Archive for 2022

La questione morale da Berlinguer alla “Ditta”

giovedì, Dicembre 22nd, 2022

Massimo Giannini

Vedere il docufilm su Pio La Torre, venerdì sera, su Raitre è stato un colpo al cuore. Scorrevano le immagini sbiadite di comizi e interviste del segretario del Pci siciliano ucciso dalla mafia nell’82. Figlio di braccianti poverissimi, tutte le mattine Pio mungeva le vacche, poi per cinque chilometri consumava le suole già logore delle vecchie scarpe di sua madre, lui non aveva neanche quelle, e andava a scuola perché «solo la cultura ci salverà dalla miseria». Parlava sua moglie, composta nel dolore, dopo la mattanza di Palermo. Parlavano i suoi compagni. Giorgio Napolitano ricordava le sue battaglie nel sindacato e poi nel partito per chiedere «terra ai contadini e sviluppo per il Sud». Emanuele Macaluso rievocava tra le lacrime il suo coraggio nella lotta a Cosa Nostra e quella sua ultima profezia, «adesso tocca a noi», pronunciata pochi giorni prima di cadere sotto i colpi della manovalanza assassina dei Corleonesi.

Ripensavo a questo pezzo di Prima Repubblica, guardavo quelle facce scavate di gente vera e onesta, sentivo quelle parole dure, giuste, profonde. E non c’entravano il Pci o la Dc. C’entrava una certa idea della politica. La politica come missione e passione. La politica come comunità di destino, come servizio per la collettività e per il Paese. E mentre scorrevano le immagini, pensavo alla Tangentopoli di Strasburgo, alla nuova Qatar Gauche dei Panzeri e dei Cozzolino. Ai trolley pieni di soldi nei salotti, ai fondi neri alle Cayman. Com’è stato possibile questo scempio? Come ha potuto la sinistra partire da Pio La Torre e poi cadere in questo abisso? In tempo reale ho girato su whatsapp queste domande a Walter Veltroni, che ha scritto e diretto per la Rai quel prezioso frammento di Storia italiana.

Mi ha risposto: «Siamo stati una cosa bella, senza il cuore la politica è una cosa per brutta gente». Si ironizza spesso sul buonismo veltroniano. Ma ora provate a dargli torto. Provate a negare che se non ci sono valori e ideali la politica si riduce a professione e gestione. Di potere, di poltrone, di denaro. E provate a non riconoscere quanto sia sacrosanto l’appello lanciato ieri sul nostro giornale da Lucia Annunziata, e rivolto ai nipotini indegni di Pio La Torre confluiti nel Pd, «l’amalgama mal riuscito»: anticipate questo benedetto congresso e dedicatelo tutto alla “Questione morale”, che poi è anche la questione sociale. Parlateci senz’altro di questo Qatargate, del “Sistema-Panzeri” perché anche se ora non lo è più, è stato cosa vostra. Magari metteteci pure il caso Soumahoro, che è Articolo 1 ma è pur sempre nella vostra metà del campo. E spiegateci come sia potuto accadere che la sinistra dei diritti e della difesa degli ultimi oggi usa proprio i diritti e gli ultimi per lucrare le sue miserabili prebende attraverso le apposite Ong. Ma soprattutto interrogatevi su come “il partito degli onesti”, quello dell’etica pubblica e del bene comune, quello dell’egemonia culturale e della superiorità morale, sia potuto diventare un qualsiasi Psdi 4.0, permeabile al malaffare e alle mazzette.

Non basta più invitare la destra a sciacquarsi la bocca prima di accusare la “sinistra corrotta”. Lo sappiamo dagli anni del Caf di Craxi-Andreotti-Forlani fino ad arrivare a Tangentopoli e poi al Berlusconi dei 18 processi e delle leggi ad personam: nascosta dietro la foglia di fico del garantismo, la destra ha sempre avuto un’altissima soglia di tolleranza verso gli scandali, i conflitti di interesse, i traffici tra politica e affari e i reati contro la pubblica amministrazione. Anche questa auto-rappresentazione, in parte, l’ha aiutata ad accrescere i suoi consensi, in virtù di quella che il filosofo Franco Cassano definiva “l’umiltà del male”, la capacità di chi fa politica di astenersi dai giudizi di disvalore verso chi sbaglia, di non rivendicare mai la propria superiorità morale, di essere o di mettersi sempre sullo stesso piano del cittadino che non paga le tasse, non versa i contributi alla colf, non paga le multe. È la stessa logica che ispira la legge di bilancio del governo Meloni, infestata di simil-condoni e di sostegni impliciti al sommerso, e la riforma della giustizia del Guardasigilli Nordio, infarcita di più depenalizzazioni e meno intercettazioni, di inasprimenti del controllo politico sulle procure e di annacquamenti della legge Severino sull’incandidabilità dei condannati in primo grado. Tutte queste evidenze le conosciamo. Ma è della sinistra, adesso, che bisogna discutere. Senza cercare la trave nell’occhio dell’altro.

Non serve la condanna indignata di quella cloaca di milioni sporchi che gli emissari dello sceicco Al Thani alimentavano a piene mani a vantaggio degli europarlamentari e dei loro manutengoli. Letta, Bonaccini, Schlein: sono passati lunghi giorni, prima che aprissero bocca, per limitarsi poi a denunciare i traffici “oltraggiosi e inaccettabili”. Roberto Speranza sarà pure “incazzato nero” per quello che è successo, ma poi? Gli unici che finora hanno avuto il coraggio di fare un passo in più sono stati Gianni Cuperlo e Sergio Cofferati. Il primo, rifiutando a priori la scusa delle “mele marce” e contestando il rito cannibale e populista con il quale in questi anni la politica stessa ha celebrato, accelerandola, la morte dei partiti e salutando con feroce gioia l’eliminazione del finanziamento pubblico. Il secondo, bocciando l’eccessiva “cautela” con la quale i partiti hanno liquidato il vergognoso falò di “valori costituzionali” perpetrato a Bruxelles e puntando il dito contro la zona grigia che cresce tra partiti e lobby.

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Così Soumahoro e l’Usb Caruso dettavano legge tra i braccianti

venerdì, Dicembre 2nd, 2022

Bianca Leonardi

«Lo scontro nel ghetto è da sempre tra Soumahoro e Caruso»: così riferiscono a Il Giornale gli abitanti di Torretta Antonacci, il ghetto foggiano dove entrambi i protagonisti sembrerebbero aver costruito le proprie carriere. Da una parte Aboubakar Soumahoro, a capo della Lega Braccianti; dall’altra Francesco Saverio Caruso, delegato Usb a Foggia che si occupa – a nome del sindacato – delle questioni legate al Gran Ghetto.

«Gli uomini della Lega Braccianti e dell’Usb ci chiedono soldi per portarci a lavorare e per qualsiasi altra cose, anche per un materasso»: queste le principali accuse rivolte ai due «capi-clan». La loro storia si intreccia proprio all’interno del sindacato, dove Soumahoro ha militato per decenni fino all’abbandono, nel 2020, quando ha deciso di costruire la sua realtà.

Da lì, la guerra: tanto che i fedelissimi del deputato con gli stivali, ex soci della Lega Braccianti, sembrerebbero passati a Usb. Uno su tutti Alpha Barre, che è «l’uomo del ghetto che nel suo capannone ha una cassaforte per tenere i soldi chiesti ai braccianti», ci racconta una persona che vive a Torretta Antonacci da più di 20 anni. E se la storia di Soumahoro è ormai cosa pubblica grazie alla potenza mediatica che negli ultimi anni è riuscito a costruire, quella dell’ex deputato di rifondazione comunista, Caruso, non sembra poi così diversa. Entrambi a fianco dei più deboli, in lotte ideologiche a sostegno degli ultimi. Proprio il rappresentante di Usb salì agli onori della cronaca quando durante il G8 venne accusato – e poi prosciolto – insieme ad altri militanti no global, movimento a cui apparteneva, di associazione sovversiva per aver organizzato gli incidenti durante la manifestazione del 2001. L’anno dopo, nel 2022, fu arrestato su ordine della procura di Cosenza con l’accusa di «sovversione, cospirazione politica e attentato agli organi costituzionali dello Stato». Nonostante questo, nel 2006, venne candidato da Rifondazione comunista – non senza dissenso – e ottenne il mandato alla Camera.

Proprio come successo con Soumahoro (la cui candidatura è stata messa in dubbio da Bonelli), anche Fausto Bertinotti, al tempo, affermò su Caruso che la sua proposta del suo nome era stata una «mossa poco felice». Ad accomunare i due casi anche l’estrema spettacolarizzazione in nome della libertà e della giustizia: Soumahoro incatenato davanti a Montecitorio «per far sentire la voce dei braccianti» e Caruso barricato – nel 2006 – all’interno di un centro di permanenza temporanea in provincia di Crotone.

Ed anche sulla gestione dei fondi i due capi di Torretta Antonacci sembrano seguire lo stesso modus operandi. Aboubakar inchiodato per quelle donazioni sospette che «non sono mai arrivate qui», come affermano i braccianti del ghetto, e Caruso condannato a restituire un’ingente somma di denaro per aver ricevuto un finanziamento pubblico che doveva servire per la costituzione di un network e di un giornale dei centri sociali campani, ma che poi, come accertato dalle indagini, è stato usato per scopi personali.

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L’altolà di Giorgetti: “Attenzione ai conti”. Eco di Fdi: “No agli assalti alla diligenza”

venerdì, Dicembre 2nd, 2022

Fabrizio De Feo

Roma. La richiesta di un coordinamento interno alla maggioranza sugli emendamenti da presentare. Il messaggio fatto risuonare, in primis da Fratelli d’Italia, di disinnescare il pericolo di un «assalto alla diligenza». Ma soprattutto la richiesta di evitare nuovo debito per non rischiare un contraccolpo sui mercati che hanno dimostrato di aver gradito la prima stesura della manovra e l’attenzione alla tenuta dei conti pubblici con un calo dello spread.

L’iter parlamentare della legge di Bilancio è ormai avviato. Oggi Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia verrà ascoltato dalle Commissioni bilancio congiunte di Camera e Senato. Il termine per la presentazione degli emendamenti è fissato al 7 dicembre con domenica 11 come limite ultimo. La maggioranza vorrebbe limitarli a 400, cioè uno per deputato, ma il Pd annuncia che chiederà di discutere tutti i testi depositati.

Nella maggioranza Forza Italia avanza richiesta precise, soprattutto sull’innalzamento delle pensioni minime e per la tutela delle imprese del settore dell’edilizia rimaste impantanate nelle secche dei crediti del Superbonus. In questo contesto sono due le voci della maggioranza che si alzano per invitare tutti ad abbassare le richieste, quella di Giancarlo Giorgetti e quella del capogruppo alla Camera di Fdi Tommaso Foti.

Giorgetti, intervenendo a un convegno organizzato dal Messaggero, lascia intravedere il pericolo recessione. «Tutti diamo per scontato un problema che avremo nella stagione invernale, connesso ai prezzi delle materie prime e soprattutto dell’energia, che dipendono da eventi tragici che non sono nella nostra disponibilità». Nella stesura della legge di Bilancio, «il governo ha preso atto della realtà: l’Italia, diversamente dagli altri paesi europei, ha due fronti. Quello dell’emergenza energetica, con tutto ciò che serve per proteggere imprese e famiglie dai suoi effetti, ma anche quello della sostenibilità del debito, con cui ci dobbiamo confrontare ogni quindici giorni, ogni mese. Nel 2023 anche questo ultimo fronte continuerà necessariamente ad essere uno a cui porre attenzione. Stiamo cercando di tenere insieme i due fronti nel modo migliore possibile, ma non dobbiamo dimenticare la situazione generale in cui ci troviamo. Questa manovra merita di essere criticata, come tutte, ma credo che in questa situazione ci troveremo a dover aggiornare continuamente le previsioni a breve scadenza. In questo quadro di eventi complicati abbiamo mantenuto un equilibrio importante che va riconosciuto».

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Se la demografia è solo una scusa

venerdì, Dicembre 2nd, 2022

Chiara Saraceno

Nessuno mette in dubbio che siamo di fronte ad un calo demografico di vaste proporzioni, che coinvolgerà nei prossimi anni progressivamente tutte le coorti di età che costituiscono la popolazione di alunni potenziali dei vari ordini di scuola. Un fenomeno di cui ci si lamenta periodicamente, e che sta in cima all’agenda simbolica di questo governo, che ha persino aggiunto il termine “natalità” al ministero della famiglia e delle pari opportunità, tanto per non lasciare dubbi in proposito, ma che costituisce invece un irresistibile motivo per operare tagli alla scuola, da quella per l’infanzia in su, per ogni ministro che si trovi ad essere responsabile dell’istruzione. Era già avvenuto con il Governo Draghi e il Ministro Bianchi, sollevando le proteste non solo degli insegnanti, timorosi che il taglio sarebbe giunto fino a loro, ma anche di molti genitori, studenti e di associazioni che lavorano nella e con la scuola.

Ora è arrivato il neo-ministro Valditara a farsi promotore di un taglio massiccio: si parla della chiusura di 700 scuole, vuoi tout court, vuoi per accorpamento con altre, per creare plessi con almeno 900 studenti. Fare automaticamente del calo demografico la ragione di un taglio massiccio di classi e di intere scuole, tuttavia presupporrebbe che la scuola italiana goda di buona, se non ottima, salute per quanto riguarda non solo gli organici, ma gli spazi, i laboratori, le palestre, le biblioteche, il rapporto numerico studenti-docenti e quello dirigenza-docenti-studenti, la stessa accessibilità delle scuole nelle zone più periferiche. Una presunzione lungi dall’essere fondata in moltissimi contesti, come dimostrato durante la pandemia, quando la necessità del distanziamento ha reso visibile quanto fossero affollate troppe classi e quanto mancassero, in molte scuole, spazi diversi dall’aula tradizionale. Prima di riempire alcune scuole, svuotandone altre, per raggiungere il numero di 900 studenti per scuola, sarebbe meglio verificare se le aule eventualmente in esubero non possano essere riconvertire in laboratori e in biblioteche accessibili (magari anche alla comunità locale) e funzionanti, in locali che possano essere utilizzati anche per attività extra-curriculari con la collaborazione di soggetti esterni, specie là dove queste opportunità mancano.

Simmetricamente, il trasferimento di studenti da una scuola all’altra non deve comportare per quella che li accoglie una riduzione degli spazi disponibili per una buona e ricca didattica. Se è vero che le classi pollaio non solo la norma, tuttavia continuano ad esserci, soprattutto nelle prime classi degli istituti professionali, ove sembra vigere la presunzione che si sfoltiranno nel prosieguo degli anni, a causa di abbandoni e bocciature. Una profezia che puntualmente si avvera, non a caso, trasformando l’effetto di una mala gestione in una scusa per continuarla. Per altro, anche il numero standard di 27 studenti per classe sembra eccessivo, se si auspica una didattica più dinamica e coinvolgente, non univocamente trasmissiva. Si aggiunga che, come documentato dall’ultimo Atlante dell’infanzia a rischio di Save the children, non solo in molte scuole mancano i laboratori e la palestra e solo la metà dei bambini della scuola primaria ha accesso alla mensa, con enormi differenze territoriali. Anche dove la mensa c’è in diversi casi non c’è il locale mensa, o non è sufficientemente ampio, costringendo molti bambini vuoi a mangiare al loro banco, vuoi a ruotare a ritmo velocissimo per consentire l’avvicendamento di due o tre turni – con buona pace dell’educazione alimentare e del pasto come occasione di socialità e apprendimento allo stare insieme a tavola. Il Pnrr, con i fondi stanziati per mense, palestre e laboratori va in direzione opposta all’affollamento. Infine, andrebbe valutato, ascoltando in primis i dirigenti scolastici, se la concentrazione spaziale di masse di studenti sia davvero efficace sul piano anche solo del controllo e della sicurezza, oltre a consentire al/alla dirigente di avere davvero il polso la situazione, del clima della scuola, della situazione degli insegnanti e delle varie classi. È una questione, per altro, che si pone anche oggi quando un/una dirigente ha la responsabilità di più plessi.

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Posto quasi fisso, l’occupazione vola al massimo dal 1977

venerdì, Dicembre 2nd, 2022

Giuliano Balestreri

«Il posto fisso è sacro». Probabilmente, nel 2016, mentre girava Quo Vado, Checco Zalone non immaginava che a ottobre 2022 sarebbe stato proprio il posto fisso a spingere il mercato del lavoro tricolore ai massimi da 45 anni con gli occupati che sfondando quota 23,23 milioni superano il livello record di giugno 2019. Con oltre 15,2 milioni di persone assunte a tempo indeterminato, l’Istat calcola che il tasso di occupazione sia al 60,5%, mentre la disoccupazione scende al 7,8% e il tasso di inattività scende al 34,3 per cento.

La ripresa, però, resta a macchia di leopardo come dimostrano le criticità per gli autonomi che segnano un ulteriore calo di occupati, mentre diminuiscono i contratti a tempo dopo il boom post Covid. A fare da traino è stata quindi la crescita del lavoro stabile e l’occupazione fra gli over 50 (+135mila), mentre tra gli under 35 sono andati persi 34mila posti rispetto a settembre e circa 20mila nella fascia tra i 35 e i 49 anni. Nel dettaglio, a ottobre i dipendenti a tempo indeterminato sono risultati 117mila in più su settembre e 502mila in più su ottobre 2021; in generale, nel giro di un anno, gli occupati sono quasi 500mila in più (+82mila occupati su settembre). E se nel complesso i dipendenti sono aumentati di 99mila unità su settembre e di 467mila su ottobre 2021 – raggiungendo nel mese i 18,24 milioni – va registrata la flessione dei “dipendenti a termine”: a ottobre erano 2,98 milioni, 35mila in meno rispetto al 2021.

Per i sindacati la ripresa delle assunzioni stabili è un segnale positivo e incoraggiante, ma ribadiscono il no all’idea del governo di reintrodurre i voucher. Per la Uil si tratta di «un positivo ampliamento della distanza tra lavoro stabile e lavoro instabile» e per questo chiede per quale motivo in una fase in cui il «sistema produttivo sta maggiormente investendo nella buona occupazione» il governo intenda «invertire questa rotta positiva con la reintroduzione a tutto campo, come si legge nello schema della prossima legge di Bilancio, del voucher che è uno strumento che amplia diseguaglianze sociali e aumenta il rischio di povertà lavorativa». Preoccupato anche il segretario confederale della Cisl, Giulio Romani: «Abbiamo davanti a noi mesi in cui le difficoltà internazionali potrebbero frenare la nostra economia, pertanto chiediamo al governo maggiori sforzi su politiche espansive per il rilancio degli investimenti e della crescita e un sempre maggiore impegno su scuola e formazione a tutti i livelli».

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Cina e la politica di “tolleranza zero” al Covid: la polizia usa i dati dei cellulari per rintracciare i partecipanti alle proteste anti lockdown

venerdì, Dicembre 2nd, 2022

Le autorità cinesi stanno utilizzando i dati dei cellulari per rintracciare i manifestanti che hanno partecipato alle proteste contro la politica di “tolleranza zero” adottata dal governo cinese contro il Covid. Vista la crescita dei contagi in tutto il Paese, Pechino sta applicando rigide misure restrittive e repressive alle attività. Ma la popolazione, ripiombata nell’incubo di un anno fa, non ci sta e continua a scendere in piazza da settimane per protestare contro i lockdown. 

Centinaia di manifestanti si sono radunati domenica sera lungo il fiume Liangma di Pechino, chiedendo la fine degli incessanti test Covid e delle limitazioni. Alcuni hanno anche denunciato la censura da parte del governo e chiesto maggiori libertà politiche. Il dissenso nel cuore della capitale cinese si è concluso in gran parte pacificamente nelle prime ore di lunedì, ma da allora alcuni manifestanti stanno ricevendo telefonate dalla polizia che chiede informazioni sulla loro partecipazione alle proteste.

Un manifestante ha raccontato di aver ricevuto una telefonata mercoledì da un agente di polizia e di essere stato rintracciato dalle autorità perché il segnale del suo cellulare è stato registrato nelle vicinanze del luogo della protesta. Secondo la registrazione della conversazione telefonica – ascoltata dalla Cnn –, al manifestante è stato chiesto se domenica sera fosse andato al fiume Liangma. Quando ha negato di essere lì, il poliziotto gli ha chiesto: «Allora perché il tuo cellulare era lì?».

Al manifestante è stato anche detto di presentarsi a una stazione di polizia per essere interrogato e per firmare un verbale. Quando ha chiesto all’agente perché doveva farlo, si è sentito rispondere che si trattava di «un ordine dell’Ufficio municipale di pubblica sicurezza di Pechino».

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Povera scuola, arrivano i tagli: con la manovra chiuderanno 700 istituti. I sindacati pronti allo sciopero

venerdì, Dicembre 2nd, 2022

Flavia Amabile

I sindacati promettono scioperi e proteste. L’opposizione attacca e assicura battaglia. Il provvedimento con cui il governo ha inserito nella manovra una riduzione dei circa 700 scuole in due anni agita il mondo della scuola e della politica. A aumentare la rabbia contro una nuova politica di tagli alle scuole sono anche due scelte del governo: l’aumento dei fondi alle scuole paritarie e un emendamento per aumentare lo staff e la dotazione del ministero dell’Istruzione riducendo i fondi dell’offerta formativa e dell’attività didattica.

Il testo approvato dal governo prevede che il dimensionamento della rete scolastica dovrà essere attuato entro il 30 novembre di ogni anno. Nei primi tre anni scolastici il correttivo dovrebbe essere pari al 7%, al 5% e al 30%. L’attuale cifra minima di studenti per assegnare a una scuola l’autonomia giuridica, e quindi anche un dirigente scolastico, sarà innalzata da 600 a circa 900. Saranno quindi realizzati degli accorpamenti tra istituti ma saranno le regioni a decidere in modo autonomo come procedere sulla base del contingente di dirigenti scolastici assegnato.

Il prossimo passo sarà un altro incontro tra ministero e sindacati la prossima settimana (ce n’è già stato uno tre giorni fa) ma soprattutto la Conferenza Stato-Regioni all’interno della quale si dovrà trovare un accordo con le Regioni e assegnare il contingente. «Non sarà semplice», annuncia Ivana Barbacci, segretaria generale della Cisl scuola. Dal suo punto di vista l’opposizione di alcune regioni potrebbe essere uno degli ostacoli principali sul cammino del provvedimento. Barbacci non è contraria al dimensionamento a patto di avere «un bilanciamento del personale scolastico e Ata, un abbassamento del numero degli studenti per classe e la cancellazione delle reggenze».

Più duro il commento di Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc-Cgil: «L’accorpamento degli istituti si configura come un vero e proprio taglio che ancora una volta andrà a colpire le regioni e i territori più deboli. Si tratta di una scelta politica precisa, in continuità con quanto già realizzato in passato, un accanimento dettato da visione economicistica della scuola. Di fronte a questa situazione non possiamo che preannunciare una forte mobilitazione della categoria».

Deluso anche Giuseppe D’Aprile, segretario generale della Uil Scuola Rua. «Non voglio perdere tempo ad analizzare se si tratti di molti o pochi tagli, o se ci siano colpe o confronti da fare. Quello che mi dispiace è che ancora una volta vengono decisi dei tagli alla scuola mentre, invece, si poteva approfittare della denatalità per mettere in campo misure per affrontare problemi atavici della scuola come l’affollamento delle classi. Indipendentemente dal governo pro tempore in carica, qualsiasi esecutivo che decide di tagliare sul sistema di istruzione, agendo sulla base di logiche da ragioniere, non è un governo lungimirante». Contro la manovra il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri ha promesso una mobilitazione «articolata e ampia nel tempo». Cauto Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi: «Vorrei capire come si svilupperà questa misura. Non accetteremo tagli indiscriminati, valuteremo il provvedimento sulla base delle cifre effettive».

Critiche le forze dell’opposizione. «Dopo l’audizione del ministro Valditara siamo ancora più preoccupati di quanto già non lo fossimo – afferma la responsabile Scuola del Pd, Irene Manzi – Lo show degli ultimi giorni non è servito solo a illustrare l’idea di una scuola in cui il merito è una parola vuota e dove si deve mortificare e umiliare lo studente che sbaglia, ma anche a coprire il vuoto di idee del ministro».

Ad alimentare le polemiche c’è anche la consapevolezza che nel frattempo la manovra ha aumentato i fondi alle scuole paritarie e la notizia di un emendamento presentato dal governo al decreto ministeri che prevede un aumento dello staff e della dotazione finanziaria del ministero dell’Istruzione tagliando 500 milioni l’anno all’attività didattica e all’offerta formativa. «Dopo gli insulti agli studenti, ora gli toglie risorse per darle ai consulenti. Altro che merito! Il ministero dell’Istruzione e della vergogna», commenta su Twitter Peppe Provenzano, vicesegretario del Partito democratico.

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Guerra Russia-Ucraina, Kiev: uccisi 13mila militari ucraini. Biden: “Parlo con Putin se vuole mettere fine alla guerra”. Zelensky: “Stop alle organizzazioni religiose legate a Mosca”

venerdì, Dicembre 2nd, 2022

a cura della redazione

Ieri la Russia è tornata ad accusare la Nato, lo ha fatto con il ministro degli Esteri Serghei Lavrov che in una conferenza stampa di due ore mezza ha denunciato soprattutto quella che ha definito l’aspirazione dell’Alleanza atlantica al «dominio globale». «Gli Usa e la Nato – ha detto Lavrov – combattono direttamente in Ucraina contro la Russia. L’addestramento militare degli ucraini viene effettuato sul territorio di Regno Unito, Germania, Italia e altri Paesi della Nato». Ma c’è un’apertura al dialogo, è con l’ex vicepresidente John Kerry, «un politico che ha già dato prova di essere capace di un dialogo rispettoso». Il ministro degli Esteri russo è tornato sulle parole del Papa relative alla particolare crudeltà dei soldati ceceni e buriati in Ucraina. Lavrov le ha definite «dichiarazioni non cristiane» che «non aiutano a rafforzare l’autorità dello Stato pontificio».
Sul terreno a fare notizia continua ad essere l’offensiva – tutto sommato ancora limitata – delle truppe russe e dei suoi alleati del Donetsk e del Lugansk, appoggiati dai miliziani della Wagner e dai ceceni di Ramzan Kadyrov, nella regione orientale del Donbass. Il ministero della Difesa di Mosca ha detto che un altro villaggio, quello di Kurdyumovka, è stato conquistato nelle ultime ore nella regione di Donetsk, dopo che il giorno prima gli ucraini avevano perso quelli di Andreevka, Belogorovka e Pershe Travnya. L’obiettivo, secondo Kiev e gli occidentali, è la cattura di Bakhmut, città di oltre 70.000 abitanti che però secondo diversi analisti militari non avrebbe dal punto di vista strategico un valore pari alle pesanti perdite che i russi potrebbero subire per conquistarla.
Da Washington Emmanuel Macron si è detto sicuro che un tavolo negoziale con Putin «è ancora possibile». Ma Lavrov ha risposto che, nonostante gli annunci pubblici del presidente francese di voler parlare con quello russo, non si è ancora fatto vivo. Anche il presidente Usa Joe Biden si è detto disponibile a parlare con il presidente russo «se vuole mettere fine alla guerra».

IL REPORTAGE Kiev, la guerra dei bambini tra bombe e blackout 09:13

La Germania ripara sette carri armati e li re-invia in Ucraina

La Germania consegnerà sette carri armati Gepard alle forze armate ucraine dopo averli riparati dai danni subiti negli attacchi russi questa primavera. Lo scrive Der Spiegel, spiegando che i Gepard vengono riparati dal produttore di armi Krauss-Maffei Wegmann che ha sede a Monaco. Questi sette si aggiungono ai 30 carri armati di difesa aerea che sono già utilizzati per combattere contro l’esercito russo, ha riferito Spiegel. Il governo tedesco punta anche a inviare più munizioni per i Gepard insieme ai carri armati. 09:10

Podolyak: “Uccisi tra i 10mila e 13mila nostri militari da inizio conflitto”

Il consigliere della presidenza ucraina, Mykhailo Podolyak, stima che dall’inizio del conflitto sono stati uccisi «tra i 10mila ed i 13mila» militari ucraini. «Abbiamo le stime ufficiali dello stato maggiore dell’Esercito – ha detto intervistato da Channel 24 – oscillano tra i 10mila e i 13mila morti. Stiamo parlando apertamente del numero dei caduti». Per Podolyak sono errate le cifre fornite dalla presidente della commissione Ue Ursula Von der Leyen che ha parlato di 100mila morti. È chiaro, per questo hanno cancellato il video e corretto questa cifra», ha aggiunto riferendosi al fatto che un portavoce della commissione ha ammesso l’errore, dicendo che la cifra si riferiva a morti e feriti. Il consigliere ucraino ritiene poi che il numero dei civili uccisi è molto superiore ai 20mila, citati sempre dalla presidente della Commissione Ue. 09:10

La Russia testa un nuovo razzo in Kazakistan

La Russia ha testato un nuovo sistema di difesa missilistica in Kazakistan. Lo ha annunciato questa mattina il ministero della Difesa russo, parlando del lancio di un razzo dal poligono di prova di Sary Shagan. Il test ha avuto successo, ha spiegato il ministero senza fornire ulteriori dettagli. Solo pochi giorni fa il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo kazako Kassym-Jomart Tokayev hanno firmato un nuovo documento di cooperazione. 08:07

Nuovo attacco russo nella notte a Zaporizhzhia

Un nuovo attacco dell’esercito russo è stato sferrato nella notte in un villaggio nel distretto di Zaporizhzhia, nell’Ucraina sud-orientale. Lo afferma il capo dell’amministrazione militare regionale Oleksandr Starukh su Telegram, scrive Ukrinform. “Un villaggio in una delle comunità del distretto di Zaporizhzhia è stato nuovamente colpito. L’obiettivo del nemico era la distruzione delle infrastrutture industriali ed energetiche. A seguito dell’attacco, l’edificio amministrativo, che ospitava tutti i servizi necessari ai residenti locali, è stato quasi completamente distrutto. Fortunatamente nessuno è rimasto ferito”, ha scritto su Telegram Starukh. Le squadre di emergenza sono tuttora sul posto per spegnere l’incendio che è scoppiato dopo l’attacco. 07:30

Zelensky: 1.300 prigionieri rilasciati da Mosca

Sono oltre 1.300 i prigionieri di guerra ucraini rilasciati dai russi. Il numero è stato fornito dal presidente ucraino, Volodymir Zelenski, nel consueto discorso serale, in cui ha riferito della liberazione di 50 prigionieri: quattro ufficiali e 46 soldati semplici. «Tutta l’Ucraina sarà libera – ha esclamato Zelensky – e tutti gli ucraini saranno a casa». L’ultimo scambio di prigionieri con i russi è avvenuto oggi, ed è stato confermato da Mosca, che ha visto un numero uguale di prigionieri russi rilasciati da Kiev». 01:00

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L’Egitto preme su Londra: ridateci la stele di Rosetta

venerdì, Dicembre 2nd, 2022

di Luigi Ippolito

Petizione da migliaia di firme per il reperto della stele di Rosetta che si trova al British Museum dal 1802

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La stele di Rosetta nella sua teca al British Museum (foto Ap)

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA — Dopo i marmi del Partenone, tocca alla stele di Rosetta: più di centomila egiziani hanno firmato una petizione per chiedere al British Museum di restituire all’Egitto il celebre reperto, che consentì duecento anni fa di decifrare la scrittura geroglifica degli antichi Egizi.

L’iniziativa, come riferito dal Times, è stata lanciata dall’ex ministro per le Antichità del Cairo, il noto archeologo Zahi Hawass: «È tempo che l’identità egiziana torni a casa — ha detto l’ex ministro —. Non chiediamo al British Museum di restituire i 100 mila pezzi egizi che possiedono, chiediamo solo che restituiscano un singolo oggetto».

Perché è così importante

Ma non è una richiesta da poco: la stele di Rosetta è forse il reperto più celebre custodito al museo londinese, certamente quello che attira più visitatori (per avvicinarsi bisogna sempre farsi largo tra una folla di «fan» intenti a scattarsi un selfie). E la richiesta di restituzione va ad affiancarsi al contenzioso che le autorità britanniche già hanno con la Grecia a proposito dei marmi del Partenone, portati via dal tempio sull’Acropoli di Atene da Lord Elgin all’inizio dell’Ottocento.

Che cosa è?

La stele di Rosetta venne scoperta nel 1799 dai soldati dell’esercito napoleonico che avevano invaso l’Egitto: la pietra fu rinvenuta nella città di Rashid, Rosetta per i francesi. Ma dopo aver sconfitto Napoleone, gli inglesi portarono la stele a Londra nel 1801 e dall’anno successivo è stata sempre esposta al British Museum. «I francesi la trovarono e la diedero come regalo agli inglesi ingiustamente — ha detto Hawass —. Questo è un furto francese e inglese».

La traduzione

La stele, che risale al II secolo avanti Cristo, deve la sua celebrità al fatto che contiene un’iscrizione in tre versioni: geroglifico, demotico (un tipo di scrittura egizia semplificata) e greco antico. Grazie a questa specie di versione ante litteram di Google translator, l’archeologo francese Jean-François Champollion, confrontando i testi, fu in grado di decifrare la lingua degli antichi egizi, che era rimasta un mistero per millenni: una scoperta che aprì la strada alla comprensione della civiltà dei costruttori delle piramidi. La stele è uno degli oltre centomila reperti egizi che si trovano al British Museum e che vennero in gran parte ottenuti durante il dominio coloniale inglese sull’Egitto, durato dal 1882 al 1956.

La petizione

Se la petizione di Hawass avrà successo, lui spera di esporre la stele di Rosetta nel nuovo Grande Museo Egizio che aprirà l’anno prossimo a Giza, vicino alla Sfinge e alle piramidi, e che sarà il maggior museo nel mondo dedicato alla storia e alla cultura del popolo dei Faraoni.

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Influenza, picco tra i bambini da 0 a 4 anni: «A Milano pediatri introvabili e pronto soccorso presi d’assalto»

venerdì, Dicembre 2nd, 2022

di  Sara Bettoni

Posti letto insufficienti e sale d’attesa colme. Al Buzzi arrivati 144 bimbi in 24 ore: «Troppe carenze nel sistema territoriale». In città 120 specialisti che spesso hanno già raggiunto il tetto di pazienti fissato a 1.400 bambini

Influenza, picco tra i bambini da 0 a 4 anni: «A Milano pediatri introvabili e pronto soccorso presi d'assalto»

L’influenza riempie i pronto soccorso pediatrici di Milano e non solo. «La situazione è critica, viviamo in grave sovraffollamento da tre settimane — dice Giuseppe Bertolozzi, responsabile del reparto d’urgenza della De Marchi (Policlinico) —. Viaggiamo su una media di 90 accessi quotidiani». A seconda delle giornate, i bambini con sintomi simil-influenzali passano dai 30 ai 60. «Hanno febbre, tosse secca anche violenta. I piccoli da due mesi fino a un anno a volte soffrono di bronchioliti e hanno bisogno di ossigeno. Nei casi più gravi li ricoveriamo». 

I posti letto del pronto soccorso però sono solo otto ed è difficile far fronte alle necessità, anche perché all’epidemia di stagione, in anticipo rispetto agli anni pre Covid, si sommano altri virus. «Due medici coprono i turni sia nei giorni feriali sia nei festivi, ma il lavoro è tanto. Di conseguenza abbiamo persone in corridoio, cittadini in sala d’attesa che si lamentano». Si può aspettare anche 4 ore per una visita.

Non va meglio al Buzzi. Gian Vincenzo Zuccotti, direttore della Pediatria e del pronto soccorso pediatrico, parla di 144 richieste d’aiuto nelle ultime 24 ore, 46 delle quali in codice giallo, quindi mediamente gravi. «Siamo presi d’assalto da un po’ di tempo — spiega —, in queste condizioni abbiamo rallentamenti per le situazioni meno urgenti», ovvero i codici verdi e bianchi. «Le attese sono lunghe, si creano disagi. Tutto ciò non aiuta a lavorare con serenità e concentrazione». Anche al Buzzi gli spazi rischiano di essere insufficienti, tanto che in alcuni momenti della giornata l’atrio si trasforma in una terza sala d’accoglienza. «Ci stiamo confrontando con il primo anno di vero ritorno alla normalità, dopo la pandemia di Covid — aggiunge Zuccotti —. Il sistema immunitario dei bambini è disabituato a combattere i virus. Ma paghiamo anche le carenze dell’assistenza territoriale, che a sua volta ha criticità».

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