Archive for Luglio, 2021

Canada, in una settimana 719 persone uccise dal caldo record

domenica, Luglio 4th, 2021
Canada, allarme incendi a causa del caldo record

Nella provincia del Canada occidentale in cui è arrivata un’ondata di caldo record 719 persone sono morte. Si è trattato di decessi improvvisi e inaspettati, spiega la capo medico legale della British Columbia, Lisa Lapointe, precisando che si tratta di una cifra senza precedenti. Il numero è tre volte superiore alla media di decessi in questo periodo, scrive il Toronto Star. La Lapointe aggiunge che la cifra è destinata a crescere. 

Il caldo record ha fatto scattare anche l’emergenza incendi: oltre 130 maxi incendi boschivi, in gran parte scatenati da fulmini, stanno devastando British Columbia, la provincia più occidentale del Canada, dove il governo federale intende inviare aerei militari per aiutare i pompieri a contenere le fiamme.

TGCOM

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Conte è Conte ma la destra non sta tanto meglio

sabato, Luglio 3rd, 2021

Come dare torto al giornalista del Financial Times che, al termine di un colloquio a piazza Navona con Salvini in versione moderata filo-Draghi, filo Nato, filo-europeista, quasi da uomo dell’establishment si chiede se, rispetto al Salvini delle simpatie per Trump, Putin e allo scetticismo sull’Euro, sia cambiata davvero la persona o solo il “costume” che indossa. La conferma del dubbio, che lascia propendere per la seconda risposta, arriva con la firma del manifesto dei sovranisti europei assieme alla Le Pen, Orban, Kaczynski, la Meloni e il leader spagnolo di Vox “contro l’ideologia tecnocratica di Bruxelles”. Non c’è l’uscita dall’euro, e questa non è una novità, ma il manifesto è un distillato di sovranismo, ribattezzato “patriottismo” contro le regole e le norme che i perfidi burocrati impongono alla vita dei popoli, tra le quali, chissà se carità di patria appunto, non è nominato quel Recovery plan su cui Orban l’anno scorso mise il veto.

Al governo con Draghi in Italia sognandolo addirittura al Quirinale, con la Le Pen in Europa sognandola all’Eliseo, col Recovery che serve all’Italia al di qua delle Alpi, con i suoi nemici al di là. Distratti dal rumore della scissione (o implosione) dei Cinque Stelle, focalizzati sul Pd che vede franare l’orizzonte strategico dell’ultimo anno, per un istante si è perso di vista il carnevale di questa destra che, parafrasando Woody Allen, se “Dio è morto” e “Marx pure” tanto bene non sta, a dispetto della retorica sull’invincibile armata che, appena si potrà votare, tornerà al governo con un plebiscito popolare. Ma che non trova generali a Milano, dove siamo al settimo candidato da verificare, perché l’unico che aveva messo d’accordo tutti è Gabriele Albertini, sindaco ai tempi di Berlusconi e Bossi, alla faccia delle nuove classi dirigenti. E che, dove li ha trovati o tirano poco come a Roma o combinano pasticci come a Napoli: Maresca che prima chiede ai partiti di non presentare i simboli, poi è costretto a cambiare idea, nel frattempo la Meloni incontra, e sembra un endorsement, l’avvocato Sergio Rastrelli, figlio di Antonio, l’unico presidente di regione che abbia mai avuto il Movimento sociale.

Fosse solo un problema di candidati, in verità è questione un po’ seria. E speculare a quel che succede nell’altro campo: il collasso che ha portato al governo Draghi reso, per Lega, più acuto da una “lotta per l’egemonia” che ne mina consenso e identità. Non è un Salvini di “lotta e di governo”, perché la sala macchine è appaltata a Draghi. È un Salvini che, dopo aver subito l’operazione e costretto, facendo di necessità virtù, a intestarsela sperando che i dividendi arrivino, saltella su ogni palcoscenico possibile per agitare le sue bandiere identitarie. Come dall’altro lato c’è Zan e lo ius soli che mai vedranno la luce, dall’altro c’è l’orbanismo oltre confine che però non precipita nel consiglio dei ministri e la sceneggiata a Santa Maria Capua Vetere con la truce rimozione, o quantomeno minimizzazione, del pestaggio e la retorica dell’“onore” degli uomini in divisa da difendere, al netto di qualche “mela marcia”. Come se quella divisa non fosse stata sporcata proprio da chi si rende responsabile di atti del genere e se non fossero proprio quei responsabili i primi traditori dello Stato.

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I veri numeri della variante Delta: nel Lazio schizza al 34 per cento dei casi. Caccia alla mutazione Kappa

sabato, Luglio 3rd, 2021

La corsa della variante Delta preoccupa anche l’Italia. Nel Lazio in un mese c’è stato un netto incremento della mutazione precedentemente chiamata “indiana”, che è  salita al 34,9 per cento secondo quanto emerge dall’ultimo studio del Seresmi – Istituto Spallanzani che mostra come in un mese “vi sia stato un incremento di 10 volte della proporzione di variante Delta sul territorio regionale passando dal 3,4 per cento della survey del 18 maggio al 34,9 per cento di quella di oggi. Il 74,5 per cento dei casi con variante Delta risulta non vaccinato, tale proporzione raggiunge il 94 per cento se si aggiungono anche i parzialmente vaccinati con una sola dose”, spiega l’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato.

E nel resto d’Italia? Nel nostro Paese al 22 giugno scorso la variante Delta aveva una prevalenza pari al 22,7% ed è stata identificata in 16 Regioni e Province autonome, con un range tra lo 0 e il 70,6%. La stima viene dalla nuova indagine rapida condotta dall’Istituto superiore di sanità e dal ministero della Salute, insieme ai laboratori regionali e alla Fondazione Bruno Kessler. «La prevalenza della cosiddetta variante Alfa (B.1.1.7)» o inglese «di Sars-CoV-2 era del 57,8%, in calo rispetto all’88,1% del 18 maggio, con valori oscillanti tra le singole regioni tra il 16,7% e il 100%. Alla stessa data la variante cosiddetta Gamma (P.1)» o brasiliana «aveva una prevalenza pari a 11,8% (con un range tra 0 e 37,5%, mentre nella precedente survay era al 7,3%)», indica l’analisi.

“Fate il mix”. L’eterologa protegge dalla variante Delta, parla il prof: che dati abbiamo

L’indagine – precisa l’Iss – integra le attività di monitoraggio di routine, e non contiene quindi tutti i casi di varianti rilevate, ma solo quelle relative alla giornata presa in considerazione. La cosiddetta variante Kappa, ad esempio, uno dei sottotipi della Delta, non è stata trovata nella flash survey – si legge – ma diversi casi sono stati segnalati sulla piattaforma integrata che invece raccoglie le analisi giorno per giorno. Per l’indagine è stato chiesto ai laboratori delle Regioni e Province autonome di selezionare dei sottocampioni di casi positivi e di sequenziare il genoma del virus.

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Giorgia Meloni a Perugia, l’intervista con Franco Bechis: la diretta video

sabato, Luglio 3rd, 2021

Giorgia Meloni all’Arena Barton Park di Perugia  presenta il libro “Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee”, edito da Rizzoli. La leader di Fratelli d’Italia è intervistata dal direttore de Il Tempo Franco Bechis. Di seguito e a questo link il video integrale dell’evento trasmesso sulle pagine social di Fdi e Giorgia Meloni. 

IL TEMPO

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Oltre 6,5 milioni di anziani a rischio I medici: mani legate dalla privacy

sabato, Luglio 3rd, 2021

PAOLO RUSSO

Come previsto la “flash survey” a cura dell’Iss ha certificato che la variante Delta sta dilagando anche in Italia, superando il 20% di incidenza rispetto al totale dei casi Covid. Ma si tratta di una fotografia vecchia di 10 giorni, scattata sui sequenziamenti a campione del 22 giugno. La mutazione B.1.617.2 però corre veloce, come ci ha insegnato l’esperienza britannica, dove da giorni si viaggia al ritmo di circa 28mila ma con un numero di morti contenuti intorno alla ventina. Merito di una campagna vaccinale che ha già protetto con due dosi dalla Delta il 63% della popolazione adulta, mentre da noi ad aver completato il ciclo di immunizzazione è il 35,6% degli over 12, ossia 19 milioni e 233mila persone.

Letto al contrario significa che oltre 41 milioni di italiani sono esposti a rischio di infezione da variante o perché non vaccinati proprio o perché coperti con una sola dose, che si è dimostrata essere facilmente perforabile dalla mutazione ex indiana. E a preoccupare di più è il fatto che questo rischio lo corrono ben 6 milioni e 672mila over 60, i più esposti al pericolo di finire in ospedale o peggio ancora. Di questi 3 milioni e 752 mila appartengono alla fascia 60-69 anni, 2 milioni e 387mila a quella 70-79 e 533mila agli ultraottantenni. Numeri che fanno capire come in questo momento la Delta abbia in Italia ancora terreno fertile per far incrementare ricoveri e decessi.

Per questo la parola d’ordine è accelerare con le vaccinazioni. Facile a dirsi meno a farsi, come denuncia il governatore piemontese Alberto Cirio. «Stiamo facendo di tutto per recuperare alla campagna vaccinale gli over 60 ancora non immunizzati. Abbiamo fatto open day dedicati a loro, lasciamo libertà di scelta del vaccino da somministrare, ma c’è bisogno di un’opera di persuasione porta a porta che purtroppo non possiamo fare per via delle norme sulla privacy, che non ci consentono di individuare e contattare chi non si è vaccinato». Paradossi che il presidente del Piemonte, con oltre 200mila over 60 non immunizzati, chiede al governo di risolvere al più presto.

Sempre per motivi di privacy continuano ad avere le mani legate i medici di famiglia. «La struttura commissariale -spiega Vincenzo Scotti, segretario nazionale del loro sindacato, la Fimmg- sta esaminando gli aspetti legati alla riservatezza dei dati per consentirci finalmente di utilizzare il software che abbiamo messo a punto, sia per individuare i pazienti più fragili che quelli già immunizzati che è inutile andare a contattare». Uno strumento che potrebbe facilitare la campagna di sensibilizzazione sugli over 60 fino ad oggi adottato solo dalla Campania. Tra l’altro con buoni risultati. Eppure i medici di famiglia, a detta di Speranza e dello stesso Figliuolo, in questa fase possono fare la differenza, perché fuori dai radar della campagna non ci sono soltanto i circa 3 milioni dai 60 anni in su che non hanno nemmeno una volta mostrato il braccio.

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Il Capitano e il voto nelle città: “Sul candidato di Milano ci tocca andare a Lourdes”

sabato, Luglio 3rd, 2021

ILARIO LOMBARDO

DALLINVIATO A SORRENTO. Dopo il primo, scialatelli all’astice, Matteo Salvini si alza dal tavolo sulla terrazza dell’hotel Hilton di Sorrento. La solita infilata di selfie, strette di mano, scambio veloce di idee con qualche imprenditore. Poi si ferma a bordo piscina e racchiude in una battuta tutto lo sconforto scaturito dalle difficoltà di trovare un candidato che guidi il centrodestra a Milano: «Ci tocca solo andare Lourdes» dice tra i denti e, per quel momento, senza aggiungere altro. Sono le 23.30 di giovedì notte, l’altro ieri: attorno al leader della Lega ci sono circa 600 invitati, riuniti di fronte al golfo di Napoli per il convegno organizzato dall’Alis, l’Associazione della logistica e dell’intermodalità sostenibile. In tre giorni è atteso mezzo governo e alcuni dei principali leader politici. Oltre a Salvini, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, alle prese con la frantumazione del M5S, il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani, mentre il fondatore di Italia Viva Matteo Renzi ha dato buca.

Il miracolo che ha in mente Salvini quando si lascia andare alla battuta su Lourdes è quello che servirebbe per superare i veti e i controveti che hanno reso un incubo il cammino delle candidature del centrodestra nelle grandi città, a Milano innanzitutto, ma anche a Bologna. A Napoli Salvini appare ormai rassegnato sul magistrato antimafia Catello Maresca, ma gli alleati non lo vogliono. Lo schema del candidato civico è diventata una gabbia che sta soffocando ogni proposta. Per rimanere nella metafora religiosa, l’indomani, cioè ieri, La Stampa chiede al segretario del Carroccio come mettere termine alla via crucis di prestigiosi rifiuti e nomi prematuramente lanciati nel vuoto su Milano. L’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, il manager Oscar di Montigny, il deputato Maurizio Lupi, che ancora spera di farcela e ieri ci scherzava su con l’ex viceministro leghista Edoardo Rixi. Le candidature ormai nascono e muoiono nel giro di una settimana o anche di un giorno. Mentre il leghista, in evidente difficoltà, lascia tracce, «lavoriamo a una squadra con un professore e un imprenditore» aveva detto, come nel gioco “Indovina Chi”? Qualcuno dei diretti interessati rilancia candidando Salvini sindaco – lo fa Roberto Rasia Dal Polo -, e qualcun altro si sfila prima ancora che venga sondato, è il caso dell’imprenditrice Regina de Albertis. Continuano a circolare le ipotesi della presidente di Federfarma Lombardia Annarosa Racca, del primario Luca Bernardo, del professor Andrea Farinet… «Andrea è un’ottima persona e ci darà sicuramente una mano – ci risponde Salvini –. Comunque mi attribuiscono nomi che non ho mai incontrato e, in alcuni casi, non ho mai nemmeno conosciuto». Sta di fatto che il sindaco Beppe Sala ancora aspetta un avversario. «Nel weekend la chiudiamo – replica – E vedrete che sarà il miglior candidato per Milano».

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Recovery italiano, sì definitivo: a metà mese i primi 25 miliardi

sabato, Luglio 3rd, 2021
Recovery italiano, sì definitivo: a metà mese i primi 25 miliardi

MARCO BRESOLIN

INVIATO A LUBIANA. Dopo la Commissione, anche i governi hanno dato il loro via libera al Recovery Plan italiano. A confermarlo è il ministro delle Finanze sloveno, Andrej Sircelj, che il prossimo 13 luglio guiderà la riunione dell’Ecofin. Quel giorno ci sarà il via libera definitivo dei ministri ai primi dodici piani: nelle riunioni preparatorie, annuncia Sircelj, «nessun governo ha avuto nulla da ridire sul primo blocco di piani». Questo vuol dire che con ogni probabilità già nei giorni successivi dovrebbero arrivare tutti i 25 miliardi di pre-finanziamento chiesti dal governo italiano.   Le resistenze di alcuni governi frugali, che nelle scorse settimane avevano cercato di rallentare l’iter di approvazione, sono state vinte. Il governo olandese, per esempio, aveva fatto sapere di aver bisogno di più tempo per consultare il proprio Parlamento. Ma il parere più che positivo della Commissione sul piano di riforme italiano è servito per dare un’accelerata, così come l’impegno in prima persona che Mario Draghi si è preso. Il premier sa che dal piano italiano, che da solo vale un quarto degli 800 miliardi del Next Generation Eu, dipende anche il futuro dell’intero progetto europeo di debito comune. Se fallisce l’Italia, fallisce l’intera operazione europea. Se invece le cose dovessero funzionare per il meglio, con il Recovery capace di dare una spinta alla ripresa economica nell’intero continente e alle tanto attese riforme in Italia, il percorso del debito comune potrebbe rivelarsi un cammino che porta lontano. «Debito buono», come lo chiama il premier, visto che prima o poi l’Italia dovrà restituire 120 miliardi all’Ue. La vera sfida saranno le verifiche semestrali – la prima già a fine anno – sul rispetto della tabella di marcia: le successive «Nessun governo – spiega il ministro sloveno – ha avuto nulla da ridire su nessuno dei primi dodici piani approvati dalla Commissione. Per questo non mi aspetto che ci siano riserve all’Ecofin del prossimo 13 luglio, quando li approveremo». Nel gruppo dei 12 Paesi, oltre all’Italia, figurano Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Lussemburgo, Danimarca, Grecia, Austria, Slovacchia, Lettonia e Belgio.

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Roma, l’Italia delle cento città lontana dalla sua capitale

sabato, Luglio 3rd, 2021
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di   Giovanni Belardelli

Poche cose indicano la marginalità della capitale nella vita politica del nostro Paese come il modo, insieme faticoso e dimesso, attraverso il quale il centrodestra e il Pd hanno definito i loro rispettivi candidati a sindaco della città: nel primo caso approdando, svanite candidature di rilievo nazionale, a una figura certo di non grande notorietà, Enrico Michetti; nel secondo scegliendo Roberto Gualtieri, un ex ministro che però, venendo dopo la rinuncia di Zingaretti, rischia di apparire come una seconda scelta (un’impressione che le primarie, venute a confermare una decisione di fatto già presa, non hanno potuto cancellare). Ma dietro questi piccoli episodi sta una questione più generale e rilevante: da molto tempo Roma non è sentita dal Paese come la propria capitale. Si tratta di un sentimento antico, spesso oscurato dalle diverse configurazioni assunte nel corso della nostra storia dal mito di Roma e dalla esaltazione magniloquente che a quel mito si accompagnava, da Mazzini a Mussolini (fatte ovviamente le debite differenze).

Senza dubbio un contributo a far sì che Roma non venisse sentita come la capitale lo ha sempre dato l’eterna rivale, Milano. Una città, quest’ultima, che non è stata mai davvero in grado di soppiantare Roma come centro del Paese, anche per la ritrosia delle sue élites ad assumere una leadership nazionale. Ma che comunque è stata protagonista di un dualismo che ha sempre proiettato un’ombra sulla capitale.

Ancora di più ha contato, nell’alimentare lo scarso amore degli italiani per Roma, la diffusa sensazione che la nostra vera identità collettiva si trovi a considerevole distanza dai colli capitolini: cioè in provincia, per meglio dire nelle tante province italiane, nelle reti orizzontali di condivisione, solidarietà e scambio (economico, culturale, sociale) di un’Italia lontana da Roma e anche per questo più vitale e dinamica rispetto al centro ufficiale del Paese. È questa l’immagine dell’Italia rappresentata tante volte dal Censis, ma anche quella delle «cento città» descritta molto prima da Carlo Cattaneo. Un’Italia che non ha, ma in fondo neppure vorrebbe avere, una capitale così simbolicamente e realmente centrale come è Parigi per i francesi.

In tutto questo affiorano anche umori antichi della nostra cultura, pervasa in alcuni suoi rappresentanti da un sentimento di estraneità al quale dava voce per esempio Matilde Serao, trent’anni dopo Porta Pia, quando negava che Roma potesse essere la capitale d’Italia e aggiungeva di preferirvi senz’altro Firenze, più adatta a quel ruolo per tradizioni letterarie, storia, posizione geografica. La scrittrice coglieva in fondo un problema reale: la difficoltà, per una città dal passato così ingombrante e universale come Roma, di mettersi a disposizione di uno Stato nazionale. Fatto sta che quel giudizio negativo venne ripetuto altre volte, ricorrendo a un’immagine molto forte, quella della città-cloaca, capace di convogliare ogni sozzura.

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M5S, si apre il negoziato: una tregua di tre giorni per trovare la soluzione

sabato, Luglio 3rd, 2021

di Emanuele Buzzi e Monica Guerzoni

«Si apre il negoziato», si lascia andare a un sospiro di sollievo un big, dopo giorni di tensione altissima. Arriva così a tarda sera la notizia di una possibile mediazione traGiuseppe Conte e Beppe Grillo. Il post del garante è quel passo che i parlamentari chiedevano e che anche l’ex premier sembrava attendere. Grillo prova — nominando i sette saggi — a sparigliare le carte. Cede il cerino, lascia che la ricerca di una sintesi sia nelle mani del comitato da lui proposto. Saranno i sette — tra cui figurano contiani di ferro come Vito Crimi, Ettore Licheri e Stefano Patuanelli — a trovare un punto di caduta tra le posizioni del fondatore e dell’ex premier. Grillo ascolta le richieste del gruppo, che invoca unità, poi fa la mossa che tanti aspettavano. Si mette al lato della scena e sceglie «gli arbitri» del braccio di ferro.

I sette ora hanno tre giorni per aprire uno spiraglio. Tre giorni per dettare una linea comune. Ma gli umori nel Movimento cambiano. Il gruppo ha capovolto la situazione. I parlamentari Cinque Stelle, da marginali che erano, quasi spettatori dei disegni politici che si dipanano sulle loro teste e sul loro futuro, diventano centrali. Sono loro che si prendono carico dei duellanti. E sia per Conte sia per Grillo sarà difficile bocciare una sintesi che permette loro di riprendere un progetto senza perdere politicamente la faccia.

Il guizzo di Grillo arriva dopo interminabili ore di trattativa, gestita soprattutto da Luigi Di Maio e Roberto Fico. I due «big» non si arrendono, continuano a mediare e cercare una conciliazione che scongiuri il big bang. Nel pomeriggio c’è già chi parla di convincere Grillo ad annullare la votazione del Comitato direttivo e accettare un compromesso onorevole. “Utopia? Forse — sospira un deputato contiano — ma se i parlamentari troveranno la forza, il miracolo può diventare realtà». Si cerca di prendere tempo. Giuseppe Conte è partito con la compagna per due giorni di riposo, una scelta che fa capire plasticamente quale sia la linea dell’ex presidente del Consiglio. «A questo punto io cosa dovrei fare? È Grillo che deve compiere il prossimo passo, non io — si era sfogato con i suoi l’avvocato, prima del post serale del garante —. Se lui non arretra e presenta i suoi cinque candidati per il Comitato direttivo, anche io sarò costretto ad andare avanti». Non è una scelta che Conte prenderebbe a cuor leggero, quella di dare vita a un nuovo partito. Sa bene quale sarebbe il prezzo da pagare.

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Belgio-Italia 1-2: Barella e Insigne valgono la semifinale degli Europei, Lukaku non spaventa: ora la Spagna

sabato, Luglio 3rd, 2021

di Alessandro Bocci, inviato a Monaco

Belgio-Italia 1-2: Barella e Insigne valgono la semifinale degli Europei, Lukaku non spaventa: ora la Spagna

Wembley ci aspetta. L’Italia del coraggio annichilisce il Belgio e nessuno potrà più dirle che è bella ma immatura. È la notte del definitivo riscatto, quella in cui, dentro l’Allianz Arena, cancelliamo in maniera definitiva il Mondiale mancato e apriamo fiduciosi una porta sul futuro. Siamo dentro le semifinali di questo folle Europeo itinerante e fra tre giorni ci aspetta la Spagna, che viene da due maratone di 120 minuti con la Croazia e poi con la Svizzera. Ma al di là del traguardo parziale, forse impensabile all’inizio del torneo, convince il modo in cui gli azzurri lo centrano, cioè senza rinunciare alle proprie convinzioni, giocando all’attacco anche contro i primi del ranking Fifa.
È la vittoria del gruppo, che si esalta nel gioco e nella sofferenza finale, ma soprattutto è la vittoria di Roberto Mancini, che azzecca tutte le mosse: Chiellini a montare la guardia su Lukaku e la conferma del centrocampo, soprattutto Verratti e Barella, che avevano stentato nell’ottavo con l’Austria. Gli ultimi due confezionano il primo gol, realizzato dall’interista prima del raddoppio da cineteca di Insigne e insieme a Jorginho guidano l’Italia e stritolano la più bella incompiuta del reame.

Ma bisogna fare un monumento anche a Donnarumma: il mercato non lo ha distratto. Sullo 0-0, Gigio, nello stadio di Neuer, sfodera due parate decisive lasciando poi la vetrina ai suoi compagni. Il trentaduesimo risultato consecutivo dei manciniani è anche la quindicesima vittoria consecutiva agli Europei tra qualificazione e fase finale. Ora siamo davvero una realtà. E nulla, in questo torneo bislacco, ci è vietato. Anche sognare. Intanto perdiamo Spinazzola per la rottura del tendine di Achille: le sue lacrime di dolore sono la parte brutta di una serata bellissima.

Spinazzola in lacrime: rottura del tendine d’Achille

Il Belgio all’inizio gioca come la vecchia Italia, chiudendo gli spazi e sfruttando nelle ripartenze la qualità di De Bruyne, la forza di Lukaku e la velocità di Doku, scelto per sostituire Hazard confinato in tribuna per l’infortunio. Ma l’Italia è in partita e non rinnega se stessa: giro palla veloce, pressing, ampiezza, difesa alta senza paura. Una squadra coraggiosa. E se il gol di Bonucci è annullato per fuorigioco di tre azzurri (anche Chiellini e Di Lorenzo), quello di Barella, appena scollinata la mezz’ora, accende l’Allianz. Il diagonale dell’interista, dopo aver bruciato Thorgan Hazard e Vermaelen, è un piccolo capolavoro ma nella circostanza è formidabile il recupero palla e lo scarico di Verratti. Insigne, il terzo piccoletto della compagnia, si inventa un capolavoro con il tiro a giro, la specialità della casa, anche se ogni tanto ne abusa.

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