno una forma lievissima di malattia, proprio perché hanno una bassa carica virale e quindi, nella stragrande maggioranza dei casi, sono anche non contagiose», spiega l’immunologa Antonella Viola.

Qual è l’orientamento rispetto alla quarantena in Usa ed Europa?
«I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) Usa sono stati i primi a dire che le persone vaccinate non sarebbero state testate, non sarebbero andate in quarantena e potevano non usare la mascherina. In Europa la comunicazione non è stata così chiara e ogni Paese ha fatto da solo. In Italia c’è ancora l’obbligo di quarantena, che però non è possibile pensare di mantenere nel tempo», dice Viola.

C’è una differenza di rischio con chi avesse fatto solo una dose?
Ci sono dati da Israele che dicono che già una dose fa abbassare la carica virale: nei vaccinati positivi è stata misurata una riduzione fino a 4 volte (per le infezioni che si sono verificate 12-28 giorni dopo la prima dose). «Le cariche virali ridotte suggeriscono una minore infettività, però per prudenza, quando diciamo che non è necessario fare la quarantena, ci riferiamo a soggetti completamente vaccinati» , specifica l’immunologa.

Un vaccinato positivo quanto è contagioso per gli altri?
Ci sono una serie di studi che hanno analizzato la variante Alfa e hanno dimostrato che le possibilità che un vaccinato possa contagiare sono bassissime. Con la variante Delta non ci sono ancora dati pubblicati, ma sono in corso gli studi. Anthony Fauci, il consulente medico della Casa Bianca, ha dichiarato essere «un’ipotesi ragionevole» che le persone completamente vaccinate positive abbiano «molto meno» virus nelle vie aeree rispetto alle persone non vaccinate con infezioni asintomatiche. «Quello che vediamo è che le persone vaccinate non si infettano allo stesso modo e nella gran parte dei casi non hanno sintomi. Questo significa che la carica virale è bassa e hanno una possibilità inferiore di contagiare gli altri». La pecca di questo tipo di studi è che una persona vaccinata sarà testata molto meno e, se anche fosse positiva sarebbe facilmente asintomatica e quindi, ancora una volta, sottoposta meno a tamponi.

Può dipendere anche dal tipo di vaccino con cui sono stato immunizzato?
«Sì, è possibile che ci siano dei vaccini che abbiano una maggiore capacità di offrire immunità neutralizzante nelle vie aeree e quindi di bloccare meglio la replicazione virale», osserva l’esperta.

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Variante Delta in Italia, il dossier del Cts al governo per fermarla: green pass dopo la seconda dose e più vaccini

lunedì, Luglio 19th, 2021

di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini

Il piano del Comitato tecnico scientifico: green pass solo dopo due dosi, potenziare la campagna di vaccinazione per gli over 60 cercando chi non si è immunizzato attraverso il sistema sanitario nazionale. Il tasso di positività domenica ha sfiorato il 2%

Rilasciare il green pass soltanto dopo il completamento del ciclo vaccinale e potenziare la campagna — soprattutto per gli over 60 — anche identificando attraverso il sistema sanitario nazionale chi non ha ancora ricevuto l’immunizzazione.

Sono questi i punti strategici del documento che il Comitato tecnico-scientifico consegnerà al governo nelle prossime ore, in vista dell’approvazione del decreto che renderà obbligatoria la certificazione verde per accedere in tutti i luoghi a rischio assembramento.

Allarme per la Delta

Il verbale messo a punto dopo la riunione di venerdì scorso, che ha esaminato il monitoraggio settimanale, contiene «l’allerta per l’evidente incremento dei casi dovuti alla variante Delta, connotata da maggior contagiosità e capacità d’indurre manifestazioni anche gravi o fatali in soggetti non vaccinati o che hanno ricevuto una sola dose di vaccino» e suggerisce tutte le possibili soluzioni proprio per fermare la risalita della curva epidemiologica.

Inserendo tra le priorità «il tracciamento di tutti i casi e il loro sequenziamento» proprio per isolare i positivi e rintracciare i contatti. Un allarme confermato dal bollettino di ieri che registra 3.127 nuovi casi, 3 decessi e un tasso di positività all’1,9%, con un aumento percentuale di 0,6 rispetto al giorno precedente.

La doppia dose

La cabina di regia del governo che si riunirà entro mercoledì servirà a stilare la lista dei luoghi dove il green pass diventerà obbligatorio.

E sembra ormai scontato che oltre a stadi, palestre, eventi, concerti, luoghi dello spettacolo, treni, aerei e navi, l’elenco includerà anche le discoteche con capienza al 50% e i ristoranti al chiuso.

Il Cts ha ribadito l’indicazione del 2 luglio: «La certificazione verde va rilasciata solo dopo il quattordicesimo giorno dal completamento del ciclo vaccinale, un test diagnostico o la guarigione infrasemestrale».

La campagna vaccinale

Gli scienziati prendono a modello quanto accaduto in Spagna, dove la variante si è manifestata «con alcune settimane di anticipo rispetto all’Italia» e ha causato «una significativa ripresa dei ricoveri in terapia intensiva», che il 15 luglio faceva contare ben 798 posti letto occupati.

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Conservatore, anarchico, italiano. Montanelli resta il migliore di noi

domenica, Luglio 18th, 2021

Stenio Solinas

Vent’anni dopo, Indro Montanelli resta ancora e sempre uno di noi, con buona pace di quelli che un tempo e per un momento fecero carte false perché lo si potesse definire uno dei loro La storia è nota e non staremo a tornarci su, eppure è sintomatica per cercare di capire la schizofrenia di un Paese quale l’Italia, dove l’egemonia culturale ha sempre marciato a sinistra fino a che il Muro di Berlino non le è crollato sulla testa Da allora essa vive di ricordi, qualche volta di abiure, quasi sempre di rimozioni, e però è come tarantolata dall’idea di non essere all’avanguardia del progresso prossimo venturo, nel nome di una rivoluzione altrettanto prossima ventura, di cui naturalmente non si sa nulla, se non che sarà salvifica. Per lei conservatore è un insulto, sinonimo più o meno di fascista, e Montanelli resta ancora e sempre il principe dei conservatori e quindi dei fascisti. Essendo stato anche per oltre mezzo secolo il principe del giornalismo italiano, l’egemonia culturale di cui sopra preferisce sorvolare

Volete un piccolo esempio? Qualche mese fa Gian Antonio Stella, che sul Montanelli ecologista ante litteram sta scrivendo un libro, mi chiese come mai sul tema la cultura ufficiale, ovvero sempre l’egemonia culturale di sinistra di cui sopra, abbia fatto tabula rasa, come se da Firenze a Venezia le prese di posizione montanelliane non siano lì nero su bianco, scritte e orali Una risposta migliore della mia gliela può dare ora L’ultimo della classe (Rizzoli), l’autobiografia di Andrea Carandini, archeologo illustre, presidente del Fai, e dove il nome di Montanelli non compare mai. Della cosiddetta classe dei colti orientata a sinistra, Carandini è un esemplare illustre: classe 1937, è il perfetto rappresentante di quella borghesia illuminata, sacri lombi, buone scuole, agiatezza di censo, che dagli anni Sessanta in poi sterzò verbosamente e non solo a sinistra, si iscrisse al Pci, fu contestatrice e maoista, vituperò e distrusse la classe sociale da cui proveniva e ora, superati gli ottant’anni, piange amaramente sul latte versato e vede i barbari all’orizzonte. Peccato che i barbari fossero loro

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L’ultima idea a sinistra. Parte la raccolta firme per il sì alla patrimoniale

domenica, Luglio 18th, 2021

Paolo Bracalini

Mentre il centrodestra e i Radicali raccolgono firme per riformare la giustizia, a sinistra le raccolgono per la patrimoniale. Un chiodo fisso da quelle parti, insieme alla tassa di successione, in nome del principio per cui «anche i ricchi devono piangere» (un vecchio slogan di Rifondazione Comunista). La sinistra parlamentare, compreso un pezzo del Pd, aveva provato a infilare la patrimoniale nell’ultima legge di bilancio, con un emendamento firmato da Fratoianni (Sinistra Italiana) e Orfini (Pd), più un altro di Leu sempre con lo stesso obiettivo, tentativi entrambi finiti nel nulla. Con l’arrivo di Draghi poi per il partito della patrimoniale non è andata meglio. L’ex presidente della Bce, ogni volta che gli è stato chiesto un parere sull’ipotesi di introdurre nuove tasse, ha sempre risposto che «questo non è il momento di prendere soldi dai cittadini ma di darli».

Ma siccome quella di tassare i «ricchi», per rendere così giustizia ai più poveri, è un ideale eterno, gli alfieri della patrimoniale non si sono certo dati per vinti. E infatti hanno lanciato una raccolta firme, organizzata da Sinistra Italiana. A guidare le operazioni c’è il suo segretario nazionale nonchè deputato, Nicola Fratoianni, allievo di Nichi Vendola. «Anche in questo fine settimana di luglio, saranno molti nel Paese i tavoli di raccolta delle firme per la proposta di legge di iniziativa popolare sulla patrimoniale che abbiamo lanciato. E succede pure che ai nostri banchetti per la Next Generation Tax arrivino militanti e dirigenti del Partito Democratico e del M5S a firmare».

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Cingolani: un’imboscata contro di me Ira del ministro per i veti sul Recovery

domenica, Luglio 18th, 2021

di Monica Guerzoni

Il ministro Roberto Cingolani l’ha vissuta come un’imboscata dell’asse M5S-Pd e nel governo sono in molti a temere che non finisca qui. Due giorni fa nelle commissioni Ambiente e Affari costituzionali della Camera l’esecutivo è stato battuto sul decreto Recovery, che contiene la governance del Pnrr e le semplificazioni ed è fondamentale per ottenere i primi 24 miliardi di aiuti dall’Europa. A mandar sotto il governo sono state due forze di maggioranza, Movimento e Pd, che hanno fatto passare un emendamento nonostante il parere contrario del relatore e del governo, nella persona del ministro Federico D’Incà (M5S).

Il blitz in commissione è un altro episodio delle «guerre stellari» tra l’ala governativa e quella contiana e un assaggio di quel che accadrà sulla riforma della giustizia, altro tema identitario per i 5 Stelle. Nel merito, l’emendamento firmato da Ferraresi e Zolezzi consente al Parlamento di stoppare l’iter di approvazione delle opere strategiche (elencate nell’allegato I-bis) per le quali sono previsti appalti semplificati e un apposito comitato: bastano i due terzi dei membri di una commissione per chiedere alla Transizione ecologica di rivedere le decisioni sulle maxi opere. Il ministero può fare un decreto, ma «previo parere delle commissioni competenti».

La vicenda, all’apparenza minore, è in realtà rivelatrice. Il Parlamento strappa al governo un pezzetto di potere di controllo sul Pnrr, alla voce progetti ambientali necessari per gli obiettivi del Piano nazionale integrato energia e clima. Ma sotto c’è altro e la questione è tutta politica. L’emendamento della discordia è arrivato a sorpresa, dopo che Cingolani ne aveva discussi a centinaia cercando l’accordo con i parlamentari. Nel governo lo sgambetto è stato letto come la prova delle tensioni tra l’ala governativa dei 5 Stelle che si riconosce in Beppe Grillo e i «barricaderi» vicini a Giuseppe Conte. E quel che preoccupa l’esecutivo è che i 5 Stelle abbiano trovato l’appoggio del Pd per frenare il Pnrr, dossier prioritario e cruciale su cui il segretario dem Enrico Letta ha confermato piena lealtà a Draghi appena quattro giorni fa.

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Pensioni, chi ha beneficiato di «Quota 100»? Penalizzate le donne e i redditi medio-bassi

domenica, Luglio 18th, 2021

di Federico Fubini

Pensioni, chi ha beneficiato di «Quota 100»? Penalizzate le donne e i redditi medio-bassi

Quota 100 è una delle misure simboliche di questa legislatura.

Ha dominato il dibattito politico, inciso sui rapporti fra l’Italia e Bruxelles, pesato sui conti, diviso gli italiani. Ha fatto discutere — lo fa ancora — sulla direzione delle riforme.

Mancava però un tassello essenziale: chi ne ha beneficiato?

Non è mai stato chiaro quali settori della società si siano dimostrati più propensi ad approfittare del provvedimento nei primi due dei suoi tre anni di vita.

Quota 100 permette fra il 2019 e il 2021 di chiedere la pensione con 62 anni di età e almeno 38 anni di contributi, senza penalità sull’assegno. È più vantaggiosa rispetto al modello fissato del 2012, che sposta a 67 anni l’età del ritiro con pieni diritti. Dunque nella misura in cui è finanziata con il debito pubblico e con il sistema retributivo (cioè con i contributi di tutti i lavoratori), Quota 100 diventa di fatto un trasferimento netto di risorse da chi non può o non vuole attivarla a chi invece lo fa.

Ma fra gli italiani chi è che ha ricevuto e chi ha dato? Uno studio dell’Inps su un campione di circa 70 mila aventi diritto permette ora una prima risposta.

In termini distributivi, Quota 100 è stato un sussidio netto ai ceti benestanti (che hanno scelto questa opzione più della media degli aventi diritto).

In termini economici, potrebbe aver nuociuto all’efficienza dei settori essenziali a contatto con il pubblico: è da lì che si è registrato un vero e proprio esodo in piena pandemia.

In termini di parità di genere, è stato un trasferimento netto di risorse dalle donne (che hanno aderito di meno) agli uomini (che hanno aderito di più).

E in termini politici, ha beneficiato più elettori prevalentemente del Partito democratico (pubblico impiego, redditi medio-alti) grazie ai contributi versati dagli elettori prevalentemente della Lega (autonomi, addetti dell’agricoltura). Poco importa che sia stato il partito di Matteo Salvini ad aver proposto la misura.

I redditi più alti hanno beneficiato di Quota 100

Vediamo uno per uno questi aspetti. Varie evidenze non lasciano dubbi su quali siano i ceti che, avendo maturato i diritti, si sono dimostrati più propensi ad attivare il meccanismo. Secondo la stima dell’Istituto di previdenza, i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato entrati in Quota 100 nel 2020 hanno un reddito medio dell’ultimo quinquennio di 36.000 euro (poco di meno nel 2019). Questo livello li colloca circa nel 70esimo percentile della distribuzione, cioè essi dichiarano di guadagnare di più di oltre due terzi dei percettori di reddito in Italia. Non a caso la pensione lorda dei dipendenti pubblici e privati oggi in Quota 100 è relativamente elevata, a 2.200 euro al mese.PUBBLICITÀ

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