Una sensazione imbarazzante si nasconde nel dramma che
affonda il pur necessario dibattito all’interno del Partito democratico.
Un’ingessatura, quasi formale, ossessionata e rincorsa da statistiche
impietose che inquadrano una realtà in lenta, quasi fatale, discesa.
Nanni Moretti in “Palombella rossa” ha illustrato mirabilmente la
metafora della fine di un’era, quella del Pci, che aveva stravolto le
emozioni di milioni di persone, più di quelle che avevano votato o
simpatizzato per le idee che quel partito rappresentava.
Oggi i numeri fanno pensare che la “crisi” sia meno rilevante e molti
che vengono, direttamente o no, da quella tradizione culturale
reagiscono con egoismo, convinti che ciò che si discute riguardi una
minoranza residuale. L’indifferenza è una cifra individuale e collettiva
di quanto sta accadendo. La stessa discussione dentro e attorno al Pd
lo dimostra: l’elegante passo indietro di Maurizio de Giovanni da un
organo importante di quel partito è avvenuto senza la giusta eco, quasi
in sordina. Omettere per sopravvivere, agevolare la rimozione per
annientare memoria e responsabilità. Come la vicenda del Qatargate,
vissuta con evidente irritazione come se occorresse rimarcare, a ogni
emplosione derubricata a cronaca, che non si devono disturbare i
manovratori.
Ridurre la scena incomoda, affermare che il dolo sia sempre di altri,
di pochi. Come se l’eccezione non parlasse metaforicamente della norma.
Anche la morte di un intellettuale come Alberto Asor Rosa appare
scialbata dall’attuale oratoria dirigenziale: figura evidentemente
scomoda per non essere dirottata dal presente. “Parole, parole, parole”
la rubrica dell’epistemologo Paolo Fabbri, amico e collega di Umberto
Eco, ospitata nell’Unità di vent’anni fa, intuiva il rischio: il parlar
generico cela il terrore che qualcosa possa dividere, detesta il
confronto non formale. Prevale l’idea di un cerchio di gesso che unisce
attorno al nulla. Si scappa dalle antitesi rifugiandosi nel linguaggio
conformistico. Invece la realtà preme e chiede implacabilmente alla
politica.
Che cosa pensa la futura dirigenza del Pd della sfida energetica: ha
ragione Gavino Ledda a prospettare come un incubo il progetto di erigere
centinaia di pale eoliche alte 300 metri tutt’attorno alla Sardegna?
Come si tutelano il paesaggio e la bellezza? Come trasformare l’abominio
per il terrore omicida degli ayatollah iraniani in pratica politica che
non si limiti alle sacrosante proteste di piazza a fianco delle donne e
dei giovani martiri della libertà? Che dicono i candidati degli affari
che il nostro paese fa con l’Iran (quest’anno l’export è aumentato del
16%)? Come valutare il rapporto tra digitale e educazione? Vanno bene
anche insegnanti avatar e adolescenti con visore? E il disagio di decine
di migliaia di giovani e di genitori come si affronta? Basta il “bonus
psicologo” o occorre una nuova rete di servizi competenti?
La bozza del decreto sicurezza:
l’approvazione potrebbe arrivare già nella riunione dell’esecutivo
prevista per domani o al massimo in quella della prossima settimana
Ammonimento e pene più severe per chi minaccia le donne e non rispetta i provvedimenti già imposti, daspo esteso ai minorenni che fanno parte delle baby gang, codice di comportamento per le Ong che effettuano salvataggi in mare:
il governo è pronto a varare il decreto sicurezza. La riunione tecnica
degli uffici legislativi è fissata per questo pomeriggio a Palazzo
Chigi.
Dopo l’esame della bozza messa a punto con
un lavoro coordinato della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del
ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, l’approvazione potrebbe
arrivare già nella riunione dell’esecutivo prevista per domani o al
massimo in quella della prossima settimana. La premier ha chiesto massima condivisione per arrivare a un testo che rispecchi le indicazioni della maggioranza,
senza escludere che alcune disposizioni — in particolare quelle di
protezione per donne e minori — possano essere votate anche dalle
opposizioni.
Certamente più controverso è il capitolo che riguarda l’attività delle Organizzazioni non governative e
per questo nella premessa della bozza si parla di «attività conformi
alle norme nazionali e alle convenzioni internazionali», ma è stata
eliminata la possibilità di procedere penalmente per chi non le
rispetta. Rimangono invece le sanzioni amministrative con multe e sequestri delle imbarcazioni, prevedendo anche la confisca dei mezzi utilizzati da chi soccorre i migranti, che dovranno essere decise dai prefetti.
Le tappe
Già
nel programma elettorale la coalizione di centrodestra aveva inserito
l’approvazione di un nuovo decreto sicurezza, visto che le norme varate
dall’esecutivo gialloverde guidato da Giuseppe Conte con Matteo Salvini
al Viminale erano state modificate o abolite. Saranno i capi degli
uffici legislativi dei dicasteri coinvolti — Interno, Giustizia, Esteri,
Infrastrutture, Lavoro — a mettere oggi a punto gli ultimi dettagli.
La bozza è pronta e — se non ci saranno intoppi di carattere tecnico,
ma soprattutto politico — potrebbe arrivare in Consiglio già domani.
Oltre alle norme sulle Ong si dovrà esaminare con i delegati del
Guardasigilli l’attuazione delle disposizioni che riguardano i minori e
quelle per stalker e femminicidi.
Inasprite le pene
Obiettivo
del provvedimento è potenziare l’attività di prevenzione per impedire
che persone già segnalate possano compiere atti di violenza nei
confronti delle donne. Nella bozza di decreto è previsto l’ampliamento
dei casi in cui il questore potrà emettere un provvedimento di
ammonimento, in particolare per gli stalker.
E ci sarà una norma che consente di imporre, nelle situazioni di
pericolo, il divieto di soggiorno e di avvicinamento nei luoghi
frequentati dalla vittima. Saranno inoltre inasprite le pene per chi è
già stato ammonito e viola le disposizioni. Sarà trasferito in carcere
chi è sottoposto al controllo elettronico attraverso il braccialetto ma
tenta di manometterlo. Forze dell’ordine e presidi sanitari avranno
l’obbligo di informare la vittima sui centri antiviolenza
che si trovano sul territorio e dovranno provvedere alla sua
sistemazione in una delle strutture se sarà presentata una richiesta di
questo tipo.
Cambia anche il sistema di risarcimento,
prevedendo una provvisionale che diventa una forma di ristoro
anticipato, già dopo una prima sentenza di condanna.
Il divieto di cellulare
Per combattere il fenomeno criminale delle baby gang è stato deciso di ampliare l’applicazione del daspo anche ai minori, purché abbiano compiuto 14 anni.
La misura sarà presa nei casi più gravi e prevederà l’interdizione alla
frequentazione di alcune aree proprio come già avviene per i
maggiorenni. Sulla falsariga del provvedimento adottato dopo l’omicidio di Willy Montero
— massacrato a calci e pugni nel settembre 2020 — anche chi ha meno di
18 anni potrà così subire l’interdizione a entrare nei locali pubblici e
stare nei luoghi della movida. Per contrastare gli episodi di bullismo via web potrà anche essere disposto il divieto di utilizzo del cellulare e di altre apparecchiature elettroniche. Una norma prevista sia per i minorenni, sia per gli adulti.
L’evasione sottrae all’Erario circa 100 miliardi l’anno, quasi il doppio di quanto costano scuola, università e ricerca
Le misure sul fisco sono state
quelle più controverse della manovra di bilancio. La Commissione europea
ha sollevato obiezioni sul condono e insistito per l’eliminazione della
norma sul Pos. Il governo è stato accusato di ammiccare agli evasori e incentivare il cosiddetto «nero» nel piccolo commercio,
secondo una logica di cattura del consenso simile a quella che aveva
ispirato l’opposizione ai lockdown e al green pass durante la pandemia.
Lega e Fratelli d’Italia non sono certo gli unici partiti europei a
perseguire questo tipo di politiche.
Il taglio delle tasse e insieme l’aumento
di trasferimenti e protezioni per chi lavora nei settori tradizionali
fanno parte dell’agenda di molti movimenti di destra. Le
categorie sociali di riferimento sono i ceti medio-bassi più colpiti
dalle crisi dell’ultimo decennio, peraltro sullo sfondo di un più
generale declino socio-economico.
In Italia c’è però un elemento in più. I sostegni monetari e fiscali (condoni e stralci compresi) vengono presentati e accolti come una sorta di «atto dovuto»
rispetto alle categorie interessate, nel quadro di una accettazione
rassegnata o addirittura benevola da parte del pubblico generale di
contribuenti. Un fenomeno paradossale, ma che riflette un tratto
profondo della cultura politica di questo Paese: l’avversione
generalizzata nei confronti delle imposte nonché la tolleranza diffusa
dell’evasione.
Anche se collegato alla crescita
nel tempo del prelievo, questo tratto culturale ha accompagnato la
storia italiana sin dal dopoguerra. Pensiamo al Fronte dell’Uomo
Qualunque, un movimento che già negli anni Cinquanta protestava contro
lo «Stato vampiro», anticipando gli slogan che furono poi fatti propri
dal partito fratello di Pierre Poujade in Francia. Dai primi sondaggi
comparati sulla «morale fiscale» dei cittadini, effettuati negli anni
Sessanta, l’Italia emergeva come il Paese in cui l’idea delle tasse come «dolorosa sottrazione»
(piuttosto che come contributo per i servizi pubblici) era la più
radicata. Poi sono arrivate le Leghe, i proclami di Bossi che incitavano
alla rivolta fiscale, gli inviti alla disobbedienza quando fu
introdotta l’Imu. Fra il 1972 e il 2002 ci fu qualche forma di condono
praticamente ogni anno.
I fattori che stanno alla base della anomala cultura fiscale italiana sono molteplici: scarsa fiducia sociale e nelle istituzioni, clientelismo, mala amministrazione. Un ruolo cruciale è stato giocato da un fenomeno tutto italiano: l’allentamento
(fino quasi alla sparizione) del legame fra versamento delle imposte e
dei contributi, da un lato, e godimento delle prestazioni sociali
dall’altro. Nell’area del lavoro autonomo questa rottura ha
assunto proporzioni senza paralleli in Europa. Sin dalla loro
istituzione, ad esempio, i regimi previdenziali degli indipendenti hanno
prevalentemente erogato pensioni di importo fisso, senza rapporto
diretto con i contributi versati. In sanità, il passaggio dal
finanziamento contributivo a quello fiscale ha alimentato l’illusione
che l’accesso alle cure fosse un diritto senza contropartita. Per anni,
l’autocertificazione della situazione economica ha consentito
l’esenzione dai ticket anche a utenti non certo bisognosi. Se il welfare
viene percepito come qualcosa di dovuto in quanto tale; se cioè si
smarrisce o non si è mai sviluppata la consapevolezza che le prestazioni
sono il corrispettivo dei versamenti dai cittadini (anche se con
correzioni a fini equitativi), allora non possiamo stupirci che si pensi
alle tasse come sottrazione e alla riscossione come un furto.
Quattro giorni e mezzo.
È il tempo a disposizione del Senato per esaminare e approvare
definitivamente la legge di Bilancio per il 2023, che ha ricevuto il via
libera dalla Camera all’alba del 24 dicembre. Il testo della manovra da 35 miliardi
(21 articoli, migliaia di commi, per un totale di 488 pagine) è stato
trasmesso a Palazzo Madama, dove è stata convocata l’aula per le 14 di
oggi, per l’avvio della sessione Bilancio con le comunicazioni del
presidente Ignazio La Russa sullo svolgimento dei lavori. Sarà una corsa
contro il tempo per approvare la manovra da 35 miliardi di euro entro
sabato 31 dicembre ed evitare così l’«esercizio provvisorio» di
bilancio, ipotesi che governo e maggioranza non vogliono neppure
lontanamente prendere in considerazione. Per questo il testo della manovra dovrà essere approvato senza alcuna modifica rispetto a quello del Senato.
L’iter: prima in Commissione Bilancio poi in aula al Senato
Per definire l’iter e i tempi della discussione e delle votazioni la conferenza dei capigruppo è convocata per le 13. L’esame partirà dalla commissione Bilancio, che si riunirà in sede referente a partire dalle 15.
La stessa commissione è convocata, anche con sedute notturne fino a
mercoledì 28 e anche giovedì mattina, se necessario. Obiettivo: portare
il testo in aula e chiudere la partita tra lo stesso giovedì e venerdì,
ovviamente ricorrendo anche qui, come alla Camera, al voto di fiducia,
che accorcia i tempi dell’iter e mette al riparo da eventuali incidenti
sugli emendamenti, attraverso i quali le opposizioni cercheranno di
ostacolare il cammino della manovra che giudicano iniqua e sbagliata.
L’ex ministro: sarà competitiva con il M5S, ma il dialogo con loro è positivo
Dario Franceschini, anche se lei ancora non lo ha mai dichiarato pubblicamente, si sa che sosterrà la candidatura di Elly Schlein. E in molti si chiedono: perché questa scelta da parte sua? «Dopo
la pandemia e la guerra in Ucraina stanno cambiando tutti i punti di
riferimento attorno a noi. In Europa, nel rapporto tra Stati e mercati,
tra economia e ambiente, tra era digitale e diritti. Solo generazioni
nuove possono capire e interpretare veramente questa stagione».
E dunque? «Dunque, Schlein ha 37 anni e
tutte le caratteristiche culturali e personali per essere la leader del
Pd in questo tempo nuovo. La generazione mia e di Bonaccini ha guidato
il partito ai vari livelli dalla fondazione nel 2007 ad oggi e ora è
giusto che lasci il passo».
Franceschini, ma con questa destra al
governo, il Partito democratico non avrebbe bisogno di una guida più
salda anziché tentare l’ignoto? «In questo momento il Pd non ha
bisogno di continuità e tranquillità ma di un punto di frattura. La
destra, questa destra italiana così estrema, la si contrasta non
proponendo al Paese, come troppe volte abbiamo fatto, pressappoco le
loro stesse risposte con solo una spruzzatina di giustizia sociale in
più, ma facendo emergere tutte le differenze profonde sui valori e sui
modelli di società. Per questo serve un Pd più radicale nella proposta
politica, più netto e più coraggioso».
C’è chi ipotizza che questa operazione
Schlein, da lei supportata, sia in realtà un’operazione gattopardesca:
cambiare tutto perché nulla cambi… «Purtroppo mi pare che la
tentazione prevalente sia ancora un passo più indietro: cambiare poco
perché non cambi niente. Altro che gattopardismo, Schlein deve cambiare tutto:
gruppi dirigenti, abitudini, rendite di posizione, respingendo
compromessi al ribasso, anche se a proporglieli fosse uno di noi che la
sosteniamo».
Arturo Parisi, uno dei padri fondatori
del Partito democratico, sostiene che due ex dc, cioè lei e il
segretario uscente Enrico Letta, stiano in realtà rifacendo il Pci. «È veramente una notazione surreale. Schlein rappresenta la sinistra moderna, non c’è niente in lei del vecchio armamentario ideologico del 900».
ROMA. La Cina si trova ad affrontare la peggiore ondata di contagi dall’inizio della pandemia di Covid, esplosi dopo la revoca delle restrizioni della politica di tolleranza zero verso il virus nelle scorse settimaneIl Giappone richiederà un test negativo al COVID-19 all’arrivo per i viaggiatori provenienti dalla Cina continentale a causa della rapida diffusione del virus nel Paese, ha dichiarato il primo ministro Fumio Kishida. I viaggiatori provenienti dalla Cina che risulteranno positivi al test dovranno rimanere in quarantena per sette giorni, ha dichiarato Kishida, aggiungendo che le nuove misure di frontiera per la Cina entreranno in vigore dalla mezzanotte del 30 dicembre. Il governo limiterà anche le richieste delle compagnie aeree di aumentare i voli verso la Cina. Il Giappone ha riaperto le frontiere ai turisti in ottobre, dopo oltre due anni di rigide misure di contenimento del COVID, a condizione che i viaggiatori presentino la prova della vaccinazione o un test negativo per il coronavirus effettuato prima della partenza. Emergenza Le autorità cinesi stanno andando di porta in porta e pagando le persone di età superiore ai 60 anni per farsi vaccinare contro la COVID-19. Ma anche se i casi aumentano, Li Liansheng, 64 anni, ha detto che i suoi amici sono allarmati dalle storie di febbri, coaguli di sangue e altri effetti collaterali. Li, che è stato vaccinato e in seguito si è ammalato di COVID-19, ha detto che le persone “potrebbero non essere disposte a prendere i vaccini”. Il mese scorso il governo ha annunciato una campagna per aumentare il tasso di vaccinazione tra i cinesi più anziani. Secondo gli esperti, si tratta di un fattore cruciale per evitare una crisi sanitaria e del più grande ostacolo prima che il Partito Comunista al potere possa eliminare le ultime restrizioni antivirali più severe al mondo. PECHINO (AP) _ Le autorità cinesi stanno andando di porta in porta a pagare le persone di età superiore ai 60 anni perché si vaccinino contro il COVID-19. Ma anche se i casi aumentano, le persone di 64 anni non sono in grado di vaccinarsi. Ma anche se i casi aumentano, Li Liansheng, 64 anni, ha detto che i suoi amici sono allarmati dalle storie di febbri, coaguli di sangue e altri effetti collaterali. Quando le persone sentono parlare di questi incidenti, potrebbero non essere disposte a sottoporsi al vaccino”, ha detto Li, che era stato vaccinato prima di contrarre la COVID-19. Pochi giorni dopo l’attacco del virus, durato 10 giorni, Li sta soffrendo di mal di gola e tosse. Ha detto che si tratta di un “normale raffreddore” con una leggera febbre. La Cina si è unita ad altri Paesi nel trattare i casi invece di cercare di eliminare la trasmissione del virus, eliminando o alleggerendo le regole sui test, le quarantene e gli spostamenti, nel tentativo di invertire il crollo economico. Ma questo cambiamento ha inondato gli ospedali di pazienti febbricitanti e ansimanti. Sos vaccini La Commissione nazionale per la salute ha annunciato il 29 novembre una campagna per aumentare il tasso di vaccinazione tra i cinesi più anziani, che secondo gli esperti sanitari è fondamentale per evitare una crisi sanitaria. È anche il più grande ostacolo prima che il Partito Comunista al potere possa eliminare le ultime restrizioni antivirus più severe al mondo. La Cina ha mantenuto basso il numero di casi per due anni con una strategia “zero-COVID” che ha isolato le città e confinato milioni di persone nelle loro case. Ora, mentre fa marcia indietro rispetto a quell’approccio, si trova ad affrontare le epidemie diffuse che altri Paesi hanno già affrontato. La commissione sanitaria ha registrato solo sei decessi per COVID-19 questo mese, portando il bilancio ufficiale del Paese a 5.241 vittime. Questo nonostante le numerose segnalazioni di parenti deceduti da parte delle famiglie. La Cina conta solo i decessi per polmonite o insufficienza respiratoria nel bilancio ufficiale della COVID-19, ha dichiarato la scorsa settimana un funzionario sanitario. Questa definizione insolitamente ristretta esclude molti decessi che altri Paesi attribuirebbero alla COVID-19. Gli esperti hanno previsto da 1 a 2 milioni di morti in Cina fino alla fine del 2023. Li, che si stava allenando nel verde del Tempio del Cielo, nel centro di Pechino, ha detto che sta considerando di fare un secondo richiamo a causa della campagna pubblicitaria: Finché sappiamo che il vaccino non causerà grossi effetti collaterali, dovremmo prenderlo”. Ai comitati di quartiere, che costituiscono il livello più basso del governo, è stato ordinato di trovare tutti gli anziani di 65 anni e di tenere traccia della loro salute. Stanno svolgendo quello che i media statali chiamano il “lavoro ideologico” di fare pressione sui residenti per convincere i parenti anziani a vaccinarsi. Test A Pechino, la capitale cinese, il quartiere Liulidun promette agli over 60 fino a 500 yuan (70 dollari) per un corso di vaccinazione di due dosi e un richiamo. La Commissione nazionale per la salute ha annunciato il 23 dicembre che il numero di persone vaccinate ogni giorno è più che raddoppiato, raggiungendo i 3,5 milioni a livello nazionale. Ma si tratta ancora di una piccola frazione delle decine di milioni di vaccini che venivano somministrati ogni giorno all’inizio del 2021. Gli anziani sono scoraggiati dai potenziali effetti collaterali dei vaccini cinesi, per i quali il governo non ha reso noti i risultati dei test effettuati su persone di 60 anni o più. Li ha detto che un amico di 55 anni ha sofferto di febbre e coaguli di sangue dopo essere stato vaccinato. Ha detto che non si può essere certi che la colpa sia dell’iniezione, ma il suo amico è riluttante a farne un’altra. Si dice anche che il virus continui a mutare”, ha detto Li. Come facciamo a sapere se i vaccini che prendiamo sono utili?”. Alcuni sono riluttanti perché hanno diabete, problemi cardiaci e altre complicazioni di salute, nonostante gli avvertimenti degli esperti che è ancora più urgente per loro essere vaccinati perché i rischi del COVID-19 sono più gravi dei potenziali effetti collaterali del vaccino in quasi tutti.
Messa alle spalle (o quasi) la complicata partita della
manovra, Antonio Tajani pone un obiettivo al governo: «Una grande
riforma della burocrazia». Il vicepremier è anche il ministro degli
Esteri e lancia messaggi alla Russia: «Mandi segnali di voler
negoziare».
Ministro, Putin dice di voler aprire un negoziato. C’è da fidarsi? «I fatti ci dicono di no».
A cosa si riferisce? «Se fosse vera e sincera
questa disponibilità credo che non ci sarebbe stato quel bombardamento
alla vigilia di Natale. Alle parole di Putin non seguono i fatti».
Quali segnali si aspetterebbe da Putin, se davvero fosse aperto al dialogo? «Un segnale potrebbe arrivare dalla gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Per il momento non lo abbiamo visto».
L’Italia manderà ancora armi all’Ucraina? «Il Parlamento si è espresso pochi giorni fa in questo senso e il governo ha una posizione molto chiara».
Il Natale è stato molto teso anche al confine tra Kosovo e
Serbia: minacce, provocazioni e anche una sparatoria. Siamo alle porte
di una nuova guerra etnica? «Speriamo di no. Faccio un appello ad allentare le tensioni».
Lei è stato in Kosovo e Serbia un mese fa, che ruolo può giocare l’Italia? «L’Italia
sta già svolgendo un ruolo importante, la presenza dei nostri militari è
uno strumento di politica estera e non è un caso che a guidare la
missione Nato KFor sia un generale italiano. Il nostro scopo è tornare a
essere protagonisti di quella regione, come già altri Stati stanno
provando a fare. In questo senso si inquadra la conferenza sui Balcani
in programma tra un mese a Trieste, a cui farà seguito un evento a Roma
con i ministri degli Esteri di quella regione».
Giorni caldi anche in Libia: il governo ha un piano? «Per
noi è un’area strategica per molti motivi. Ho invitato a Roma l’inviato
dell’Onu Abdoulaye Bathily con il quale concordiamo l’auspicio che si
possano svolgere presto le elezioni».
È previsto un viaggio suo o della presidente del Consiglio? «Ci
si arriverà, prima bisogna che sia chiaro un percorso che porti alle
elezioni. La stabilità della Libia è fondamentale anche per la questione
dei migranti».
I diritti umani vengono calpestati in Libia sulla pelle dei migranti, l’Italia vigilerà su questo? «Anche per avere un controllo su queste situazioni è fondamentale che la Libia abbia un governo stabile».
Le violazioni dei diritti umani più elementari avvengono anche in Iran. «Sto
aspettando l’insediamento del nuovo ambasciatore per convocarlo e
spiegargli la posizione italiana di ferma condanna della repressione in
corso. Se allarghiamo lo sguardo e arriviamo in Afghanistan notiamo una
recrudescenza fondamentalista che ci preoccupa».
È l’anno buono per riformare il Patto di stabilità e crescita dell’Unione europea? «È una riforma fondamentale. L’obiettivo è che il patto non sia solo di stabilità, ma anche di crescita».
Arriva il terzo Natale dell’Era Covidica, e siamo davvero “il Paese
della latenza”: domande crescenti, risposte assenti. Nell’attesa che
arrivino, se mai arriveranno, annaspiamo tra resilienza e
disuguaglianza, galleggiamo tra autodifesa e conservazione, oscilliamo
tra rinuncia e recessione. Di fronte a una maledetta pandemia che cambia
forma ma non sostanza e a una sporca guerra novecentesca che dura e
annienta vite umane e risorse economiche, ci acconciamo a convivere o a
sopravvivere con le troppe crisi d’epoca. Il virus e le sue varianti,
Putin e i suoi vaneggiamenti, l’inflazione e i suoi sconvolgimenti. Come
dice il Censis, l’Italia non regredisce grazie allo sforzo individuale,
ma non matura. Riceve stimoli a mettersi sotto sforzo e a confrontarsi
con le ferite della Storia, ma non reagisce, si difende, riduce i danni,
non cresce, non guarda avanti. Nell’attesa di diventare adulta, si
affida al solito stellone nazionale: le poche eccellenze che brillano,
le molte esportazioni che reggono, il vecchio turismo che non molla. Per
il resto, la piramide sociale appare quasi cristallizzata e ripiegata
su se stessa. Protetta all’interno dai suoi eroici 1600 miliardi di
risparmi privati, alla base dai sussidi a pioggia e al vertice dalle
rendite di posizione e di ricchezza. La “nazione”, non da oggi, avrebbe
un drammatico bisogno di una scossa. E invece la legge di bilancio che
sta faticosamente arrivando al traguardo non scuote niente, se non le
coscienze e le incompetenze di chi l’ha così malamente assemblata. Da
quel testo, purtroppo mai così pasticciato, esce un’idea di piccolo
Paese, autarchico, passatista e pre-moderno.
Per carità di Patria (la “nostra madre”, come dice Meloni),
stendiamo un velo pietoso sugli innumerevoli e imbarazzanti dietrofront
di queste settimane: il tetto all’uso del Pos e l’abolizione di App18,
il colpo di spugna sui reati tributari e l’aumento delle pensioni minime
a 1000 euro. Se ci fossero ancora Longanesi e Flaiano, di fronte a un
esecutivo che all’estero continuano a bollare come post-fascista,
riderebbero di questa continua “retro-marcia su Roma”. Urge una doppia
premessa. Primo: nessuno deve sottovalutare l’unica cosa buona che c’è
nella manovra, cioè il rispetto dei saldi contabili concordati con la
Commissione europea, grazie al quale per ora i mercati fischiettano e lo
spread sonnecchia. Secondo: nessuno può illudersi che in tre
mesi si possano sciogliere nodi strutturali che l’Italia si porta dietro
da quasi venticinque anni. È dalla fine degli Anni ’90 che l’Italia
ristagna, ha una crescita pari a meno della metà della media Ocse e una
produttività quasi piatta, mentre nell’Eurozona è ai primi posti per
spesa previdenziale in rapporto al Pil e agli ultimi posti per tasso di
occupazione femminile e giovanile.
Questi problemi non li ha risolti nessuno degli esecutivi che si
sono avvicendati finora. Ma dal primo governo della Sorella d’Italia,
che dopo la parentesi tecnocratica di Draghi riporta la politica al
centro della scena, era lecito aspettarsi di più. Lei stessa, con
onestà, lo ha dovuto ammettere: “Si poteva fare di meglio”. Eppure
questo patchwork un po’ informe di piccole prebende (ce ne sono una
ventina, dalla mancia per gli allevatori di bufale a quella per i
cammini religiosi) e di grandi sanatorie (ce ne sono dodici, dal condono
per le cripto-valute al Salva-calcio) riflette esattamente la visione
della società italiana che questa destra coltiva da tempo. Una società
tradizionale e patriarcale, assistenziale ma al tempo stesso poco
solidale. E tendenzialmente classista, individualista, sessista. Molto
incline alla conservazione, poco propensa al cambiamento. Una società
che vive di insicurezze e paure. La sinistra ha perso perché non lo ha
capito, la destra ha vinto perché, invece di neutralizzarle, le ha
nutrite. E ora che governa salda le sue cambiali politiche con ciascuna
delle singole constituency elettorali che l’hanno portata in trionfo a Palazzo Chigi.
I salvati della manovra sono soprattutto i maschi, bianchi, adulti
e/o anziani, e quelli che la premier ha chiamato “i figli di un dio
minore”: i lavoratori autonomi, i commercianti, gli artigiani, le
partite Iva. Simbolo di un’economia terziaria, a volte un po’ arretrata,
in parte sommersa, comunque radicata nei settori più maturi
dell’economia. A costoro, le tre destre hanno fatto ponti d’oro: la
comoda Flat Tax al 15 per cento per i ricavi fino a 85 mila euro, il
tetto a 5 mila euro per l’uso del contante, la rottamazione di multe e
cartelle, la definizione delle liti pendenti, il ravvedimento speciale,
quota 103 sulle pensioni e l’aumento delle minime per gli
ultrasettantacinquenni. I sommersi della manovra sono tutti gli altri.
Il ceto medio, cioè i lavoratori dipendenti, quelli che pagano le tasse
alla fonte fino all’ultimo euro, ma soprattutto le donne, i giovani e i
più poveri. A costoro le tre destre hanno dato un piatto di minestra. Ai
dipendenti arrivano i pochi spicci di taglio del cuneo fiscale. Per le
donne ci sono i due soldi di Iva ridotta per assorbenti e pannolini,
un’Opzione-Donna che oltre a ridurre del 30 per cento l’assegno
previdenziale richiede come requisito il fatto di essere care-giver
da sei mesi, e infine l’aumento del congedo genitoriale e solo
femminile per il primo mese di vita del figlio. Per i giovani non c’è
nulla: il bonus cultura sparirà tra un anno (non subito, solo perché
hanno pastrocchiato anche su questo) e il reddito di cittadinanza
sparirà tra sette mesi, all’indomani dei quali anche i ragazzi laureati
dovranno abituarsi “a fare i lavori che fanno gli extracomunitari”
(secondo la dottrina dell’Uomo Qualunque esposta dal ministro
Lollobrigida).
L’intervista all’ex premier: «Tante
le sfide raccolte e vinte: noi cresciuti più di Francia e Germania.
Continuare a proteggere i più fragili. Putin? Solo lui può fermare i
massacri»
Mario Draghi mi accoglie
sorridente, sfoggiando il senso dell’humour che gli italiani hanno
imparato a conoscere nelle sue conferenze stampa da premier. Fuori da Palazzo Chigi sta sperimentando — dice — «un po’ di tempo libero. Faccio il nonno, ho quattro nipoti. E mi godo il diritto dei nonni di poter scegliere che cosa fare. Anche per questo ho chiarito che non sono interessato a incarichi politici o istituzionali, né in Italia né all’estero».
Qualcuno ha detto che lei abbia cercato questa libertà, accelerando la caduta del suo governo… «Se guardo alle sfide raccolte e vinte in soli venti mesi di
governo, c’è da sorridere a chi ha detto che me ne volessi andare,
spaventato dall’ipotetico abisso di una recessione che fino a oggi non
ha trovato riscontro nei dati. Ero stato chiamato a fare, dopo una vita,
un mestiere per me nuovo e l’ho fatto al meglio delle mie capacità.
Sarei dunque rimasto volentieri per completare il lavoro, se mi fosse
stato consentito».
Che Italia trovò, quando è entrato a Palazzo Chigi nel febbraio del 2021? E che Italia ha lasciato ai suoi successori? «A febbraio 2021 la situazione era molto difficile. La pandemia uccideva centinaia di persone ogni giorno,
la campagna di vaccinazione stentava a decollare, l’economia era ferma,
c’era grande incertezza sulla riapertura delle scuole. Poi, quando si
era cominciata a vedere la fine del tunnel, scoppiò la guerra. Adesso
siamo in un contesto internazionale complicato, di incertezza
geopolitica e di rallentamento economico globale. Tuttavia l’Italia ha
mostrato di sapercela fare. Quest’anno cresceremo di quasi il 4%, più di Francia e Germania,
dopo i sette trimestri di crescita consecutivi durante il mio governo.
Il debito pubblico in questi due anni è calato come mai nel dopoguerra, e
l’Italia è l’unico grande Paese europeo che, negli ultimi anni, è
riuscito ad aumentare le proprie quote di mercato nell’export
internazionale».
Ma dal punto di vista sociale, come si può costruire un Paese più equo? «I dati dell’Istat ci dicono che quest’anno le nostre politiche
sulle famiglie hanno ridotto la disuguaglianza — misurata dall’indice di
Gini — dal 30,4% al 29,6% e il rischio povertà dal 18,6% al 16,8%.
L’Ufficio parlamentare di Bilancio ha stimato che le nostre misure di
sostegno hanno praticamente azzerato l’impatto del carovita sulle
famiglie più povere, con forti effetti redistributivi. All’inizio del
2021, il tasso di disoccupazione in Italia era al 10,2%. A ottobre era sceso al 7,8%
e il tasso di occupazione ha raggiunto il 60,5%, un record storico: è
un dato molto importante perché la fonte maggiore di diseguaglianza è la
disoccupazione. Questi sono i risultati dell’agenda sociale ed
economica del governo che ho avuto l’onore di presiedere. Eravamo anche
vicini all’introduzione del salario minimo e alla riforma del reddito di
cittadinanza, per farlo funzionare meglio. Ma questo è il passato, ora
occorre guardare avanti».
E ora, dove sta andando l’economia globale? «L’inflazione ha messo le banche centrali davanti a una sfida che
non fronteggiavano da molto tempo. Preservare la stabilità dei prezzi è
essenziale, perché un’inflazione alta e variabile aumenta l’incertezza
economica e sociale, danneggia i più poveri, chi ha un reddito fisso e
in ultima analisi mina la crescita. In Europa la causa primaria
dell’alto tasso d’inflazione, che sta velocemente contagiando il resto
dell’economia, è il prezzo dell’energia, che la Russia ha fatto salire
cominciando a diminuire deliberatamente le forniture di gas mesi prima
dell’invasione dell’Ucraina. C’è molto che gli Stati europei possono
fare insieme e a livello nazionale su questo fronte, mentre l’inazione
europea può portare a frammentazioni lungo linee imprevedibili.
L’accordo su un tetto al prezzo del gas
raggiunto nei giorni scorsi è un risultato importante, per cui l’Italia
si è battuta da mesi: adesso va applicato in modo efficace. È poi
prioritario che i governi continuino a proteggere i più fragili: a
questo proposito sarebbero opportune nuove iniziative europee, che
ricalchino il fondo comune di sostegno al mercato del lavoro adottato
durante la pandemia».
Il suo governo si era dato la missione di ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia. Crede che ci sia riuscito? «L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha dimostrato
l’imprudenza della politica energetica italiana degli anni recenti,
frutto di scelte che restano in alcuni casi ancora da chiarire.
All’inizio di quest’anno, l’Italia importava oltre il 40% del gas dalla
Russia — una dipendenza che metteva a rischio il nostro benessere e ci
rendeva vulnerabili ai ricatti di Mosca. Nel giro di pochi mesi
dall’inizio della guerra abbiamo raggiunto accordi con molti altri
fornitori, in numero maggiore di ogni altro Paese europeo, e abbiamo
semplificato in modo significativo le procedure per installare nuovi
impianti di energie rinnovabili: le richieste per nuovi allacciamenti
nel 2022 sono state pari a 11 GW, quasi cinque volte la potenza
installata nei due anni precedenti. A oggi, le importazioni dalla Russia
sono appena un quarto rispetto a inizio anno e le forniture sono
regolari. La Commissione Europea dice che siamo un esempio sul fronte
della diversificazione — un risultato di cui l’Italia deve essere
orgogliosa».
Qual è stata la decisione che le è costato di più prendere? «Di decisioni difficili ne abbiamo prese molte: penso alla scelta
di attuare tra i primi in Europa il green pass e l’obbligo vaccinale.
Sapevo che erano limitazioni delle libertà individuali, ma erano
necessarie per garantire a tutti il diritto alla salute, soprattutto ai
più fragili. Mi fa piacere vedere oggi che la Corte Costituzionale
concordi in pieno con l’impostazione del governo. Altrettanto difficile è
stato scegliere ad aprile dello scorso anno di riaprire le scuole: mi
hanno paragonato a Bolsonaro, hanno detto che avremmo causato una
catastrofe sanitaria. Ma l’epidemia è rimasta sotto controllo e i
ragazzi sono tornati a scuola in modo continuativo. Infine, il sostegno
immediato e convinto all’Ucraina: i rischi di una ritorsione russa erano
evidenti, ma non potevamo girarci dall’altra parte davanti a chi aveva
riportato la guerra in Europa».
Si è data una spiegazione del perché l’hanno fatta cadere? «Il governo si poggiava sul consenso di una vasta coalizione, che
aveva deciso di mettere da parte le proprie differenze per permettere
all’Italia di superare un periodo di emergenza. Non avevo dunque un mio
partito o una mia base parlamentare. A un certo punto, la volontà dei partiti di trovare compromessi è venuta meno, anche per l’avvicinarsi della scadenza naturale della legislatura».
Come andarono le cose? «Con il passare dei mesi, la maggioranza che sosteneva il governo
si era andata sfaldando e diversi partiti si andavano dissociando da
decisioni già prese in Parlamento o in Consiglio dei ministri. Il Movimento 5 Stelle era sempre più contrario al sostegno militare all’Ucraina,
nonostante avesse inizialmente appoggiato questa posizione in
Parlamento insieme a tutte le altre forze politiche, e nonostante questa
fosse la linea concordata con i nostri alleati in sede europea, G7 e
Nato. Forza Italia e Lega erano contrarie ad aspetti di alcune
importanti riforme — fisco e concorrenza — a cui era stato dato il via
libera in Consiglio dei ministri. Lega e Movimento Cinque Stelle
chiedevano inoltre a gran voce uno scostamento di bilancio nonostante —
come stiamo vedendo — l’economia e l’occupazione andassero bene».
Ci racconti il «giorno del giudizio» in Senato, che portò alle sue dimissioni. «Nei pochi giorni che intercorsero tra la decisione del Movimento
5 Stelle di non votare la fiducia sul “decreto aiuti” e il dibattito
sulla fiducia in Senato l’ondata di messaggi, come quello dei sindaci,
perché restassi al governo mi avevano convinto a cercare una soluzione.
Sono ancora profondamente grato per questi appelli, come per tutto il
sostegno che ho ricevuto durante il mio incarico. Ma le posizioni dei
partiti erano ormai inconciliabili».
In che modo? «Ad esempio, il centrodestra era disponibile ad andare avanti,
purché i ministri Cinque Stelle uscissero dal governo e fossero
sostituiti da loro esponenti. Tuttavia, il Pd non era disponibile a far
parte di quello che sarebbe diventato nei fatti un governo di
centrodestra. Inoltre, sin dalle consultazioni che precedettero la
formazione del governo, avevo chiarito che per me sarebbe stato
impossibile guidare un governo di unità nazionale senza il partito di
maggioranza relativa in Parlamento, il Movimento 5 Stelle».
La questione dei rapporti con la Russia ha avuto un peso nell’apertura della crisi? «Non so dire che ruolo abbia giocato la guerra all’Ucraina. Noto
però che oggi il M5S è contrario a proseguire nel sostegno militare
all’Ucraina, nonostante questo sia stato decisivo per permettere a Kiev
di riprendere una porzione significativa del Paese che era stata
occupata dai russi».
Pensa che sia possibile in tempi ragionevoli una pace in Ucraina? «Le prospettive di pace sono difficili anche se molto è cambiato
in quest’ultimo periodo: i canali di comunicazione sono molto più aperti
e la Cina sembra essere più presente nella costruzione di una
trattativa. Tuttavia il Cremlino ha dimostrato finora di non volere la
pace. Il mio governo ha sempre cercato la pace, e ha provato ad
agevolare possibili mediazioni: penso ad esempio a quanto fatto sul
grano bloccato nei porti del Mar Nero. Ma è soltanto il presidente Putin
che può porre fine a questi massacri».
Lei ha sostenuto l’Ucraina con più energia di altri leader occidentali. Perché? «Abbiamo appoggiato l’Ucraina subito, con convinzione, insieme
agli altri alleati del G7, dell’Ue, della Nato e nel farlo abbiamo
mostrato che l’Italia può essere un Paese guida in Europa, come merita.
Sull’Ucraina il governo ha agito nel solco di un mandato pieno da parte
del Parlamento: tutti i principali partiti, anche la prima forza di opposizione, ci hanno sostenuto nell’invio di armi a Kiev,
nel sostegno umanitario ai rifugiati e a chi è restato in Ucraina,
nell’imposizione di sanzioni contro la Russia, nella ricerca di un
negoziato, ove possibile. La posizione dell’Italia sulla guerra è stata
probabilmente più forte e decisa di quanto si aspettassero molti
osservatori. Ero consapevole dei forti legami passati tra l’Italia e
Mosca, ma non potevamo restare impassibili davanti a un’aggressione
immotivata e a sistematiche violazioni del diritto internazionale e dei
diritti umani. In Russia probabilmente contavano su una nostra
ambiguità, che invece non c’è stata, e questo spiega la rabbiosa e
scomposta reazione di alcuni diplomatici russi, che se la sono presa
anche con la libera stampa in Italia».
Come giudica il governo che ha preso il posto del suo? «Non spetta a me giudicare il governo, soprattutto non dopo così poco tempo. Giorgia Meloni ha dimostrato di essere una leader abile e ha avuto un forte mandato elettorale.
Occorre stare attenti a che non si crei di nuovo un clima
internazionale negativo nei confronti dell’Italia. Mantenere saldo
l’ancoraggio all’Europa è il modo migliore per moltiplicare il nostro
peso internazionale. Penso anche che si debba sempre mantenere aperto il
confronto con le parti sociali, con gli enti territoriali, con il terzo
settore. Un confronto ispirato al dialogo, all’ascolto, alla
disponibilità».
Dallo stralcio delle cartelle fino a 1000 euro alla proroga (con
incremento) del «Bonus psicologo»; dal via libera a Quota 103 al rialzo
delle pensioni minime e alla mini proroga per il Superbonus 110. E
poi alcune novità, come il fondo per i collegamenti con Sardegna e
Sicilia, il «reddito alimentare», il piano «Bici in comune», la norma sui cinghiali.
Intanto la manovra, che in totale vale 35 miliardi, torna in
Commissione questa mattina. Motivo: la proposta sui Comuni, votata nella
maratona notturna, destinava 450 milioni all’Anci, ma non era
coperto. Dunque, torna in discussione. E il provvedimento passerà poi
all’esame dell’Aula. Tra le modifiche anche la caccia ai cinghiali in
città, la perdita del reddito di cittadinanza per chi rifiuta un’offerta
di lavoro e la proroga per i dehors. Tra mille polemiche, compresa
l’occupazione dell’aula della Commissione Bilancio della Camera, ora
occorre fare in fretta per evitare l’esercizio provvisorio. E allora si
avvicina al passaggio in Aula alla Camera seguito, poi, dalla votazione
al Senato. I tempi: entro il 31 dicembre. Vediamo, punto per punto, le
principali novità e i temi che scandiranno la giornata in Aula.
Scintille maggioranza opposizione L’attacco più
duro alla maggioranza arriva dal Terzo Polo. «Non ci lamentiamo – ha
detto la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi – per le scelte che
non condividiamo perché la maggioranza ha il diritto e il dovere di fare
scelte, ci lamentiamo per il modo irrispettoso, indecente con cui è
stato trattato il Parlamento». Durissimo, intanto, l’attacco del M5S sul
taglio al reddito di cittadinanza. «Commentando l’eliminazione della
“congruità” dell’offerta di lavoro per i percettori “occupabili” di Rdc,
avvenuta nottetempo durante l’esame della legge di Bilancio, il
Sottosegretario al Lavoro Durigon ha detto – cito testualmente – che
la “territorialità rimane”. Tali dichiarazioni rafforzano le nostre
certezze: la Destra ha stravolto la legge sul Rdc, che cancelleranno dal
primo gennaio 2024, senza conoscerla». Lo afferma il capogruppo del M5S
in commissione Lavoro alla Camera Davide Aiello. «Contrariamente a
quanto affermato da Durigon, infatti, con l’approvazione
dell’emendamento Lupi il criterio della “territorialità” (secondo cui la
sede di lavoro doveva essere a non più di 80 km dalla residenza del
beneficiario) viene eliminato. Altresì, viene cancellato il criterio
della remunerazione: almeno 858 euro. Non si è mai visto tanto
pressappochismo. A causa della sua furia ideologica, la maggioranza sta
gettando le basi per un dramma sociale. Si fermino prima che sia troppo
tardi». E poi: «Polemiche del M5S sul reddito? Ci sono state stagioni in
cui c’è stato chi ha soffiato sul fuoco, e poi non si è riuscito a
spegnerlo, come con il terrorismo, il confronto resti sempre sul piano
delle idee». Così Francesco Lollobrigida, ministro dell’agricoltura e
della sovranità alimentare, ospite di AdnKronos Live. «Ogni istituzione
sia responsabile» chiede il ministro. Lollobrigida sullo scudo fiscale: “Abbiamo dimostrato di credere nella legalità” Il
tema dello scudo fiscale viene rilanciato dal ministro dell’Agricoltura
e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida che
puntualizza: «Abbiamo dimostrato di credere nella legalità». E sul
taglio al Reddito di Cittadinanza avverte: «Attenzione a sogffiare sul
fuoco come è successo negli anni Settanta con il teeorismo».
Iniziata la discussione alla Camera E’ iniziata nell’Aula della Camera, con gli interventi dei relatori, la discussione generale sul Ddl bilancio. Partecipa ai lavori, in rappresentanza del Governo, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Al termine di questa fase il provvedimento, secondo quanto si e’ appreso, tornerà all’esame della commissione Bilancio per lo stralcio per mancanza di coperture finanziarie, delle che assegnano risorse ai Comuni. Nel corso della giornata l’Esecutivo ricorrerà alla questione di fiducia che verrà votata domani. Il via libera di Montecitorio è atteso entro Natale, mentre l’approvazione definitiva della Manovra da parte del Senato arriverà a ridosso della fine dell’anno. Vediamo, punto per punto, le principali novità. Reddito alimentare Voluta dal Pd e passata in Commissione, arriva il «reddito alimentare». Di che si tratta? L’intenzione è quella di fare fronte allo spreco dei pacchi alimentare: quelli invenduti della distribuzione alimentare andranno a soggetti in povertà assoluta. Pensioni minime e mutui Un cavallo di battaglia di Forza Italia, c’è l’ok alla rivalutazione delle pensioni minime per il prossimo anno e anche per il 2024. Solo per gli over 75 e soltanto per il 2023 le pensioni minime salgono a 600 euro. L’incremento sarà del 6,4% e adeguato all’andamento dell’inflazione.