Archive for Dicembre, 2021

Draghi, il piano per andare al Colle passa dal governissimo bis. I timori che la Lega si sfili

giovedì, Dicembre 23rd, 2021

Ilario Lombardo

ROMA. Il difficile per Mario Draghi comincia ora. Ora, perché mai il presidente del Consiglio si era esposto così esplicitamente sulla possibilità del suo trasferimento al Quirinale. Niente più maschere, niente più infingimenti. A Palazzo Chigi non si sono scomposti più di tanto a leggere la batteria di dichiarazioni dei partiti che lo vorrebbero ancora lì, alla testa del governo, fino al 2023. Reazioni a caldo derubricate alla solita, nervosa sintomatologia: la paura della fine anticipata della legislatura che attanaglia i parlamentari.

Tutto era pronto. Il senso della conferenza stampa e il messaggio erano già nel discorso rivolto agli ambasciatori martedì, quando Draghi ha detto che il Piano nazionale di ripresa e resilienza «non è il piano di questo governo» ma di tutto il Paese. Un assaggio di quanto avrebbe ribadito in tante risposte il giorno dopo. La necessità di garantire la stabilità, economica e politica, è l’orizzonte di cui ora vuole farsi interprete. Gli elogi ai parlamentari e il richiamo alla responsabilità di un governo che al di là «dei destini personali» di chi lo guida ha il dovere di attraversare integro tutto il 2022 sono le rassicurazioni sul prosieguo della legislatura.

Ma è in quell’insistere sull’unità nazionale che Draghi svela il primo grande ostacolo sulla strada che porta al Colle, di cui è pienamente consapevole. Cosa farà la Lega? Matteo Salvini lo ha detto più volte: Draghi rappresenta l’architrave di un governo di tutti, che il leader del Carroccio soffre a livello elettorale. Che la Lega si sfili è uno scenario dato per scontato e con cui a Palazzo Chigi fanno già i conti. Perché, senza Salvini l’intero edificio della maggioranza potrebbe crollare e trascinarsi dietro le ambizioni del Quirinale. A meno che, in un sommo sacrificio, il M5S, il Pd, Leu e Forza Italia non trovino ragioni sufficienti per rimanere assieme e arrivare alla fine della legislatura con i sovranisti del Carroccio e di Fratelli d’Italia fuori a sfidarsi a colpi di opposizione.

Ma questo è il piano B. Il primo obiettivo è tenere dentro la Lega. Draghi è controllatissimo in ogni risposta, anche quando svicola sui temi etici, come la cittadinanza ai figli degli stranieri e l’eutanasia, temi che risultano indigesti alla destra, il vero fronte da persuadere. Ma in una risposta, in particolare, offre la sua strategia per convincere i partiti. Succede quando si riferisce a Sergio Mattarella come «modello» del ruolo che intende interpretare. Non solo e non tanto per quell’immagine del «nonno al servizio delle istituzioni» che richiama i profili quirinalizi anche di Sandro Pertini e del suo maestro Carlo Azeglio Ciampi. Ma perché, al di là di impossibili velleità presidenzialiste, che lui stesso definisce lontane dalle norme costituzionali, sarebbe sbagliato, secondo Draghi, ridurre il Capo dello Stato a semplice notaio. È il «garante», e deve rimanere tale, dell’unità nazionale. Ma lo è non passivamente, tanto più in una fase in cui bisogna spingere ancora sulle vaccinazioni e assicurare la messa a terra dei progetti del Pnrr. Questo almeno fino al 2023, quando le urne decreteranno la formazione di un nuovo governo. A quel punto Draghi potrebbe già essere al Colle e nell’anno che porta al voto avrebbe comunque mantenuto la regia sugli impegni dell’Italia.

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Vi lascio un paese unito. Fatene buon uso

martedì, Dicembre 21st, 2021
Vi lascio un paese unito. Fatene buon

È, al tempo stesso, un bilancio anche orgoglioso, sia pur senza enfasi come nello stile dell’uomo, per come il paese ha reagito e per alcune scelte compiute, come l’indicazione di un governo di emergenza nel pieno della crisi. E una indicazione a non smarrire la strada intrapresa. Il titolo è nell’auspicio che “lo spirito costruttivo sia stabile”, che non è una formula politica, ma un potente richiamo alla realtà e alle sfide che il paese ha di fronte sia sul fronte dell’emergenza sanitaria sia della ricostruzione economia.

Questo il senso del discorso di Sergio Mattarella alle alte cariche dello Stato, tradizionale appuntamento di fine anno, l’ultimo del suo mandato. Come inevitabile che sia, la prepotenza della rottura del Covid trasforma il bilancio del settennato in una riflessione sulla fase inedita che si è aperta con la pandemia. E che non si è ancora chiusa perché è vero che “non ci sentiamo più in balia degli eventi”, grazie a “scelte coraggiose, ai progressi della scienza, al senso civico diffuso”, ma, insomma, non è finita.

Proprio questa consapevolezza spiega anche alcuni passaggi un po’ “indulgenti” e la lettura “armonica” di questi anni, tesa a sottolineare gli elementi positivi su cui far leva. C’è poco da fare: un capitano, nella tempesta, non guarda a poppa, ma indica la rotta, mantenendo alta la soglia di attenzione di tensione anche morale. Perché c’è un paese da riscostruire. E la parola “ricostruzione” del paese è sempre declinata nella sua accezione non solo economica, ma anche morale e materiale. Che rende innanzitutto necessario uno sforzo nella mentalità con cui si affronta una fase che non si è chiusa e il ripudio della pigrizia nell’approccio perché “la normalità che perseguiamo non è il ritorno al mondo di prima”.

In tal senso due sono le indicazioni del capo dello Stato uscente, nel momento del congedo. La prima è il richiamo, per il dopo, a quell’afflato unitario – “unità di intenti e unità di sforzi” – che si è realizzato finora, innanzitutto nel paese, responsabile di fronte all’ignoto e “esemplare” nel seguire le indicazioni della scienza, forse più avanti anche rispetto alle istituzioni nella prima fase della pandemia e oggi forse più avanti, unica punta polemica, a chi dà eccessivo risalto mediatico ai no vax, per esigenze di audience. Ma l’afflato si è realizzato anche nella tanto bistrattata politica e nei tanto bistratti partiti che, di fronte all’appello di un anno fa a formare un governo, lo hanno accolto “mettendo in secondo piano divisioni e distinzioni legittime”.

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Pensioni, sul tavolo l’anticipo a 63 o 64 anni per tutti. Ma dovrà essere sostenibile

martedì, Dicembre 21st, 2021

di CLAUDIA MARIN

Pensioni, il peso della spesa pubblica sul Pil

Flessibilità in uscita, che comprende anche il sistema di calcolo e la differenziazione dell’età pensionabile in relazione alla gravosità dei lavori. Giovani precari e donne. Previdenza complementare. Sono i tre tavoli tecnici che il governo aprirà con i sindacati sulle pensioni, attraverso un serrato calendario di incontri che verrà fissato oggi. La riapertura del cantiere pensioni dopo una decina di anni dalla riforma Fornero vede di nuovo i tre grandi sindacati uniti, dopo lo sciopero contro la manovra di Cgil e Uil e la successiva manifestazione della Cisl, a trattare punto per punto il nuovo corso. Il premier Mario Draghi non pronuncia una sillaba sulle mobilitazioni, ma fissa un paletto invalicabile: “Qualsiasi modifica non deve mettere a repentaglio la sostenibilità nel medio e lungo periodo e deve essere all’interno del contesto europeo”. Tradotto: inevitabile il conteggio esclusivamente contributivo. “Si va in pensione con quanto si è versato”, insiste il premier.

Soddisfatte Cgil, Cisl e Uil, con Maurizio Landini che sintetizza: “Siamo di fronte a una dichiarazione ufficiale sulla disponibilità del governo a fare una discussione sulla riforma della legge Fornero, cosa che non era mai avvenuta in questi anni”. Ma restano parecchi rebus da risolvere. Landini chiede “flessibilità in uscita”, ad esempio da 62 anni di età o da 41 anni di contributi. Ci sono situazioni diverse: “Ad esempio nella manovra – nota il leader Cgil – non ci sono i cosiddetti precoci per lavori gravosi”. Bombardieri punta il dito su manovra e delocalizzazioni: “La risposta è tenue e non è il massimo”. Luigi Sbarra, numero uno della Cisl, sottolinea che “la Fornero ha fatto risparmiare 80 miliardi. Vanno raggiunte soluzioni condivise. La previdenza non è un privilegio ma un diritto”.

Ma quali sono le ipotesi che verosimilmente diventeranno realtà? In primo piano resta per Draghi l’Opzione Tutti o Opzione Nannicini: uscita flessibile per tutti a partire dai 63-64 anni con il calcolo interamente contributivo dell’assegno e dunque una forte penalizzazione. Questa formula può consentire quella flessibilità strutturale che superi il meccanismo delle Quote, discriminante per donne e giovani. Il sindacato ci pensa, perché, in realtà, già oggi il calcolo contributivo riguarda tutti coloro che hanno cominciato a lavorare dal 1996 in avanti, mentre anche quelli delle classi precedenti o hanno il retributivo solo per gli anni precedenti al 1995 (coloro che avevano meno di 18 anni di attività in quell’anno) o (circa 300mila in tutto), lo hanno fino al 2011. Come dire: il ricalcolo fa sempre meno male.

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Ottanta parlamentari nei guai: sfruttano i collaboratori con contratti ridicoli e li mandano a fare la spesa

martedì, Dicembre 21st, 2021

Valeria Di Corrado e Alberto DI Majo

Deputati e senatori sono i primi a non rispettare le leggi che approvano quando si trovano a vestire i panni del datore di lavoro. Sono circa 80 i collaboratori parlamentari che in questa legislatura hanno segnalato irregolarità nei contratti stipulati e condotte di sfruttamento, spesso al limite del mobbing. Ci sono «onorevoli» donne che mandano le loro assistenti (pagate dai contribuenti per aiutarle nell’attività legislativa) a comprare gli assorbenti in farmacia e altre colleghe che spediscono giovani laureati al supermercato a fare la spesa, che poi vogliono anche ricevere a domicilio.

Umiliazioni spesso subite in silenzio, per paura di non lavorare più nei palazzi della politica. C’è però chi trova il coraggio di trascinare deputati e senatori davanti al giudice del lavoro. Nell’attuale legislatura sono almeno una ventina le cause intentate dai collaboratori ai rispettivi parlamentari, per svariati tipi di prevaricazioni datoriali.

«I contratti stipulati quasi mai corrispondono al rapporto di lavoro sottostante – spiega l’avvocato Fabio Santoro, legale di fiducia dell’associazione Aicp-I parlamentari che legiferano contro i contratti atipici, sono i primi a usare finti co.co.co., co.co.pro. o partite Iva per risparmiare sul costo del lavoro, a fronte di orari rigidi e un rapporto gerarchico che andrebbe inquadrato come subordinato. Poi ci sono collaboratori che hanno scoperto di non avere un contributo versato dopo anni di lavoro; ad altri non è stato pagato il trattamento di fine rapporto o la tredicesima; c’è addirittura chi si è visto negare documenti fiscali come la certificazione unica. Qualcuno è stato licenziato in maniera semiritorsiva, qualcun altro senza preavviso. Insomma, il Parlamento italiano è un Far West in cui il parlamentare spende come vuole il suo budget».

Il collaboratore è la parte più debole, avendo nella maggior parte dei casi un contratto precario, che può essere interrotto in qualsiasi momento, senza una causale e con poco o nessun preavviso. A ciò, di contro, corrisponde una pressante richiesta di attenzione da parte degli onorevoli, spesso per incombenze personali. «Gli assistenti diventano una sorta di collaboratori domestici, obbligati a lavorare senza turni, anche di domeniche in orario notturno. Per questo – riferisce l’avvocato Santoro – in un primo momento deputati e senatori hanno una reazione muscolare quando sanno di essere stati citati in giudizio e minacciano l’ex collaboratore di chiedergli undanno all’immagine. Poi, però, la stragrande maggioranza di loro, piuttosto che arrivare a sentenza e rischiare la gogna mediatica in caso di condanna, preferisce arrivare a un accordo conciliativo che risarcisce integralmente l’assistente (anche per 20mila euro) ma, di contro, lo obbliga a rigide clausole di riservatezza». Lo scorso luglio la Camera ha finalmente pubblicato i dati ufficiali sul numero dei collaboratori dei deputati, richiesto da anni dall’associazione di categoria. In totale sono 488 gli assistenti contrattualizzati: solo il 24% di loro ha un contratto subordinato; il 40% circa ha un rapporto di collaborazione e il restante 36% è inquadrato come autonomo.

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Chi ha svelato il problema dell’austerità

martedì, Dicembre 21st, 2021

Andrea Muratore

Allievo di Keynes e Einaudi, amico di Gramsci, Wittgenstein, Mattioli, il torinese Piero Sraffa è stato il gigante dimenticato del pensiero economico italiano del Novecento

Nel Novecento l’Italia ha dato vita a una scuola di pensatori economici di assoluto livello che hanno saputo far evolvere la disciplina e, soprattutto, capire la complessità delle grandi trasformazioni in corso nel tempestoso XX secolo. Tra questi, un maestro dell’economia del Novecento, tra i principali allievi di pensatori come Luigi Einaudi e John Maynard Keynes, il torinese Piero Sraffa (1898-1983).

Sraffa, l’economista della complessità

Sraffa interpretò la complessità della sua epoca andando oltre la classica dicotomia tra Stato e mercato, capendo quanto a partire dall’era successiva alla Grande Guerra l’ingresso di grandi masse nella partecipazione attiva alla società contemporanea, i cambiamenti industriali e le crescenti rivendicazioni imponessero nuove chiavi di lettura capaci di superare le spigolature del modello liberista di inizio Novecento e le tentazioni della reazione autoritaria.

Filosofo e pensatore politico prima ancora che economista, pur essendo estremamente attento al lato quantitativo della disciplina, Sraffa fu uno dei grandi critici delle dinamiche del suo tempo, fornendo sul piano economico le visioni che autori come José Ortega y Gasset o Johan Huizinga fornirono su quello socio-politologico. Così come questi grandi pensatori ritenevano inevitabile un’unione tra le grandi mutazioni sociali dell’epoca e gli sconvolgimenti politici che avevano portato all’era dei totalitarismi, Sraffa portò avanti un’analisi che imponeva di considerare l’economia come arma e strumento politico in grado di condizionare tali sviluppi.

Non a caso durante tutta la sua vita fu fortemente focalizzato sul rifiuto di ogni misura che imponesse paradigmi economici come assunti religiosi, prima fra tutta qualsiasi scelta recessiva che andasse nella direzione di misure di austerità promosse per subordinare l’uomo alle leggi di mercato.

Alessandro Roncaglia, già professore ordinario di Economia politica alla Sapienza Università di Roma, e socio nazionale dell’Accademia dei Lincei ha scritto nel saggio L’età della disgregazione dedicato al pensiero economico contemporaneo molto del ruolo di Sraffa come pensatore poliedrico e capace di dare lezioni al presente. In questi tempi, ha scritto Roncaglia, “un conto è concepire la teoria economica come il modo in cui gli esseri umani affrontano il problema della scarsità, altro conto è guardare all’insieme delle relazioni economiche dal punto di vista della divisione del lavoro in un flusso circolare di produzione, distribuzione e consumo”. Quanto fatto durante l’intera sua carriera da Sraffa, che ha saputo confrontarsi come detto con i maggiori pensatori della sua epoca.

Un economista filosofo

Formatosi con Einaudi, suo relatore all’Università di Torino di una tesi sull’inflazione dell’Italia durante la Grande Guerra, docente dal 1923 a Cagliari e amico del filosofo Antonio Gramsci, dal 1927 chiamato da Keynes a Cambridge dove resterà fino alla morte, prima al Trinity College (fino al 1939) e poi al King’s College e ove fu lecturer per tre anni, poi director of researches, infine bibliotecario della Marshall Library fino all’ultimo giorno della sua vita, Sraffa si confrontò anche con altri importanti personaggi. Primi fra tutti il filosofo Ludwig von Wittgenstein, conosciuto nel 1929, e il “banchiere umanista” Raffaele Mattioli, che con Sraffa intrattenne una lunga corrispondenza negli anni in cui formava la classe dirigente della Banca Commerciale Italiana (Comit) all’ombra del regime fascista, allevando una generazione di pensatori liberi nell’ufficio studi formato anche grazie alle intuizioni sraffiane in cui saranno accolti, tra gli altri, Ugo La Malfa, Giovanni Malagodi, Guido Carli ed Enrico Cuccia, con cui costruì il progetto dell’IRI e di Mediobanca, e le influenze dei “Quaderni dal Carcere” sraffiani conservati in segreto nei caveau dell’istituto.

Per Sraffa le teorie economiche, siano esse antiche o moderne, non emergono semplicemente come frutto di mera curiosità intellettuale. Esse hanno origine da problemi di natura pratica che interessano la comunità e necessitano una soluzione, concernenti la produzione, il lavoro, la distribuzione dei mezzi. Sapere umanistico, ovvero una conoscenza della storia e delle società, e sapere matematico, per la modellizzazione di tali teorie, devono andare di pari passo: Sraffa sottopose a rilettura critica tutti i grandi classici, da Marx a Ricardo, ricordando l’importanza della dialettica politica nel promuovere una soluzione piuttosto che un’altra.

“Interessi opposti sostengono una soluzione o un’altra e adottano argomentazioni teoriche, ovvero universali, per provare che la soluzione da loro proposta è conforme alle leggi naturali, o che essa sarebbe attuata nell’interesse pubblico, o nell’interesse della classe dirigente o di qualunque sia l’ideologia dominante in un dato momento”, scrisse Sraffa nelle sue “Lezioni avanzate sulla teoria del valore”. Con la sua ricerca Sraffa ha fornito tutti i tasselli fondamentali al perseguimento dell’obiettivo di un abbandono della tradizione marginalista, che fondava sull’atomizzazione sociale e la negazione dell’utilità sociale del lavoro i suoi presupposti, a favore di un approccio omnicomprensivo che mirava a unire la ricerca del pieno impiego e lo sviluppo della produzione industriale come obiettivi armoniosi e non alternativi.

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Effetto variante su feste e mercati: vacanze annullate per 8 milioni e Borse Ue in calo

martedì, Dicembre 21st, 2021

Andrea Cuomo

Natale con omicron. Sembra un cinepanettone, e infatti non fa ridere. La variante che spopola in tutto il mondo e che anche da noi sta facendo carriera spaventa chi aveva già pronte le valigie per le festività. In molti sono pronti a disfarle: otto milioni, secondo il borsino delle vacanze di fine anno di Demoskopika. La ricerca rivela che sì, poco più della metà degli italiani (il 52 per cento) è intenzionato a farsi un viaggetto nelle prossime settimane (il 24 per cento ha già la prenotazione in saccoccia) mentre 24 milioni resteranno a casa (il 48 per cento) perché «pur volendo ha ancora timore a viaggiare». E 8 milioni, per l’appunto, hanno addirittura cancellato la prenotazione in seguito al diffondersi della variante omicron e al conseguente aumento dei contagi.

A far paura non è soltanto la pandemia, ma il rischio che nuove restrizioni possano cancellare il viaggio oppure piombare mentre si è all’estero, come è capitato agli italiani che si trovavano oltreconfine quando è stato all’improvviso introdotto l’obbligo di tampone al rientro in Italia. In molti si sono dovuti attrezzare per fare un test all’estero, spesso con notevoli problemi linguistici. Quindi meglio restare in Italia o addirittura a casa, dedicandosi al piccolo cabotaggio delle visite ai parenti.

Fanno eccezione a questo quadro improntato alla prudenza le sei mete «protette» dai corridoi turistici aperti, e in particolare le Maldive, che sono sold out (gli altri sono Aruba, Mauritius, Seychelles, Repubblica Dominicana ed Egitto). Si tratta di mete Covid free, in cui viaggiare in sicurezza grazie ad alcuni itinerari controllati e al rispetto di regole come possesso di Green pass rinforzato, tamponi alla partenza e al ritorno, misurazione della temperatura una volta al giorno e soggiorno in strutture selezionate. Il successo dell’iniziativa spinge il ministro del Turismo Massimo Garavaglia a chiedere altri corridoi (ad esempio per Oman, Cuba, Capo Verde Thailandia). «Bisogna dare la possibilità anche agli italiani di muoversi e di andare all’estero, perché turismo significa anche questo e mi aspetto una risposta in tempi rapidi».

Eccezioni, peraltro destinate a viaggiatori facoltosi o comunque benestanti. Per il resto si prospetta un altro Natale di sofferenza per il settore turistico, come è chiaro da tempo. È di qualche giorno fa un’indagine commissionata da Federalberghi che prevede un calo del 19,9 per cento degli italiani in viaggio rispetto al Natale 2019 e del 19,6 per cento del giro d’affari, con solo il 5,4 per cento dei turisti diretti all’estero.

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Palermo: vaccinazioni Covid false, in manette leader no vax, sospeso un poliziotto

martedì, Dicembre 21st, 2021

di Ferruccio Pinotti

La Digos di Palermo questa mattina ha fermato tre persone, fra cui il leader dei no vax palermitani Filippo Accetta. Venivano chiesti 400 euro per ogni finta vaccinazione. Coinvolto anche un poliziotto

Una telecamera della Digos ha ripreso un’infermiera mentre svuotava il contenuto del vaccino in una garza senza iniettarlo al paziente, che però risultava regolarmente vaccinato. Lo ha scoperto la Digos di Palermo che questa mattina ha fermato tre persone, fra cui il leader dei no vax palermitano Filippo Accetta. Coinvolto nel “giro” anche un poliziotto della Questura di Palermo.

La falsa iniezione e i 100 euro all’infermiera

L’infermiera dell’hub vaccinale di Palermo Anna Maria Lo Brano, fermata oggi dalla Polizia di Stato nell’ambito dell’indagine sui falsi vaccinati, agiva sempre nello stesso modo come ricostruito grazie alle immagini dei sistemi di videosorveglianza. Dopo avere svuotato il siero contenuto nella siringa, già precedentemente preparata, in una garza in cotone, inseriva l’ago nel braccio del finto vaccinato senza iniettare alcunché e senza muovere lo stantuffo della siringa. La truffa è evidente, basta guardare le immagine registrate nel corso delle indagini. Gli agenti per giorni hanno intercettato la donna accertando contatti tra l’infermiera e chi si sottoponeva al finto vaccino, disposto a sborsare cento euro pur di ottenere il Green pass. Le indagini svolte hanno escluso il coinvolgimento dei medici che lavorano al centro vaccinale e dei funzionari responsabili

Coinvolto anche un poliziotto

L’infermiera, impegnata nell’hub della Fiera di Palermo (il più grande centro di vaccinazione della provincia) si chiama Anna Maria Lo Brano. Il terzo fermato, Giuseppe Tomasino è un amico di Accetta, anche lui no vax, che avrebbe partecipato alle finte vaccinazioni. La scorsa notte, i tre sono stati arrestati. L’infemiera si chiama è operativa all’ospedale Civico. Il procuratore Francesco Lo Voi e l’aggiunto Sergio Demontis hanno emesso un provvedimento di fermo urgente, per fermare l’attività illecita. L’inchiesta guidata dal sostituto Felice De Benedittis ha scoperto una decina di false vaccinazioni, ma si ipotizza che il sistema fosse più ampio. Non c’erano comunque solo motivazioni ideologiche,sembra fossero richiesti 400 euro per ogni falsa vaccinazione. Il questore Leopoldo Laricchia ha aaffermato: «Siamo entrati nelle trame oscure e fraudolente di quei No Vax irriducibili che non esitano a violare la legge, anche commettendo reati odiosi come la corruzione. Tra i fruitori del servizio illecito purtroppo siamo incappati in un poliziotto della questura di Palermo. Dopo la discovery odierna delle indagini per il rispetto del segreto istruttorio, saranno immediatamente avviati i provvedimenti sanzionatori previsti dalle norme disciplinari e la sospensione dal servizio e dallo stipendio disposta dalle recenti norme sull’obbligo vaccinale per le forze di polizia».

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Draghi, il Quirinale e gli alleati europei da rassicurare sulla continuità della linea politica

martedì, Dicembre 21st, 2021

di Francesco Verderami

Il futuro del premier: il suo silenzio sta suscitando un certo nervosismo in Parlamento

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Inseguito ogni giorno dalla stessa domanda, Luigi Di Maio non si aspettava che a porgliela sarebbe stata anche la neo ministra degli Esteri tedesca. Nemmeno il tempo delle presentazioni e Annalena Baerbock è andata dritta al punto: «Mario Draghi resta, vero»? Certo non deve esser stato semplice per il titolare della Farnesina trovare una risposta esaustiva e al tempo stesso elusiva. Ma tanto basta per individuare quello che — secondo un autorevole esponente del governo (italiano) — rappresenta il maggiore scoglio per il premier sulla rotta verso il Quirinale: «Più che garantire i parlamentari sulla durata della legislatura, deve garantire i partner occidentali e i mercati che dopo di lui a palazzo Chigi il piano degli investimenti sul Pnrr sarà portato avanti, che i progetti verranno sviluppati come da programma, che la linea politica sarà in continuità con il suo gabinetto».

In questo senso l’opera di persuasione con le cancellerie è stata già avviata, insieme a una spiegazione dei complicati meccanismi istituzionali che assegnano funzioni non secondarie al capo dello Stato. E che il Financial Times ieri ha dato mostra di aver compreso bene, visto che ha definito l’eventuale trasferimento di Draghi al Colle «la scelta imperfetta migliore». L’ha scritto Bill Emmott che è l’ex direttore dell’ Economist, il settimanale che appena la scorsa settimana aveva chiesto a Draghi di rimanere al suo posto, elogiandolo come «premier competente». Perciò non deve essere stata casuale la risposta — apparentemente lunare — fornita dal presidente del Consiglio a una domanda sul patto di Stabilità: «Non sono molto competente»…

Ma questi messaggi cifrati non bastano a risolvere il rebus Quirinale. Perché a gennaio a votare saranno i grandi elettori ed è a loro e ai loro partiti che Draghi deve una risposta. Il suo silenzio sta suscitando un certo nervosismo in Parlamento, dove Renzi — che si è dimostrato il maggior sostenitore del premier — si appresta a criticare nell’Aula del Senato il ritardo del governo sulla campagna vaccinale e sulla legge di Stabilità: «Sulla Finanziaria — ha commentato con un esponente di Iv — si comportano come Giuseppe Conte l’anno scorso. Non capisco. Sono troppo concentrati su altro». Ed è facile intuire a cosa si riferisse.

D’altronde tutta l’attenzione del Palazzo è riversata sulla corsa al Colle. Che sta per partire. Giovedì il vertice del centrodestra dovrà dare una indicazione chiara sulla candidatura di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere è determinato a scendere in campo, certo di avere la possibilità di vincere. Ha convinto persino i suoi amici di una vita, dopo una tirata delle sue: «Mi avevate detto che ero pazzo quando ho puntato sulla televisione. Mi avevate detto che ero pazzo a buttare i soldi sul Milan. Mi avevate detto che ero pazzo a fondare un partito. Anche ora volete prendermi per pazzo»? In realtà temono che venga preso in giro, pugnalato nel segreto dell’urna da amici e alleati. Non c’è controprova se non il voto. E lui al voto dice di volerci arrivare, evidenziando una volta per tutte che il centrodestra può avere un solo candidato di centrodestra: «Cioè io che sono il fondatore del centrodestra». Raccontano che Giancarlo Giorgetti gli abbia fatto avere un messaggio, in segno di lealtà e di correttezza, siccome il ministro leghista ritiene che «anche per il suo bene, Silvio dovrebbe puntare su Draghi».

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Green pass ridotto, restrizioni per Natale e Capodanno, mascherina all’aperto: le ipotesi del governo per arginare Omicron

martedì, Dicembre 21st, 2021

di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini

A Palazzo Chigi nessuno sembra farsi illusioni. L’Italia è ancora in vantaggio rispetto ad altri Paesi europei, ma Omicron spingerà i contagi anche da noi. E poiché è ormai inevitabile che da qui a poche settimane la nuova fulminea variante diventi dominante, bisogna prepararsi in anticipo a combatterla. I numeri italiani sono in costante crescita e se il virus continua a correre con questi ritmi ospedali e terapie intensive entreranno in difficoltà.

Mario Draghi però è cauto. Prima di imporre nuove «eventuali» restrizioni in vista di Natale e Capodanno vuole consultare i dati fino all’ultimo secondo utile. Giovedì riunirà la cabina di regia con i vertici del Cts e, sulla base dell’ultimo sequenziamento di Omicron, deciderà la strategia, concordata con i presidenti delle Regioni.

Il ritorno della mascherina obbligatoria all’aperto in tutto il Paese è la misura su cui sembrano tutti d’accordo nella maggioranza. Intesa anche sulla riduzione della durata del super green pass e sulla necessità di spingere ancora sui vaccini, terze dosi e prima iniezione ai bambini. Fa invece (molto) discutere l’obbligo di test per vaccinati e guariti.

Tra governatori e ministri è un coro di «no». Franceschini ritiene sbagliato chiedere a chi si è vaccinato di fare un test per entrare al cinema o a teatro. Frena anche Brunetta e propone in alternativa «l’estensione del super pass, fino ad arrivare a tutto il mondo del lavoro». E oltre all’idea di chiedere il «rafforzato» per entrare nei bus o nei supermercati, si torna a parlare di obbligo vaccinale, l’arma estrema che Draghi tiene da mesi sul tavolo.

Luoghi di lavoro

L’idea è imporre il green pass rafforzato ai lavoratori della Pubblica amministrazione che sono a contatto con il pubblico, poi al settore privato e infine anche agli autonomi e all’intero mondo del lavoro.

Discoteche e feste

I presidenti delle Regioni si oppongono all’introduzione del test obbligatorio per vaccinati e guariti. Ma nelle riunioni tecniche di Palazzo Chigi si studia la possibilità di imporre un tampone negativo anche a chi ha il green pass rafforzato. Se la nuova norma avrà il via libera del Consiglio dei ministri, chi vorrà entrare in discoteche e pub o partecipare a feste di Capodanno e altri eventi al coperto dovrà presentare (oltre al green pass «super») anche un test molecolare o antigenico. La misura scatterebbe per tutti i luoghi dove ci sia il rischio di assembramenti, ma non per cinema, teatri, sale da concerto.

Green pass ridotto

Dopo alcuni mesi dalla somministrazione della seconda dose la protezione si abbassa, per cui il governo è pronto a ridurre la durata del green pass rafforzato. Il periodo di validità dovrebbe essere di 5, 6 o 7 mesi.

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Berlusconi: mi ritiro solo se c’è il premier. Amato, Casini, Moratti i nomi per un accordo

martedì, Dicembre 21st, 2021

CARLO BERTINI FRANCESCO OLIVO

I piani del centrodestra per il Quirinale si mischiano con il rischio di sovrapporsi: c’è quello A, quello B e a questo punto pure quello C.

Silvio Berlusconi è in campo, ma è inevitabile che gli alleati lavorino a qualche alternativa nel caso in cui le cose dovessero prendere una piega negativa per i disegni di Arcore. «Se Mario Draghi dovesse essere della partita, Silvio si ritirerebbe», dice un fedelissimo. Una tesi che però non convince gli alleati, che temono l’ambizione sfrenata del Cavaliere.

Lo schema che ci si immagina oggi è questo: se alle prime tre votazioni non uscisse Draghi (è già difficile che si vada oltre la prima), allora entrerebbe in scena il Cavaliere. La quarta e la quinta chiama saranno fondamentali. Ma se i numeri non ci fossero, allora occorrerebbe cercare un accordo e i nomi in quel caso potrebbero essere quelli di Giuliano Amato, Pier Ferdinando Casini e di Letizia Moratti. Quest’ultima è al centro di una trama che coinvolge la sinistra.

C’è una cosa infatti che Enrico Letta teme come la peste: la salita di Berlusconi al Colle: «Se riuscisse ad avere i voti del centrodestra e quelli di Renzi, gliene servirebbero solo una ventina per farcela», ammette uno dei ministri dem. Dunque Letta, cosciente della sua debolezza («il Pd conta il 12% dei grandi elettori», ripete), punta a sminare la bomba Berlusconi disarticolando il centrodestra e la carta Moratti giocata dalla Meloni gli fa gioco: «Sarebbe una candidatura insidiosa e difficile da contrastare, un nome più potabile del Cavaliere», confessa un esponente di spicco della segreteria Pd.

Dagli scranni della Camera, i big di centrosinistra assistono infatti alla spaccatura del centrodestra intravedendo margini di manovra. Intanto, una candidatura di bandiera da opporre a Berlusconi, «potrebbe essere Anna Finocchiaro, donna delle istituzioni non invisa agli azzurri, in sintonia con la Boschi e i renziani, ma ex magistrato che può piacere ai grillini», spiegano i dem.

Letta parla ogni due per tre con Conte, ma sa che Di Maio conduce i giochi nei gruppi e quindi fa sapere di avere da anni ottimi rapporti con lui dopo una serie di viaggi all’estero. L’obiettivo sarebbe fare “massa critica” con M5s: e visto che tra i due poli ci sarebbe uno scarto di una quarantina di voti, costringere il centrodestra a un accordo. Senza disdegnare nomi alla Moratti. In ogni caso, Letta vede le urne a breve e per questo ieri ha rilanciato la bandiera della legge Zan come mossa di campagna elettorale.

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