Archive for Luglio, 2021

Voto ai 18enni, il sondaggio ribalta il quadro politico: “Per chi voteranno”, ottime notizie per Meloni e Salvini

domenica, Luglio 11th, 2021

Tecne e Agenzia Dire hanno condotto un sondaggio per pesare il voto dei giovani compresi tra i 18 e i 21 anni, alla luce dell’approvazione della riforma che consente ai 18enni di votare anche al Senato. Il via libera definitivo è arrivato l’altro giorno da Palazzo Madama: come influenzerà le intenzioni di voto? Il primo dato che balza all’occhio, forse il più importante, è che il 50 per cento dei giovani non sa se votare o non si pronuncia sulla possibile scelta.  Una percentuale altissima, che la politica dovrà essere brava a catturare quando arriverà il momento del voto. Nel frattempo dal sondaggio emergono ottime notizie per il centrodestra e in particolare per Fratelli d’Italia e Lega. Il partito di Giorgia Meloni è il preferito nella fascia 18-21 anni con il 23 per cento dei consensi (20,6 nel complesso), mentre quello di Matteo Salvini segue al 22 per cento (20,4 totale). Bene anche il Pd che raccoglie il 21 per cento (19,6), malissimo invece il Movimento 5 Stelle.  I grillini, infatti, sembrano avere scarsissima considerazione tra i più giovani: solo il 9 per cento li voterebbe (15,1 totale). Seguono Forza Italia e Azione, entrambe al 6 per cento. Un po’ più staccata Sinistra Italiana (4 per cento), mentre Verdi e +Europa si attestano entrambe al 2 per cento. 

LIBERO.IT

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M5S, Giuseppe Conte critica il governo Draghi e spiazza i “suoi”. Il M5S rischia di esplodere

domenica, Luglio 11th, 2021

Alberto Di Majo

Giuseppe Conte sta giocando una partita che rischia di vanificare il percorso lungo quindici anni con cui Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio e migliaia di attivisti hanno costruito un soggetto politico che, almeno nelle intenzioni, doveva essere un veicolo che avrebbe portato nelle istituzioni persone competenti e animate dal bene comune. Ora lo scenario è cambiato: il M5S è dilaniato da due visioni opposte.

Da un lato c’è Beppe Grillo che vuole continuare ad avere l’ultima parola sulle decisioni di quell() che una volta chiamava «non partito», anche perché con la morte di Gianroberto, il manager visionario che ha inventato la seconda vita tecnologica e politica – del comico, il suo ruolo è inevitabilmente diventato decisivo benché in passato abbia dato l’idea di voler tornare a fare l’attore a tempo pieno. Dall’altra parte, invece, c’è Giuseppe Conte, l’ex premier uscito dal cappello a cilindro dell’ex ministro Bonafede.

Non è mai stato un 5 Stelle ma quando l’allora capo politico Luigi Di Maio gli chiese di far parte di un eventuale governo del MoVimento disse si. Gli eventi lo hanno portato a Palazzo Chigi. Dopo essere stato deposto dalla raffinata spregiudicatezza di Matteo Renzi, vorrebbe tornare sulla scena ma costruire un suo partito sarebbe un salto nel vuoto: i sondaggi continuano a mostrare il gradimento degli italiani per l’«avvocato del popolo» (prima abile definizione inventata da Pietro Dettori) ma, considerato che le elezioni potrebbero esserci tra quasi due anni, l’operazione sembra assai difficile. Dunque l’ex premier punta a guidare ciò che resta del MoVimento ma con i «pieni poteri».

Per questo ha costruito un nuovo statuto, senza confrontarsi con nessuno, che assegna al capo (cioè a lui), ratificato da una votazione degli iscritti, la facoltà di guidare i 5 Stelle, lasciando un ruolo simbolico a Grillo. È quello che hanno cercato di fare da almeno quindici anni tanti presunti delfini di Silvio Berlusconi, senza ottenere niente altro che l’uscita dal partito. La scelta di Conte rischia dunque di dividere il MSS ma, politicamente, ha il sapore di una manovra masochistica. Come si può pensare di guidare il partito che aveva tra i suoi mantra quello che «il leader non esiste, il MoVimento è il leader», quello stesso partito che ha sempre rifiutato sedi, tessere, dirigenti, rimborsi elettorali, trasformandolo in un soggetto politico stile Novecento? E qui che l’ex premier mostra la sua estraneità alle radici dei 5 Stelle ma anche la sua miopia politica, che rischia di mandare in tilt pure i suoi fedelissimi.

Il MoVimento, cresciuto troppo in fretta e ancora pieno di convinzioni e provenienze ideologiche differenti, arrivato a essere il primo partito italiano dopo le elezioni del 2013 e del 2018, non potrebbe mai diventare una piccola Dc (10-15%) con una maggioranza che guarda a sinistra. Ma questa è soltanto la prima fallacia della visione politica dell’ex premier. La seconda è la sua contrapposizione con Mario Draghi, che lo rende ancora più debole, anche agli occhi di chi lo sostiene. Le critiche alla riforma Cartabia diventano un boomerang per Conte, considerato che l’intesa su quelle norme è stata raggiunta dai ministri Di Maio e Patuanelli (quest’ ultimo schierato con l’avvocato del popolo).

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Vergogna Grillo. La solidarietà a Di Maio con una gaffe sui 5stelle: “Più pericolosi dell’Isis”

domenica, Luglio 11th, 2021

Ma quanto è spaccone Beppe Grillo. Tenta di far risalire la corrente al suo movimento spaccato in troppi tronconi e mille personalismi e se ne esce con frasi davvero sconcertanti.

In molti hanno saputo delle gravi minacce del terrorismo islamico al ministro degli Esteri. E hanno solidarizzato senza riserve col titolare della Farnesina. Le farneticazioni Isis non consentono divisioni nel mondo libero.
Ma non poteva mancare la frescaccia di Beppe Grillo, che non ha trovato niente di meglio per “rassicurare” Di Maio: “Luigi Di Maio non ti preoccupare. Sono meno pericolosi dei grillini più agguerriti”, ha scritto su facebook.

Come un qualsiasi cummenda milanese, come un coatto romano, come un guappo napoletano. Per Beppe Grillo ci si può sganasciare di fronte alle minacce dei tagliagole sostenendo che in fondo in casa Cinque stelle c’è di peggio.

Ovvero in quella che è ancora la prima formazione politica dell’Italia ed è decisiva per la vita del governo.

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Mario Draghi, le pazze nomine del premier. Dopo la Rai il dossier dei vertici delle Forze Armate

domenica, Luglio 11th, 2021

Luigi Bisignani

Caro direttore, dopo la Rai tempo di nomine anche per le Forze Armate. E, come diceva Andreotti, l’unica guerra che i nostri generali sanno fare è quella tra loro. La partita a risiko è già iniziata: il supercommissario Figliuolo, con i suoi 55 milioni di vaccini, vuole ora il «green pass» per diventare, a novembre, Capo di stato maggiore della difesa al posto del generale di squadra aerea Enzo Vecciarelli, fortunatamente in uscita dopo aver acuito una guerra senza senso tra Marina e Aeronautica.

Se invece la battaglia dovesse vincerla il generale Pietro Serino, Figliuolo, ormai anche lui in trans mediatica e sempre più somigliante al generale paranoico del Dottor Stranamore di Kubrick, potrebbe aspirare a prendere il suo posto come Capo di stato maggiore dell’esercito, oppure ambire a fare il Segretario generale della difesa, il vero Ceo delle Forze Armate.

Tuttavia, alla Segreteria della difesa sarebbe molto più naturale che approdasse l’attuale numero due, l’ammiraglio triestino Diego Giacomin; ma si sa che, in fatto di nomine, Mario Draghi vuole fare il fenomeno, come in Rai. Per Viale Mazzini ha scelto, sbagliando clamorosamente i ruoli e forse anche i profili, Carlo Fuortes, impresario Pd, e Mariella Soldi, manager televisiva in sedicesimo. Dopo le disastrose esperienze di altri due «esterni»,

Campo Dall’Orto e Salini, la Rai aveva bisogno di scelte interne e certo non di una Presidente che rischia di essere bocciata clamorosamente dalla Commissione di Vigilanza e di un capo azienda che si è cimentato in modesti, sia pur prestigiosi, enti culturali da sempre cari alla sinistra. Comunque, sembra che almeno per la Difesa SuperMario stia segretamente coltivando l’opzione giusta. Con una piccola modifica a mezzo Dpcm, di contiana e funesta memoria, potrebbe per la prima volta nella storia nominare come Capo di stato maggiore della difesa il Comandante generale dei Carabinieri Teo Luzi, unanimemente riconosciuto come il più autorevole ufficiale, con la «U» maiuscola.

Il premier darebbe così un segnale importante alle Forze Armate italiane, sempre più riconosciute, con i Carabinieri in prima fila, nel mondo, espressione di pace e per l’Arma, finalmente, un riconoscimento della loro padteticità con le altre Forze militari e di Polizia. Per l’Aeronautica la partita pare invece chiusa con la promozione del generale Luca Goretti, ben conosciuto a Washington, mentre più avanti nel tempo per il Comandante della Guardia di Finanza Giuseppe Zafarana, che ha ridato prestigio alle Fiamme Gialle, la carica più probabile potrebbe essere quella di direttore dell’Aise al posto del silenzioso, ma stimatissimo Gianni Caravelli. Dopo l’infausto passaggio a Palazzo Baracchini dell’ex ministra grillina Elisabetta Trenta, ora rifugiatasi in Italia dei Valori, l’M5s sa di aver perso il consenso del mondo militare che aveva in gran parte votato per loro fiduciosi nell’aspettativa, completamente disattesa, dell’«uno vale uno».

L’ultima barzelletta rifilatagli dal Movimento è il disegno di legge predisposto dalla deputata Emanuela Corda che avrebbe dovuto istituire il diritto di tutte le forze militari ad avere un’organizzazione sindacale; facoltà peraltro già avallata nel 2018 dalla Corte Costituzionale. Ma non è l’ennesima figuraccia che deve preoccupare i 55te11e quanto de) che ne deriva: una potenziale perdita di 3 milioni di voti alle prossime elezioni che contribuirà ad affossarli ulteriormente.

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Conte trama per indebolire il governo Draghi

domenica, Luglio 11th, 2021

di BRUNO VESPA

Ogni tentativo di migliorare la giustizia penale si è scontrato nei decenni con forti resistenze da parte soprattutto della magistratura. Ci provarono Anna Finocchiaro (Pd) e Angelino Alfano (FI) e le cose restarono come prima, con tempi di processo incompatibili con un paese moderno. Con l’arrivo dei 5 Stelle al governo la situazione è peggiorata per chi crede nelle garanzie di base: se ogni tentativo di ragionevolezza si schianta sul paracarro del ‘salvaladri’ ci sono pochi margini operativi. La commissione istituita dal ministro Cartabia e guidata dal presidente emerito della Consulta Lattanzi aveva avanzato proposte di buona qualità.

Non tutte hanno retto alle necessità della mediazione politica, soprattutto in termini di prescrizione, ma un passo in avanti è stato compiuto. Vedremo in pratica se e come saranno ridotti i tempi del processo. L’assoluzione dopo sette anni dall’accusa di corruzione in Cassazione di Gianni Alemanno, già ministro e sindaco di Roma, lascia pensare sia in termini di giustizia (fu politicamente e personalmente distrutto) sia in termini di durata, visto che occorrerà aspettare il giudizio di rinvio seppure solo per traffico d’influenza. (Siamo anche il Paese in cui il pubblico ministero Fabio De Pasquale si occupava di Eni ai tempi del suicidio Cagliari, nel 1993, e se ne è occupato ininterrottamente per il trentennio successivo avendo nelle sue mani le sorti di un’azienda strategica come quella). Fiaccata dallo scandalo Palamara, la magistratura associata si è adattata alla riforma, ma l’esperienza ci insegna che solo sul campo potremo misurare l’efficacia delle novità.

Le concessioni fatte da Draghi per ottenere il voto favorevole dei 5 Stelle hanno rivelato peraltro una spaccatura nel MoVimento di non poco conto. Chi ha catalogato frettolosamente Grillo tra gli estremisti e Conte tra i moderati deve rifare i calcoli. Che Grillo fosse governativo fin nel midollo lo sapevamo, al di là delle sparate e dei Vaffa. Rottura impensabile, quindi, con Draghi. Non ci aspettavamo un Conte che guida da remoto la contestazione alla pattuglia ministeriale dei 5 Stelle. Furibondo per il ridimensionamento della sua riforma, Bonafede chiede vendetta a Conte contro Di Maio, accusato di aver ceduto. Per capire l’aria che tira, basta guardare ‘Il Fatto quotidiano’ di ieri, house organ di Conte : “I 5 Stelle vanno in prescrizione” con una vignetta che vede Grillo, Di Maio e Patuanelli ai piedi di Draghi.

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Finale Wimbledon 2021 Berrettini-Djokovic: orario tv (anche su Tv8). I precedenti

domenica, Luglio 11th, 2021

di GABRIELE SINI

La finale Djokovic-Berrettini

Londra – Storica finale di Wimbledon 2021Matteo Berrettini sfida Novak Djokovic. Per la prima volta in 144 anni un azzurro si gioca il trofeo del prestigioso torneo londinese, e lo fa contro l’attuale numero 1 del ranking Atp. Berrettini, trionfatore sull’erba poche settimane fa al Queen’s, arriva dalla vittoria in quattro set in semifinale sul polacco Hurkacz, mentre il rivale serbo ha sconfitto in tre set Shapovalov. “Forza Italia contro l’Inghilterra. Speriamo che qui a Wimbledon sia una bella finale, ma che l’Italia possa vincere solo quella del calcio, la sera”, ha scherzato Djoko – 30 finali negli slam giocati in carriera, di cui 19 vinte – ai microfoni Sky. Il numero 1 Atp non ha risparmiato lodi all’avversario: “Ha uno dei servizi migliori al mondo e uno dei dritti più potenti del circuito”, ha detto aggiungendo che “il suo gioco lo porta a essere sempre molto aggressivo ed è molto intelligente nella costruzione del punto”.  In vista di un evento eccezionale nel suo genere, anche i canali tv subiranno delle variazioni.

La finale di Wimbledon verrà trasmessa su Sky Sport, che ha deciso però di aprire i cancelli del Campo Centrale di Londra a tutti gli italiani. Il match, in programma oggi domenica 11 luglio alle ore 15, sarà visibile non solo sui canali Sky Sport Uno e Sky Sport Tennis – dedicati agli abbonati – ma anche su TV8 in chiaro. La partita sarà disponibile in streaming su Sky Go, Now Tv e sul sito web di TV8.

Precedenti

Matteo Berrettini, numero 9 del ranking Atp e 7 del seeding londinese, non ha mai vinto contro Novak Djokovic: nei “precedenti” è in vantaggio il serbo per 2-0. Il numero uno del mondo si è imposto quest’anno (in 4 set) nei quarti di finale del Roland Garros (su terra rossa, non la superficie preferita dall’azzurro) e nel 2019 (nettamente) sul veloce indoor delle Atp finals.

I bookmakers

Berrettini sogna, ma per gli scommettitori il favorito è Djokovic. Gli esperti di Planetwin365 danno il primo Slam del romano a quota 4,77, contro l’1,19 riservato al successo di Djokovic. Sulla stessa linea anche i betting analyst di Snai per i quali, riferisce Agipronews, la vittoria di Berrettini vale 4,25 volte la posta con il serbo favorito a 1,23. Djokovic va invece alla caccia dello Slam che gli permetterebbe di agganciare Federer e Nadal a quota 20 major in carriera: un obiettivo che si raggiunge a 1,21 per i betting analyst di 888sport.it che vedono Berrettini vincente in quota a 4,70, mentre Stanleybet.it dà ancora più fiducia al numero uno al mondo serbo a 1,19 contro il 4,30 riservato all’italiano. Il risultato più probabile è il 3-0 a favore di ‘Nole‘, offerto a 2,55 su Sisal Matchpoint, mentre i 3 set a 1 che hanno portato Berrettini a superare Auger-Aliassime e Hurkacz si ripetono a 9,50 in favore dell’azzurro.

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Covid, rischio ottobre rosso. Ecco quali sono i tre possibili scenari

domenica, Luglio 11th, 2021

GIACOMO GALEAZZI

ROMA. «Da qui ad ottobre l’umanità gioca la sua partita decisiva contro la pandemia. E nel quadro generale hanno un’incidenza fondamentale le varianti e le vaccinazioni dei bambini e degli adolescenti», afferma alla Stampa.it il professor Roberto Cauda, direttore dell’Unità operativa complessa di Malattie Infettive al Policlinico Gemelli e revisore scientifico dei parametri Covid del governo.  A indicarne i tre possibili esiti è uno studio pubblicato da Jama, organo ufficiale dell’Associazione medica degli Stati Uniti e riportato nel report di Malattie Infettive dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Tre situazioni
«Appena un anno fa gran parte del pianeta era accomunato nel lockdown come risposta alla prima ondata della pandemia- si legge nello studio dei medici Usa-. Adesso, invece, la situazione diverge notevolmente tra le varie aree del mondo». Gli scienziati statunitensi indicano tre gruppi di paesi a seconda dello scenario. Nel primo ci sono le nazioni come Israele, Nuova Zelanda, Vietnam e Brunei nei quali si può ipotizzare una prossima eliminazione del Sars-Cov-2. Nel secondo gruppo di paesi (Regno Unito, Usa, Cina) si va verso, invece, una coabitazione con il virus. Infine in India, larga parte del sudest asiatico e del Sudamerica si rischia uno stato di conflagrazione della pandemia, con i sistemi sanitari in tilt per l’ingestibile numero di ricoveri in ospedale».

Prospettive
Il professor Roberto Cauda è impegnato in prima linea nel sequenziamento delle varianti del Sars-Cov-2 in collaborazione con il professor Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di statistica medica ed epidemiologia del Campus Bio-Medico. «Il contesto generale può variante in funzione della diffusione delle varianti- precisa l’infettivologo-. Rispetto a un anno fa il quadro è mutato per la vaccinazione in corso. Nei paesi che hanno maggiormente immunizzato la popolazione c’è all’orizzonte l’eliminazione del virus. Ma le difformità tra le differenti aree del mondo mette a repentaglio l’intero sistema sanitario mondiale in ragione anche dell’odierna rapidità di spostamento tra paesi. La condizione di coabitazione, di convivenza con il Sars-Cov-2 si estenderà ma ciò che più preoccupa è l’ampia porzione del pianeta che, per la fragilità del sistema sanitario, non potrà sostenere le conseguenze gravi della pandemia sugli ospedali».

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L’Europa tifa Italia

domenica, Luglio 11th, 2021

GIULIA ZONCA

Una finale che definisce la redenzione è difficile da giocare. Italia-Inghilterra a Wembley è questione di identità, di storia e sì, certo, di pallone ma stavolta entrambe le squadre, per motivi diversi, sembrano incarnare il meglio dei Paesi che rappresentano e soprattutto superare il peggio.

Lo stadio che, fino a qui, ha più racconti che ricordi sembra una torta a strati e l’arco è uno svolazzo di zucchero, è il dolce che aspetta di accendere le candeline, i fuochi d’artificio, per chi dei due completerà il viaggio e potrà concedersi altri desideri. La perdente ne uscirà benissimo, ma a questo punto è il trofeo che stabilisce la svolta. Come se l’immagine costruita a partire da umiliazioni, errori, sviste, fraintesi avesse bisogno di un’altra foto per ancorare il momento e mostrarsi definitivamente.

A ritroso: tra crisi e fuga

Questa Italia-Inghilterra si gioca tra gli scatti di Chiesa e le folate di Sterling, tra i piedi Jorginho e gli spazi creati da Kane, però è iniziata cinque anni fa. Siamo nel 2016, un altro evo in pratica, siamo al precedente Europeo quando in 10 giorni le due finaliste di oggi perdono ogni certezza. Il 23 giugno 2016 la Brexit passa al referendum e l’Inghilterra del calcio si sveglia in Francia senza sapere che faccia fare. Loro, i padroni dell’adorata, straguardata, strapagata Premier alle prese con le carte di uscita, gli extracomunitari che cambiano confini, la paura di tornare agli Anni Ottanta e senza la stessa musica. Il 27 giugno l’Inghilterra lascia pure l’Europeo, una batosta epocale contro la debuttante Islanda. Il 2 luglio l’Italia perde dagli undici metri contro la Germania e non ci sarebbe proprio nulla di svilente, tanto più che siamo ai quarti però si saluta con una vena ridicola, con i rigori clowneschi di Pellè e Zaza a cui resta appiccicata un’ombra di inaffidabilità. Il profilo diventerà tristemente reale nei due anni successivi, per la prima volta dal 1958 gli azzurri mancano i Mondiali e gira tutto storto. Non siamo credibili, non siamo concreti calcisticamente e politicamente, non siamo neanche divertenti. Dopo il collasso del 2016 la nazionale inglese si scolla dalla nazione e fa un percorso contrario, riemerge e pure con una dignità che non ha nulla a che fare con la retorica tradizionale. Niente «noi siamo un’isola chiusa nel nostro splendore», ma noi siamo aperti e ci interessa la ricchezza delle differenze. Si riprendono, arrivano alle semifinali Mondiali, con questo tecnico, lo stesso Southgate che dopo l’ultimo allenamento dice ai suoi: «Avete già creato un’eredità, avete guadagnato il rispetto, ora dovete decidere per che cosa sarete ricordati». Se per essere i primi ad arrivare al massimo dal 1966 o per essere quelli che ci sono andati tanto vicino.

L’Italia nel 2018 stava davanti alla tv a ruminare fastidio e in questa competizione è riemersa issandosi su due punti fermi che non appartengono al nostro Dna. I numeri di una solidità assoluta, 33 partite senza sconfitte e la forza di chi ha equilibrio. I ragazzi di Mancini si divertono, fanno yoga, mangiano le brioche alla crema quando rientrano in ritiro di notte dopo la partita, giocano per piacere, senza freno a mano. A un minuto dai rigori contro la Spagna, quando di solito la tensione squadra le facce, Chiellini mette in campo un gag con l’inconsapevole Jordi Alba sul sorteggio dei rigori. Quanto convinto di quello che fai devi essere per ridere, proprio ridere di gusto, mentre sta per partire una riffa che ti può togliere tutto. E Jorginho, anzi Giorgio, come lo chiamano in azzurro si prende la palla che scotta, il passaggio del turno, e non pensa neanche un secondo al rischio di bruciarsi. Centra il rigore con tutta la serenità che ha portato l’Italia fino a qui. Non è solo una squadra ricostruita è un atteggiamento che non siamo abituati a vedere.

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Quello spirito che chiamiamo unità nazionale Quello spirito che chiamiamo unità nazionale

domenica, Luglio 11th, 2021

MASSIMO GIANNINI

Non scomoderemo Albert Camus, che sosteneva “tutto quello che so della vita l’ho imparato su un campo di calcio”. Ma forse c’è una morale da cogliere, nella stupefacente congiunzione astrale che in questa domenica di luglio vedrà l’Italia protagonista nelle due cattedrali più sacre dello sport mondiale. Ci giochiamo tutto in una manciata di ore, tra Wimbledon e Wembley. Non solo la finale del più prestigioso torneo di tennis nel dopo-Brexit, giocata dal primo italiano che calpesta quell’erba da 144 anni a questa parte. Non solo la finale del primo campionato europeo dell’Era Covidica, disputata dagli azzurri nel tempio di quella che Brera chiamava la Dea Eupalla e che noi già violammo due volte, con Capello nel 1973 e con Zola nel 1998. Matteo Berrettini e Roberto Mancini sono i portabandiera di un Paese che prova a rialzare la testa e di un’Europa che cerca di ritrovare se stessa. Comunque vada a finire, hanno già vinto.

Accade, è già accaduto. Lo sport riflette nell’immaginario collettivo lo spirito e lo stato di salute psico-politica di un popolo. Cos’altro è stato il Brasile stellare tra i ‘70 e i ‘90, tra le magie carioca di Pelè e le geometrie celesti di Falcao? Cos’altro è stata l’Olanda degli Hippies del ‘74, tra il genio di Cruijff e la sregolatezza di Neskeens? Cos’altro è stata l’Argentina del generale Videla del ‘78, tra le metafore da panchina di Cesar Luis Menotti che grida “la zona è libertà” e le galoppate sulla fascia di Mario Kempes che alla cerimonia di premiazione si rifiuta di omaggiare il dittatore? Cos’altro è stata la Germania quadrata di Berti Vogts e Franz Beckenbauer, la “macchina che sforna vittorie”, tutti sanno sempre come giocherà eppure nessuno sa come batterla?

Cos’altro è stata la Francia neo-gollista ma multietnica del ‘98, tra i ricami dell’algerino Zidane e le spaccate del caraibico Thuram? Cos’altro è stata la Spagna di Bambi Zapatero e del boom economico tra il 2008 e il 2012, quando dilagano le furie rosse di Raul, Xavi e Iniesta? Cos’altro è stata la stessa Italia dei ragazzi dell’82, tra i golazi di Pablito Rossi, l’urlo liberatorio di Tardelli e lo scopone in aereo con Pertini e Bearzot? In mezzo, tanto per restare sospesi tra football e tennis, mettiamoci la finale di Davis di Cile ‘76, quando Panatta e Bertolucci al Nacional di Santiago si prendono la Coppa sfoggiando un’irridente maglietta rossa, sotto lo sguardo sulfureo di Pinochet. E magari aggiungiamoci pure i fasti del Milan berlusconiano, che per un ventennio anticipano e accompagnano la pirotecnica “discesa in campo” e poi la tragicomica caduta politica del Cavaliere. Se ci pensate, vale anche qui la formula di Piero Gobetti sul fascismo: in ciascuna di queste avventure si è incarnata la “biografia di una nazione”. Lo sport è tifo, vivaddio. Ma è anche geopolitica. E il pallone, come scriveva Pasolini, è l’ultima rappresentazione religiosa della nostra Civiltà. Non è un caso se Boris Johnson impavesa il mitico numero 10 di Downing Street di striscioni coccarde e bandiere, come fosse un pub di Covent Garden: l’Inghilterra che vince, per lui, è la conferma che c’è vita solo fuori dalla Ue e che di nuovo, come nei ruggenti Anni dell’Impero, quando c’è tempesta sulla Manica è il Continente a essere isolato. E non è un caso se, all’opposto, Sergio Mattarella questa sera sarà a Londra, seduto in tribuna d’onore a gridare o nel suo caso sussurrare “Forza Italia” insieme a Ursula von der Leyen. Oggi, piaccia o no ai frugali del Nord e ai sovranisti dell’Est, davvero l’Europa siamo noi. Noi che siamo arrivati fin qui, dopo aver combattuto per primi qui in Occidente la pandemia più feroce del secolo e aver battuto negli stadi del Continente il Belgio e la Spagna, il canadese Auger-Aliassime e il polacco Hurkacz. E ancora, non è un caso se lo stesso presidente della Repubblica ha già convocato domani al Quirinale Berrettini e l’intero team azzurro, per festeggiarli qualunque sia stato il verdetto del campo. Perché se anche perdessero la doppia finale, questa Meglio Gioventù ci riporta a casa il trofeo dell’orgoglio. Come dice quel fine intellettuale del pallone che è Jorge Valdano: esistere è più importante che vincere una partita, il gioco serve a sentirsi un po’ più felici e un po’ più amici e “quel fondo di fascismo che si annida dietro la filosofia del risultato è tipico di gente che divide il mondo in dominatori e dominati, in ricchi e poveri, in bianchi e neri, in vincitori e vinti”.

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Salvini: «Basta con chi dice no, anche senza Conte il governo va avanti»

domenica, Luglio 11th, 2021

di Cesare Zapperi

Salvini: «Basta con chi dice no, anche senza Conte il governo va avanti»

Segretario, è soddisfatto della riforma Cartabia o è un compromesso al ribasso come dicono i denigratori?
«Rispondo alla milanese — spiega il leader leghista Matteo Salvini — Piuttosto che niente, meglio piuttosto. È un passo avanti utile dopo mesi di nulla».

Ma la riforma Bonafede, ora corretta dal nuovo Guardasigilli, nel 2019 l’aveva votata anche lei. Si è pentito?
«La votammo con l’impegno a riformare entro un anno anche la giustizia civile e penale e a ridurre la durata dei processi. Conte e Bonafede non hanno mantenuto le promesse. E oggi ci sono oltre 5 milioni di processi in arretrato, con più di 200 magistrati fuori ruolo, cioè che non fanno il loro lavoro…».

Teme che il M5S faccia saltare il banco in Parlamento?
«Se hanno fatto confusione prima, figuriamoci dopo. Noi siamo la garanzia per Draghi e Cartabia. M5S e Pd creano solo problemi».

Giuseppe Conte si è detto contrario alla riforma. Draghi rischia la crisi?
«Io spero che vinca Draghi e che perdano Conte e Grillo».

Fra Conte e Grillo lei chi preferisce?
«Difficile scegliere. Conte farà di tutto per mandare a casa Draghi perché lo accusa di avergli rubato il posto. L’altro è felice per ogni impresa che chiude, figuriamoci…».

Se l’ex premier tenterà di far cadere il governo voi che farete?
«Cercheremo di impedirlo con ogni mezzo democratico. Ma sa cosa le dico? Facciano quel che credono, tanto il governo va avanti lo stesso».

E se non succedesse?
«Ai 5 Stelle, ma anche a Letta, dico chiaro che non si sta dentro il governo per dire no. Ci si sta per costruire. Se vogliono distinguersi o rompere, si accomodino».

Potrebbe essere Draghi a perdere la pazienza.
«Mi auguro proprio di no. Vorrebbe dire che oltre alla pazienza avrebbe perso la speranza di cambiare il Paese. Davanti a noi abbiamo un’occasione straordinaria che lascerà il segno per i prossimi vent’anni. Sarebbe un delitto sprecarla».

Voi avete promosso i referendum sulla giustizia pur di fronte alla riforma della ministra Cartabia. Non è una contraddizione?
«No, anzitutto perché le materie su cui chiediamo le firme non riguardano la riforma. E poi perché i referendum sono un binario che corre parallelo a quello del governo. Se non ci fosse, il Parlamento si fermerebbe».

Sta raccogliendo adesioni da ogni parte, anche da fronti opposti. Tutti insieme appassionatamente per far che?
«I referendum stanno intercettando una grande voglia di cambiamento. Già è affascinante che su questo tema lavorino insieme Lega e Partito radicale, ma bisogna riconoscere che Marco Pannella agitava questi problemi già negli anni Ottanta. Certo, sorprende anche me vedere firmare Staino e costituzionalisti di sinistra insieme ai giovani di Confindustria».

Ma visto che il fronte è così ampio e trasversale, non potevate provare a fare le riforme in Parlamento?
«No, perché lì il potere di interdizione dei 5 Stelle non ci avrebbe consentito di fare nulla. Nel Paese non esistono più, ma in Parlamento sono ancora il primo partito».

Ha firmato anche l’ex pm Luca Palamara, uno dei protagonisti di quel sistema marcio che vorreste cambiare. Avete accolto un pentito.
«Sono per la redenzione. Considero Palamara un figliol prodigo che ha capito che con certi metodi le toghe hanno guadagnato solo discredito. E mi fa piacere sapere che molti magistrati stanno firmando i nostri moduli».

Firmerà anche Renzi?
«Non lo vedo e non lo sento da tempo. Ma come hanno firmato Stefania e Bobo Craxi, ben venga anche lui».

State ragionando sul futuro del Quirinale?
«Di quello si parlerà nel 2022. Da Renzi mi dividono tante cose, ma se ci dà una mano sulla giustizia non mi scandalizzo».

Eppure, sul ddl Zan andate d’amore e d’accordo.
«Entrambi ascoltiamo il Santo Padre. E siamo d’accordo sul tentativo di evitare un inutile scontro. In fondo si tratta di modificare tre articoli. Non c’è altro».

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