Archive for Gennaio, 2022

Destra, la grande incompiuta

lunedì, Gennaio 31st, 2022

di Ezio Mauro

Una partita nata male, giocata peggio, è finita bene. Ha confermato un galantuomo di sicura fedeltà democratica e costituzionale al Quirinale, da dove potrà guidare questa fase di transizione con saggezza politica, imparzialità, rispetto per le istituzioni e il loro decoro. Ha reingaggiato Mario Draghi alla guida del governo, dove potrà spendere la sua perizia tecnica nelle due emergenze che un anno fa è stato chiamato a fronteggiare, il contrasto alla pandemia e la realizzazione delle condizioni per l’utilizzo dei fondi straordinari del piano europeo di ricostruzione: a cui si deve aggiungere necessariamente l’emergenza sociale richiamata da Mattarella nelle poche parole pronunciate dopo la sua rielezione, e cioè la crisi del lavoro, la crescita delle disuguaglianze e le nuove povertà.

Ha infine stabilizzato il vertice della Repubblica offrendo ai cittadini, ai partner internazionali e ai mercati l’immagine di un Paese che sceglie la continuità nell’indirizzo del governo e dello Stato, riconfermando l’Europa e l’Occidente come cornice di riferimento e arginando i populismi, l’antipolitica e il nazionalismo, frutti velenosi di questa stagione di indebolimento delle democrazie.

C’era tutto questo in gioco, nella contesa per il Quirinale, sotto l’apparenza di un torneo tra leader di nome e non di fatto, che inventavano candidature destinate ad appassire in poche ore, inseguivano tattiche contraddittorie senza un’idea di strategia, sbagliavano tempi e modi gettando nella mischia ruoli pubblici delicati senza riguardo istituzionale e senza la tessitura di una rete politica di sostegno.

Questa estemporaneità tragica trasforma la politica in gesto, mai in disegno, costruzione e prospettiva. Ed espone perciò la Repubblica ai contraccolpi e alle sorprese di un’invenzione spuntata per caso, o a veri e propri rischi come la nomina alla guida del Paese di personaggi clamorosamente inadatti al ruolo, anomali rispetto alla funzione richiesta, dunque pericolosi.

L’incertezza politica nella guida del conclave parlamentare è stata percepita dai cittadini, spettatori di un procedimento sicuramente democratico ma inconcludente, perché girava a vuoto su se stesso. Più ancora è stata avvertita dagli stessi Grandi elettori, immediatamente trasformati in un soggetto collettivo autonomo, senza una linea di comando riconosciuta e quindi in balia di paure e incertezze, che innescavano inevitabilmente l’istinto di autoconservazione.

Procedure pubbliche d’eccezione, come la riunione congiunta di deputati, senatori e delegati regionali per la scelta del presidente della Repubblica sono anche un test radicale che mette a nudo la democrazia, aprendo il suo meccanismo per valutare l’efficienza dei suoi congegni. Questa volta l’evidenza ha confermato che manca il “sistema”, perché manca una visione condivisa del bene comune, com’è naturale in una fase in cui vengono messi in discussione lo Stato di diritto e il carattere liberale della democrazia, guardando agli esperimenti neo-autoritari che attraversano l’Europa. In più la società politica disarticolata non ha punti di equilibrio su cui appoggiarsi, e questa è la vera rivelazione delle giornate quirinalizie.

A sinistra si è infatti aperta una crepa nell’alleanza tra il Pd e il Movimento Cinque Stelle, più volte in questi giorni tentato da una sintonia con Salvini piuttosto che con Letta. Questa oscillazione anomala è dovuta a tre fattori: l’incertezza della guida, esercitata da Conte ma contesa da Di Maio e costretta a patteggiare ogni scelta con l’ombra incombente di Grillo; il sentimento del declino del consenso che suscita il dubbio nel futuro e la ricerca di qualsiasi via di fuga dall’incertezza; la mancata definizione di una cultura politica unificante, capace di determinare scelte, alleanze, indirizzi, e di spiegarli ancorandoli. È un nodo da sciogliere al più presto, anche perché coinvolge il Pd, e annebbiando la prospettiva dell’alleanza gli impedisce di monetizzare fino in fondo i risultati della gara presidenziale, dove Letta ha bloccato gli improbabili Berlusconi e Casellati e ha dirottato gli altri nomi di destra, favorendo – mentre puntava su Draghi – il ritorno di Mattarella. E intanto nella crepa tra M5S e Pd si è già infilato Renzi, almeno con un piede.

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Dati settimanali, il contagio si ritira: in tutte le Regioni (tranne una) i casi sono in calo. Scendono anche i ricoveri

lunedì, Gennaio 31st, 2022

di Michele Bocci

La discesa della curva dei contagi è ormai chiara, a livello nazionale c’è una riduzione del 16% e tutte le Regioni (tranne la Sardegna che è stabile), nella settimana conclusa ieri vedono una riduzione dei nuovi casi rispetto a quella precedente. Non solo, i numeri raccontano anche di un calo dei ricoveri. L’unico dato che continua a crescere, si spera ancora per poco, è quello dei decessi.

L’ondata provocata da Omicron si sta quindi ritirando, anche se per ora lentamente, e come previsto da più osservatori, a fine mese la situazione potrebbe tornare sotto controllo. I numeri sono un buon viatico per la settimana che inizia oggi e durante la quale dovrebbero essere prese una serie di misure di semplificazione delle regole, soprattutto per la scuola ma anche sui criteri per la classificazione delle Regioni.

Il numero dei nuovi positivi è sceso sotto il milione. Sono stati 976.223, cioè il 16,2% in meno della settimana scorsa. Il dato precedente era del 4.3%. I tamponi tra lunedì 24 gennaio e ieri sono stati 6,9 milioni contro i 7,4 della settimana prima.

La Lombardia cala del 30%

Come detto, il calo è diffuso a quasi tutte le Regioni. Solo la Sardegna, che passa da 8.665 a 8.737 casi (+72) regista una crescita lieve, dello 0,8%. Ecco i numeri delle altre. La Calabria passa da 14.389 a 9.480 casi (-4.909, -43,1%), la Lombardia da 204.156 a 144.564 (-59.592, -29,1%), la Valle d’Aosta da 2.962 a 2.150 (-812, -27,4%), la Campania da 105.039 a 79.452 (-25.587, -24,3%), la Provincia di Trento da 16.039 a 12.236 (-3.803, -23,7%), la Liguria da 40.802 a 32.995 (-7.807, -19,1%), la Provincia di Bolzano da 19.041 a 15.425 (-3.615, -18,9%), il Piemonte da 95.446 a 78.269 (-17.177, -17,9%), il Molise da 3.196 a 2.682 (-514, -16%), l’Emilia-Romagna da 128.100 a 108.505 (-19.595, -15,2%), la Toscana da 82.832 a 70.950 (-11.882, -14,3%), il Veneto da 127.455 a 112.700 (-14.755, -11,5%), l’Abruzzo da 25.189 a 22.378 (-2.811, -11,1%), l’Umbria da 14.031 a 12.552 (-1.479, -10,5%), la Puglia da 60.424 a 54.217 (-6.207, -10,2%), il Friuli Venezia Giulia da 30.944 a 28.187 (-2.757, -8,9%), la Basilicata da 7.671 a 7.032 (-639. -8,3%), le Marche da 39.803 a 37.033 (-2.770, -6,9%), la Sicilia da 49.093 a 47.041 (-2.052, -4,1%), il Lazio da 90.476 a 89.638 (-838, -0,9%).

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A Sanremo è la quiete prima della tempesta

lunedì, Gennaio 31st, 2022

Paolo Giordano

LA VIGILIA

A Sanremo oggi è la quiete prima della tempesta (in arrivo da martedì con la prima puntata). La città è pigra nonostante il Festival qui sia “alta stagione” e i prezzi, di conseguenza, puntino energici ed entusiasti verso l’alto, spesso l’altissimo. Di certo la decisione Rai di confermare lo show nonostante la pandemia non ha premiato Sanremo. Anche se i dati del contagio sono in ribasso (per fortuna, manco c’è da dirlo), la paura è ancora la colonna sonora del vivere comune e quindi è difficile attendersi una città gonfia di pubblico per le strade come fino al 2020.

FIORI E FIORELLI

C’è un uomo mascherato che si aggira per Sanremo. È Fiorello, che ieri sera ha confermato coram populo la sua partecipazione al Festival con una delle sue gag (ha aperto ad Amadeus la porta della stanza 407 dell’Hotel Globo con un casco di bigodini in testa). Nel corso della giornata, aveva fatto un giro per Sanremo, con foto di rito di fianco alla statua di Mike Bongiorno. Per evitare troppa ressa, si è nascosto con cappottone e occhiali.

FINCHÉ LA BARCA VA

Orietta Berti la cantava nel 1971. Ora sulla barca è salita. Per la precisione, è la Costa Toscana, che è arrivata a Sanremo e campeggia chiaramente a poca distanza dalla riva. Sono previsti eventi e incontri, tutti rigorosamente in una “bolla” anti Covid. Insieme all’ormai onnipresente Orietta, a fare gli onori di bordo ci sarà Fabio Rovazzi.

ELEGANZA ED ELEGANZI

Uno dei grandi punti interrogativi di ogni vigilia festivaliera è il look dei cantanti. Spesso sono un passo falso, talvolta fanno scalpore e non c’è bisogno di ricordare il “pancione” di Loredana Bertè nel 1986. Questa volta c’è molta attesa ovviamente per Achille Lauro, che sulla carta è il vero “eleganzo” del Festival. Per lui un look diverso a ogni sera, magari anche due look per volta. Emma sarà vestita Gucci “customized”. Altri Big, specialmente ladies, sono ancora nell’imbarazzo della scelta. Vedremo.

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Tra fisco e pensioni ora serve la svolta

lunedì, Gennaio 31st, 2022

Veronica De Romanis

Dopo un’interminabile (e forse incomprensibile) settimana, le forze di maggioranza hanno trovato un accordo sul nome di Sergio Mattarella. Si torna, così, al punto di partenza: stesso Presidente della Repubblica, stesso presidente del Consiglio. Il Paese è ancora in piena emergenza sanitaria ed economica, bisogna assicurare la stabilità. Questa è la spiegazione dei leader politici. O forse, è semplicemente, l’auspicio. Le perplessità, in effetti, sono molte. Con l’avvicinarsi delle elezioni, gli obiettivi dei partiti e quelli del premier Draghi non potranno che divergere. In particolare, quelli economici. Il rischio che si apra una stagione di instabilità è concreto.

Nei prossimi mesi, Draghi dovrà portare avanti il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Un Piano costoso (prendiamo a prestito oltre 120 miliardi di euro) e ambizioso. Come ha scritto lo stesso premier nell’introduzione, attraverso i fondi europei il governo mira a “consegnare alle prossime generazioni un Paese più moderno, all’interno di un’Europa più forte e solidale”. La sfida è enorme. Basti pensare che prima della pandemia, la crescita era sostanzialmente nulla e l’Italia non aveva ancora recuperato il livello di ricchezza pro-capite di inizio secolo. Crescere, però, non basta. Bisogna farlo in modo sostenibile e inclusivo. Occorre, quindi, intervenire su chi è più penalizzato. Ossia le donne e i giovani. Poi, bisogna attuare le riforme. In tempi rapidi. “Un altro fattore che limita il potenziale di crescita dell’Italia e la relativa lentezza nella realizzazione di alcune riforme strutturali” spiega il premier sempre nel Pnrr. Da questo punto di vista, l’azione di governo è stata deludente. Non si è trovato un accordo su fisco, pensioni, concorrenza, catasto. Tutto rimandato. In nome della stabilità politica, non della crescita economica. Questo è il punto. L’accordo, invece, è stato trovato sul fronte della spesa. A debito. Spendere è diventato la panacea di tutti i mali. Si è speso tanto (oltre 20 punti percentuale di maggiore debito), si è speso per tutti. Inclusi i più abbienti. Basti pensare al bonus 110 per cento la cui applicazione è stata estesa (con l’eliminazione del tetto Isee) nonostante il premier abbia più volte dimostrato che si tratta di un provvedimento regressivo. A oggi, sono stati stanziati circa 16 miliardi di euro. Un altro esempio è quello dell’assegno universale, una misura che, come si evince dal nome stesso, distribuisce soldi in modo indiscriminato, quindi, anche a chi non ne ha bisogno seppur in misura minore. In questo caso, le risorse aggiuntive ammontano a circa 6 miliardi. Nessuno se ne preoccupa. Tanto è tutto debito buono. In realtà non è così: è un alibi formidabile. E se per caso qualcuno obietta, si risponde che si è perso il senso della misura. Il premier, invece, propone di trovare le risorse all’interno del bilancio dello Stato. Il contesto sta cambiando rapidamente: la ripresa è meno vigorosa delle attese, i tassi iniziano a salire. Tenere i conti in ordine dovrebbe essere una priorità. Una raccomandazione in questo senso è arrivata dalla Commissione europea per voce del vice-presidente Valdis Dombrovskis. L’Italia, insieme alla Lituania e la Lettonia, è tra le economie dove – secondo Dombrovskis – sarebbe necessario “ridurre il deficit e il debito” e dove gli incrementi di spesa andrebbero circoscritti a “interventi mirati e temporanei”. L’esatto contrario di quello che si sta facendo. Una finanza pubblica sostenibile ci rende meno vulnerabili nell’eventualità di shock esterni (del tutto probabili). Inoltre, rafforza la nostra posizione ai tavoli europei. A cominciare da quello in cui si discuterà la revisione delle regole fiscali. A questo proposito, è bene sottolineare che la forza negoziale di Draghi non è infinita: un debito che cresce troppo potrebbe minarla in maniera significativa.

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Nella perfetta storia all’italiana vedremo se trionfa il Gattopardo

lunedì, Gennaio 31st, 2022

Vista dall’estero, la grande partita del Quirinale è stata una perfetta storia all’italiana: il dramma esotico della campagna e del ritiro di Silvio Berlusconi, poi una serie di intrighi machiavellici, e ancora il teatro di votazioni interminabili con fogli bianchi e una serie di nomi buttati lì, infine un esito abbastanza felice, tanto da lasciare gli stranieri tranquilli e rassicurati. Se il mondo era contento nel 2021 con Sergio Mattarella presidente della Repubblica e Mario Draghi presidente del Consiglio, perché dovrebbe sentirsi diversamente nel 2022?

La risposta è che, almeno per il momento, non dovrebbe. Gli stranieri che scrivono o pensano all’Italia spesso non vedono l’ora di poter citare o parafrasare il Gattopardo, e forse si sono sentiti delusi di non poterlo fare. Ma poi abbiamo scoperto che Giorgia Meloni ci era arrivata per prima di tutti gli altri, con il suo tweet che diceva «siamo al “nulla cambi, perché nulla cambi”». Il fatto che nulla sia cambiato sembra una buona cosa – se questo è vero.

Visto dalla superficie, tutto è rassicurante. Mario Draghi rappresenterà ancora l’Italia ai vertici internazionali e garantirà una politica estera stabile, pro Europa, pro Nato e persino atlantista per un altro anno. Lui e il suo governo gestiranno ancora il Pnrr e quindi spenderanno le prossime tranche dei 190 miliardi di euro di fondi Ue che preoccupano la Commissione europea. Inoltre, una volta che la Francia avrà eletto il suo presidente il 24 aprile, Draghi potrebbe essere in grado di continuare lo sforzo che ha iniziato insieme ad Emmanuel Macron per premere nella direzione di un rinnovamento delle regole fiscali dell’Unione, questo se il presidente Macron verrà rieletto, naturalmente .

Altrettanto importante, almeno per il mondo del business internazionale, è il fatto che Draghi e il suo governo avranno ora un po’ più di tempo per attuare le riforme del sistema giudiziario e della pubblica amministrazione che sono state finalmente avviate nel 2021. Non era credibile che riforme così fondamentali potessero essere portate a termine con successo in un solo anno, anche se aiutate dai fondi europei.

Avere più tempo può essere solo un bene, visto da un punto di vista internazionale. Aumenta la possibilità che la visione piuttosto scettica nei confronti dell’Italia da parte della maggior parte degli investitori stranieri possa cambiare, gradualmente. Aumenta ancora di più la possibilità che Draghi e i suoi ministri possano fare una comunicazione pubblica efficace per convincere i molti italiani scettici che le riforme sono necessarie per il Paese, specialmente nei settori della digitalizzazione, della pubblica amministrazione e della transizione ecologica.

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Draghi prepara i primi “no” ai partiti. Salvini respinto sui fondi per le bollette

lunedì, Gennaio 31st, 2022

Ilario Lombardo

L’atto finale del melodramma politico degli ultimi giorni andrà in scena oggi, quando attorno al tavolo del Consiglio dei ministri Mario Draghi siederà di fronte ai suoi congiurati. È la scena che tanti hanno immaginato nelle ultime ore: il premier che arriva, cartelletta in mano, e riprende il lavoro con Dario Franceschini, Andrea Orlando, Stefano Patuanelli, con chi più o meno intensamente ha spento le sue ambizioni quirinalizie.

Il talento che gli riconoscono i collaboratori più stretti è maturato durante gli anni alla guida della Bce, dove Draghi doveva quotidianamente navigare tra i governatori che guardavano con sospetto l’italiano arrivato a difendere la stabilità dell’euro a colpi di quantitative easing. Dunque, dicono, niente di più facile che riallacciare i fili dell’azione di governo con chi non lo ha voluto al Colle. Anzi, nelle considerazioni a caldo fatte dal presidente c’è la certezza che i partiti dovranno fare i conti con la mancanza di alternative: o questo governo va avanti o si precipiterà verso il voto.

I voti ai protagonisti della corsa al Colle secondo Annalisa Cuzzocrea

Draghi sa che saranno mesi terribili. Il suo più fedele interprete, il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, lo mormorava a chiunque l’altro ieri alla Camera. Per questo il premier ha bisogno di dare un primo avvertimento. Un primo no ai partiti. E potrebbe darlo già nelle prossime ore, per frenare le intemperanze di Matteo Salvini. Il leghista ha chiesto un incontro a Draghi e vuole al suo fianco Giorgetti. La richiesta sarà di «un deciso intervento del governo, di almeno 30 miliardi di euro», per abbattere i costi di luce e gas. Niente di più lontano dai piani del premier. A Palazzo Chigi provano a minimizzare la proposta di Salvini, ma il senso delle risposte va sempre nella stessa direzione: ci sono già stati tre interventi ravvicinati per abbattere i costi delle bollette e 30 miliardi sono una cifra enorme, di fatto una finanziaria, che andrebbe contrattata con l’Europa.

La fine dolceamara sul Quirinale può lasciare a Draghi un vantaggio, che l’ex banchiere intende sfruttare. Sergio Mattarella congela il quadro. E ora che il premier si sente svincolato dalla sua partita più personale, ha indubbiamente meno da perdere. A maggior ragione – ha confidato con una certa dose di ironia Draghi – dopo che i partiti non hanno fatto che ripetere quanto fosse necessario che rimanesse a Palazzo Chigi. Su Green Pass, misure anti-Covid e Pnrr è pronto a sfidare le resistenze dei partiti. Dall’atteggiamento di Giorgetti, ha già intuito che da qui alle prossime settimane la Lega potrebbe alzare il tasso di conflittualità. Il vicesegretario ha evocato le dimissioni ed è pronto allo strappo appena capirà che Salvini punterà a rompere con il governo o a sfruttare ogni centimetro di polemica contro chiunque. Nel mirino finiranno il ministro della Salute Roberto Speranza, i colleghi dell’Interno e delle Infrastrutture. Si parlerà di rimpasto ancora per giorni, come avvenuto mentre ancora era in corso la votazione che ha sancito il bis di Mattarella.

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I partiti tra agende e agendine: le insidie dell’anno che verrà

lunedì, Gennaio 31st, 2022

di Paolo Mieli

Bilancio e previsioni dopo il voto sul presidente. Prima scadenza sarà il completamento della riforma della giustizia

La rielezione di Sergio Mattarella e la riproposizione del tandem costruito un anno fa dal presidente della Repubblica con Mario Draghi è stata, purtroppo, preceduta da un clamoroso fallimento. Il «secondo grande fallimento dei partiti in questa legislatura», ha scritto ieri Luciano Fontana (il primo fu, dodici mesi fa, quello che portò Draghi a Palazzo Chigi). Forse lo possiamo considerare il terzo fallimento della legislatura, se ricordiamo la rovinosa crisi, nell’estate del 2019, del primo governo guidato da Giuseppe Conte. Crisi alla quale seguì un’alleanza del M5S con Pd e Leu sotto la guida spigliata dello stesso Conte. Quell’alleanza fu stipulata in emergenza allo scopo di evitare elezioni anticipate che avrebbero potuto premiare Salvini. Ed ebbe come prezzo il taglio dei parlamentari non accompagnato — a dispetto degli impegni presi — da aggiustamenti costituzionali. Con conseguenze ad oggi imprevedibili. Che avremo però occasione di sperimentare dopo le elezioni previste tra un anno o poco più.

A ben guardare, dai giorni — tutto sommato pochi (sei) — dedicati al voto per l’elezione del presidente della Repubblica, i partiti sono usciti meno malconci di quanto ci è potuto apparire in presa diretta. Due di loro, Pd e Fratelli d’Italia, sono addirittura in uno stato di discreta euforia. Certo, anch’essi hanno mancato l’obiettivo. Ma né Enrico Letta né Giorgia Meloni conducevano le danze: hanno così potuto giocare di rimessa sicché nessuno dei due si è visto costretto a esporre e sacrificare un proprio candidato. Forza Italia addirittura festeggia — non è dato sapere se a ragione o a torto — per la «centralità» riconquistata da Silvio Berlusconi. Matteo Renzi ha trovato un ruolo elettrizzante nel mandare in frantumi la candidatura di Elisabetta Belloni (una strana storia, dagli aspetti opachi, interamente a danno — va detto — dell’incolpevole protagonista). Conte, invece, è stato costretto più volte ad affrontare problemi connessi al comando del M5S in compagnia di Luigi Di Maio. In questo momento sembra essere nei guai. Ma l’esperienza ci dice che dopo qualche trambusto i due ritroveranno l’«accordo». I piccoli partiti centristi, per quel che li riguarda, in occasione della battaglia per il Quirinale non hanno svolto ruoli di particolare rilievo. Perciò non hanno perso né guadagnato nulla.

Salvini si è affaticato invece nel giocare a palla con le teste di alcuni aspiranti al Quirinale, talvolta inconsapevoli. È un compito che si è improvvidamente autoassegnato senza essersi adeguatamente preparato nei mesi precedenti. È emerso che non ha né un’agendina né un numero adeguato di collaboratori fidati che conoscano e possano discretamente contattare persone fuori dallo strettissimo giro della Lega. Persone, intendiamo, candidabili a posti di responsabilità. Un problema del genere era già venuto alla luce quando nella primavera del 2018 si trattò di scovare un presidente del Consiglio e qualche ministro «indipendente» da mandare al governo assieme ai seguaci di Beppe Grillo (i quali, per parte loro, potevano contare sui misteriosi serbatoi della Link University). Tale difficoltà si è riproposta recentemente allorché Salvini e Meloni sono stati costretti ad andare in cerca di candidati sindaci per le grandi città. Ed è venuta nuovamente alla luce negli ultimi giorni quando si trattava di rinvenire un inquilino per il Quirinale.

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Scuola, meno dad e meno tamponi: il governo decide nuove regole

lunedì, Gennaio 31st, 2022

di Gianna Fregonara

In arrivo una revisione delle regole su contagi e quarantene. Elementari in autosorveglianza come medie e superiori. Dad di soli 5 giorni. Un solo tampone per i piccoli. E gli altri tornano in classe solo col green pass

Oltre a decidere di prolungare le misure per discoteche e mascherine all’aperto il governo comincia ad occuparsi del dossier scuola , anche se il decreto potrebbe arrivare non prima di mercoledì o giovedì: alcuni nodi richiedono un ulteriore vaglio dei tecnici del ministero della Salute. L’idea alla base della revisione delle regole su contagi e quarantene per gli studenti è quella di «allineare tutti i gradi scolastici», applicando le regole che attualmente si usano nelle scuole medie e superiori anche alle elementari.

Non cambierà probabilmente nulla per le scuole dell’infanzia dove i bambini non sono vaccinati e non portano le mascherine.

La proposta dei ministri dell’Istruzione Patrizio Bianchi e della Salute Roberto Speranza mira ad arrivare ad avere meno Dad, meno tamponi e un rientro in classe più facile. Sono del resto le richieste che arrivano da presidi e famiglie, anche se i contagi specie tra i più piccoli (fascia 0-9) erano in aumento consistente nell’ultimo rapporto dell’Iss venerdì scorso. Il decreto che alleggerisce il protocollo scolastico deve ancora essere limato ma le modifiche principali sono pronte, mentre per altre misure bisognerà capire quale sarà il compromesso che si troverà in consiglio tra la semplificazione e la garanzia di sanitaria.

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Di Maio e Conte, scambio al veleno: nel Movimento 5 stelle parte il processo al capo

lunedì, Gennaio 31st, 2022

di Emanuele Buzzi

Una tregua durata una giornata e poi di nuovo guerra. E senza mezze misure. Il Movimento non conosce pace. Dimaiani e contiani si punzecchiano tutto il giorno. Un ping pong di stoccate. «Belloni? Non la abbiamo eletta per colpa di chi ha manie di protagonismo». «I piani di chi voleva Draghi al Colle sono falliti». Poi si scontrano direttamente i pesi massimi. Giuseppe Conte punta Di Maio dopo le parole sulla direttrice del Dis : «Ci saranno occasioni nella comunità del M5s per tutti i chiarimenti necessari. Sono state ore febbrili, finora non c’è stato modo di chiarire il significato di alcune uscite».

Il ministro degli Esteri in serata si fa sentire: «Alcune leadership hanno fallito, hanno alimentato tensioni e divisioni». Poi l’affondo. «Nel Movimento 5 Stelle serve aprire una riflessione interna». Conte preferisce non replicare all’attacco diretto, ma chi è vicino al leader fa presagire che «presto» ci sarà la resa dei conti tra i due. Fonti autorevoli contiane, invece, ribattono: «Si tratta di un gesto di disperazione dopo la sconfitta di non aver portato Draghi al Quirinale».

I vertici intanto lavorano a una «fase due»: rilancio del ruolo di governo, legge elettorale, oltre al confronto con alleati e big M5S. Il Movimento dopo l’elezione del capo dello Stato prova voltare pagina. Conte nei prossimi mesi cercherà di costruire il percorso in vista delle Politiche del 2023 e di rilanciare l’azione dei Cinque Stelle in seno all’esecutivo. Non a caso il presidente M5S già annuncia: «Con Draghi ho chiesto un chiarimento. Non possiamo limitarci ad assicurare la stabilità del governo, dobbiamo essere promotori di un confronto per siglare un patto per i cittadini in cui individuare quali possano essere le priorità» del Paese. Il no all’investitura del premier al Colle è vissuto come un risultato, ma la rielezione di Mattarella lascia strascichi anche nei rapporti con il Pd, ora ai minimi termini.

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Le macerie dei partiti

domenica, Gennaio 30th, 2022

di Luciano Fontana

Siamo al secondo grande fallimento dei partiti in questa legislatura. Incapaci di tenere in piedi un governo e di eleggere un nuovo presidente della Repubblica

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Il presidente Sergio Mattarella in un ritratto di Fabio Sironi

La conferma di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica è un’ottima notizia per l’Italia. Il Quirinale sarà guidato ancora nei prossimi anni da una personalità che ha dimostrato sensibilità istituzionale e sintonia con i sentimenti del Paese. Rispettosa degli equilibri politici ma al tempo stesso determinata nelle situazioni di crisi. È un’ottima notizia anche perché la scelta è stata favorita dalla spinta del premier Mario Draghi. Insieme i due presidenti hanno avuto il compito e il peso di affrontare la pandemia, riavviare la crescita economica, infondere fiducia ai cittadini in uno dei momenti più difficili della nostra storia repubblicana. Che la loro azione vada avanti è una garanzia per il futuro.

Sappiamo tutti quanto Mattarella abbia cercato di evitare il bis. Le ragioni che lo portavano ad escludere un secondo mandato erano fondate, dal punto di vista dell’assetto costituzionale e politico. Con altrettanta franchezza si deve però dire che questa nuova situazione di eccezionalità ha un solo ed esclusivo responsabile: il sistema dei partiti. Se non tutti i partiti, almeno gran parte di loro.

Questi incredibili sei giorni di votazioni, o di mancate votazioni, lasciano un cumulo di macerie. È persino difficile metterle tutte in fila. L’assenza di leadership nella coalizione di centrodestra: aveva giurato compattezza dall’inizio alla fine, si ritrova in uno stato di deflagrazione. Candidati gettati a caso nell’agone parlamentare e in quello dei social media, senza razionalità politica, senza un minimo di aderenza alla realtà, senza una valutazione dei danni che si potevano provocare alle istituzioni bruciando nel falò presidenti del Senato, presidenti del Consiglio di Stato, responsabili dei servizi segreti. Una sorta di «talent show» dove uno vale uno, dove il metodo è sbagliato e la strategia inesistente. Il risultato è davanti agli occhi di tutti: dell’alleanza largamente maggioritaria nei sondaggi non si trova più traccia. Ognuno per sé, tra accuse, sospetti e nuovi scenari politici di separazione al momento indecifrabili.

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