Archive for Settembre, 2021

Salvini-Meloni, sfida all’ultima piazza. E Matteo litiga in strada con Calenda

lunedì, Settembre 27th, 2021

Chiara Giannini

È caccia all’ultimo voto per il leader della Lega, Matteo Salvini (nel tondo in alto) e per quella di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni (nel tondo in basso), che lo scorso weekend hanno fatto il pieno di appuntamenti in vista delle amministrative del prossimo fine settimana. L’importante, per i due vertici di partito, è portare a casa consensi, facendo percepire la presenza capillare sul territorio.

Il leghista negli ultimi due giorni ha optato per un tour nella Capitale, tra Tor Bella Monaca (sabato), Ostia Lido e il mercato domenicale di Porta Portese, dove si è trovato a un faccia a faccia improvviso con Carlo Calenda. I due si sino scambiati rispettivamente un buffetto sul collo e una pacca sulla spalla. «Cattivissimi», ha detto Calenda a Salvini mostrandogli il pugno chiuso. «Io non riesco a essere cattivo», ha controbattuto l’ex ministro dell’Interno. «Ma come non ci riesci? La destra manco cattiva?», ha ironizzato l’altro. A quel punto è intervenuto uno dei candidati della Lega, Fabrizio Santori, che al leader di Azione ha detto: «Ci devi dare una mano dopo». Tra qualche risatina la risposta non ha tardato ad arrivare: «Vi devo dare una mano? Certo voi datemela prima a me così arrivate quarti». Poco dopo Calenda sui social ha scritto: «Il ragazzetto faceva lo spiritoso e stamattina siamo stati a trovarlo. Dal vivo tiene le penne basse. Bene così». Salvini non ha tardato a replicare: «Un ricco e viziato signore, che oggi al mercato di Porta Portese non si filava nessuno (a differenza di tanti commercianti e cittadini che incitavano e ringraziavano me e la Lega) e che per esistere ha dovuto attraversare trafelato la strada, passando pure col rosso, per provare ad attaccare briga. Noi oggi abbiamo risposto con educazione e sorriso, i cittadini romani risponderanno con una valanga di voti alla Lega domenica e il ricco signore deciderà poi al ballottaggio chi sostenere, visto che lui non ci arriverà». Poco dopo è partito per Ostia, dove ha fatto un giro per il porto in sostegno della candidata Monica Picca. «Quello che i cittadini chiedono alla Lega è lavoro e meno tasse – ha chiarito – Lascio che la sinistra si occupi di ddl Zan, droghe e Ius Soli, noi pensiamo di difendere quota cento, evitare il ritorno alla Legge Fornero e convincere il governo, come abbiamo fatto con Draghi questa settimana, a dire di no all’aumento dell’Imu, alla revisione del catasto e trovare tre miliardi di euro per tagliare le tasse su luce e gas».

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Hanno un lavoro ma sono poveri. Allarme Inps: basta paghe da fame

lunedì, Settembre 27th, 2021

di CLAUDIA MARIN

Oggi sono oltre 2 milioni i lavoratori che lavorano a 6 euro all’ora lordi. Ci sono riders che corrono e fanno incidenti anche mortali e guadagnano 4 euro all’ora. Questo non è tollerabile. Non è tollerabile in un’economia avanzata”.

Il giorno dopo il rilancio sul salario minimo legale dalla kermesse della Cgil a Bologna (a 9 euro lordi l’ora secondo la proposta originaria presentata in Parlamento) da parte di Giuseppe Conte, Enrico Letta e Maurizio Landini, è il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, storico sostenitore della misura di matrice grillina, a mettere in fila i primi numeri per sostenere la necessità del varo del nuovo parametro. Ma il dossier del lavoro “povero” o “impoverito” e dei “working poor” va ben oltre e, anzi, in una classifica al contrario vede gli stagisti messi ancora peggio dei riders.

Mentre solo poco sopra stanno coloro che svolgono il part-time involontario (che riguarda 2,7 milioni di lavoratori, con un boom tra i giovani e del 71,6% dal 2007, e le donne) e i contratti a termine. Con il risultato che prima della pandemia i lavoratori che guadagnavano meno di 9 euro l’ora lordi erano 2,9 milioni: oggi quelli che si collocano sulla soglia o poco sotto dei 9 euro sono 4 milioni. È quello che i ricercatori del Censis definiscono come bluff occupazionale: quando aumentano i posti di lavoro, ma non i salari.

E, d’altra parte, a sostegno dell’introduzione del salario minimo legale, lo stesso Tridico rinvia a una serie di argomenti che fanno riferimento innanzitutto ai giovani e alle donne: per loro è determinante, “nella carriera lavorativa, la donna con figli rinuncia a 5 mila euro in media di stipendio rispetto a una donna che non ha avuto figli. Le vittime di salari bassi sono principalmente giovani e donne”.

Mentre alle associazioni imprenditoriali che paventano drastici incrementi di costo e a quella parte del sindacato, come Cisl e Uil, che teme l’effetto di un appiattimento delle retribuzioni verso il basso, lo stesso Tridico manda a dire che “il salario minimo non è contro il sindacato, integra la contrattazione” e che “laddove è stato introdotto ha spinto investimenti capital intensive, spinge le imprese a scegliere strategie di investimenti che sfruttino maggiormente il capitale e l’innovazione piuttosto che il lavoro a basso costo e questo porta incrementi di produttività”.

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Giorgetti: “Non esistono due Leghe. Voglio Draghi al Quirinale, poi torniamo subito al voto”

lunedì, Settembre 27th, 2021

Andrea Malaguti

Nord. Bisognerebbe scriverlo maiuscolo. Perché l’impressione – o forse è uno scherzo del cervello – è che qualunque frase esca dalla bocca di Giancarlo Giorgetti finisca con uno stentoreo Nord. Detto in varesotto e in tonalità Bossi, il suo vero, riconosciuto, punto di riferimento. «Il 99% di quello che so l’ho imparato da lui e a dire il vero gli farei ancora gestire la partita del Quirinale». Produttività, lavoro e una sfumatura della fu Romaladrona. Che un tempo era anche la sinfonia preferita di Matteo Salvini e oggi invece è il terreno scivoloso che divide il ministro e il suo Capitano, sfiancato dalla Meloni e pervicacemente avvinghiato all’idea dal partito nazione. E poi c’è Draghi. Passione di Giorgetti, ossessione di Salvini, capace di suscitare una sottile e inedita diffidenza, un sentimento piccolo, come una capocchia di spillo, che per loro – e per i destini della Lega – ha però un peso specifico importante.

Così, in un elegante albergo nel centro di Torino, Giancarlo Giorgetti, nel corso di un pranzo ritagliato tra un incontro e l’altro per la campagna elettorale di Paolo Damilano, decide di fare il punto con «La Stampa» sullo stato dei suoi rapporti col Capitano e con Draghi, sulla corsa al Colle e sulle aspettative per il voto di domenica. Ministro Giorgetti, ci sono due Leghe?
«Una sola, fatevene una ragione».

Per lo meno ci sono due linee.
«Per niente. Al massimo sensibilità diverse. Amando le metafore calcistiche direi che in una squadra c’è chi è chiamato a fare gol e chi è chiamato a difendere. Io per esempio ho sempre amato Pirlo. Qualcuno deve segnare, qualcuno deve fare gli assist».

Lei a Varese ha detto: ci rifacciamo alla Lega lombarda, che univa le comunità e faceva il bene della propria gente.
«E’ vero, qual è il problema?».

Nessuno. Solo che mentre lei richiamava le radici del Nord a Tor Bella Monaca Salvini diceva: io mi sento romano d’adozione.
«Bisogna vedere come la pensano i romani».

Secondo lei?
«Vedremo la prossima settimana. Ma è vero che la Capitale ci ospita, anche se io vivo nella campagna di Varese».

Chi vince le amministrative a Roma?
«Dipende da quanto Calenda riesce a intercettare il voto in uscita dalla destra. Nei quartieri del centro penso che sarà un flusso significativo. Ma non so come ragionino le periferie. Se Calenda va al ballottaggio con Gualtieri ha buone possibilità di vincere. E, al netto delle esuberanze, mi pare che abbia le caratteristiche giuste per amministrare una città complessa come Roma».

E se al ballottaggio ci vanno Gualtieri e Michetti?
«Vince Gualtieri».

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Ora l’Europa non vacilli

lunedì, Settembre 27th, 2021

Stefano Stefanini

I tedeschi hanno deciso di non decidere chi succederà ad Angela Merkel. Il testa a testa fra Olaf Scholz e Amrin Laschet non sarà deciso dai suffragi ma dalle contrattazioni con gli altri partiti di cui sia l’uno che l’altro hanno bisogno per raggiungere la maggioranza. Dalle elezioni la parola passa al bazar politico. Nella stabile Germania è un esercizio di democrazia per quanto indiretto. Avrà due stadi: primo la scelta dell’alleanza; secondo, il programma di governo. Quest’ultimo è un vero contratto, negoziato nei dettagli e onorato fino alla scadenza.

Tempi prevedibili? Almeno un paio di mesi, facilmente di più.

L’Europa e il resto del mondo attendono con impazienza. Ci sono appuntamenti internazionali imminenti, come il vertice G20 di Roma e il COP26 di Glasgow; Berlino determina gli equilibri in una Ue che ricomincia a discutere le regole fiscali, si prepara all’uscita dalla pandemia e punta al rilancio economico fondato su transizione “verde” e digitale; il rapporto transatlantico con l’amministrazione Biden è un lavoro in corso, dopo l’estate che delle incrinature sul ritiro dall’Afghanistan e, da ultimo, del duello franco-americano sui sommergibili all’Australia; Cina e Russia non chiedono di meglio che un’Europa senza barra ferma. Anche se Markel rimane al timone fino al cambio della guardia, Se gli exit poll saranno confermati, i due maggiori partiti Spd e Cdu/Csu sono in parità quasi assoluta, con una frazione di suffragi (0,2%) a favore dei socialdemocratici di Olaf Scholz. Insieme si sono accaparrati circa la metà dei voti; quattro partiti, Verdi, Liberali dell’Fdp, estrema destra dell’Afd e ex-comunisti di Linke, si dividono l’altra metà. Bisognerà vedere come i voti si traducono nella composizione finale del Bundestag. Nel sistema tedesco del doppio voto, per il candidato e per il partito, il parlamento ha qualche elasticità di numeri. Dal voto emerge comunque un elemento di chiarezza riducendo di fatto a due le possibili alleanze. Verdi e Liberali partner obbligati; la variabile è con chi dei due maggiori partiti e, di conseguenza, se con Scholz o Laschet alla guida.

Sempre in base agli exit poll Verdi e Liberali sono quasi appaiati per il terzo posto. Gli uni preferirebbero il candidato Spd, i secondi quello Cdu/Csu. Le proiezioni danno alla formula Spd-Verdi-Fdp, coalizione “semaforo”, 5 seggi in più che a quella Csu/Cdu-Verdi-FdP, coalizione “Giamaica”. In pratica gli elettori lasciano la scelta ai politici ma ne limitano la libertà a due sole opzioni. Che sono un misto di cambiamento e continuità.

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Draghi e il destino dei partiti

lunedì, Settembre 27th, 2021

Marco Follini

Caro direttore,

il silenzio di Draghi è una criticità per i media, ma è un’occasione per i partiti. Esso crea un vuoto sulla scena mediatica, ma allarga i confini della scena politica. Un presidente del consiglio così sobrio di parole (fin troppo, dice lei) ha forse il merito, e l’accortezza, di lasciare alle forze della sua maggioranza uno spazio più ampio nel quale darsi da fare per elaborare una visione e non solo cercare di afferrarne qualche brandello qua e là.

E’ evidente infatti che quasi tutti i soci della coalizione che sostiene il premier si trovano un po’ a malpartito, se così si può dire, nel bel mezzo dei loro conflitti. Alcuni per antica scuola appaiono più disciplinati, altri praticano con troppa disinvoltura il doppio registro del governo e della lotta, altri ancora confidano nella forza maldestra del loro nervosismo. Ma ognuno di loro fatica a capire il nesso tra la disciplina a cui la situazione li costringe oggi e tutto il potere e tutte le libertà di cui confidano di riappropriarsi in un domani non troppo lontano. Dato che questo copione si ripeterà, si tratta allora di capire come si può dare un costrutto a tutto ciò. Ora, a me pare che se Draghi desse l’idea di coltivare in proprio un canonico progetto politico la conflittualità nella maggioranza sarebbe ancora più aspra e nervosa. Mentre proprio quella sua attitudine a tenersi alla larga dai riflettori sembra confermare a tutti loro che non ci sarà mai un “partito” di Draghi, e che le sue conquiste pubbliche, quali che saranno, non faranno mai troppo ombra ai partiti attuali, detentori di un presente scarno ma in cerca, tutti loro, di un futuro più promettente.

Dunque, la palla torna alle forze politiche. Nessuna delle quali sembra aver capito fino in fondo la portata della sfida che le riguarda. Infatti il gioco di prendere di volta in volta qualche distanza gli uni dagli altri, e tutti insieme dal premier, avrebbe un senso se il contesto dovesse rimanere sempre quello attuale. Ma se invece Draghi allarga il vuoto della politique politicienne è ovvio che gli sparsi detentori di quel marchio (o, più nobilmente, di quella ambizione) prima o poi dovranno elaborare un’idea più ampia di se stessi e del paese.

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La Cancelliera senza eredi

lunedì, Settembre 27th, 2021

Francesca Sforza

Dopo di lei, non molto. Angela Merkel se ne va dalla scena politica tedesca lasciando, alle sue spalle, un evidente vuoto di leadership. Che a ben vedere non è soltanto il risultato di una campagna elettorale zoppicante e assai poco centrata da parte della Cdu (soprattutto del candidato Armin Laschet), ma di una leadership – quella di Merkel – che ha sempre faticato a trovare eredi.

I suoi esegeti più attenti l’avevano capito sin dal suo discorso di addio alla presidenza del partito, nel gennaio scorso, quando anziché mostrare, da subito, il sostegno a uno dei tre candidati alla cancelleria – o tacere del tutto sull’argomento, cosa che pure sarebbe stata plausibile in quell’occasione – fece gli auguri a «tutta la squadra dei contendenti», come se a diventare Cancelliere della Germania fosse una squadra, e non uno solo.

Il risultato di ieri conferma che i tedeschi avrebbero probabilmente ri-votato Angela Merkel alla Cancelleria, ma che in sua assenza la Cdu non è riuscita a trattenerli all’interno del partito – il crollo di consensi è stato il più grave di sempre – e questo malgrado Merkel, abbia spesso enfatizzato il “Noi” sotto cui intestare dei successi politici che in realtà lei stessa percepiva soprattutto come “suoi”: «La Cdu rimane un partito popolare di centro, un partito plurale che supera i conflitti e persegue la coesione della società», aveva detto nel suo discorso di addio alla presidenza del partito.

Su quel “Noi” Angela Merkel ha consumato più di uno strappo con la pancia dei cristiano-democratici tedeschi, sin da quando nel 2015 pronunciò la storica frase «Wir schaffen das» – ce la facciamo – a proposito della capacità di accoglienza dei migranti siriani da parte della Germania. Un “Noi” non concordato con i suoi, e soprattutto non condiviso dall’elettorato, che si è trovato da un giorno all’altro scaraventato in una prospettiva politica “troppo di sinistra” rispetto a quanto poteva sopportare. O quando, prima ancora, nel 2011, decise l’uscita della Germania dal nucleare contrariando tutto l’establishment della grande industria e lasciando di stucco gli stessi Verdi, che mai si sarebbero aspettati dalla Cdu una svolta così.

Provvedimento su provvedimento, morso a morso, Angela Merkel ha progressivamente rosicchiato lo spazio socialdemocratico, erodendolo, impoverendolo a ogni elezione amministrativa comunale e regionale. Ma è come se da lei i tedeschi potessero tollerarlo – anche se non con entusiasmo, come dimostrano gli ultimi risultati elettorali, mai davvero esaltanti, anche quando erano solidi. Andata via lei, la sola capace di fare da collante, grazie alla tenacia e al potere di rassicurazione acquisito in decenni di permanenza al potere, i tedeschi della Cdu devono essersi chiesti perché mai continuare a restare in una casa dove tutti quelli che li avevano invitati se ne erano andati, o non avevano più nulla di interessante da dire.

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Reddito di cittadinanza: cosa deve cambiare

lunedì, Settembre 27th, 2021

di Milena Gabanelli e Rita Querzè

La civiltà di un paese si misura anche dalla sua capacità di non abbandonare i poveri a loro stessi. Per il reddito di cittadinanza spendiamo circa 7,2 miliardi l’anno per sostenere 1,36 milioni di famiglie su 2 milioni di famiglie povere totali. Questo strumento, però, è nato con molti limiti che vanno urgentemente corretti, cominciando col non darlo a chi non ne ha diritto.

Quanti furbi sono stati scovati

Al 31 agosto scorso, su 3.027.851 persone che avevano ottenuto il reddito di cittadinanza, a 123.697 è stato revocato l’assegno a causa di dichiarazioni false. Le più frequenti riguardano la composizione del nucleo familiare, il reddito, la mancata dichiarazione dello stato detentivo o della presenza di condanne di particolare gravità, come l’associazione mafiosa. Certo è molto complicato controllare tutte le richieste di poveri veri e presunti, ma potenziare l’incrocio dei dati, a partire dall’anagrafe nazionale, consentirebbe di individuare a monte chi non ha diritto, prima di fare il versamento. Anche perché una volta scovati i furbi, quei soldi non li rivedrai mai più.

Penalizzate le metropoli del nord

Il livello di povertà dipende dalle entrate mensili in rapporto al costo della vita del luogo in cui vivi. Per questo l’Istat stabilisce soglie diverse di reddito al di sotto delle quali si è poveri.

Prendiamo due single. Giorgio abita a Milano e guadagna meno di 840 euro al mese. Antonio risiede a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno, e non arriva a 570 euro al mese. Per l’Istat Giorgio e Antonio sono poveri alla stessa maniera perché a Nocera Inferiore i prezzi sono più bassi che a Milano, quindi la quantità di cose che possono permettersi è identica. La soglia di povertà fissata dal reddito di cittadinanza per i single è di 780 euro, vuol dire che Antonio prende l’assegno e Giorgio no. Non solo: se a Nocera Inferiore guadagni ogni mese 650 euro per l’Istat non sei povero in senso assoluto, ma il reddito di cittadinanza viene dato lo stesso perché sei sotto i 780 euro. Il risultato finale è che oggi il 36% di coloro che prendono il reddito, non se la passano bene, ma non sono poveri. Mentre c’è un 56% di poveri che oggi non riceve il reddito. Quelli tagliati fuori abitano al Nord e nelle metropoli. Da notare: il reddito di cittadinanza di un single è composto da 500 euro per vivere più 280 per l’affitto. E il contributo per l’affitto è lo stesso in tutta Italia. Ma un monolocale periferico a Milano non lo trovi a meno di 400 euro, a Nocera Inferiore te ne bastano 200.

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I risultati delle elezioni in Germania: la Spd ha vinto, ma la Cdu non cede

lunedì, Settembre 27th, 2021

di Elena Tebano, inviata a Berlino

Il conteggio ufficiale provvisorio della Commissione elettorale federale ha dato la Spd al 25,7%, la Cdu/Csu al 24,1%, i Verdi al 14,8%, i liberali di Fdp all’11,5%, l’estrema destra AfD al 10,2%, la sinistra radicale Linke al 4,9%

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Per la prima volta nel Dopoguerra i due maggiori partiti tedeschi sono entrambi sotto il 30%. Per l’Unione, la federazione formata dai partiti gemelli Cdu e Csu che sotto la guida di Angela Merkel ha vinto le ultime quattro elezioni politiche, è il peggior risultato di sempre. Per i socialdemocratici della Spd, fino a pochi mesi fa 20 punti sotto l’Unione, un successo relativo, perché senza un mandato schiacciante per governare. Per i Verdi il miglior risultato di sempre, ma comunque una delusione.

Mai il panorama politico in Germania era apparso così frammentato e soprattutto imprevedibile, una parola che ai tedeschi piace pochissimo. Il giorno dopo il voto, nelle prime ore del mattino, il conteggio ufficiale provvisorio della Commissione elettorale federale ha dato la Spd al 25,7%, la Cdu/Csu al 24,1%, i Verdi al 14,8%, i liberali di Fdp all’11,5%, l’estrema destra AfD al 10,2%, la sinistra radicale Linke al 4,9%, con la possibilità che non riesca a superare lo sbarramento (che potrebbe aggirare con la vittoria in tre collegi uninominali, due a Berlino e uno a Lipsia, dove adesso è in vantaggio).

La Cdu, a risultati non definitivi, perdeva anche nel distretto dove ha votato Laschet, ad Aquisgrana. A Potsdam invece Scholz ha prevalso nell’elezione diretta su Annalena Baerbock.

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Luca Morisi indagato, l’inventore della «Bestia» ed ex guru social della Lega accusato da tre giovani: «Ci ha dato lui la droga»

lunedì, Settembre 27th, 2021

di Fiorenza Sarzanini

C’è un motivo di «opportunità» dietro la scelta di Luca Morisi di uccidere «la Bestia» che per anni ha curato l’immagine social di Matteo Salvini. È indagato dalla procura di Verona per cessione di stupefacenti. Per questo quattro giorni fa, all’improvviso, ha deciso di lasciare l’incarico.

«Questioni personali, non c’è un problema politico ma ho solo bisogno di staccare per un po’», aveva fatto filtrare senza aggiungere alcun dettaglio ma alimentando così le voci su gravi dissapori con il «capo». O addirittura l’ipotesi che fosse in disaccordo con la linea troppo governista di un’ala del partito.

E invece il motivo reale dell’abbandono è legato a un’inchiesta avviata dopo la denuncia di carabinieri che hanno perquisito la sua cascina a Belfiore, paesino in provincia di Verona, e trovato alcune dosi di droga.

Tutto comincia a metà agosto quando vengono fermati tre giovani e nell’auto hanno un flacone di droga liquida. La versione ufficiale racconta che sono loro ad accusare Morisi di avergliela ceduta. In realtà c’è il sospetto che Morisi fosse sotto osservazione già da qualche settimana e il controllo apparentemente casuale dei tre giovani sia scattato proprio monitorando i suoi contatti.

Una «soffiata» che in effetti si rivela fondata. Quando scatta la perquisizione i carabinieri trovano altra droga nella sua abitazione. Il quantitativo è modesto, ma il fatto che i tre ragazzi lo abbiano indicato come lo spacciatore, fa scattare l’accusa più grave di cessione e non la semplice detenzione. Morisi finisce dunque nel registro degli indagati.

La vicenda rimane riservata, ma nei giorni scorsi, quando Morisi decide di dimettersi, in Parlamento cominciano a circolare numerose indiscrezioni. C’è chi parla di una perquisizione per droga, addirittura qualcuno ipotizza che dalla sua cascina sia stato portato via materiale informatico.

Ieri sera arriva la conferma: Morisi è sotto inchiesta. I contorni della vicenda rimangono però ancora oscuri. Dalla perquisizione è trascorso più di un mese. Perché soltanto adesso ha deciso di lasciare l’incarico? E soprattutto aveva avvisato Salvini di quanto era accaduto? Altri nella Lega erano al corrente dell’indagine avviata dai carabinieri?

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Elezioni in Germania, Spd vince col 25,7% | Scholz rivendica la cancelleria, partono le trattative per un governo entro Natale

lunedì, Settembre 27th, 2021

Il partito socialdemocratico Spd ha vinto le elezioni parlamentari in Germania, segnando la fine dell’era Merkel, con il 25,7% dei voti, leggermente davanti ai conservatori, secondo un conteggio ufficiale provvisorio annunciato dalla Commissione elettorale federale. Il campo conservatore Cdu-Csu ha ottenuto il 24,1% dei voti, il peggior risultato della sua storia, mentre i Verdi sono arrivati al terzo posto con il 14,8%.

Governo entro Natale? Merkel potrebbe infrangere altro record – Se in Germania ci vorrà molto tempo per formare un nuovo governo, come i risultati lasciano pensare, Angela Merkel potrebbe superare il record attualmente detenuto da Helmut Kohl e diventare la leader rimasta più a lungo al potere nel Paese. Per superare Helmut Kohl, dovrebbe rimanere al governo fino al 17 dicembre. 

Angela Merkel, i 4 governi della cancelliera

Angela Merkel, i 4 governi della cancelliera

Parte il poker per le coalizioni – I socialdemocratici dunque risorgono dopo la batosta del 2017 e i conservatori sono in calo di consensi, ma entrambe le formazioni rivendicano la cancelleria e dunque l’incarico di provare a costruire una coalizione. In tutto questo Verdi e liberali della Fdp, rispettivamente terzo e quarto partito, diventano il vero ago della bilancia per capire che volto avrà il prossimo governo. “Adesso inizia il poker del potere”, titola Der Spiegel. Per la formazione del nuovo esecutivo potrebbero volerci settimane. 

Scholz e Laschet reclamano la vittoria – Olaf Scholz, candidato Spd, attuale ministro delle Finanze e vice di Angela Merkel nel governo di Grosse Koalition, ha preso la parola dalla Willy Brandt Haus poco dopo la diffusione dei risultati iniziali: “I cittadini vogliono che ci sia un cambiamento nel governo e vogliono che il cancelliere si chiami Olaf Scholz”, ha detto, esprimendo entusiasmo per il “grande successo” dopo il tracollo delle precedenti elezioni federali. Poco prima il conservatore Armin Laschet era intervenuto dal quartier generale della Cdu a Berlino, Konrad Adenauer Haus, dov’era arrivata anche la cancelliera: “L’esito finale non e’ certo”, “faremo tutto il possibile perché si possa creare un governo sotto la guida dell’Unione”, ha detto. Riconoscendo tuttavia che “non possiamo essere soddisfatti del risultato”: se i primi numeri venissero confermati, per i conservatori si tratterebbe del peggior risultato dal secondo dopoguerra, oltre che un crollo rispetto al 2017. La ‘verde’ Annalena Baerbock, prima candidata del partito alla cancelleria, ha parlato di numeri “fantastici”, segnalando che dalle urne emerge la necessita’ di un “governo del clima”.


Verdi e liberali diventano ago della bilancia – Per chiunque voglia diventare cancelliere la cosa fondamentale è ottenere il sostegno dei Verdi, che sono appunto terzo partito, e dei liberali della Fdp, il quarto. Saranno dunque gli orientamenti di questi partiti a decidere le sorti del prossimo esecutivo. Tanto che il leader Fdp, Christian Lindner, ha detto al dibattito tv post elettorale che il suo partito e i Verdi dovrebbero prima parlare fra loro. Le opzioni più probabili sembrano essere una coalizione “semaforo” (cioè Spd, Verdi e Fdp), nel caso in cui a dare le carte sia il partito socialdemocratico, o una coalizione “Giamaica” (cioè Cdu/Csu, Verdi e Fdp), nel caso in cui a dare le carte sia Laschet. 

Gioia e applausi nella sede dell’Spd – Urla da stadio e applausi hanno accolto i primi exit poll nella sede del Spd a Berlino. Il segretario generale del partito rivendica, quindi, la cancelleria per Olaf Scholz. “Abbiamo sempre saputo che sarebbe stato un testa a testa, con uno scarto molto ridotto”, ha affermato Lars Klingbeil -. Ma abbiamo un chiaro mandato per l’Spd e vogliamo che Olaf Scholz sia cancelliere”.

Elezioni in Germania, gioia e applausi nella sede dell'Spd dopo gli exit poll 
 

Segretario Verdi: “Deluso da risultato” – Il segretario dei Verdi Michael Kellner si è detto deluso per la prestazione del suo partito dopo i primi exit poll delle elezioni federali. “Abbiamo fatto progressi significativi ma faccio fatica a essere entusiasta, le aspettative erano decisamente più alte”, ha aggiunto. Per una coalizione i Verdi hanno dichiarato di preferiti l’Spd.

AfD: Il nostro risultato è solido” – “Penso che sia un risultato solido”. Così Tino Chrupalla, portavoce del partito tedesco di estrema destra Alternativa fue Deutschland (Afd). “Sicuramente anche le perdite fanno male”, ha aggiunto. L’Afd è entrata per la prima volta al Bundestag nel 2017 con 94 deputati (12,64%); stando agli exit poll della Zdf, oggi, avrebbe ottenuto 83 deputati (10%).

Linke (sinistra): “Abbiamo perso male” – “Un duro colpo per noi. Abbiamo perso male”. Lo ha detto Susanne Hennig-Wellsow, leader del partito della Sinistra (Linke). “Abbiamo commesso molti errori”, ha detto l’esponente politico di fronte ai primi exit poll, che danno il partito al 5%, appena sopra alla soglia di sbarramento, perdendo rispetto al 2017 il 4,2% dei consensi.

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