Archive for Novembre, 2021

Variante Omicron, i vaccini bastano a proteggerci?

domenica, Novembre 28th, 2021

di Laura Cuppini

Secondo gli esperti, la terza dose dovrebbe fornire una protezione adeguata anche per la variante Omicron. In caso contrario, Pfizer potrebbe mettere a punto un vaccino ad hoc in 100 giorni. Anche Moderna è già al lavoro

La variante Omicron si sta diffondendo rapidamente, anche in Europa (anche in Italia è stato individuato un primo caso): potrebbe «bucare» i vaccini oggi disponibili?
Il ceppo B.1.1.529, segnalato il 24 novembre in Sudafrica, presenta numerose mutazioni, di cui alcune già viste — separatamente — nelle varianti precedenti Beta, Gamma e Delta. Dai primi dati sappiamo che molto probabilmente Omicron è più infettiva di Delta, ovvero si diffonde rapidamente, ma per ora non sembra essere più patogena. Per capire se sfugge al sistema immunitario dei vaccinati serviranno alcune settimane.

«Davanti a noi abbiamo tre ipotesi — sottolinea Carlo Federico Perno, direttore dell’Unità di Microbiologia all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma —. La prima (probabile) è che Omicron, così come accaduto alle varianti Alfa, Beta, Gamma e Delta, non sfugga alla copertura offerta dagli attuali vaccini. La seconda: le mutazioni producono un cambiamento nella proteina Spike che la rende meno sensibile al sistema immunitario. In questo caso (possibile) l’efficacia dei vaccini resta buona, ma scende rispetto a quanto osservato finora con Delta. Nel terzo scenario, che ritengo altamente improbabile, la proteina Spike è talmente mutata che il vaccino non risulta più efficace. Se così fosse, dovremmo ricominciare il ciclo con un nuovo vaccino. Considero questa opzione remota perché gli anticorpi coprono l’area della proteina Spike che lega le cellule umane: se quella specifica parte si modificasse in modo consistente, il virus rischierebbe di non poter più agganciare le nostre cellule. Ricordiamo che non è la quantità di mutazioni a doverci preoccupare, ma eventualmente la loro qualità e la conformazione finale della Spike. Nell’estate 2020 una singola mutazione, la D614G, ha soppiantato in tempi rapidissimi tutti i ceppi precedenti».

La terza dose ci proteggerà dalla variante Omicron?
In tutti i vaccini la terza dose stabilizza la risposta immunitaria a lungo termine (anche a vita), dunque è lecito credere che la terza iniezione possa aumentare la protezione anche nei confronti di Omicron, a meno che non si verifichi l’opzione per cui il ceppo sfugge completamente alla risposta immunitaria indotta dai vaccini. «Con il booster dovremmo arrivare a livelli anticorpali tali da riuscire a coprire anche questa variante — ha affermato Rino Rappuoli, responsabile Ricerca e sviluppo di GlaxoSmithKline Vaccines, nonché coordinatore scientifico del Mad Lab di Toscana Life Sciences —. Sappiamo che la terza dose è indispensabile per l’immunità a lunga durata e per coprire le varianti; tra un anno vedremo se ci sarà necessità di una quarta o quinta dose. Dipende da come vaccineremo il resto del mondo: in Africa appena il 6% della popolazione è immunizzato».

Se invece serviranno nuovi vaccini, quando saranno disponibili?
Secondo Pfizer un eventuale vaccino contro Omicron può essere messo a punto in «cento giorni». L’azienda sta studiando la variante e ha annunciato che entro un paio di settimane si potrà capire se sfugge al sistema immunitario. Anche Moderna ci sta lavorando: «Abbiamo tre linee di difesa che avanzano in parallelo: un richiamo con una dose più alta (100 mg); due candidati booster multivalenti che anticipano mutazioni come quelle emerse nella nuova variante; un candidato specifico (mRna-1273.529)» ha detto Stéphane Bancel, chief executive officer dell’azienda Usa.

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Il «paziente zero» della variante Omicron in Italia: i viaggi in tre regioni, tra auto e hotel

domenica, Novembre 28th, 2021

di Stefania Chiale

Dipendente dell’Eni, vaccinato con doppia dose, l’uomo è atterrato a Fiumicino dal Mozambico l’11 novembre: da allora è stato a casa a Caserta e poi a Milano (dove è risultato positivo). Era pronto a ripartire, ora è in isolamento con i familiari

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Il percorso che ha portato la variante Omicron in Italia (o almeno il primo caso di cui si ha coscienza) inizia 17 giorni fa dal Mozambico: fa tappa a Fiumicino, quindi a Caserta, poi a Milano e di nuovo in direzione Fiumicino per rientrare nel Paese africano, salvo poi tirare dritto fino alla città campana dato l’esito positivo del tampone.

Un viaggio a più fermate, ma senza «vittime sul percorso» se non tra le quattro mura domestiche: risulteranno positivi, con sintomi leggeri della malattia, solo il «paziente zero» e i cinque membri della famiglia.

La variante Omicron, su cui arriverà conferma definitiva a giorni, è stata sequenziata dall’ospedale Sacco di Milano e il tracciamento svolto dall’Ats di Milano, prima di passare all’Asl campana, perché il motivo del breve rientro in Italia dell’uomo risiedeva, appunto, nel capoluogo lombardo.

Andiamo con ordine, secondo quanto il Corriere ha appreso.

L’11 novembre l’uomo, un dipendente dell’Eni residente a Caserta e vaccinato con doppia dose contro il Covid, è rientrato dal Mozambico in Italia per effettuare una visita di controllo programmata, come di routine, dall’azienda. Al momento della partenza le sue condizioni di salute erano buone, non aveva alcun sintomo e risultava negativo al Covid.

Atterrato a Fiumicino, si è recato in auto a Caserta per passare alcuni giorni con la famiglia (in casa vive con la moglie, due figli piccoli e i due suoceri).

Il 15 novembre riparte da Caserta con un’auto a noleggio pagata dall’azienda diretto a Milano per effettuare la visita di controllo prima del rientro in Mozambico: arriva la sera del 15 a Milano. Qui dorme in un hotel e la mattina seguente, il 16 novembre, si reca nella struttura sanitaria a cui l’azienda si appoggia per le visite di controllo dei dipendenti, dove gli effettuano anche un tampone.

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La variante dell’ottusità occidentale nell’era della grande incertezza

sabato, Novembre 27th, 2021

In meno di due anni, la pandemia di Covid-19 ci ha esposti a una dose di precarietà e incertezza che sembra rinnovarsi ciclicamente. Ogni volta pensiamo di essere all’ultima curva, per poi scoprire che dietro ce n’è un’altra. L’ultima doccia fredda era in realtà perfettamente prevedibile, vista la decisione di prendercela comoda nella missione di “vaccinare il mondo”, anziché partire ovunque – e subito – dai più esposti e dai più fragili. Ma ciò non cancella il turbamento che proviamo nell’essere di fronte a questa nuova variante sudafricana che allarma le autorità sanitarie mondiali per il suo apparire “più capace” di eludere l’immunità di vaccinati e guariti. Saranno necessarie un paio di settimane per capire se è davvero così, il che ci chiede – ancora una volta – di convivere con l’incertezza ed esercitare la virtù della pazienza, senza cedere alla sfiducia.

I muscoli della testa e del cuore, ormai, dovremmo averli allenati abbastanza. Dalla scoperta del primo caso in Italia, con i giornali che facevano a gara a ricostruire i movimenti del paziente 1, al grande attonimento per le bare di Bergamo e il lockdown totale, fino alla seconda ondata, trascorsa nella spasmodica attesa dell’approvazione dei vaccini, già superare il primo round della pandemia rimanendo mediamente sani di mente è stata un’impresa non da poco. Poi il sollievo, subito dopo Natale, con le prime iniezioni e l’avvio di una campagna vaccinale che si stima abbia salvato, in un anno, quasi mezzo milione di vite soltanto in Europa. A rallentare la gloriosa marcia dei Paesi ricchi fuori dalla pandemia è però spuntata la variante Delta, figlia del disastro indiano a sua volta figlio del fallimento di Covax. Alla sua maggiore trasmissibilità è da imputarsi la tortuosità di un percorso vaccinale che si sperava più breve e più certo, e che invece sta richiedendo aggiustamenti progressivi. Ora, mentre l’Europa accelera con le terze dosi e le vaccinazioni ai bambini, introducendo forme potenziate di Green pass e relative polemiche, la comparsa della nuova variante suona come il gong che rischia di mettere tutti al tappeto.

Per Aldo Morrone, direttore scientifico dell’Istituto San Gallicano di Roma, è tempo di avere il coraggio di dire che la pandemia “è un problema che durerà ancora per qualche anno, non per qualche mese”. “Non bisogna spaventare nessuno, ma neanche dare l’illusione che la svolta sia dietro l’angolo, quando il vaccino non è ancora arrivato in tre quarti del mondo”, osserva il professore. “Ho la sensazione che ci lasciamo prendere da una sorta di amnesia per cui non ricordiamo più cosa è accaduto prima. Sembra che tutto vada bene e che l’unico nostro problema siano le frange no-vax che fanno rumore – e a cui diamo tanto spazio e tanta visibilità – mentre ignoriamo la realtà ben più grave di interi continenti non ancora vaccinati”.

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Luigi Di Maio e il patto del Quirinale: dai gilet gialli ai salotti di Macron e Draghi

sabato, Novembre 27th, 2021

Tommaso Montesano

La parabola è compiuta. Qualcuno ricorderà il Luigi Di Maio del giugno 2019, quando, fresco di vittoria alle elezioni politiche del marzo del 2018, l’allora ministro dello Sviluppo economico, e vicepresidente del Consiglio, insieme ad Alessandro Di Battista, altro cavallo di razza del Movimento 5 Stelle, incontrò a Levavasseur, a Montargis, una cittadina a un centinaio di km a sud di Parigi, una delegazione dei “gilet gialli”, il movimento populista francese nato per protestare contro l’aumento dei prezzi del carburante e l’elevato costo della vita. Bersaglio delle manifestazioni: proprio l’attuale presidente francese, Emmanuel Macron. Qualcuno avrà sicuramente negli occhi, anche, la foto di ieri mattina, che ritrae lo stesso Di Maio, nel frattempo diventato ministro degli Esteri, dietro il presidente francese, ancora Macron, nel momento in cui il capo dell’Eliseo e il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, siglano il trattato di cooperazione italo-francese. In queste due istantanee c’è tutta la parabola politica di Gigino, passato in poco più di due anni da capo politico di una formazione anti-sistema, il Movimento 5 Stelle partner della Lega nel “governo del cambiamento”, a capo della diplomazia di un’Italia governata da una larga coalizione – comprensiva del suo M5S- guidata dall’ex governatore di Banca d’Italia e Banca centrale europea.

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Falsi Green pass su Telegram, 4 indagati: trovati documenti e tessere sanitarie clienti

sabato, Novembre 27th, 2021

Ancora una truffa sui Green pass, e ancora una volta utilizzando le chat di Telegram per promuovere la vendita (al prezzo stracciato di 100 euro) di certificati verdi “perfettamente funzionanti” secondo quanto garantivano fantomatiche recensioni. Il raggiro è stato scoperto dal Nucleo speciale tutela privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza nell’ambito di un’indagine coordinata dalla procura di Milano che ha portato ad una serie di perquisizioni e sequestri. Sarebbero quattro, secondo quanto si apprende, gli indagati, che avrebbero già ammesso le loro responsabilità. Nel corso delle perquisizioni sono stati trovati diversi documenti di identità e tessere sanitarie di decine di clienti che li avevano incautamente affidati ai predoni del web pur di avere il certificato falso con cui beffare, a loro volta, le norme anti Covid. 

Le perquisizioni hanno riguardato diversi cittadini residenti  in Veneto, Liguria, Puglia e Sicilia, amministratori degliaccount Telegram sui quali pubblicizzavano i pass, ognuno con il proprio Qr code funzionante. Per sostenere l’autenticità dei certificati, gli indagati dicevano di poter contare sulla  complicità di appartenenti al servizio sanitario e, in ogni caso, garantivano i clienti la possibilità di riavere indietro il denaro se il pass non avesse funzionato. Il pagamento doveva avvenire rigorosamente in criptovalute.

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Taglio Irpef, si punta alle tre aliquote

sabato, Novembre 27th, 2021

di ANTONIO TROISE

Per una volta la maggioranza si ritrova compatta. E il miracolo avviene su uno dei tempi più contrastati sul fronte della politica: quello del Fisco. L’idea di portare da 5 a 4 le aliquote dell’Irpef favorendo il ceto medio e, in particolare, i redditi fino a 50mila euro, è accolta positivamente da tutti i partiti. Unica voce fuori dal coro è quella della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Con tanto di presa di distanza del numero uno della Lega, Matteo Salvini, schierato dall’altra parte della barricata. Certo, si tratta di un primo step. L’approdo finale della riforma dovrebbe essere quello di un sistema a tre aliquote. Ma con gli 8 miliardi stanziati in Finanziaria per la riforma del fisco (uno sarà destinato al taglio dell’Irap) era difficile fare di più. Sembra invece a un passo la proroga al 9 dicembre della scadenza per i versamenti fiscali relativi a cartelle e rottamazioni. Un data che per effetto dei giorni festivi darà ai contribuenti tempo fino a metà dicembre per regolare i conti con il fisco, potendo quindi avere anche la disponibilità delle tredicesime.

Nuove aliquote e scaglioni

Ma i riflettori continuano a essere puntati sulla delega fiscale prevista nella manovra economica. È duro il giudizio della Meloni. Secondo le simulazioni di Fd’I per i redditi di 50mila euro l’aliquota sale di 5 punti, con un aumento quindi delle tasse. “E non credo che oggi chi guadagna 2.500 euro al mese possa conservarsi un riccone”. Immediata la replica di Salvini, che difende a spada tratta il piano dell’esecutivo: “Voglio tranquillizzare l’amica Giorgia Meloni. La riforma non porterà nessuno a pagare più Irpef. Rispetto a quest’anno c’è un calo medio del 3,8% con punte del 7% di risparmio per la fascia di 40-45mila euro perché aumentano le detrazioni per i lavoratori autonomi”.

Soddisfatta anche la sottosegretaria per i Rapporti con il Parlamento, Deborah Bergamini. L’accordo, spiega, interviene sull’Irap azzerandola per circa un milione di autonomi, partite Iva, ditte individuali e start up. Chi dichiara un reddito imponibile di 30mila euro, avrà un risparmio netto di 320 euro l’anno. “Toccherà al Parlamento decidere ulteriori modifiche”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la ministra per il Sud, Mara Carfagna: “Il governo sta rimettendo soldi nelle tasche degli italiani”.

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Amendola: “Siamo noi il motore della Ue inutile tornare al rigore fiscale”

sabato, Novembre 27th, 2021

Francesco Grignetti

ROMA. Enzo Amendola, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega agli Affari europei, uomo del Pd, ha salutato la firma del Trattato del Quirinale con tre parole in francese: «Relance, puissance, appartenance». Rilancio, forza, appartenenza. «È lo slogan della presidenza francese dell’Unione che inizia a gennaio. Mi sembrava calzante. Non è certo un caso se firmiamo il Trattato proprio in vista di questa presidenza». Perché di questo si tratta: rinforzare i rapporti tra Roma e Parigi, perché sia l’intera Europa a fare uno scatto in avanti.

Amendola, che cosa vi aspettate dal semestre a guida francese?

«Sarà molto importante per le scelte che faremo nei prossimi mesi. Ricordo solo i grandi negoziati sul digitale e sull’economia sostenibile, e la riforma del Patto di stabilità e crescita. Sa, il vero cuore di questo Trattato è nel segno di cambiare l’Europa. Noi alziamo il livello dei rapporti tra i nostri due Paesi con l’obiettivo di fare dell’Europa finalmente un Continente più autonomo, più sovrano sulle grandi questioni, e anche più forte».

Mario Draghi ha voluto rimarcare anche lui l’obiettivo di una maggiore sovranità. Il premier l’ha legata a una difesa comune e alla protezione dei confini.

«L’Europa è un attore globale che deve avere una politica di sicurezza e difesa all’altezza delle crisi che si sviluppano nel mondo».

Si dice di noi europei in giro per il mondo: giganti economici, nani politici.

«Devo ricordare che quest’estate noi europei abbiamo vissuto la tragedia afghana da spettatori? In passato, è andata così anche con le vicende del Mediterraneo. Ecco, quando si parla di autonomia, non significa rinnegare le alleanze. L’atlantismo resta alla base della politica estera europea. Ma dobbiamo diventare protagonisti del nostro destino. Perché i fatti della storia che accadono, non possiamo pensare che non abbiano effetti dentro i nostri confini. Dalla Bielorussia, all’Ucraina, fino alla Libia».

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La crescita a rischio: crollo lampo per il petrolio

sabato, Novembre 27th, 2021

Gianluca Paolucci

Il segnale forse più allarmante, in una giornata drammatica per le Borse, è quello che arriva dai prezzi delle materie prime. In una sola seduta il prezzo del barile (Wti, scambiato a New York) è crollato di oltre il 13% poco sopra i 68 dollari. Il timore è quello di un calo della domanda, a pochi giorni dal meeting Opec+ del prossimo 2 dicembre. Oppure «solo» una brusca correzione, dopo mesi di corsa ininterrotta spinta proprio dalla forte domanda per sostenuta dalla ripresa globale. Fatto sta che per trovare una seduta così nera occorre tornare indietro fino all’aprile del 2020. Quando mezzo mondo entrava in lockdown. Le stesse materie prime avevano anticipato più di un anno fa la ripresa post-Covid, con i loro forti rialzi sostenuti prima dalla domanda cinese e poi degli altri paesi più industriali che ripartivano a pieno regime.

Resta il dubbio – concreto – che si tratti in larga parte di una reazione psicologica più che l’annuncio di una nuova gelata sull’economia. Secondo Credit Suisse, «negli ultimi 18 mesi questo genere di paure ha avuto vita breve (le varianti Alpha, Beta e Delta hanno tutte dato origine a ondate di vendite di breve durata)». Il rallentamento più probabile, in realtà, è quello dell’uscita dalle politiche fiscali accomodanti messe in atto dalle banche centrali. La stretta monetaria, che fino a qualche giorno fa sembrava non solo necessaria ma addirittura inevitabile per raffreddare i prezzi e evitare le spinte inflattive, può essere rimandata ancora.

Nel dubbio, al momento è comunque meglio evitare investimenti in compagnie aeree, navi da crociera e catene di alberghi. 

I CONTI PUBBLICI

Allarme di Banca d’Italia: la fine dell’emergenza continua ad allontanarsi (Fabrizio Goria)
L’Impennata dei contagi in Europa e le nuove varianti sono un’incognita. Anche per l’Italia e la ripresa che sarà. Non ha usato mezzi termini il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco (foto), parlando ieri in un convegno sul sistema finanziario Ue nella prospettiva post-Covid. È vero che la crescita italiana del 2021 supererà quota 6%, ben oltre le prime attese, ma è altrettanto vero che la situazione epidemiologica potrebbe rallentare l’espansione nel prossimo anno. Cruciali, secondo Visco, saranno le campagne vaccinali. Chi si attendeva una nuova normalità a breve potrebbe essere deluso dai fatti. La recrudescenza dei contagi da un lato, le nuove varianti del Sars-Cov-2 dall’altro e l’inflazione dall’altro ancora possono essere elementi tali da rallentare la ripartenza, tanto italiana quanto europea. «Il nuovo incremento dei contagi in Europa e in altri Paesi sposta ancora in avanti la prospettiva post-Covid», ha spiegato Visco. Il quale ha rimarcato come lo scenario finora tratteggiato nel 2021 sia stato positivo. «La ripresa dell’attività economica procede a un ritmo migliore di quanto atteso solo pochi mesi fa: la crescita del prodotto supererà il 6% quest’anno, recuperando oltre i due terzi di quanto perduto nel 2020», ha detto.

È difficile, ha sottolineato Visco, anticipare ciò che sarà nel 2022, anche se «gli indicatori di breve periodo continuano a essere in complesso favorevoli». Per ora, Tesoro e Bce vedono una crescita intorno al 4% nel prossimo anno. Complicazioni permettendo.

I VIAGGI

Agenzie e tour operator: la domanda rallenta ma non c’è effetto panico (Luigi Grassia)
Il settore dei viaggi è stato il più massacrato dai due anni di coronavirus, ma a sorpresa la prima reazione degli operatori alla notizia della variante sudafricana è di una certa nonchalance. Così ad esempio Andrea Giannetti, del consiglio di presidenza di Aidit Federturismo (l’associazione di Confindustria delle agenzie di viaggio): «Ne avremmo fatto volentieri a meno, ma questa per noi non è una tragedia.

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I partiti persi nel mare delle parole

sabato, Novembre 27th, 2021

di   Ernesto Galli della Loggia |

A parte le proposte fuori tempo massimo di Giuseppe Conte, il quale mette sotto accusa un sistema di lottizzazione da lui stesso usato appena due o tre anni fa e che egli stesso avrebbe potuto benissimo cambiare o perlomeno proporre di farlo
quando era alla testa del governo, a parte ciò poche cose appaiono altrettanto certe come il fatto che una riforma che sottragga la Rai al dominio dei partiti non si farà mai. Per una semplice ragione: che una riforma del genere significherebbe la crisi del sistema politico italiano a causa della virtuale scomparsa dei suoi protagonisti, cioè dei partiti attualmente esistenti. Equivarrebbe insomma alla crisi della costituzione materiale della Repubblica.

I partiti che oggi calcano la scena italiana sono perlopiù dei gusci vuoti, quasi delle pure sigle. Naturalmente non tutti e dappertutto allo stesso modo né tutti in un’identica misura: ma la sostanza è questa. Non ce n’è uno che abbia una visione del futuro del Paese, la minima idea di che cosa debba essere e a che cosa possa servire l’Italia. I loro programmi consistono al massimo in vaghe enunciazioni di una sfilza di cose da fare. Sempre buttate giù alla bell’e meglio, senza alcuna priorità, senza indicazioni di fattibilità, di tempi, di costi. Nella loro vaghezza le richieste programmatiche dei vari partiti tendono così ad apparire (ed essere) pressoché tutte eguali e tutte inservibili.

Tutti, per fare un esempio, insistono sulla necessità di combattere l’evasione fiscale (un vero flagello italiano) ma tutti si sono sempre ben guardati dall’ immaginare e proporre mezzi concreti ed efficaci per cercare almeno di avvicinarsi a un simile traguardo.

L’ovvia conseguenza di questa generale propensione alla vaghezza è che nella Penisola i programmi dei partiti lasciano il tempo che trovano. Fino al punto che qui da noi nessun partito, se mai gli capita di vincere le elezioni e di andare al governo, si sente davvero impegnato a dare un seguito alle proprie promesse. Tranne i 5 Stelle, è giusto ammetterlo, con il reddito di cittadinanza: una proposta peraltro mal concepita che non sembra avergli portato molta fortuna.

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Riforme (e partiti) al palo: perché nulla è pronto in caso di elezioni anticipate

sabato, Novembre 27th, 2021

di Francesco Verderami

Per il voto nel 2022servirebbero nuovi regolamenti parlamentari dopo la riforma del taglio di deputati e senatori. Ma si parla solo della corsa al Quirinale

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Draghi doveva essere la loro «safety car» ma dopo nove mesi i partiti sono ancora ai box. All’ombra del governo di larghe intese, nato per gestire la pandemia e l’attuazione del Pnrr, il sistema politico avrebbe il tempo per rendere agibile la pista prima di tornare a competere. E invece, mentre il premier parla di cambiare in Europa il Patto di Stabilità, le Camere in Italia nemmeno riescono a discutere sulle riforme che le competono e che peraltro interessano direttamente i partiti: se non la modifica della Costituzione o della legge elettorale, servirebbe almeno modificare i regolamenti parlamentari, che avranno grande rilevanza nella prossima legislatura visto il taglio di deputati e senatori. L’innovazione — varata frettolosamente e senza dare seguito ai necessari contrappesi — inciderà infatti sulla vita quotidiana del Palazzo, tra i lavori delle commissioni e l’attività delle Aule. E avrà quindi un impatto anche sull’azione del governo.

Si tratta di una riforma neutra, che già si sarebbe potuta approvare senza influire nelle competizioni elettorali che in questi mesi hanno impegnato i partiti. Se non è andata (finora) così il motivo è chiaro: le forze politiche sono ripiegate su se stesse, divise al loro interno più di quanto non lo fossero prima dell’avvento di Draghi, e dunque non sono in grado di trovare un punto di convergenza. Ecco perché — come riconosce un autorevole ministro — «finora sul terreno degli interessi comuni in Parlamento non si è costruito nulla. Per certi versi è un’occasione persa»: «Il fatto è che l’attenzione è concentrata su altro». Cioè sul Quirinale, che è «fattore condizionante» per dirla con il centrista Quagliariello: «E siccome al momento non si capisce niente, bisognerà attendere l’esito della vicenda presidenziale per sapere se dopo si aprirà una stagione di riforme o si precipiterà verso le urne».

Ecco il punto. In Parlamento, in modo trasversale, cresce la percezione che la legislatura abbia esaurito il suo corso, a prescindere dall’esito della corsa al Colle . Non a caso nei partiti l’interesse primario di peones e dirigenti si va focalizzando sulle liste elettorali. Lo si è notato nella Lega, quando Salvini ha annunciato la Conferenza programmatica. Ed è evidente nel Pd, dove il rimescolamento delle correnti anticipa uno scontro all’arma bianca: questione di vita o di morte visto che la prossima volta ci saranno meno seggi per tutti.

Inevitabilmente le tensioni interne si riflettono sulla partita del Quirinale e provocano un corto-circuito nei partiti. Il conflitto nel Movimento non fa più notizia: giorni fa in Transatlantico un gruppo di grillini «tendenza Di Maio» sosteneva animatamente che «non si può delegare a Conte la trattativa» sul capo dello Stato. «E comunque — ha chiosato ad alta voce uno dei presenti — se ci sarà Casini, io voterò Casini». In Forza Italia l’attivismo di Berlusconi deve fare i conti con la fronda di quanti denunciano di esser stati messi da parte. Nel Pd c’è un caleidoscopio di posizioni, che va da chi — come Portas — è pronto a dare «un oscar alla carriera a Berlusconi», a chi — come Ceccanti — accende ogni giorno un cero votivo perché «vedrete che sarà rieletto Mattarella». E si avverte tra i dem un fronte anti-Draghi, a cui un esponente della segreteria come Boccia dà elegantemente voce: «Abbiamo ancora bisogno del talento del presidente del Consiglio a Palazzo Chigi»…

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