Archive for Gennaio 17th, 2022

Più fiducia nella scuola, ma la Dad minaccia le relazioni dei ragazzi

lunedì, Gennaio 17th, 2022

di Ilvo Diamanti

Dopo la pausa festiva è ricominciata la Scuola. Al centro dell’attenzione e della vita pubblica. Oggi più che mai, come sottolinea un recente sondaggio di Lapolis- Università di Urbino e Demos per Repubblica-L’Espresso. Tuttavia, la realtà appare molto diversa. E diversificata. La pandemia, infatti, incombe ancora. Con varianti che continuano a variare. Dopo Delta, Omicron. Domani, chissà.

Di fronte alla “comune” minaccia, però, non ci sono regole chiare, che permettano scelte “comuni”. Così, le Regioni si trovano ad affrontare questo stato di emergenza senza indicazioni coerenti. E decidono in modo diverso e contingente. Costringendo i cittadini – tutti, di ogni età e condizione – a un faticoso esercizio di adattamento. Giorno per giorno. “L’emergenza”, infatti, è divenuta una condizione “normale”. D’altra parte, il Virus continua a circolare e colpisce docenti e studenti.

Per questo, si riprende a parlare di DaD, Didattica a Distanza. Oppure, in alternativa, di DiM. Didattica Mista, che combina e alterna DaD e DiP. Didattica a Distanza e in Presenza. Non sappiamo fino a quando. Perché non sappiamo e non possiamo sapere quando il Virus se ne andrà. Quando, comunque, riusciremo a neutralizzarlo.

Oggi, tuttavia, è chiaro che la DiP va gestita con prudenza. Ma che la DaD è una soluzione che genera, a sua volta, problemi seri. Di lunga durata. Lo abbiamo verificato in alcuni precedenti sondaggi, dai quali risulta evidente come, anzitutto, questa modalità di comunicazione “escluda” alcune componenti sociali, che non dispongono della connessione e di dispositivi Wi- adeguati. Inoltre, la DaD rischia di generare la SaD. La Società a Distanza.

Una società nella quale si allargano gli spazi di “sfiducia negli altri”. In quanto le relazioni telematiche riducono le relazioni dirette. Fra persone reali e non virtuali. Infatti, quando si comunica online si è sempre connessi con gli altri. Ma da soli. Anche se si utilizza lo smartphone, lo strumento più diffuso, a questo fine. Basta osservare quante persone, intorno a noi, si muovono con gli occhi puntati sul cellulare. E gli auricolari in bella evidenza. Ovviamente, non parlo solo degli altri.

In questo modo, però, rischiamo una solitudine continua e crescente. Per questa ragione, la DaD può costituire una soluzione di emergenza, ma non la normalità. Tanto più perché la Scuola è considerata dai cittadini un riferimento fra i più importanti. In misura crescente. Come emerge dal rapporto annuale “Gli Italiani e lo Stato”, nel quale la fiducia nei suoi confronti sale al 59%: 7 punti di più, rispetto al 2020.

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Fermare il ballo col diavolo

lunedì, Gennaio 17th, 2022

di Ezio Mauro

Non è un innocuo premio alla carriera concesso a un vecchio protagonista ormai sul viale del tramonto, questa candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale, prima e per il momento unica scelta del centrodestra improvvisamente compatto a una settimana dal voto. È al contrario una scelta politica con un significato preciso che rischia – nel caso in cui dovesse realizzarsi – di produrre effetti di lungo periodo sull’intero sistema repubblicano. Quasi trent’anni dopo la “discesa in campo” da Arcore a Roma la trasfigurazione del Cavaliere a Capo dello Stato rappresenta infatti la definitiva prevalenza dell’ideologia sulla storia, che può essere rovesciata, vilipesa o semplicemente ignorata per insediare al vertice del Paese un nuovo esperimento di potere, in lotta non con la sinistra ma con la realtà.


L’immagine del caimano che si trasforma in animale domestico per la grazia di Stato del Quirinale è infatti l’ultimo inganno, il packaging propagandistico che contrabbanda la presidenza come un pensionamento d’onore, senza più armi e munizioni, trasformando il guerriero che ha diviso l’Italia in un mansueto pater familias dell’intera nazione, custode dei Lari e dei Penati di una tradizione condivisa e della loro sacra protezione per tutti, anche i tradizionali avversari, molto spesso in questi anni trasformati in nemici. Certamente Berlusconi, che è prima di tutto un attore interprete di se stesso, saprebbe arricchire le contraddizioni del suo repertorio mimando anche il ruolo del super partes, quando gli conviene. Ma non è questo il punto, perché oggi ciò che conta è il significato della candidatura, il suo nucleo concettuale, dunque la sua portata e la sua ambizione. E tutto questo può essere riassunto in una formula: Berlusconi non viene scelto dal centrodestra e indicato per il Quirinale “nonostante” la sua anomalia, ma “per” questa anomalia intrinseca alla sua figura, dunque insuperabile perché connaturata al personaggio, anzi costitutiva del suo agire pubblico. Talmente intrinseca – un intreccio di conflitto d’interessi, strapotere economico, dismisura mediatica – che ha impedito la trasmissione del comando a un delfino o comunque l’individuazione di un successore, al punto da ipotizzare come unico radicale rimedio la soluzione dinastica, che consentirebbe di consegnare all’erede di famiglia il comando indiviso e l’anomalia, intatta.


È impossibile che leader politici esperti come quelli che guidano il centrodestra non vedano l’irrazionalità della scelta di candidare questa anomalia alla suprema magistratura repubblicana, l’inopportunità di far rappresentare l’Italia dentro il Paese e fuori da un pregiudicato, la singolarità di questa selezione rispetto alle qualità richieste dal ruolo: saggezza, prudenza, decoro, rispetto delle leggi, difesa dell’unità nazionale, scrupolo costituzionale. Il contrasto tra la regola, la tradizione e il nome di Berlusconi è evidente, soprattutto all’estero, tra gli osservatori non sedati dalla propaganda massiccia di questi decenni e dalla deformazione ideologica operata costantemente nel nostro Paese sulla realtà. L’indicazione di Berlusconi è dunque stata fatta con perfetta coscienza di queste riserve e di queste obiezioni. Potremmo aggiungere che quell’indicazione è stata fatta al di là delle convenienze apparenti, immediate del centrodestra, che ha deciso di lanciare un nome evidentemente controverso, imboccando una strada in salita.

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Arriva la stretta sulle targhe: scattano le multe. Chi rischia

lunedì, Gennaio 17th, 2022

Alessandro Imperiali

Cambiano le regole nei confronti di chi possiede un veicolo con targa estera. Le novità però non sanano le varie criticità che la Corte Ue aveva evidenziato per chi “si organizza” con leasing, noleggio o comodato all’estero.

La nuova direttiva sulla Rc auto, inoltre, non affronta svariati problemi che si possono creare in caso di incidente. Il fenomeno delle targhe estere nasce agli inizi degli anni ’90 ma esplode nel 2011 con gli inasprimenti fiscali del 2011 sull’auto. Perciò per evitare le tasse di iscrizione al Pra (Ipt9) e proprietà (bollo), il caro assicurazione Rc auto, le notifiche delle multe e gli indici di reddito utilizzati dal Fisco, sono svariati i residenti in Italia che circolano con targa estera.

Come riporta il Sole 24 Ore, la prima stretta c’è stata nel 2018. Il Dl 113/2018 ha modificato l’articolo 93 del Codice della strada vietando ai residenti da più di 60 giorni di guidare veicoli immatricolati all’estero. Con sanzione di 711 euro e confisca del mezzo, quest’ultima evitabile immatricolandolo in Italia entro 180 giorni. Ad eccezione di noleggio o leasing presso operatori Ue o See che non abbiano in Italia una sede secondaria o effettiva. La seconda eccezione, invece, riguardava i dipendenti di aziende Ue o See che ricevevano un veicolo in comodato.

Cosa è cambiato nel 2021

La Legge europea 2019-2020 approvata definitivamente dalla Camera il 21 dicembre ha introdotto l’articolo 93-bis ma con vari correttivi. Vengono inclusi in questa anche i rimorchi, modulando le sanzioni e allargando le esenzioni. Inoltre, viene in parte rielaborato il divieto: i veicoli con targa estera di proprietà di residenti in Italia possono circolare nel Paese per tre mesi da quando l’interessato ha preso la residenza italiana.

Oggi c’è un mese in più per adeguarsi, con la differenza che le sanzioni scattano anche se guida un residente all’estero dal momento che conta chi è il proprietario. È necessario a bordo “un documento, sottoscritto con data certa dall’intestatario”, con titolo e durata della disponibilità del veicolo. Prima era necessario solo per leasing, noleggio o comodato.

Se il residente in Italia (o una persona giuridica con sede nel Paese) dispone del veicolo per più di 30 giorni «anche non continuativi, nell’anno solare», scatta un trattamento analogo a quello previsto dal Codice (articolo 94, comma 4-bis) per i mezzi immatricolati in Italia utilizzati da chi non ne è proprietario: titolo e la durata della disponibilità vanno registrati dall’utilizzatore in un elenco che sarà tenuto dal Pra. In caso di cambi di disponibilità o di residenza è necessario aggiornare la registrazione. Procedura necessaria anche per i mezzi di proprietà di lavoratori subordinati o autonomi che esercitano attività professionale in uno Stato limitrofo o confinante.

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La pace e i generali

lunedì, Gennaio 17th, 2022

Augusto Minzolini

Nel 2015 ero in Parlamento e partecipai all’elezione del Presidente della Repubblica. In quell’occasione io suggerii pubblicamente la candidatura di Romano Prodi nel nome della pacificazione del Paese, pur non condividendone nessuna posizione politica.

Diceva Don Abbondio: «Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare». Ebbene lo spirito democratico è la stessa cosa e a volte per dimostrarlo ci vuole anche coraggio. Nel 2015 ero in Parlamento e partecipai all’elezione del Presidente della Repubblica. Ebbene, in quell’occasione io suggerii pubblicamente (meno male che esistono le collezioni dei giornali) la candidatura di Romano Prodi nel nome della pacificazione del Paese, pur non condividendone nessuna posizione politica. In un ruolo istituzionale come il Quirinale, in cui per usare le parole di Mattarella, un Presidente deve spogliarsi di ogni appartenenza, sono altre le valutazioni da fare.

Il ragionamento che era alla base di quella proposta è lo stesso per cui sono convinto che oggi la candidatura di Silvio Berlusconi sia quella che ha più pregnanza politica: in un’Italia che da trent’anni ha due schieramenti contrapposti la pace la possono siglare solo i generali. Non possono garantirla né i colonnelli, né personaggi che si sono inventati il mestiere di paciere senza mai firmare nessuna pace.

È la realtà: solo i duellanti hanno il diritto e il potere di porre fine al duello. Solo Prodi avrebbe potuto dire a suo tempo se fosse arrivato al Quirinale: «Marcolino (Travaglio n.d.r.) hai fatto il tuo tempo». Quello che potrebbe fare oggi, se eletto, Berlusconi nel suo campo. Gli altri non hanno l’autorevolezza dei generali sulle truppe. Mattarella è stato un buon Presidente. Ha concluso il suo mandato stimato da tutti. Ma nell’«annus horribilis» della magistratura è rimasto in silenzio sull’argomento.

Ecco perché affermazioni del tipo «il presidente non può essere un leader di partito», o l’immagine del candidato «non divisivo» lasciano il tempo che trovano. Sono solo artifici retorici di chi pone sul Cav un veto ideologico. Lo stesso che porrebbe un domani su Salvini o sulla Meloni. E, diciamocelo francamente, un veto ingeneroso. Berlusconi è stato l’inventore del bipolarismo, ma anche il leader che, nel momento in cui il bipolarismo è andato in crisi, cioè non ha più prodotto maggioranze solide, ha garantito la governabilità. Dovrebbe ben saperlo il segretario del Pd Enrico Letta che è entrato a Palazzo Chigi solo grazie all’appoggio del Cav. Come pure Draghi. Un ruolo di «stabilizzatore» che poteva svolgere solo un leader vero, che si è assunto quella funzione al costo di pagarla in consensi.

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Covid, le nuove regole su Green Pass rafforzato, cambio colore delle regioni e quarta dose: ecco cosa potrà cambiare

lunedì, Gennaio 17th, 2022

Giampiero Maggio

Cala la curva dei contagi e l’Italia si avvicina al picco portato dalla variante Omicron. In questo senso diventano importanti le prossime due settimane, quando dovrebbero cambiare diverse cose sia sul profilo della gestione della pandemia che della comunicazione dei numeri dell’epidemia da coronavirus che ormai da due anni ci accompagnano quotidianamente.

Il ministro della Salute Roberto Speranza apre infatti ad un dialogo con le Regioni, in particolare lascia aperto uno spiraglio per la «riconsiderazione del sistema dei colori per le Regioni». Così come potrebbe cambiare la strategia sulla quarta dose. Il Governo, dunque, riapre il dialogo con i governatori, che chiedono modifiche sul conteggio dei ricoveri da Covid e – vista l’introduzione del Super Pass estesa nei vari ambiti sociali ed economici del Paese – di mandare in soffitta il sistema di assegnazione dei colori. «E’ chiaro che nelle prossime settimane dovremo aprire un confronto con le regioni e nelle prossime ore apriremo un tavolo tecnico per affrontare le questioni che hanno proposto», spiega  Speranza. Sul breve periodo intanto sono già annunciate novità in arrivo.

Il cambio del sistema dei colori

Si dovrebbe rivbedere anche il sistema che definisce il cambio di colore delle regioni in base ai contagi, al numero dei posti occupati in terapia intensiva e al rapporto contagi/100 mila abitanti. Il ministro della Salute Speranza apre il dialogo con le regioni, ma la conferma arriva anche dal presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli: «Il sistema della colorazione delle regioni è stato elaborato in maniera concertata tra Ministero e Regioni in un’epoca diversa. Che si possa arrivare a una riconsiderazione sta nella logica delle cose. Detto questo non dimentichiamo che esiste un carico di gestione nelle strutture ospedaliere anche per gli asintomatici che devono essere tenuti separati. Così come non facciamo l’errore che gli asintomatici non possano contagiare». 

Dove si entrerà con il Green Pass

Dal prossimo mese si entra con il certificato verde, base o rafforzato, ovunque eccetto che in supermercati, alimentari, ospedali e farmacie, probabilmente anche per edicole e tabaccai. No, invece, laddove il luogo non sia considerato «strettamente necessario»: i fiorai e profumerie, per esempio. Il provvedimento – sotto forma di Dpcm – potrebbe arrivare in vista del prossimo Consiglio dei ministri e servirà a chiarire quanto contenuto nell’ultimo decreto anti-Covid, secondo cui il lasciapassare “base” sarà necessario dal primo febbraio anche in uffici pubblici, servizi postali, banche e attività commerciali, ad esclusione dei servizi «necessari per assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie della persona».

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Il doppio timore di Draghi: se la maggioranza si spacca sul Quirinale il governo rischia

lunedì, Gennaio 17th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

Dalle parti di Palazzo Chigi, in queste ore confuse e difficili, ricordano quanto Mario Draghi aveva detto durante la conferenza stampa di fine anno. Con una domanda retorica che era sembrata, ad alcuni, una minaccia, ma che altro non era che un dato di fatto: «È immaginabile una maggioranza che si spacchi sull’elezione del presidente della Repubblica e si ricomponga il giorno dopo sul governo?», aveva chiesto il premier. I cronisti presenti non avevano potuto che rispondersi no, non lo è . E questo prescinde dalla volontà del capo dell’esecutivo. Non ha nulla a che fare con le ripicche e molto, invece, con le geometrie della politica.

È la paura del precipizio, quella che si respira in queste ore nelle segreterie di partito. Non c’è ministro che non stia preparando gli scatoloni, non c’è leader politico che non stia facendo i conti anche – di nascosto – con la possibilità che si vada al voto prima di quanto si fosse immaginato. E prima di quanto questo Parlamento vorrebbe. Perché tutto è nelle mani dei grandi elettori, ma nulla in questo momento sembra essere sotto controllo. Il terremoto c’è già, lo ha portato la candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale. Indipendentemente da come e quanto vada avanti, adesso si tratta di verificare l’entità della scossa, la profondità delle crepe. Di capire insomma se la casa, il quadro politico di unità nazionale che regge il governo, possa ancora stare in piedi. O se le sue fondamenta siano compromesse per sempre.

Quello che filtra in queste ore, arrivando a varcare la soglia di Palazzo Chigi per raggiungere il presidente del Consiglio e i suoi collaboratori, è che Silvio Berlusconi non sarebbe intenzionato a mollare. Ma che se anche lo facesse, i suggeritori lo invitano ad affidare il pallino a Matteo Salvini e a scegliere un nome di centrodestra su cui far convergere anche gli altri partiti. La lettera di Denis Verdini a Marcello Dell’Utri e Fedele Confalonieri è solo uno dei messaggi cifrati arrivati sulle scrivanie – o sarebbe meglio dire sul telefonini – dei dirgenti di partito e del governo. Segnali che omettono di rivelare un particolare fondamentale per capire davvero cosa stia succedendo: se il centrodestra – che si è già unito su un nome suo infischiandosene del dialogo promesso – decidesse di virare all’ultimo giro sulla vicepresidente della Lombardia Letizia Moratti o sulla presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, tentando di imporsi a maggioranza o con l’aiuto della pattuglia di Matteo Renzi, nulla sarebbe salvo. Anche in quel caso, non solo nel caso dell’elezione di Silvio Berlusconi, il governo non potrebbe che cadere perché lo schema sarebbe irrimediabilmente compromesso. «E quindi, chi dice che con Draghi al Colle cade il governo e in caso contrario resta in piedi, dice una sonora bugia», ragiona un ministro di centrodestra. Per dire quanto lo scenario sia complesso. E quanto questa preoccupazione arrivi anche tra le file di chi in questo momento si mostra compatto per l’ex Cavaliere, come ad esempio nella Lega, dove la fronda governista di cui fanno parte anche i presidenti di Regione del Nord – da Luca Zaia a Massimiliano Fedriga – è molto preoccupata da quel che può succedere e non manca di rivelarlo in ogni conversazione privata.

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Ira di Berlusconi sugli alleati: non cercano voti. Anche i fedelissimi temono le conseguenze di un flop

lunedì, Gennaio 17th, 2022

FRANCESCO OLIVO

Gli amici lo invitano alla prudenza, gli avversari lo attaccano, gli alleati non collaborano. Il quasi annuncio della candidatura di Silvio Berlusconi, venerdì scorso al vertice di villa Grande, non ha avuto gli effetti sperati. Oggi il conto alla rovescia parte davvero, manca una settimana al 24 gennaio e la costruzione della candidatura mostra crepe che solo i pasdaran vogliono negare. Uno di questi, almeno un tempo, era Denis Verdini, il quale dagli arresti domiciliari, scrive una lettera a Fedele Confalonieri e Marcello Dell’Utri, svelata da Il Tirreno, nella quale sostiene di appoggiare la candidatura di Silvio, ma invita a cambiare strategia, per evitare «un disastro». L’ex senatore toscano poi suggerisce di non impedire a Salvini la ricerca di un altro nome, cosa che Berlusconi non vuole sentire. Il fatto che il leader della Lega sia il compagno della figlia di Verdini alimenta la voce, che circola da giorni, di un ruolo da consigliere del “suocero” in questa partita difficile. Una circostanza smentita da fonti vicine al segretario, ma sostenuta da molti esponenti di Forza Italia, «Denis lavora per Salvini».
La settimana che si apre oggi servirebbe appunto a mettere dei mattoni intorno all’idea di mandare il Cavaliere sul Colle, prima dell’inizio della prima votazione. L’obiettivo primario è quello di cercare dei voti fuori dal centrodestra e qui, al di là delle simpatiche scenette delle telefonate con Vittorio Sgarbi, non si fanno grandi progressi. Chi li deve cercare questi parlamentari? Il tema è stato al centro del vertice del 14 gennaio. Gli alleati utilizzano questo argomento per mascherare la loro diffidenza: «Dicci i nomi di chi ti appoggia, non basta citare cifre non verificate». Un’insistenza che ha seccato il Cavaliere: «Aiutatemi voi a trovarne, non vi limitate a chiedere quanti ne abbiamo». Eppure, nonostante gli appelli, in tre giorni non è cambiato molto. Lega e Fratelli d’Italia si limitano a un coordinamento per verificare lo stato degli eventuali nuovi consensi, ma non partecipano attivamente. «Sarà un semplice monitoraggio», precisa Ignazio La Russa. «Mi sembra una richiesta bizzarra – dice un alto dirigente del Carroccio – noi gli garantiamo i nostri di voti, il resto tocca a loro». Un atteggiamento che aggiunge inquietudine in Forza Italia, «sono alleati o notai?», si sfoga un fedelissimo berlusconiano.
Per cambiare lo stile di questa campagna elettorale inedita e secondo molti amici un po’ sgangherata sarebbe stato utile il viaggio che Berlusconi aveva messo in agenda per oggi a domani a Strasburgo. Alla riunione del Ppe e alla commemorazione di David Sassoli, il Cavaliere sarebbe comparso con Mario Draghi e altri leader internazionali, come Emmanuel Macron. E il giorno dopo avrebbe partecipato all’elezione del nuovo presidente, nella veste di maggiorente del Ppe, tanto più che i popolari gli hanno mostrato il proprio appoggio. Pur essendo rimasto molto colpito dalla scomparsa di Sassoli, Berlusconi ha preferito però cancellare una trasferta fisicamente faticosa che lo avrebbe esposto oltre modo in un momento delicato, meglio evitare telecamere e taccuini.
Prudenza, insomma, quella che chiedono gli amici più stretti. Qui si gioca su un crinale molto sottile: nessuno vuole apparire un traditore (ci vuole un attimo) agli occhi del capo, ma «chi gli vuole bene davvero» sta cercando il modo di evitare una sconfitta in aula che potrebbe essere vissuta dal Cavaliere come un’umiliazione.

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L’Italia invecchia: serve una nuova mappa della vita

lunedì, Gennaio 17th, 2022

di Federico Fubini

Tre consigli per affrontare una situazione che abbiamo in qualche modo deciso, senza dircelo, perché non abbiamo la volontà politica di fare dell’Italia un Paese per giovani

Mentre si discute di eleggere una donna al Quirinale, facendone il simbolo di una società che evolve, prendiamoci un attimo per vedere cosa accade nell’universo ai piedi del Colle. Quest’anno, per la prima volta nella storia, vivranno nel nostro Paese più signore di ottantasei anni che bambine di meno di uno. Le donne in età fertile, dieci milioni e mezzo all’inizio di questo secolo, saranno sei milioni fra vent’anni. E poiché il numero di figli nati per ciascuna continua a calare, a uno dei livelli più bassi al mondo, questa demografia non è più un’ombra che incombe sulla nazione. È il nostro destino. Dobbiamo guardarla in faccia.

Farlo attraverso il prisma dei numeri non è difficile. Sono così clamorosi da risultare quasi spettacolari. Considerate questi, dedotti dai dati Istat: nei prossimi vent’anni — cioè, fondamentalmente, domani — la popolazione in età da lavoro calerà di 6,8 milioni di persone, la popolazione in età di pensione aumenterà di 6,6 milioni, mentre i bambini fra gli zero e i quattordici scenderanno di 1,2 milioni solo perché sono già pochi.

Non solo l’Italia non è un Paese per giovani ma, dati gli spostamenti inesorabili della demografia, non lo sarà mai. Non nel tempo delle nostre vite. Se lo diventerà, serviranno molti decenni ma nel frattempo noi dobbiamo arrivare vivi — economicamente, socialmente vivi — a quel momento. La conversazione pubblica deve dunque cambiare: non si tratta solo di chiedersi come modifichiamo il profilo demografico dell’Italia ma di come otteniamo, con questo profilo, la crescita e la tenuta sociale che ci servono a non fallire sul piano finanziario e a non andare alla deriva su quello politico.

Perché se siamo arrivati a questo punto — un Paese popolato fra vent’anni per un terzo da «anziani» — non è stato certo un caso. Siamo arrivati dove volevamo. Intendiamoci, non che faccia piacere a qualcuno questo incredibile squilibrio fra le età, ma in fondo pochissimi fra noi sono disposti — individualmente e collettivamente — a sobbarcarsi i costi necessari a cambiare traiettoria. Fra affrontare quei costi e accettare lo squilibrio scegliamo, fondamentalmente, lo squilibrio. L’assegno unico varato dal governo è una misura civile e male non farà, certo. I nidi d’infanzia del Recovery neanche, se avremo i soldi per pagarne il personale. Aiuta anche l’aver (faticosamente, clandestinamente) allargato per il 2021 l’immigrazione legale a 70 mila persone, benché sia sempre poco in un Paese dove nascono ogni anno trecentomila persone meno di quante ne muoiano.

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Quirinale, la Lega è preoccupata. Lettera di Verdini: lasciate che Salvini sia il king maker

lunedì, Gennaio 17th, 2022

di Marco Cremonesi

L’ex coordinatore di FI scrive a Dell’Utri e Confalonieri. «Finora si è giocato sul piano esclusivo della comunicazione, ma fra 12 giorni a ciò che si comunica dovrà seguire ciò che si fa. Altrimenti sarà un disastro»

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Telefonate, tantissime. Messaggi, tantissimi anche quelli. Ci stanno: per Matteo Salvini la settimana è campale, con la prossima si capirà se esiste ancora un centrodestra. Ciò che però, fino a qualche giorno fa, lo stesso Salvini non si sarebbe atteso è una buona vecchia lettera. E invece, sulla scena arriva anche quella, pubblicata ieri mattina sul Tirreno. L’ha scritta Denis Verdini, il padre della sua fidanzata, Francesca, e già smaliziatissimo uomo di manovra di Silvio Berlusconi. L’ha scritta ad altri due berlusconiani assoluti e fuori dagli schemi, Marcello dell’Utri e Fedele Confalonieri. Come lui — la definizione è sua — «vecchietti arzilli come quelli di Cocoon», che «hanno ritrovato il gusto del sogno». Che è, ovviamente, l’elezione di Silvio Berlusconi al Quirinale.

E dunque, l’ex coordinatore azzurro non fa mancare i suoi consigli: perché, ricorda, «finora si è giocato sul piano esclusivo della comunicazione, ma fra 12 giorni a ciò che si comunica dovrà seguire ciò che si fa. Altrimenti sarà un disastro». Verdini, da vecchio amico del fondatore azzurro, può anche permettersi alcune critiche: con la caccia al voto il Cavaliere «ha dato informalmente certezze su presunte disponibilità di voti» fuori dal centrodestra e la sua candidatura, «ancora soltanto ipotizzata», ha «scavato una fossa» con il centrosinistra, che ora sarà tentato «dalla soluzione dell’Aventino».

(Il Corriere ha una newsletter dedicata all’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Si chiama Diario Politico, è gratis, e per iscriversi basta andare qui)

E infatti, è proprio così. La possibilità che il centrosinistra abbandoni l’aula e lasci il centrodestra da solo a veder perdere Berlusconi è uno degli incubi che nella Lega ricorrono tutte le notti, da parecchi giorni. Anche se, in fondo, sono pochi a temerlo davvero: «Avrebbe un senso — riflette un deputato —, metterebbe il centrosinistra al riparo dalle sorprese di chi in segreto sarebbe pronto a votare Berlusconi». Ma, appunto, meglio ripiegare su una confortante ironia: «Noi non crediamo che lo faranno. Sarebbe una cosa troppo “di destra”. Una cosa troppo al di fuori della cultura della sinistra: è quello che ha fatto il Pdl nel 2013, quando i 101 fermarono la corso di Romano Prodi…». Anche per questo i contatti tra Salvini e Enrico Letta sono così assidui: ciascuno dei due intende marcare l’altro a scanso di sorprese.

Poi, Verdini parla proprio di Matteo Salvini. «Ciò che non si può pretendere», dice, è che il leader leghista «rinunci al tentativo di esercitare un ruolo da king maker: gli si può chiedere lealtà ma non fedeltà assoluta». Perché, e questo Salvini lo sa bene, «un’eventuale sconfitta sul Quirinale pregiudicherebbe la sua carriera politica». Il consiglio principe è dunque quello di garantire la permanenza del Cavaliere nel centrodestra: «Niente patti con Letta e Renzi» ma basta anche al «chiacchiericcio» sul fatto che, in caso di fallimento, potrebbe sostenere, «Draghi, Amato o chissà chi altro, spaccando il centrodestra».

Sia chiaro: «Se Salvini o Meloni capissero che il “Nostro” ha seconde carte o piani B, sarebbe l’intero centrodestra a saltare per aria». Insomma, «Silvio deve permettere a Salvini di portare a termine l’obiettivo di eleggere un presidente di centrodestra, fornendogli tutto il suo appoggio». Secondo Verdini, se alla quarta votazione Berlusconi avesse tutti i voti del centrodestra, potrebbe «ritirarsi con dignità». Ma se mancassero anche quelli, «sarebbe un disastro. E ancora peggio per chi lo ha portato a questo punto».

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SuperBonus 110%: già rimborsati 16 miliardi. I prezzi li decide un privato e lo Stato non controlla

lunedì, Gennaio 17th, 2022

di Marco Bonarrigo e Milena Gabanelli

Se vedete scritto su un listino prezzi «Tipografia del Genio Civile» cosa pensate? Che il Genio Civile, un organo dello Stato, abbia stabilito quei prezzi! La questione riguarda il SuperBonus al 110%: soltanto nello scorso mese di dicembre lo Stato ha autorizzato 110 milioni di euro al giorno di credito fiscale agli italiani per migliorare l’efficienza energetica delle loro abitazioni. Dal 1° luglio 2020 sono stati spesi quasi 16,2 miliardi, e sono previsti investimenti per almeno altri 14 fino al giugno del 2023, quando l’operazione dovrebbe scadere. In media ogni condominio che ha eseguito i lavori ha investito 540 mila euro, ogni casa individuale oltre 110 mila. Un incentivo imperdibile per rinnovare il vetusto parco immobiliare nazionale e renderlo più ecologico. E una boccata di ossigeno per produttori, imprese e progettisti.

La manina che cambia il decreto

Con gli incentivi le frodi sono sempre in agguato: «Alcuni cittadini ci hanno segnalato di aver firmato le carte senza che fosse avviato alcun lavoro, altri di lavori eseguiti da società che non sono nell’edilizia ma nel settore della macellazione» ha dichiarato Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, quantificando le truffe in almeno un miliardo di euro. Per ridurle, l’Agenzia ha intensificato i controlli, mentre lo Stato ha reso più complessa la procedura di richiesta del bonus. Per incassare, l’impresa che fa i lavori deve dimostrare all’Enea di aver utilizzato materiali che garantiscono il risparmio energetico, e all’Agenzia delle Entrate di aver applicato prezzi congrui.

E come si determina il prezzo congruo? La legge 77 del luglio 2020 che ha istituito gli incentivi è molto chiara: chi progetta deve rispettare i prezzi massimi dei listini delle Regioni (non sempre aggiornati) e quelli ben più diffusi e spesso efficienti delle Camere di Commercio presenti sul territorio. Un mese dopo, nel decreto attuativo del 6 agosto, le Camere di Commercio spariscono, e come riferimento ufficiale sui prezzi compaiono «le guide dell’edilizia edite dalla casa editrice Dei – Tipografia del Genio Civile». A luglio 2021 un’associazione di categoria chiede numi all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, e il segretario generale risponde così: «I parametri di riferimento sono quelli definiti dal Genio Civile». Un ente pubblico quindi.

Un privato che si chiama Genio Civile

Il Genio Civile non esiste più dal 1972, anno in cui questa struttura del Regno — creata da Vittorio Emanuele I a inizio Ottocento per monitorare i lavori pubblici — si è dissolta. La Dei, che con il Genio non ha mai avuto nulla a che fare, è una società privata con undici dipendenti e sede a Roma. Settant’anni fa il suo fondatore, il signor Bartoli, ebbe l’idea — lui sì geniale — di mettere nome e marchio del Genio Civile nella ragione sociale per vendere meglio i suoi prezzari e manuali per l’edilizia. Ad equivocare infatti sono in parecchi, dai funzionari del Ministero, a quelli dell’Agenzia delle Entrate e dell’ Enea. Nel marzo 2021, in piena operazione bonus, la Dei è stata acquisita dalla Quine, del gruppo Lswr, colosso dell’editoria tecnica guidato da Giorgio Albonetti. Lswr gestisce molti prezzari dei farmaci, pubblica riviste giuridiche, quelle delle fiere di settore, la rivista del consiglio nazionale degli ingegneri, l’organo che assevera i costi del superbonus, la rivista dell’associazione dei termotecnici (AICAR) che progettano gli impianti e asseverano i costi ai fini del bonus. I listini Dei sono dettagliatissimi. Siccome lungo lo stivale i prezzi variano, e occorre definire e monitorare 80 mila voci, uno immagina che ci lavoreranno un centinaio di esperti. Sbagliato: sono solo in 6, e qualche consulente.

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