Archive for Luglio 20th, 2021

Mario Draghi ha deciso: green pass subito al ristorante, da settembre anche sulla metro

martedì, Luglio 20th, 2021

L’obiettivo è bruciare i tempi, la curva dei contagi con la varianteDelta rischia di mettere l’Italia nella stessa condizioni di altri Paesi e per evitare di tornare a chiudere e bloccare la ripresa economica occorre subito prendere provvedimenti. La linea del «greenpasssubito» si rafforza sempre di più nel governo, anche se restano le contrarietà della Lega e le perplessità delle Regioni di inserire criteri eccessivamente rigidi.

Fonti della maggioranza riferiscono che il premier Mario Draghi sia intenzionato a stringere sulle misure per evitare che si debba ritornare al coprifuoco. E quindi l’orientamento sarebbe quello di utilizzare il green pass anche per i ristoranti al chiuso. Il Comitato tecnico scientifico ieri non si è riunito ma avrebbe dato questa indicazione nei giorni scorsi. Chiedendo inoltre che si acceleri sulla somministrazione dei vaccini nelle scuole, tanto che non è escluso che si vada sull’obbligo per quanto riguarda il personale scolastico. Il governo inoltre dovrebbe estendere la proroga dello stato di emergenza fino alla fine di ottobre.

Domani si terra prima la cabina di regia e poi il Cdm che dovrebbe varare e probabilmente rendere operativo in tempi brevissimi un sistema premiale che favorisca un incremento delle vaccinazioni. Così chi non ha voluto farsi il vaccino sarà svantaggiato. Anche il presidente del Consiglio quindi sarebbe per la linea dell’ampliamento del green pass, anche se si cercherà di trovare una «via italiana». L’ipotesi di inserire regole più ferree per il green pass a seconda del quadro epidemiologico e le fasce a colore delle Regioni, contestualmente al cambio dei parametri, è una delle opzioni sul tavolo. Ma la soluzione potrebbe essere quella di estendere il green pass senza distinzioni.

È possibile che si vari un primo uso del green pass per agosto, con regole dure per eventi e ristoranti al chiuso, e un secondo green pass per settembre, più restrittivo, che vieti o limiti ogni tipo di trasporto, metropolitane comprese, a chi non è vaccinato, magari con carrozze dei treni ad hoc per chi ha invece ricevuto la doppia dose.

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Tokyo 2020, nuovi casi di Covid alle Olimpiadi. Anche un giornalista italiano

martedì, Luglio 20th, 2021

di FRANCESCO BOCCHINI

Tokyo – Lo spettro Covid continua ad aleggiare sulle Olimpiadi di Tokyo 2021. Gli ultimi aggiornamenti sulla situazione in Giappone contano 21 sudafricani e otto inglesi in isolamento fiduciario, un cieco e un italiano positivi. A Tokyo sale di ora in ora il numero di casi fra atleti, dirigenti e altri addetti ai lavori coinvolti nei Giochi olimpici. E purtroppo il tassametro sembra destinato a continuare a correre nelle prossime ore. Crescono quindi l’ansia e la paura nella capitale giapponese, così come i contagi: non il clima che gli organizzatori delle Olimpiadi si sarebbero augurati a quattro giorni dal via della manifestazione, già rinviata un anno fa per l’emergenza sanitaria. 

Più squadre colpite

L’ultimo episodio di Covid, almeno in ordine di tempo, è quello del giornalista italiano, partito con test negativo, ma risultato positivo all’arrivo nel Paese del Sol Levante. Il soggetto in questione ha effettuato il viaggio salendo sullo stesso volo di alcuni atleti azzurri, che però potrebbero non essere bloccati poiché non sono entrati a stretto contatto con il contagiato. Per quanto concerne le altre Nazioni, sono stati identificati 21 casi di contatto nell’entourage dei due calciatori e del dirigente sudafricano risultati positivi il 16 e 17 luglio. Gli atleti vengono sottoposti a test PCR ogni giorno ma ieri non sono stati autorizzati ad allenarsi. Un test finale verrà effettuato sei ore prima della loro partita. Sono invece otto (due atleti e due dirigenti) i membri della nazionale britannica di atletica in isolamento per aver avuto contatti stretti con un passeggero del volo che ha portato il team da Londra in Giappone. Nessuno di loro è comunque risultato positivo. Infine, la squadra di beach volley della Repubblica Ceca deve fare i conti con un caso. 

QN.NET

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La sfida interna che non giova al centrodestra

martedì, Luglio 20th, 2021

di PIERFRANCESCO DE ROBERTIS

Dopo aver passato le ultime settimane a scrivere e leggere pezzi sul possibile partito unico del centrodestra, assistiamo adesso a una guerra interna senza esclusione di colpi che porta più di un osservatore a porsi la domanda che suona in qualche modo da risposta: “Ma il centrodestra esiste ancora?”. Il candidato unitario in Calabria è saltato, la Meloni mette in piedi la sua rappresaglia dopo lo sgarbo subito sulla Rai arruolando uno dei tanti transfughi azzurri che da tempo avevano bussato alla sua porta. Un orizzonte che non si preannuncia sereno per una coalizione almeno dai numeri data come avanti di gran lunga alle altre. Ma i numeri in politica non sono tutto.

I problemi del centrodestra sono iniziati nel giorno in cui fu stabilito il principio secondo il quale “chi prende più voti fa il candidato premier”. Mantra ereditato dal passato, quando regnante Berlusconi si trattava di imbastire una narrazione esteriore a un principio che tutti sapevano non sarebbe mai stato messo in pratica. Il capo era lui, e basta. Non c’era bisogno di contare. La stella declinante del Cav ha però reso necessaria la contabilità, riduzione semplicistica della politica, ed ecco che dal piano dei contenuti l’attenzione ha iniziato a focalizzarsi su quello della matematica. E qui sono inziati i guai, perché tra i due principali azionisti della coalizione si è scatenata una competizione non verso l’esterno, come sarebbe stato naturale in un’ottica di “squadra”, alla caccia degli indecisi, degli astenuti o di chi votava un altro partito. Per poter esercitare la golden share matematica sulla coalizione, Salvini e Meloni hanno invece scelto la strada più facile, quella di rubarsi i consensi l’un l’altro. Con il risultato che il perimetro complessivo del centrodestra non è mutato (dopo le europee del 2019 la somma dei tre partiti era di 49,1, l’ultimo sondaggio SWG di ieri dava Lega, Fd’I, Fi e Coraggio Italia al 48,4) ma la conflittualità interna e in fin dei conti la credibilità della coalizione hanno subito un colpo durissimo.

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Il ritorno della Fornero, la Lega insorge

martedì, Luglio 20th, 2021

Roma, 20 luglio 2021 – Il ministro Andrea Orlando convoca i leader sindacali per il 27 luglio per riaprire il cantiere pensioni in vista della fine di Quota 100. Ma sul tavolo del Ministero del Lavoro arriva la bomba della nomina dell’ex ministro Elsa Fornero a consulente di Palazzo Chigi: e così scatta l’allarme rosso tra leghisti (“non siamo per niente tranquilli”) e grillini (“Impensabile un ritorno alla legge Fornero”), ma anche in Cgil, Cisl e Uil, contro colei che è stata considerata la più rigorista del governo Monti, autrice di una riforma lacrime e sangue. E che, per di più, si è più volte espressa proprio per l’abolizione tout court del canale di uscita anticipato voluto dal governo giallo-verde: “Avrei preferito – ha spiegato non a caso qualche mese fa – un impegno preciso a non rinnovare Quota 100: non vorrei che il governo rimanesse imbrigliato nella ragnatela dei partiti e della loro caccia al consenso”.

In realtà, l’ex ministro è stata nominata consulente nel Consiglio d’indirizzo per la politica economica, istituito, dieci giorni fa, dal sottosegretario con delega alla Programmazione, Bruno Tabacci. Compito del comitato, a titolo gratuito, sarà quello di “orientare, potenziare e rendere efficiente l’attività del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica” diretto da Marco Leonardi. Ma è bastato che la Fornero tornasse di nuovo sulla scena perché immediatamente si aprisse il fuoco di fila contro i possibili interventi dell’economista torinese. E, d’altra parte, come la pensi anche a distanza di dieci anni è noto.

“Quella delle pensioni è l’unica che in Europa non ci chiedono più perché l’abbiamo fatta”. Al massimo si possono fare operazioni chirurgiche per garantire qualche via d’uscita più favorevole per chi svolga lavori gravosi e per le donne, con Opzione donna. È altrettanto noto, però, che la Fornero sia invisa innanzitutto alla Lega: sono epici gli scontri anche in diretta tra la professoressa e Matteo Salvini. E, a quel che risulta, proprio il leader leghista ha preso male il ritorno in campo della Fornero. Da qui un’interrogazione urgente a Orlando con l’avviso: “La scelta di Elsa Fornero non è sinonimo di tranquillità e serenità, anche alla luce della prossima scadenza della sperimentazione di quota 100”. E di “disastro” nel caso di ritorno alla legge Fornero parla Massimiliano Fedriga. Ma non sono da meno i grillini.

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Il sangue del G8 e la strategia della tensione

martedì, Luglio 20th, 2021

Carlo Lucarelli

Provate ad immaginare un movimento di trecento, trecentocinquantamila persone, nella stragrande maggioranza giovanissimi. Accomunati da un impegno, attivo e concreto, molto appassionato, su tematiche altrettanto attive, concrete e appassionanti, e non tanto da una posizione ideologica preconcetta, quando proprio dalla concreta -appunto- urgenza, di certi argomenti. Difesa dell’ambiente, nuovi modelli di produzione ecosostenibile, politiche energetiche diverse, concezioni alternative del lavoro, diritti umani e civili, la pace, le migrazioni con tutte le opportunità e i problemi che si stavano ancora profilando all’orizzonte. Greta Thunberg, la Green Economy e Aboubakar Soumahoro, per dirla un tanto al chilo, ma vent’anni prima. Trecento, trecentocinquantamila persone, per lo più giovani, in gran parte delusi dai partiti.
Provate ad immaginare un movimento di trecento, trecentocinquantamila persone, nella stragrande maggioranza giovanissimi. Accomunati da un impegno, attivo e concreto, molto appassionato, su tematiche altrettanto attive, concrete e appassionanti, e non tanto da una posizione ideologica preconcetta, quando proprio dalla concreta -appunto- urgenza, di certi argomenti. Difesa dell’ambiente, nuovi modelli di produzione ecosostenibile, politiche energetiche diverse, concezioni alternative del lavoro, diritti umani e civili, la pace, le migrazioni con tutte le opportunità e i problemi che si stavano ancora profilando all’orizzonte. Greta Thunberg, la Green Economy e Aboubakar Soumahoro, per dirla un tanto al chilo, ma vent’anni prima. Trecento, trecentocinquantamila persone, per lo più giovani, in gran parte delusi dai partiti.

Non dalla politica, anzi, disposti proprio a metterla in pratica e in campo, quella politica, che, per dirla assieme a Giorgio Gaber quando parlava di libertà ma è lo stesso, non è star sopra un albero, come stavano facendo alcuni partiti, e neppure il volo di un moscone, come sembrava la intendessero altri, ma partecipazione.
Un movimento, aggiungiamo, che aveva grandi possibilità di diventare trasversale, e in parte già lo era. Perché certi argomenti e certe istanze, quando perdono le etichette del gioco politico, fanno paura e interessano tutti quelli che hanno voglia di ragionarci sopra.

Ecco, il momento e il luogo per riunirsi, definirsi e, appunto, ragionare di certe cose, il punto da cui dove cominciare un percorso che anche fisicamente partiva con una marcia, era Genova. Dove nel luglio del 2001 gli stati membri del G8 andavano a discutere e a rappresentare un altro modo di immaginare e gestire il mondo. Due universi a confronto, totalmente contrapposti. Benissimo. Sappiamo come è finita. Nel sangue.

Era cominciato qualche mese prima, con una crescita della tensione che avevamo già conosciuto in altre occasioni, più indietro nel tempo. Notizie allarmanti che preparavano al peggio nell’ottica di uno scontro annunciato. Frutta farcita di lamette e palloncini con sangue infetto da lanciare sulle forze dell’ordine, più di duecento body bag – i sacchi che si vedevano nei telegiornali riportare in patria i soldati uccisi nelle guerre del Golfo – ordinati dal governo per far fronte ad eventuali, nel senso di quasi sicure, vittime. Fake news, si direbbero oggi, disinformazione, si diceva una volta.

E poi le immagini trasmesse dai tg, con i black block che marciano inquadrati a metà tra le SS e i ninja della squadra giapponese di Rollerball, quello del ’75 con James Caan, che come loro fanno paura. Anarchici, per la stampa, forse no per chi era abituato a considerare l’Anarchia un’altra cosa, provocatori, eterodiretti o anche solo tollerati, per chi, come me, è abituato a pensar male. Una città blindata da migliaia di uomini delle forze dell’ordine, alcuni dei quali scelti appositamente tra quelli, diciamo così, particolarmente motivati e decisi ad usare la forza, e proprio in questo senso armati e preparati. La Zona Rossa come Fort Apache.

E poi le bombe. Non si ricordano spesso, e furono poco citate anche allora, ma ce ne sono quattro, due che esplodono e feriscono un carabiniere e una segretaria di redazione del Tg4, e due che non scoppiano, per fortuna, perché avrebbero ammazzato un sacco di gente. E anche questa – le bombe – è una cosa che abbiamo già visto.

Il primo sangue arriva venerdì 20 luglio. Dopo che gruppi di black block hanno devastato praticamente indisturbati parte della città, attaccando perfino il carcere Marassi, una colonna di carabinieri contrattacca, ma sbaglia i tempi e si scarica su piazza Manin, dove ci sono i manifestanti impegnati a discutere degli argomenti di cui sopra. Sessanta feriti, alcuni anche abbastanza gravi, tra gli insegnati, i medici, i pacifisti e i boy scout della Rete Lilliputh.

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Processi in bilico: dalla strage di Viareggio a Rigopiano, i procedimenti a rischio con la riforma

martedì, Luglio 20th, 2021

GRAZIA LONGO

ROMA. La prescrizione, così come stabilita dalla riforma della ministra della Giustizia Marta Cartabia rischia di affossare molti processi. L’Associazione nazionale magistrati lancia l’allarme e dichiara che «sono 150 mila i processi a rischio». Ma vediamo, nel dettaglio, in cosa consiste la nuova norma. Viene confermata l’attuale disciplina, che prevede lo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado (sia in caso di condanna sia in caso di assoluzione). Inoltre, si stabilisce una durata massima di due anni per i processi d’appello e di un anno per quelli di Cassazione. È prevista la possibilità di una ulteriore proroga di un anno in appello e di sei mesi in Cassazione per processi complessi relativi a reati gravi (per esempio associazione a delinquere semplice, di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, violenza sessuale, corruzione, concussione). Decorsi tali termini, interviene l’improcedibilità. Sono esclusi i reati imprescrittibili (puniti con ergastolo). La riforma sulla prescrizione punta a non sforare i tempi degli iter processuali. È, insomma, una clausola di garanzia contro i processi-lumaca. Ma il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia è preoccupato: «Con la riforma la sentenza di primo grado cadrà nel nulla e l’accertamento penale sarà definitivamente precluso. E ciò, si badi, senza che il reato sia stato estinto dalla prescrizione, dal decorso del tempo. Il diritto alla durata ragionevole dei processi, che certo va assicurato e tutelato, deve essere più attentamente bilanciato con l’interesse collettivo all’effettività della giurisdizione penale».

IL DISASTRO DI VIAREGGIO: La prescrizione poteva scattare ancora prima

L’incidente ferroviario si verificò nella notte tra il 29 e il 30 giugno 2009 alla stazione di Viareggio: l’esplosione a causa del gpl trasportato da un treno merci deragliato invase i quartieri vicini allo scalo della città della Versilia. Il bilancio fu di 32 morti e 35 feriti. Ma sono stati dichiarati prescritti gli omicidi colposi per la strage di Viareggio a seguito dell’esclusione dell’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza nel lavoro. La decisione è stata presa dalla Cassazione rinviando alla corte d’Appello di Firenze la riapertura dell’appello bis anche per l’ex ad di Fs e Rfi, Mauro Moretti. Essendo un processo lungo, se fosse stata in vigore la riforma Cartabia la prescrizione sarebbe scattata ancora prima.STRAGE DI RIGOPIANO: Udienze rinviate 12 volte, proteste delle parti civili

Ad alto rischio è anche l’iter per il processo di Rigopiano, la strage nel resort seppellito da una valanga ai piedi del Gran Sasso, il 18 gennaio 2017, che conta 29 morti. In tre anni e mezzo si sono susseguiti ben dodici rinvii per la conclusione dell’udienza preliminare. Le proteste non sono mancate anche a suon di carte bollate: tantissimi gli appelli di familiari e avvocati. Ma tra scioperi degli avvocati e slittamenti legati all’emergenza Covid, è stato tutto un procrastinare nel tempo. Visti i ritardi attuali è difficile che il processo prenda un’accelerazione. Lo striscione delle famiglie delle vittime è inequivocabile: «Dodici udienze e dodici rinvii».

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Se la politica produce paura e non cultura

martedì, Luglio 20th, 2021

Massimo Cacciari

Nessuno nasce libero – un solo essere (per quanto si sa), l’uomo, nasce con la possibilità di diventarlo. È un lavoro difficile e faticoso. Occorre combattere pregiudizi, ignoranze, abitudini e costumi che ci sembrano “naturali”. Occorre l’esercizio della critica nei confronti di ogni forma di potere, che intenda affermarsi a prescindere dalla ragionevolezza e coerenza dei propri fini, semplicemente in virtù della propria forza. Ma prima di tutto diventare liberi significa liberarsi dalle passioni e dalle paure che ci imprigionano continuamente. E mai queste pesano tanto sui nostri comportamenti e sulle nostre idee come nei momenti di crisi, di “salto d’epoca”. È inevitabile che il potere giochi su di esse; è sempre accaduto e sempre accadrà. Il sentimento di paura favorisce la naturale (questa sì davvero naturale) tendenza dell’uomo ad affidarsi a chi crede sia, magari per l’espace d’un matin, il suo buon pastore. Chiedimi quello che vuoi, ma rassicurami. Ci sarà a volte chi rassicura davvero, ma quasi sempre ci troveremo a che fare con chi sa fingerlo con abile spregiudicatezza. E quando una Fortuna propizia ci fa dono di una leadership adeguata, state pur certi che essa saprà far leva sulla partecipazione intelligente, sulla collaborazione di tutti i suoi governati mille volte più che su norme e pene.

Sono vent’anni che rispondiamo alle paure che la “grande trasformazione” produce promettendo soluzioni e ingigantendole, rassicurando e terrorizzando a un tempo. Un velleitario regime di sorveglianza universale si è andato formando all’interno delle maglie delle nostre democrazie. Le forze politiche sembrano cercare sempre più la propria legittimazione nel dimostrare di averne in testa il modello migliore.

Rassicura chi sorveglia e punisce con maggiore efficacia – di ciò sono convinte e questo pare oggi il destino. È iniziato da tempo, dall’attimo successivo alle grandi speranze con la nascita dell’euro. Prima il terrorismo islamico, poi la crisi economica e sociale, il brutale “ritorno all’Ordine” imposto alla Grecia, poi la tragedia dell’immigrazione, prodotto inevitabile di una globalizzazione priva di ogni governo, infine la pandemia. Nessuno di questi momenti è stato davvero superato; chiodo in questo caso non scaccia chiodo, ma lo fa per un po’ dimenticare. Le minacce, i pericoli sono realissimi. Non di questo si discute, ma della risposta che a essi si dà, e della cultura che questa sottende. E la risposta segue un paradigma univoco: drammatizzazione della paura; informazione a base di “si si-no no”, aut-aut, bianco-nero; un balbettante consolare-rassicurare privo di analisi, sostanza, progetto; enfasi straordinaria sulla dimensione normativistico-penalistica degli interventi. Fino a qualche tempo fa quest’arte sembrava essere saldamente in mano alla destra. Chiudere le frontiere contro il terrorismo, sbarrare qualche porto per combattere l’immigrazione. Pene durissime per i barbari che ci vorrebbero invadere. La paura per il crollo dell’Occidente e le invasioni barbariche è stato il territorio d’elezione della propaganda e delle rassicurazioni delle destre europee nazionaliste e sovraniste. Ben più efficace l’azione della destra europeista che facendo leva sulla paura per la perdita di stabilità e lo spettro di Weimar, ha nei fatti annichilito dopo il 2007 nei Paesi del continente lo spazio per qualsiasi reale, autonomia in campo economico-finanziario.

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In nome del popolo

martedì, Luglio 20th, 2021

MATTIA FELTRI

C’è una storiella di Woody Allen che fa più o meno così: domattina alle sei sarò giustiziato da innocente; dovevo essere giustiziato alle cinque ma ho un avvocato in gamba.

Non so se la storiella si applichi all’Avvocato dei nostri tempi, quello del popolo, ma sentite qua: a Giuseppe Conte la riforma della giustizia di Marta Cartabia non va giù, in particolare che si reintroduca la prescrizione dei reati già cancellata dal suo primo governo, quello pentaleghista (un minuto di silenzio per Salvini passato dalla riforma più giustizialista di sempre ai referendum più garantisti di tutti i tempi).

Per Conte i processi possono durare in eterno altrimenti i suoi colleghi avvocati, quelli bravi, dei colletti bianchi, la tirano in lungo e salvano i colpevoli: altro che il patibolo di Woody Allen rinviato di un’ora. Poi le carceri sono piene di poveri cristi in attesa di giudizio ma vabbè. Per illustrare il concetto, l’Avvocato del popolo ha preso l’esempio del Ponte Morandi: non accetteremo mai che il processo rischi di estinguersi. Diciamo così, un colletto bianco non ingaggerebbe mai Conte, perché la riforma Cartabia si applica ai reati commessi dal primo gennaio 2020, e il Morandi è crollato nell’agosto del 2018. E sapete perché dal gennaio 2020? Perché sostituisce la riforma di Conte che nel gennaio 2020 è entrata in vigore, sebbene Conte non se lo ricordi.

Quindi il Morandi non c’entrava prima né c’entra adesso, e la storiella di Woody Allen va aggiornata: domattina alle quattro sarò giustiziato da innocente; dovevo essere giustiziato alle cinque ma il mio avvocato è quello del popolo.

LA STAMPA

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Vaccini, immunizzata la metà degli italiani: è scontro sull’obbligo per i docenti

martedì, Luglio 20th, 2021

di Adriana Logroscino

Scintille tra Letta e Salvini. Il segretario pd: «Scherzi con la salute». Il leader del Carroccio: «Non scherzo. Obbligo inutile e non da paese libero»

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Qualche mese fa il presidente della Repubblica, contro «il virus che tende a dividerci», invitava la politica a evitare le polemiche. Oggi, mentre il contagio da Covid riprende quota, a far litigare la politica sono i vaccini: l’obbligatorietà almeno per gli insegnanti, invocata da una parte, contro la libertà dei cittadini da uno Stato che li «rincorre con le siringhe in mano», dall’altra. L’unica differenza, rispetto a novembre scorso quando il capo dello Stato lanciò il suo appello, è che a schierarsi sugli opposti fronti oggi sono due partiti alleati nel governo Draghi: Pd e Lega.

Letta: «Io a favore dell’obbligo vaccinale, Salvini irresponsabile»

Di cittadini inseguiti dalle siringhe, Matteo Salvini ha parlato più volte nelle scorse settimane per difendere la libertà di non vaccinarsi. Ma è stata l’ultima occasione in cui ha evocato l’immagine, riferendosi ai ragazzi dei quali altri partiti invocano una immunizzazione più massiccia per garantire la ripresa della scuola in presenza, a provocare la reazione di Enrico Letta. «Salvini — dichiara il segretario del Pd — ride e scherza sui vaccini, è un comportamento del tutto irresponsabile. Non si scherza sulla salute degli italiani. Le vaccinazioni sono una priorità assoluta. Il governo prenda iniziative le più stringenti possibili. Io sono per l’obbligo vaccinale».

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Vaccini, Flick: “L’obbligo nelle scuole sarebbe costituzionale” | Ma sulla questione la maggioranza di governo si divide

martedì, Luglio 20th, 2021

Secondo Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, sull’obbligo vaccinale non ci sarebbe nessuna controindicazione perché “la Costituzione lo prevede”. Flick si è fatto promotore assieme a una ventina di giuristi di una lettera rivolta al presidente del Consiglio Mario Draghi per una legge sull’obbligo vaccinale nelle scuole. “Lo Stato può introdurlo legittimamente alla luce dell’articolo 16 e 32 della Costituzione”.

I due articoli in questione riguardano rispettivamente la possibilità di porre limiti alla libertà di circolazione per ragioni sanitarie e la tutela del diritto fondamentale alla salute come interesse della collettività.

Intanto sulla questione il dibattito all’interno della maggioranza si fa sempre più aspro. Se il Pd spinge per un ricorso all’obbligo per i professori, la Lega fa muro. Ad alimentare un dibattito già in fermento sono le parole del ministro della Pubblica Istruzione Patrizio Bianchi, che – parlando in generale del rientro a scuola in sicurezza – spiega: “Ci troveremo questa settimana col Consiglio dei ministri e la decisione sull’obbligo vaccinale o meno per gli insegnanti andrà presa dall’intero collegio”.

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