Archive for Luglio, 2021

Pd, Enrico Letta sente odore di sfratto. Dal caos in Calabria alle sfide fratricide di Napoli e Roma

domenica, Luglio 4th, 2021

Carlo Solimene

Come la tela di Penelope. Solo che a cucirla di giorno e a sfilarla di notte non è la stessa persona. Il «sarto» Enrico Letta ce la mette davvero tutta, ma ogni volta che nel complicatissimo quadro delle candidature alle amministrative riesce a mettere un punto, succede qualcosa che rimette tutto in discussione. L’ultimo terremoto si è scatenato in Calabria, dove la candidata individuata da Pd e Cinquestelle per la poltrona di governatore, Maria Antonietta Ventura, ha annunciato il proprio ritiro dalla corsa a causa dell’interdittiva antimafia che ha colpito una delle aziende riconducibili alla galassia imprenditoriale della propria famiglia. Così il segretario del Pd deve ripartire da capo nella soluzione di un rebus che aveva già visto cadere la candidatura di Nicola Irto – lamentatosi dello scarso sostegno del segretario – e che, soprattutto, vede la concorrenza a sinistra pure del sindaco uscente di Napoli Luigi De Magistris, ansioso di riciclarsi nella regione che lo vide magistrato di grido. Proprio De Magistris, visti i piddini e i pentastellati in difficoltà, ha chiesto di unire le forze sotto la sua guida. Ma dal Nazareno hanno rigettato l’invito. Si riparte da zero, quindi, senza contare che in campo ci sarà anche un candidato renziano, Ernesto Magorno. La Calabria, peraltro, era già considerata una sfida proibitiva.

Il problema, per Letta, è che la faccenda si è complicata assai anche nei territori dove i Democratici potevano puntare alla vittoria. Anzi, dovevano. Perché un segretario di fatto «calato dall’alto» dal suo predecessore ha bisogno come il pane di una vittoria elettorale per vantare una legittimazione popolare. Altrimenti sarebbe già il momento dell’avviso di strappo. E alcune battaglie eccessivamente «di bandiera» delle ultime settimane (dal ddl Zan allo Ius Soli passando per la tassa di successione) hanno già fatto saltare la tregua con la corrente riformista. Peccato che al momento di vittorie certe non ce ne siano. Quello messo meglio è il sindaco uscente di Milano Beppe Sala, che al partito non è neanche iscritto. Nelle altre partite che contano è il caos. A Roma, per dire, i Dem hanno accolto senza drammi gli ultimi sondaggi che danno Virginia Raggi al ballottaggio ai danni di Roberto Gualtieri. «La differenza è minima – chiosano alcuni dirigenti – e quando ci saranno in campo le liste il quadro si ribalterà». Ma la realtà è che nessuno si aspettava una Raggi così competitiva al cospetto di un Gualtieri così debole. «Colpa» anche del consenso ottenuto da Carlo Calenda, vero e proprio «disturbatore» del candidato del Pd con il quale Letta non è riuscito (o non ha voluto) a trovare un accordo.

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Vaccino, Nicola Zingaretti si ribella a Mario Draghi su AstraZeneca. Caos sulla seconda dose vietata

domenica, Luglio 4th, 2021

Antonio Sbraga

Ormai è diventato il «richiamo» della foresta. Per la somministrazione della seconda dose di AstraZeneca agli under-60, infatti, sta montando un effetto-giungla sulle regole: ora nella Regione Lazio solo chi conferma il richiamo col vaccino anglo-svedese può anticipare l’appuntamento ed ottenere così prima l’agognato Green Pass per partire in vacanza. Questo l’escamotage escogitato come in una sorta di televendita last-minute che stanno ricevendo migliaia di under-60. Ma l’offerta «AstraZingaretti» ribalta le indicazioni impartite il 18 giugno scorso dal Governo Draghi, che punta invece in prima battuta all’utilizzo «dell’eterologa per le persone sotto i 60 anni che hanno usato il vaccino di AstraZeneca in prima dose», lasciando solo in subordine «aperta la possibilità, per chi lo richiede, sulla base di un consenso medico, di poter anche utilizzare la seconda dose sotto i 60 anni del vaccino AstraZeneca». Un’alternativa non specificata nei messaggi inviati dalla Regione: «il suo appuntamento per la seconda somministrazione con vaccino AstraZweneca può essere anticipato, se lo desidera, fino al 56 giorno dalla prima somministrazione, sempre con vaccino AstraZeneca. Per confermare risponda «VACC1001» da questo cellulare entro e non oltre 24h dalla ricezione del presente messaggio. Nel caso di conferma riceverà un sms con il nuovo appuntamento entro pochi giorni. In caso di non risposta rimarrà valido l’appuntamento in essere». Che, secondo le indicazioni del Governo, deve essere fatto con i vaccini Pfizer o Moderna alle persone sotto i 60 anni. 

Ma la Regione Lazio dice di essere in linea con quanto indicato dal Governo: «È in corso l’invio degli sms per le anticipazioni del vaccino AstraZeneca rivolto alla fascia d’età Under 60: chi lo desidera può anticipare la seconda dose secondo le indicazioni ministeriali- assicura l’Unità di crisi regionale- È stata ampliata a 48 ore la possibilità di dare conferma dell’anticipo della vaccinazione. In 8mila hanno già confermato l’anticipazione della seconda dose al 56esimo giorno dalla prima dose». 

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Affari sporchi con i soldi della carità. E il porporato: “I magistrati? Porci”

domenica, Luglio 4th, 2021

Gianluca Paolucci

Una serie di personaggi «spesso improbabili se non improponibili», protagonisti «di un marcio sistema predatorio e lucrativo» che aveva lo scopo di drenare «ingenti quantità di somme raccolte nell’Obolo di San Pietro» che per secoli «ha attinto ai più intimi impulsi della comunità ecclesiale, sollecitata all’assolvimento del precetto della carità e assistenza al prossimo».

Le quasi 500 pagine della richiesta di rinvio a giudizio redatta dalla procura vaticana al termine di due anni d’indagine vanno ben oltre il palazzo di Sloane Avenue a Londra diventato il simbolo di questa storia. E raccontano dettagliatamente quasi dieci anni di finanza opaca e spregiudicata, di corrotti e corruttori, alti prelati, ex ministri e faccendieri, di spoliazione sistematica di risorse altrui – come quelle di Enasarco, una vicenda che in qualche modo è la genesi dello scandalo del palazzo di Londra, di bonifici milionari in conti nei paradisi fiscali – da Dubai alla Repubblica Dominicana – per finire nelle disponibilità dei protagonisti delle malefatte. E più tradizionali mazzette di banconote passate di mano ai tavoli di un bar. Come quelli che Gianluigi Torzi, uno dei personaggi centrali della storia, manda a prendere a Milano dal suo autista Michelino: partenza di buon mattino dalla capitale e fugace incontro in stazione con uno dei soci di Torzi per tornare a Roma entro l’ora di pranzo, in modo da poter effettuare la consegna del denaro come pattuito (nel caso specifico a Fabrizio Tirabassi, secondo la procura vaticana, ex funzionario della Segreteria, risultato molto più ricco di quanto gli inquirenti ritengano legittimo). Dello stesso Torzi è la frase più emblematica di come l’attività predatoria non conosca limiti, né barriere di sorta, tanto meno quelle imposte dalla fede. Mette allo stesso tavolo l’ex ministro Franco Frattini, un avvocato d’affari, un professore legato al vaticano e l’ex vice primo ministro libico Ahmed Maiteg. Scatta una foto dell’allegra tavolata e la invia a un amico con il seguente commento: «La f… unisce tutte le religioni».

Maiteg rappresenta la Libyan Investment Authority, socia di Retelit e oggetto delle attenzioni di Torzi e di Raffaele Mincione, l’altro finanziere di questa storia. A Maiteg, Torzi pagherà una vacanza in Sardegna, 50.400 euro per 4 notti nel luglio del 2018, mentre cerca di convincere i libici di far assumere la presidenza di Retelit a Mincione, che a sua volta aveva la scalato la società di telecomunicazioni con i soldi dell’Obolo e assunto Giuseppe Conte, quando ancora era solo un avvocato, come consulente. A Frattini – che era nell’advisory board di una società di Torzi, con l’ex ministro Giulio Tremonti e l’ex ambasciatore Giovanni Castellaneta – finisce anche un bonifico da 30 mila euro da una società di Torzi, solo che la causale fa riferimento a una prestazione che sarebbe stata svolta da un’altra società.

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Sono “Notti magiche”: dopo mesi senza abbracci, gli azzurri ci regalano una rivoluzione allegra

domenica, Luglio 4th, 2021

Maurizio de Giovanni

Non so voi, ma al sottoscritto capita spesso di pensare al 1968, in questi giorni caldi della strana estate.

Uno potrebbe dire: perché proprio il 1968? Che ti è successo di notevole quell’anno? Be’, a me niente, anche perché avevo dieci anni e in quell’epoca del cretaceo inferiore i ragazzini non avevano videogiochi e voce in capitolo, non erano connessi alla rete e non vestivano come modelli, quindi i pochi ricordi sono annebbiati e probabilmente manipolati dai racconti altrui; ma al mondo e al paese è successo parecchio, e ci sono connessioni assai interessanti con l’attualità.

No, non parlo della rivoluzione culturale e dell’emancipazione, delle rivolte studentesche e dei grandi happening musicali. Quelli purtroppo sono assai distanti da questi tempi mascherati, l’amore libero è l’esatto contrario del distanziamento sociale: ma l’estate del 1968, almeno in una piccola parte, viene restituita in questi giorni nel suo bianco e nero sgranato a tonnellate su tutti i canali. Perché, ovviamente, nel 1968 l’Italia vinse il suo unico campionato europeo di calcio; e man mano che si va avanti, partita dopo partita, quel senso di acuto rimpianto si stempera sempre di più in una speranza improvvisa.

Certo, ci sono state le notti magiche frustrate dal colpo di testa dell’argentino Caniggia, che fino a quel momento sembrava possedere il capo solo per sostenere i lunghi capelli biondi. Arrivammo a tanto così e restammo con un palmo di naso, e la nazionale di Vicini, con Vialli e Mancini in campo anziché ad abbracciarsi teneramente in panchina, era assai forte. Ma c’è qualcosa in questa, di nazionale, che è forse più accattivante e commovente, e quindi in qualche modo più coinvolgente.

La verità è che le peculiarità di questa estate infrapandemica sono tali da farci capire con chiarezza di essere proprio dentro un periodo che comunque passerà alla storia, e questa manifestazione non fa eccezione. Anzitutto ammetterete che sia notevole che l’Europeo 2020 si giochi nel 2021; come mettere un segnalibro al posto sbagliato, o ritrovarsi dopo la domenica direttamente al mercoledì. E l’ondivaga alopecia degli spalti, in certi stadi un sediolino occupato ogni tre e in altri con decine di migliaia di spettatori in festa privi non solo di mascherina ma anche di indumenti anche se non di birra, costituisce una cornice anomala e indimenticabile.

Mettiamoci poi la moria delle grandi squadre, che a una a una hanno determinato di togliere il disturbo tornando a casa scornate e in lacrime. Mbappè, Ronaldo, Modric, Muller e Pogba costretti, poverini, a trascorrere il resto dell’estate a contare tristemente e ossessivamente quelle poche decine di milioni che guadagnano rinunciando alla gloria di una possibile vittoria.

Ma non è questo, perché sono storie possibili che a intervalli irregolari capitano. Quello che non capita è guardare un campionato europeo come lo stiamo guardando noi, in questo momento.

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Se l’Europa dà battaglia sui valori

domenica, Luglio 4th, 2021

MASSIMO GIANNINI

Abbiamo alle spalle una settimana non banale. Il teatrino politico italiano ci offre la commedia ruspante dei Cinque Stelle prossimi all’eclissi. Della civica cosmogonia fondativa non c’è più traccia: acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo sono ormai puri feticci, svuotati di senso e di consenso. Degli alti ideali dell’origine non c’è più nulla: alterità, onestà, legalità, cittadinanza, democrazia diretta sono ormai parole vacue, senza vissuto e senza contenuto. Una straordinaria Supernova Populista – le visioni di Casaleggio padre, le intuizioni di Grillo, le “interlocuzioni” di Conte – svanisce in un cosmico Nulla. Da Rousseau a Bergson il passo è stato breve. Il “non-partito”, guidato dai “non leader” e gestito dal “non statuto”, si estingue tra scontrini e carte bollate, ricorsi e controricorsi, scissioni ed epurazioni.

Tra le macerie oggi restano solo i “vaffa”, non più gridati in piazza ma “mandati a dire” in una miseranda guerricciola di potere tra l’Elevato Beppe e l’Avvocato del Popolo. Forse alla fine rappattumeranno anche una tregua, capiremo poi con quali effetti sul governo. Ma il resto è già perduto. Tutto. Tranne l’identità: perché non puoi perdere ciò che non hai mai saputo cercare e infine possedere. E questo, volendo, non vale solo per i pentastellati, ma per tutti i partiti nostrani. Il teatro politico europeo, in compenso, ci regala questa volta uno spettacolo possente. Può darsi che alla fine sia servita anche a nascondere il bottino troppo magro sui dossier più rilevanti, dalla pandemia all’immigrazione. Ma la “battaglia sui valori” che si è combattuta alla due giorni del Consiglio Ue ha pochi precedenti nella storia più recente del Vecchio Continente.

L’unica che torna alla mente è forse quella intorno alle “radici giudaico-cristiane”, ai tempi della Convenzione che tra il 2003 e il 2004 elaborò la carta costituzionale dell’Unione. Il “processo” a Viktor Orban e alla sua legge che vieta la rappresentazione dell’omosessualità ai minori è molto di più di una campagna doverosa contro le discriminazioni sessuali. È piuttosto l’occasione preziosa per un ragionamento più profondo sulla natura e la cultura di quella che chiamiamo Europa. Lo spunto per una riflessione critica e autocritica che dovremmo avviare subito, qui ed ora, e non lasciar cadere nell’attesa burocratica del prossimo appuntamento fissato dall’agenda di Bruxelles. Come ci ha raccontato Marco Bresolin, sulla carta le premesse ci sarebbero tutte. I capi di Stato e di governo sono stati chiari. Mario Draghi è stato il più severo contro il premier ungherese, al quale ha ricordato che “l’Europa ha una storia antica di oppressione dei diritti umani”, e proprio per questo è stato scritto l’articolo 2 del Trattato, che attribuisce alla Commissione il potere di decidere chi lo ha violato o no, “e quel Trattato lo avete firmato anche voi”. Angela Merkel ha detto: “Non ricordo un dibattito così profondo sui valori come quello che abbiamo avuto durante questo summit”, e poi ha ricordato che “l’Unione non è soltanto un mercato unico, ma un’unione di valori, e se questi valori non sono condivisi dobbiamo parlarne…”. Emmanuel Macron ha fatto il passo successivo: “Non possiamo porre su un livello di equivalenza i valori e i soldi… C’è un’impennata illiberale in quelle società che hanno battuto il comunismo e che hanno raggiunto l’economia liberale, oggi attratte da modelli politici e di società che sono contrari ai nostri valori. Perché? Cosa è successo? E come contrastiamo questo fenomeno? Servono risposte politiche, serve un’analisi chiara, cosciente e profonda di ciò che è successo nelle società post-comuniste poi entrate nell’Unione…”.

Meglio di così non si poteva dire. Eppure, man mano che la Storia non solo non finisce ma ci mette continuamente e drammaticamente alla prova, ci rendiamo conto che l’Unione in quanto tale non è ancora nata. Proprio per la ragione sottolineata da Macron: e cioè il fatto che in questi decenni, soprattutto da Maastricht in poi, abbiamo accettato l’equivalenza tra “i valori e i soldi”. Dal 2000 abbiamo condiviso una moneta e lì, grosso modo e tra alterne vicende, ci siamo fermati. Man mano che è andato avanti l’allargamento, è rimasta comune la politica monetaria, ma non quella sanitaria e quella bancaria, non quella fiscale e quella sociale, non quella migratoria e quella militare. L’organismo comunitario più potente ed efficiente rimane non per caso la Bce, che dal “whatever it takes” in poi ha salvato infinite volte l’Eurozona (per non dire quanto e come ha salvato l’Italia, di cui tuttora possiede debito sovrano per 579 miliardi).

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Un due tre stella

domenica, Luglio 4th, 2021

MATTIA FELTRI

Va tutto a meraviglia. Giorgia Meloni trae i più lieti auspici dal sessanta per cento preso in Francia dal Rassemblement di Marine Le Pen e dai gollisti di Les Républicains, una destra «patriottica, conservatrice e sovranista».

Bisognerà trovare le parole per spiegarle che i gollisti si dichiarano contro gli estremismi, di sinistra come di destra, e invitano a distinguere fra patriottismo e sovranismo, per cui sommarli a Le Pen è qualcosa di molto più di un lieto auspicio. Va tutto a meraviglia. Matteo Salvini ha concesso un’intervista al prestigioso Financial Times per accusare di distrazione i giornalisti stranieri, così sprovveduti da definirlo estremista e non aver ancora compreso la sua ardente anima liberale.

Due ore dopo la pubblicazione dell’intervista, ha firmato un manifesto dell’Europa dei sovranisti insieme con Viktor Orbán, il profeta della «democrazia illiberale», e le varie destre estremiste continentali, compresa quella della suddetta Le Pen. Non è tutta una luminosa meraviglia? Vorrei concludere questa ubertosa settimana con una citazione dell’inestimabile Giuseppe Conte, che qualche giorno fa si è intrattenuto a parlare coi giornalisti vestito da tennista (ringrazieremo mai abbastanza Stefano Baldolini che nell’occasione ha ricordato la riluttanza di Benito Mussolini a colpire la palla di rovescio poiché lui tirava diritto?). Il tirare diritto di Conte consiste nel non voler sprecare il lavoro di questi anni, e infatti la sua proposta politica «è utile anche per il Paese». Anche? E a chi altri dovrebbe essere utile un partito? Magari al suo capo? Più che un lapsus, la meraviglia.

LA STAMPA

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Draghi, i partiti e la rivoluzione che serve in Rai

domenica, Luglio 4th, 2021

Massimiliano Panarari

Un ultimo tassello. Decisivo, e incompiuto. Last, but not least, insomma, nella consapevolezza di un passaggio tanto critico quanto oggi, però, assai prossimo a rappresentare anche una finestra di opportunità. L’esecutivo di larghe intese è, inequivocabilmente, il governo del presidente Mario Draghi. La «costituzione materiale» dell’attuale governo si è infatti configurata, ogni giorno di più, come inseparabile, per un verso, dall’indispensabilità del professor Draghi quale figura di sintesi, capace di spostare ogni volta in avanti l’equilibrio in maniera dinamica, e non secondo quella estenuante mediazione (troppo spesso statica e “paludosa”) che ha caratterizzato alcuni dei suoi (anche immediati) predecessori.

E per l’altro verso, tale «costituzione materiale» si è rivelata inscindibile dalla capacità e volontà di decidere davvero, sciogliendo pure alcuni nodi di Gordio che si trascinavano da parecchio, a cui i veti incrociati delle forze politiche o l’attendismo equilibrista di altri presidenti del Consiglio suggerivano (impropriamente) di non mettere mano. L’infilata è sotto gli occhi di tutti: il premier ha effettuato – di concerto con le figure istituzionalmente partecipi del processo decisionale – le nuove nomine in Cassa Depositi e Prestiti (diventata negli ultimi anni la primaria cassaforte finanziaria dello Stato) e nei servizi di intelligence. Nel rispetto delle prerogative dei soggetti coinvolti ma, altresì, all’insegna di quello che si potrebbe chiamare un ferreo (e molto opportuno) decisionismo.

Ora siamo alla vigilia dell’Assemblea degli azionisti della Rai, uno snodo importante per il sistema-Paese, tradizionalmente considerato come un intoccabile “dominio riservato” dei partiti (e, spesso, dei loro appetiti meno commendevoli). E ci troviamo anche alla fine della sua stagione «a egemonia sovranista», che ha lasciato una lunga lista di eredità negative, dallo stato del bilancio in rosso alla programmazione sovente non all’altezza dei mutamenti del gusto del pubblico, oppure perdente nei confronti dei competitor (con rare eccezioni, spesso riconducibili alla categoria dell’«usato sicuro», come il Festival di Sanremo o l’intramontabile Commissario Montalbano). Nell’epoca delle piattaforme e delle media company globali, per la Rai vale tuttora (ancorché riveduta e corretta) l’etichetta di lunga data di azienda culturale pubblica più importante della nazione. Anzi, del sistema-Paese, giustappunto, che nella «tv di Stato» (come si chiamava in epoca analogica) dovrebbe reperire un complesso prezioso di risorse e di asset a disposizione, anziché essere malauguratamente costretto ad assistere a scelte sbagliate o inadeguate, e a un trascinamento inerziale al ribasso.

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Variante Delta in Italia, l’immunità di gregge si allontana: ecco perché

domenica, Luglio 4th, 2021

di Silvia Turin

Variante Delta in Italia, l'immunità di gregge si allontana: ecco perché

Come cambiano il calcolo e l’obiettivo dell’immunità di gregge con la presenza della variante Delta, così tanto più contagiosa?

La variante Delta contagia più persone?

La variante Delta sarebbe più contagiosa del 40-60% rispetto alla variante Alfa, a tutt’oggi dominante in Italia e che, a sua volta, era circa il 50% più contagiosa del virus che ha caratterizzato la prima ondata di Covid. La cifra dell’aumento di contagiosità della Delta dovrebbe essere «sulla carta» più vicina al 60%, ma si riduce quando il virus si muove su un terreno dove, a differenza del 2020, ci sia una percentuale sostanziosa di vaccinati o di guariti, che sono comunque in larga parte protetti anche dalle reinfezioni. Questo ovviamente riguarda Ue, Usa e UK, da cui arrivano anche i maggiori dati sulla variante Delta. Il 6 giugno il giornalista del Times Tom Calver compilava un grafico esplicativo (si veda immagine sotto) del numero di riproduzione R0 di Delta confrontato con Alfa e il virus ancestrale: nel 2020 senza lockdown e misure di distanziamento sociale, una persona poteva infettarne circa altre 3 (R0 uguale a 3), con Alfa una persona ne poteva infettare 4 e con Delta sarebbero 6, ma potrebbero anche essere fino a 10 (secondo gli ultimi dati).

La capacità riproduttiva del SARS-CoV-2 e delle due varianti (fonte Twitter Tom Calver)

La capacità riproduttiva del SARS-CoV-2 e delle due varianti (fonte Twitter Tom Calver)

Numero di riproduzione e immunità di gregge

R0 (si legge erre con zero) rappresenta il cosiddetto «numero di riproduzione di base», cioè il numero medio di infezioni secondarie causate da ciascun individuo infetto in una popolazione che non sia mai venuta in contatto con un determinato patogeno. Rt descrive invece il tasso di contagiosità dopo l’applicazione delle misure atte a contenere il diffondersi della malattia.
Questi numeri cambiano il «numero soglia» da raggiungere (in percentuale di popolazione vaccinata o guarita) per avere l’immunità di gregge e spegnere il propagarsi del virus. La cosiddetta «immunità di gregge» è un meccanismo per cui, quando la maggior parte di una popolazione è immune nei confronti di una infezione (perché l’ha contratta o è stata vaccinata), l’agente patogeno non trova soggetti da infettare, rendendo protetti per via indiretta anche i pochi che sono ancora suscettibili.

Le ipotesi sulle percentuali da raggiungere

I calcoli sono difficili da fare e le cifre ballano un po’: durante la prima ondata, quando ancora i vaccini non esistevano, si puntava circa al 60-70% della popolazione vaccinata (o guarita) per arrivare all’immunità di gregge. Con la variante Alfa la soglia era arrivata al 70-80% e ora il calcolo deve essere nuovamente rivisto al rialzo. Roberto Battiston, fisico di fama internazionale e ordinario all’università di Trento, custode dei dati Agenas sulla pandemia nelle regioni italiane, in un’intervista rilasciata al Corriere ipotizza che si debba arrivare all’88% della popolazione vaccinata.

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Conte ora vuole garanzie: ruoli chiari, non esiste diarchia

domenica, Luglio 4th, 2021

di Monica Guerzoni

Conte ora vuole garanzie: ruoli chiari, non esiste diarchia

La diffidenza delle prime ore sembra essersi dissolta. Giuseppe Conte vuole credere alla volontà dei «big» di trovare a tutti i costi un accordo che scongiuri lo scisma del M5S e si mostra fiducioso verso la mission dei sette saggi. Eppure, come giorni fa Beppe Grillo disse «sono il garante ma non sono un coglione», così l’ex premier fa sapere che non si farà umiliare. Il fondatore ha rimesso il cerino acceso nelle sue mani e se Conte lo spegne e si sfila, dovrà accollarsi il peso della rottura: scelta che renderebbe ancora più fragile, a partire dai numeri in Parlamento, il piano B di un nuovo partito.

E così a Giuseppe Conte non resta che affidarsi al comitato di salvezza, sperando di non uscirne da «leader dimezzato». È la prima condizione, la più importante.

Il già capo del governo accetterà qualche «ritocco» al suo statuto, a patto però che l’impianto complessivo non ne esca stravolto e che i «punti fermi» restino ben saldi. Qualcosa l’aspirante capo politico dovrà concedere a Beppe Grillo (e viceversa), ma nessuno dei due vuol perdere la faccia. E allora, forte del consenso che ritiene di avere tra gli italiani, oltre che nel M5S, Conte non offrirà nulla che possa apparire un passo indietro.

«La diarchia non esiste — è l’avviso consegnato da Conte a naviganti e pontieri —. I ruoli dovranno essere ben chiari e definiti, senza alcuna ambiguità». Grillo insomma si accontenti del ruolo di garante, faccia il padre nobile e non il padre padrone e rinunci alla pretesa di sconfinare nel campo del futuro «leader di turno».

Nel merito: il capo politico decide la linea sul piano interno e internazionale, dal sostegno ai governi sino alle alleanze elettorali e parlamentari (leggasi Quirinale) e si sceglie i suoi vice, la squadra e pure i comunicatori . Facile a dirsi, molto meno a ottenersi dopo i giudizi lapidari che il comico ha lanciato contro Conte, dopo averlo predestinato alla guida del M5S.

L’amarezza non si è ancora del tutto dissolta e l’ex premier, che vuole «piena agibilità politica», ha chiesto a Fico e a Di Maio precise garanzie.

Nel fronte contiano c’è soddisfazione, ma ci sono anche tanti dubbi e sospetti ingombranti. Lo scenario che più allarma chi sperava nella nascita del nuovo partito, è questo: i pezzi grossi del M5S rispondono alla mozione degli affetti originari e si ricompattano attorno a Grillo, costringendo Conte ad accettare quel ruolo di prestanome o «imbianchino» della casa comune che il professore aveva sdegnosamente rifiutato.

A turbare il week end dell’avvocato è l’incubo del «leader dimezzato», messo con le spalle al muro per evitare che dia vita alla sua nuova creatura. Ma è costretto a fidarsi, di Di Maio in primis. Dualismo e diffidenza reciproca li dividono da tre anni e la mediazione da assoluto protagonista del ministro degli Esteri ha politicamente rafforzato l’ex capo politico. Ma nell’entourage di Conte assicurano che il rapporto tra i due è molto migliorato e l’avvocato sente di non doversi guardare le spalle, non da «Luigi» almeno. Un deputato vicino a Di Maio la mette così: «Poteva pugnalarlo e non lo ha fatto, è stato leale, anche se il partito di Conte non è mai esistito». In questa guerra di potere, nervi e veleni entrano anche i sondaggi, quel 10 per cento oltre il quale (senza il M5S) l’avvocato fatica a prendere il largo e quel drammatico 5 per cento a cui rischierebbe di precipitare Grillo, se la scissione non venisse scongiurata.

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Vaccini, poche dosi, le Regioni frenano. Nuove prenotazioni a rischio

domenica, Luglio 4th, 2021

di Fabio Savelli

Il taglio delle forniture a luglio — del 5% su base nazionale — dei vaccini a Rna messaggero come Pfizer e Moderna, gli unici ammessi per gli under 60. L’irrilevanza del monodose J&J che viene usato per sole 4mila somministrazioni al giorno. L’uso ormai marginale di AstraZeneca confinato agli over 60. E le nuove adesioni, soprattutto nelle fasce a rischio di letalità da Covid, che proseguono col contagocce. Così alcune grandi regioni stanno ri-orientando le agende vaccinali perché Pfizer e Moderna ormai veleggiano all’80% delle somministrazioni e il rischio è che si verifichi un disallineamento tra l’offerta di preparati e le richieste dei vaccinandi. La campagna rallenta, quindi, ma si veleggia sempre sulle 500mila dosi al giorno.

Ogni Regione cerca una strategia. Il Lazio ha segnalato la necessità di far slittare le somministrazioni delle prime dosi di una o due settimane interrompendo le nuove prenotazioni. La Campania segnala una flessione del 38%, ritenuta eccessiva dalla struttura commissariale, sugli approvvigionamenti di luglio. Per questo è diventata prevalente la somministrazione dei richiami, ormai al 90% delle punture, e il contestuale slittamento delle prime dosi. L’Emilia-Romagna sta decidendo lo stop alle prenotazioni fino al 15 agosto per la fascia tra i 20 e i 59 anni: «C’è scarsità di dosi», spiega il presidente Stefano Bonaccini.

La Toscana ha deciso di sospendere le prenotazioni per agosto e settembre per almeno una settimana fino a quando non avrà dati certi sulle forniture. L’Umbria ha sospeso le somministrazioni delle prime dosi. Scelta analoga della Puglia che ha spostato tutte le prenotazioni per gli under 50 di almeno una settimana. La Lombardia al momento resta alla finestra rassicurata dal milione di dosi promesse da Figliuolo ad agosto. Quel che è certo, e lo ha ripetuto anche il generale Figliuolo, è che la campagna rallenterà assestandosi però sulle 500mila punture quotidiane, media leggermente al di sotto delle ultime settimana quando abbiamo superato in diverse giornate le 600mila.

La riduzione delle forniture incide però solo sulle agende di alcune regioni. Di quelle, tra le maggiori per popolazione residente, che le hanno programmate senza calcolare lo stop ad AstraZeneca per gli under 60. L’ipotesi è che alcune abbiano fatto un passo più lungo della gamba e ora si trovino a sospendere le punture per il rischio di trovarsi a corto di fiale per i richiami che invece hanno tempistiche dettate dai dati di copertura dal rischio infezione da Covid.

Preoccupa il rapporto settimanale del commissario Figliuolo reso noto venerdì: le fasce più a rischio, quelle dai 60 anni in su, procedono troppo a rilento nella vaccinazione. Tra il 25 giugno e il 2 luglio sono state somministrate dalle regioni solo 9.173 prime dosi agli over 80 con 345.390 persone senza alcuna copertura. Una platea a rischio soprattutto quando la variante Delta diventerà prevalente, entro fine estate. Nella fascia 70-79 nelle ultime due settimane solo in 70mila hanno ricevuto la prima dose. Sono scoperti ancora in 781mila. Tra i 60 e i 69 anni, fascia in cui la letalità colpisce, nello stesso periodo vaccinati in prima dose 160mila persone, ma in oltre 1,4 milioni non sono ancora stati intercettati.

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