Archive for Luglio, 2021

Conte-Grillo, i tentativi in extremis di Di Maio e Fico anche se il Movimento è quasi alla scissione

venerdì, Luglio 2nd, 2021

di Monica Guerzoni

Di Maio e Fico ci hanno provato davvero a ricucire il rapporto tra il comico e l’ex premier e ancora non si arrendono, ma i margini di una mediazione che scongiuri la scissione del Movimento 5 Stelle sono sempre più stretti. Alle otto di sera, quando sugli smartphone rimbalza la notizia che Vito Crimi si è arreso al dicktat dell’«Elevato» e ha messo in moto la macchina per il voto del comitato direttivo, nella war room di Giuseppe Conte vedono nero: «Se Grillo non fa passi indietro, non c’è altra via che costruire una nuova forza politica».

Il partito di Conte contro il partito di Grillo. L’ex capo del governo si dice «pronto e a posto con la coscienza», sente di aver fatto le cose per bene e non si ritiene responsabile dell’implosione del Movimento. «È Grillo che ha fatto fuori me – si è sfogato anche ieri con i collaboratori — Io ho lavorato quattro mesi al progetto di rifondazione e certo non lo butto nel cestino». Sarà una sfida durissima, l’avvocato pugliese lo ha messo nel conto. Ha chiaro che, se le elezioni saranno nel 2023, il consenso di cui ora gode potrebbe essere assai più risicato, ma non vede alternative. E d’altronde l’autostima non gli fa difetto e i paragoni con Mario Monti o Lamberto Dini non lo spaventano.

L’idea è una lunga campagna elettorale all’americana, che inizi con una «grande raccolta fondi» e un tour a tappeto nei territori. «Ci vuole tempo e il tempo c’è», è il leitmotiv con cui Conte e i suoi cercano di guardare avanti con ottimismo. «Meloni e Salvini sono partiti dal 3% e adesso stanno al 20», ragionano nello staff dell’ex premier. E se i numeri dei deputati e dei senatori presunti contiani si sono già ristretti rispetto a due giorni fa, quel che rincuora il giurista di Volturara Appula è l’affetto che dice di sentire tra la gente. Tradotto in numeri dei sondaggisti, il partito di Conte varrebbe nelle urne tra il 10% e il 15% e quel che più colpisce il fronte anti-Grillo è «che il Movimento senza Conte scenderebbe sotto al 7%».

Ragionamenti che servono a reclutare eletti, ma che tradiscono l’amarezza di chi puntava a guidare la più grande forza politica del Parlamento e ora — salvo miracoli — non ha altra strada che costruire un partito ex novo, con quel che costa in termini di rischi e di soldi. E poi c’è il problema dei gruppi parlamentari. Alla Camera, dopo la mozione degli affetti di Grillo per richiamare le sue pecorelle, i deputati pronti a seguire Conte sarebbero tra i 30 e i 40. E al Senato, dove in percentuale il bottino sarebbe più corposo, serve un simbolo collaudato. I grillini mettono in giro che Leu avrebbe offerto a Conte il marchio. Ma anche se fosse vero, lui non accetterebbe, perché l’abbraccio con i bersaniani allontanerebbe dal progetto «big» della primissima ora come Paola Taverna.

«La ricomposizione è l’unica strada», spera e media il ministro Federico D’Incà. E così la pensa Virginia Raggi, che ha parlato a lungo con Conte al telefono. Il tema è da che parte staranno Di Maio e Fico, senza i quali, a sentire tanti parlamentari, «il M5S non esiste». Il più attivo tra i pontieri è Di Maio, che è andato a casa di Conte per convincerlo a frenare sul nuovo partito e poi ha fatto il punto con Fico. «Giuseppe dobbiamo scongiurare che i gruppi si spacchino e il M5S esploda» ha provato il tutto per tutto il ministro degli Esteri, preoccupato per l’impatto che la scissione avrebbe su governo, amministrative, Quirinale ed elezioni politiche. Conte non si è sbilanciato, ma il primo esito del colloquio di un’ora è stato l’impegno a incontrare i deputati, anche per smentire l’accusa di aver parlato solo con i senatori snobbando il gruppo della Camera.

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Green pass, i tempi al check-in aumentano del 500%: caos e code negli aeroporti

venerdì, Luglio 2nd, 2021

di Leonard Berberi

Codici QR degli esiti negativi dei tamponi che non vengono considerati in accettazione, test anti-Covid richiesti a un gruppo di passeggeri, ma non ad altri su uno stesso volo, moduli di localizzazione (Passenger locator form) compilati via web per un Paese, ma solo su carta per un altro. L’estate in Europa rischia di diventare una corsa a ostacoli e di ore di coda ai banconi dei check-in per i vacanzieri alle prese con diversi requisiti d’ingresso. Le organizzazioni internazionali che rappresentano le compagnie aeree e gli aeroporti denunciano che tra i 27 Paesi membri dell’Unione europea ci sono almeno dieci modalità di verifica di uno stesso certificato Covid digitale dell’Ue. Cosa che oltre a non aiutare nel decollo della stagione turistica, rischia di imbottigliare centinaia di migliaia di persone negli scali (cosa sapere sul Green Pass e come averlo).

E le conseguenze si vedono già: soltanto per il check-in i tempi richiesti sono aumentati del 500%, balzando a qualcosa come 12 minuti a persona. «Ai valori attuali di traffico, ancora lontani da quelli pre-Covid, i passeggeri stanno perdendo in media un’ora e mezza in più in aeroporto, cioè il doppio del solito», denuncia Willie Walsh, numero uno della Iata, l’associazione globale che rappresenta la maggior parte dei vettori. Quando i flussi torneranno al 75% dei livelli del 2019 — stima la Iata — il tempo richiesto dall’ingresso al terminal fino all’imbarco può toccare le sei ore soprattutto per i controlli sanitari richiesti ai banconi dell’accettazione o ai controlli di frontiera. Agli stessi volumi del 2019, invece, si raggiungerebbero le otto ore.

Per questo Airlines for Europe, Airports Council International, European regions airline association e International air transport association hanno scritto ai capi di Stato e di governo del Vecchio Continente una lettera di quattro pagine in cui lamentano la mancanza di coordinamento e i diversi approcci. «Con l’aumento del traffico passeggeri nelle prossime settimane il rischio di caos negli aeroporti europei è reale», avvertono.

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Green pass europeo, il giallo dell’eterologa: “Mi hanno scritto che vale uno”

giovedì, Luglio 1st, 2021

di RITA BARTOLOMEI

Roma, 1 luglio 2021 – L’ultima grana sul Green pass è scoppiata sulla vaccinazione eterologa, sdoganata dall’Aifa il 13 giugno. C’è chi, pur avendo completato il ciclo, si è visto recapitare un certificato che registra una sola dose. La cosa diventa inevitabilmente un problema per gli spostamenti all’estero e l’ingresso in quei Paesi che richiedono di aver completato il ciclo di vaccinazione. Il tutto, mentre il governo deve ancora decidere se irrigidire le regole. Al momento in Italia la carta verde indispensabile per partecipare ad esempio a matrimoni e concerti, viene rilasciata dopo 14 giorni dalla prima dose. Ed è sufficiente ad esempio per andare in Croazia. Mentre il Green pass europeo, attivo da oggi, richiede un ciclo vaccinale completo. In questa incertezza, si stanno verificando casi di cittadini italiani vaccinati con l’eterologa ma registrati sul passaporto per i viaggi come se avessero fatto una sola iniezione. Con una didascalia finale che recita più o meno così: ‘Certificazione valida fino alla prossima dose’.

Un genovese intervistato a Radio24 nel programma ‘Uno nessuno 100Milan’ ha elencato una serie di domande che al momento restano tali.  “Ho cercato informazioni online, anche sui siti messi a disposizione dal ministero – ha spiegato -. Non ho ricevuto risposta e soprattutto non ho trovato molte informazioni. Mi pare ci sia un problema di riconoscimento della vaccinazione eterologa da parte delle autorità europee”. Si è scritto di un altro caso nella provincia di Savona, una coppia sarebbe stata respinta al confine della Francia. Il punto resta sicuramente tra quelli da sistemare. Da capire la dimensione del fenomeno, che riguarderebbe anche i guariti dal Covid. Secondo le regole elaborate dal ministero della Salute, infatti, anche a questa categoria di cittadini basta una sola dose di vaccino. Ma così il certificato diventa inservibile per viaggiare.

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E alla fine più dell’ideale poté la poltrona

giovedì, Luglio 1st, 2021

di PIERFRANCESCO DE ROBERTIS

E’ proprio vero, la storia spesso si ripete, ma quando accade la tragedia si trasforma sempre in farsa. Così quanto sta capitando ai Cinquestelle è la riproposizione delle innumerevoli scissioni viste alla fine della Prima Repubblica, da quella del Pci e quella della Dc, senza però la grandezza sia pur decadente, le lacrime e i drammi umani degli ultimi epigoni della stagione della miglior politica nella vita repubblicana. Qui siamo alla farsa, alla sit-com da tv del pomeriggio, e c’è solo da riflettere su quanto l’abbiamo scampata bella ad aver lasciato il Paese nelle mani di questi personaggi nella fase più delicata della nostra storia recente.

La fase attuale ricorda le scissioni del passato e come al solito la disputa su quanto resta del Movimento Cinquestelle, il simbolo, i voti, la piattaforma (una volta sarebbe stata la sede), si combatte a colpi di codicilli. Solo che – ecco la farsa – la disputa è intorno allo statuto per un partito del non-statuto, a colpi di posizionamenti politicisti per coloro che hanno prosperato a botte di antipolitica, il tutto sullo sfondo della mera conservazione del “posto” da parte di gente andata lì con la promessa di fare due giri di giostra e tornare al lavoro di prima. Salvo il fatto che la maggior parte di loro quel lavoro non l’aveva.

È però una farsa costosa, come sempre accade quando si usa la scena pubblica senza averne i mezzi e la statura. Costosa per il Paese, perché l’implosione del partito di maggioranza relativa non potrà non avere pesanti ricadute sul sistema paese. E costosa anche per i protagonisti. Grillo è un comico, ma i comici che si mettono a fare politica un po’ l’azzeccano con le loro continue strambate ma alla fine anche no, e non può pretendere che la gente ancora gli creda dopo che si è messo a dare dell’incapace all’uomo che lui stesso ha messo per due volte alla guida del governo; Conte da parte sua non può pensare che i sondaggi di opinione fatti sulla scorta della popolarità di quando appariva alle otto della sera a un’Italia impaurita per il Covid si trasformino in voti per un progetto politico che nasce su un niente programmatico. Un conto è la politica nell’era della post-ideologia, un altro conto è il vuoto.

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Le chat segrete di Chiara e Marco. “Se vuoi morire ti do una mano io”

giovedì, Luglio 1st, 2021

di FEDERICA ORLANDI E NICOLETTA TEMPERA

L’aria menefreghista sfoggiata davanti ai carabinieri lunedì, quando solo di fronte ai contenuti quasi inequivocabili delle chat con Chiara e altri amici ha confessato, ora è scalfita. Nelle due ore di interrogatorio cui è seguita la convalida del fermo per omicidio volontario premeditato (disposto il carcere), il sedicenne accusato di avere ammazzato a coltellate e calci la quindicenne di Monteveglio Chiara Gualzetti, era più scosso. “Mi dispiace per Chiara, per la sua famiglia e per la mia”. Scosso sì, non sconvolto. Nessuna lacrima, a differenza di quelle della madre, sotto choc: “Sono ancora in una bolla”, le sue parole. L’avvocato Tanja Fonzari, precisa: “Si sta rendendo conto di ciò che ha fatto e delle conseguenze”.

Al giudice e ai pm dei minori Simone Purgato e Silvia Marzocchi ha confermato quanto già in parte ammesso. Tipo: “Il demonio mi dà la carica. È un uomo di fuoco con le ali, come nella serie Lucifer; mi costringe a fare del male, faccio soffrire gli amici e le ragazze che si innamorano di me”. Ma mai si era spinto a tanta violenza. Lo scambio in chat tra lui e Chiara da un po’ è fitto. Lei si sfoga: “A volte vorrei farla finita, se mi uccidessi non mancherei a nessuno”. Forse spera che lui la consoli, invece: “Ti do una mano io, se proprio vuoi”. Ancora lei: “È come se le persone si divertissero a illudermi, a farmi stare male”. Poi lui la invita al parco: “Ci facciamo una chiacchierata e ti riporto a casa”. A lei, che da tempo è invaghita, non sembra vero. Non immagina a cosa sta andando incontro. Lui la passa a prendere, saluta i genitori. Telecamere della zona li riprendono insieme: lei un po’ impacciata nei suoi top e pantaloncini neri, lui più spavaldo le cammina qualche metro davanti, con la t-shirt rossa. Rosso sangue: forse, l’ipotesi, messa apposta per non fare vedere le macchie. Nel mirino degli inquirenti poi ci sono i messaggi vocali inviati dal killer ad amici subito dopo il delitto: è agitato, ma non parla di omicidio. Domani, intanto, si terrà l’autopsia. “La perizia psichiatrica? Facciamola, per fugare ogni dubbio: ma non c’è stata alcuna follia nella ferocia disumana di quel ragazzo. Ha calcolato tutto, approfittandosi della fiducia di lei” dice Giovanni Annunziata, legale dei Gualzetti.

A Monteveglio, infatti, nella casa di via dell’Abbazia, nessuno crede alla versione del giovane ‘invasato’. Mamma Giusi passeggia in cortile, guardata a vista dai fratelli. “Lei non sa nulla. Non le facciamo leggere i giornali, né i social”, dicono. La proteggono, perché il suo equilibrio è fragile e il vuoto che le avanza dentro, dopo la morte della figlia, può spezzarla. “Come va… Eh… Ogni giorno è peggiore del precedente”, dice soltanto mamma Giusi.

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Violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, sospesi in 52. E la sinistra si scatena: come Cucchi e la Diaz

giovedì, Luglio 1st, 2021

Domenico Alcamo

Sono stati tutti sospesi i 52 indagati per le presunte violenze ai danni di detenuti nel penitenziario di Santa Maria Capua Vetere. Collateralmente all’inchiesta, peraltro, il ministro della Giustizia Marta Cartabia ha chiesto approfondimenti sulla catena di informazioni e responsabilità sulla dinamica di quanto avvenuto, e anche un monitoraggio anche su altri istituto penitenziario. Nel corso di un vertice tra ministero, Dap e garante delle persone private della libertà, è stata espressa “la piu’ ferma condanna per la violenza e le umiliazioni inflitte ai detenuti, che non possono trovare né giustificazioni né scusanti”. 

Il caso continua ad animare il dibattito politico. Nicola Fratoianni, di Sinistra Italiana, definisce le immagini diffuse come “una vendetta. Nulla a che vedere con la giustizia. È altrettanto evidente che qui non si parla di ‘mele marce’. Quello che vediamo in azione è un sistema coordinato e organizzato, che dietro la divisa cela i più basilari istinti animali”.

La deputata Barbara Pollastrini, del Pd, ragiona: “Questa volta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere prima, vent’anni fa, nella scuola Diaz di Bolzaneto durante le manifestazioni dei G8 dove morì Carlo Giuliani e poi nel 2009 il massacro di Stefano Cucchi in una caserma sulla Casilina: la parte oscura e la ferocia si sono scatenate e hanno colpito corpi e principi”.

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Riforma della giustizia, parte la campagna per i sei referendum: così si può cambiare

giovedì, Luglio 1st, 2021

Francesco Storace

Parte finalmente la campagna referendaria sulla giustizia. Oggi è il giorno in cui si possono cominciare a sottoscrivere nei municipi i sei quesiti sulla giustizia, promossi dalla Lega e dal Partito Radicale, anche se gazebo e banchetti saranno disponibili da domani. Una battaglia che serve anche a scuotere il Parlamento – che se vorrà potrà recepire direttamente i referendum – oppure a far decidere dal popolo italiano come amministrare giustizia senza faziosità e violazioni del diritto.

Una sfida bella, che può aiutare l’Italia a rimettere in piedi un sistema che ha visto scemare la fiducia dei cittadini, anche per le polemiche hanno squassato la magistratura e non solo per il caso Palamara.

Si mettono assieme in questa battaglia due mondi che sulla giustizia partono dai principi garantisti. A Salvini e ai vertici radicali è bastato poco per trovare un’intesa su temi decisivi per il Paese.

Sei sono i quesiti proposti al popolo italiano, dalla riforma del Consiglio superiore della Magistratura alla responsabilità diretta dei giudici, all’equa valutazione dei magistrati alla separazione delle carriere, dai limiti agli abusi della custodia cautelare all’abolizione della legge Severino. I cittadini italiani con le loro firme – ne servono cinquecentomila a quesito, Salvini punta a un milione per ciascuno – di qui a metà settembre e poi con il voto della primavera 2022 potranno decidere democraticamente un’autentica rivoluzione.

È meticolosa la cura dell’organizzazione della raccolta delle firme proprio per aiutare i cittadini ad essere consapevoli della partita in gioco. Contano i quesiti, ma bisogna raggiungere tantissimi italiani per farli sottoscrivere.

Clicca qui per leggere i quesiti referendari presentati da Lega e Radicali

Come detto, si potrà apporre la propria firma nelle sedi comunali e ovviamente nei banchetti e nei gazebo che saranno allestiti in tutta Italia dalla Lega e dagli stessi radicali. Entrambi i movimenti politici hanno attivato pagine web tematiche per dare ogni informazione specifica sui rispettivi siti: legaonline.it e partitoradicale.it.

Anche dagli altri partiti del centrodestra si è manifestato interesse ai referendum: per ora lo hanno fatto Forza Italia e Udc. Probabilmente Fratelli d’Italia esprimerà le proprie indicazioni sui vari quesiti. Pure “Cambiamo” di Giovanni Toti condivide la battaglia referendaria.

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Covid, stretta su pass e voli: le discoteche rimangono chiuse

giovedì, Luglio 1st, 2021

Paolo Russo

I dati che dovevano rilevare la presenza della variante Delta in Italia ancora non si vedono, ma le notizie che trapelano dai laboratori di analisi regionali fanno capire che la versione mutata del virus sta già dilagando. I buoi sarebbero insomma già scappati dalla stalla e per questo gli esperti del ministero della salute stanno già pensando a un cambio di strategia. Poggiata su almeno tre gambe: bloccare l’ingresso in Italia dai Paesi più a rischio; uniformarci all’Europa rilasciando il green pass solo con la seconda dose di vaccino; puntare l’ago più che sui giovani in attesa delle prime dose sulla popolazione adulta in attesa del richiamo o rimasta proprio fuori dai radar della campagna vaccinale. Quanto la Delta faccia paura lo dimostra anche il fatto che, nonostante il via libera del Cts, il governo ha deciso di far slittare ancora la riapertura delle discoteche. Non più in calendario né il 3 luglio, come chiesto dal centrodestra e nemmeno il 10, data possibile indicata dagli esperti. E così mentre Salvini tuona contro la non decisione, chiedendosi “perché punire ancora i giovani e le aziende”, il governo prova a chiudere la partita rigiocando la carta dei ristori.

Intanto la flash survery dell’Iss con i campioni di virus analizzati il 22 giugno ancora non si vede, a dimostrazione che il sequenziamento considerato da tutti gli esperti strategico per individuare ed isolare i focolai di varianti in Italia, tutto è meno che flash. Probabilmente quando la foto di quasi di dieci giorni fa verrà stampata sarà già vecchia, perché da un angolo all’altro del Paese le notizie danno la Delta in espansione verticale. In Campania questa settimana su 275 campioni analizzati 59 erano dell’ex indiana che sarebbe così al 21,5% del virus circolante. In Abruzzo sono stati individuati altri 16 casi attribuibili alla stessa variante, la cui prevalenza salirebbe così al 46%. In Friuli Venezia Giulia il campione è in formato mini ma su 17 sequenziamenti 12 alla fine parlavano indiano. Va meglio nelle Marche (10-12%) e in Lombardia, dove l’incidenza sarebbe contenuta al 6%, ma complessivamente a livello nazionale dovremo essere già sopra il 20.

I contagi sono ancora pochi, ieri appena 776, ma come mette in guardia l’assessore laziale alla sanità, Alessio D’Amato, “la fase di bassa infezione durerà ancora tre-quattro settimane perché poi la Delta diverrà predominante e l’aumento dei contagi sarà inevitabile”.

“Con il tracciamento dovremmo schiacciare tutti i focolai che si creeranno, ma è verosimile si vada verso un rialzo dei contagi”, gli fa eco il virologo del “Galeazzi” di Milano, Fabrizio Pregliasco.

E questo lo sanno anche gli uomini di Speranza, che si preparano a scavare nuove trincee.

“La Delta dilaga 4-5 volte più velocemente della cosiddetta variante inglese e a questo punto a fare la differenza sono i vaccini”, spiega Walter Ricciardi, consulente del ministro e professore di sanità ed igiene pubblica. Che ci confida di aver già scritto una nota al Ministro nella quale consiglia una serie di azioni da intraprendere al più presto. “Prima di tutto occorre accelerare con la vaccinazione. Non ci fosse stato l’impasse sui vaccini a vettore virale avremo potuto chiudere la partita già a fine luglio, ma non è così e ora con meno dosi utilizzabili dovremo accelerare con i richiami, perché una sola dose non offre protezione sufficiente rispetto alla Delta.

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La rivoluzione del fisco: dal taglio dell’Irpef alla revisione dell’Iva, tutte le novità della riforma

giovedì, Luglio 1st, 2021

Paolo Baroni

ROMA. C’è l’indicazione del taglio dell’Irpef innanzitutto a favore dei redditi medi, la cancellazione dell’Irap e la semplificazione dell’Ires, la riduzione delle tasse sul lavoro e la revisione dell’Iva e pure l’abolizione di tante microtasse (dal superbollo alla tassa sulla laurea). Quindi si propone di estendere a tutti i soggetti la fatturazione elettronica e, per l’ennesima volta, di sfrondare le tax expenditures. E ancora si suggerisce di abbassare al 23% il prelievo sulle rendite finanziarie; quanto alle patrimoniali, dopo aver valutato l’ipotesi di inserire nel documento uno stop ad ogni possibile aumento, si è preferito soprassedere e non trattare la questione.

Dopo una notte di discussioni e trattative, quella di martedì, ed un’altra giornata dedicata ad altri aggiustamenti, e soprattutto dopo sei mesi di intenso lavoro, decine e decine di audizioni di economisti ed esperti, associazioni, enti, istituzioni e parti sociali, ieri sera le Commissioni finanze di Camera e Senato presiedute rispettivamente da Luigi Marattin (Iv) e Luciano D’Alfonso (Pd), hanno trovato un’intesa sullo schema di riforma fiscale da inviare al Governo. Che, a sua volta, per rispettare il cronoprogramma inserito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, adesso ha trenta giorni di tempo per varare la legge delega.

Al momento del voto Leu si è astenuta, i parlamentari di Fratelli d’Italia hanno votato contro, mentre tutte gli altri partiti si sono espressi a favore. Fino all’ultimo però le forze di maggioranza di sono confrontate e scontrate essenzialmente su tre questioni tutte politiche, in pratica vere e proprie bandiere di partito: la patrimoniale, evocata nelle scorse settimane dal Pd, la flat tax chiesta dalla Lega e le tasse «verdi». Il primo di questi argomenti, come detto, non viene trattato. Mentre sugli altri due sono stati introdotti dei correttivi condivisi da tutti, ed in particolare nel testo finale nel capitolo relativo al «green» è passata la richiesta di Lega e Forza Italia di introdurre meccanismi di premialità a favore di famiglie e imprese per evitare i possibili effetti regressivi di queste imposte. L’obiettivo della riforma, è scritto nel testo votato ieri, è la realizzazione di un «nuovo Patto Fiscale tra Stato e cittadini», in modo da «innestare in modo deciso e irreversibile un cambio di paradigma nei rapporti tra amministrazione fiscale e contribuente». «Questo documento – è scritto nelle conclusioni – che il Governo stesso ha inteso essere un indirizzo per i successivi passi del cammino di una riforma fiscale organica e strutturale si chiude con la speranza e la fiducia che tale cammino possa partire col piede giusto e proseguire nell’interesse esclusivo della Nazione».

Non è la prima volta che viene tentata una riforma fiscale: se ne parla da decenni, vedremo se questa è la volta buona.

Aliquote, Irpef più leggera per il ceto medio
Il taglio delle tasse al ceto medio sarà il piatto forte della prossima riforma. In particolare il Parlamento suggerisce al governo di ridefinire la struttura dell’Irpef con un «abbassamento dell’aliquota media effettiva con particolare riferimento ai contribuenti nella fascia di reddito 28.000-55.000». Inoltre il documento elaborato dalle Commissioni finanze, chiede al Governo, «la modifica della dinamica delle aliquote marginali effettive Irpef, eliminando le discontinuità più brusche» e la revisione delle «tax expenditures». Nel documento si «ritiene indispensabile che il disegno di legge delega» raggiunga tre obiettivi: riduzione del numero delle agevolazioni fiscali, semplificazione del sistema, e reperimento delle risorse da destinare alla riduzione dell’aliquota media effettiva del terzo scaglione Irpef che oggi è assestato sul 38%.

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La dittatura di Beppe Mao

giovedì, Luglio 1st, 2021

Piergiorgio Odifreddi

Cerco di mettermi nei panni, alquanto scomodi, dell’ingenuo cittadino che si è recato a votare alle elezioni politiche del 2018, per scegliere tra i candidati quello che meglio lo potesse rappresentare in Parlamento. Undici milioni di questi cittadini hanno deciso di votare per il M5S, che da anni predicava di essere a favore della democrazia diretta, e prometteva di non effettuare alcuna scelta politica che non fosse stata approvata in rete dal suo popolo. Grazie ai voti di questi cittadini, sono stati eletti 162 deputati su 630, e 75 senatori su 315: una maggioranza relativa, ma non assoluta. Peccato, perché il Movimento aveva assicurato, fin dalla sua costituzione, che non avrebbe fatto alleanze con nessuno: al massimo poteva accettare i voti altrui su proposte proprie. Cioè, proponeva evangelicamente agli altri ciò che il Pd aveva chiesto a lui nel 2013, a ruoli invertiti.

Sicuramente non si sarebbero fatte alleanze con il Pd stesso, individuato come “il partito dei pedofili di Bibbiano”. E nemmeno con la Lega, dalla quale il Movimento si sentiva “geneticamente diverso”. Sappiamo tutti com’è andata a finire: nei tre governi di questa legislatura i 5S hanno fatto dapprima un governo con la Lega ma senza il Pd, poi un governo con il Pd ma senza la Lega, e ora un governo con il Pd e con la Lega. Naturalmente, così è sempre successo in politica, ma il M5S sosteneva di essere diverso. E gli elettori grillini sono stati almeno consultati, come promesso? Niente affatto. Si sono fatte consultazioni in rete tra qualche decina di migliaia di iscritti, che però non rappresentavano affatto gli undici milioni di elettori 5S, ma solo se stessi e i primi follower di Grillo. In realtà, nel Movimento governa uno solo, ed è Grillo. Il quale potrà anche dichiarare di essere “il garante, non un coglione”, ma mente sul primo fronte e sul secondo fate voi. Infatti, non appena Conte gli ha proposto di fare appunto il garante, l’ha mandato a quel paese perché “non ha visione politica, né capacità manageriale”, benché l’avesse appunto scelto lui, come presidente del Consiglio e come nuovo leader del Movimento.

Ora Grillo ha annunciato la solita buffonata di una consultazione in rete, per decidere il futuro del Movimento. Ma non può nascondere a se stesso e al Paese il fatto che non esiste in Italia un partito più antidemocratico del suo, nel quale a fare il bello e il cattivo è un uomo solo: molto peggio che Forza Italia ai tempi di Berlusconi, e del Pd ai tempi di Renzi. Grillo non è affatto un garante, ma una variabile impazzita che aspira a fare il padre-padrone del Movimento, come ha detto Conte, e il dittatore nel Paese, come possiamo aggiungere noi. Forse non tutti ricordano, infatti, cosa successe al momento della rielezione di Napolitano, quando Grillo istigò i propri facinorosi a una specie di marcia su Roma, perché non era stato eletto Rodotà. Per combinazione, quella sera io ero appunto con Rodotà, a Bari, per una manifestazione, e ho potuto assistere da dietro le quinte a cosa succedeva. C’era aria di colpo di Stato, e Rodotà fu informato dal ministero dell’Interno che Grillo era stato avvisato: se fosse arrivato a Roma per guidare la protesta di fronte al Parlamento, sarebbe stato arrestato, in senso letterale.

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