Archive for Gennaio, 2022

Destini incrociati dei due presidenti

martedì, Gennaio 11th, 2022

Marcello Sorgi

Per quanto sibillino possa essere stato, dividendo i suoi osservatori tra chi sostiene che alla sua maniera, senza muovere un dito, abbia compiuto un’altra tappa di avvicinamento al Quirinale, e chi invece obietta che se ne sia allontanato, il Draghi apparso ieri sera in conferenza stampa era molto diverso da diciannove giorni fa, quando nell’appuntamento di fine anno aveva praticamente annunciato la sua candidatura al Colle. Serio, brusco, inflessibile fino all’eccesso nell’evitare le domande sul Quirinale. Costretto a un “atto riparatore”, come lui stesso l’ha definito, dopo l’inaccettabile silenzio seguito mercoledì alla decisione del Consiglio dei ministri di introdurre l’obbligo di vaccino per gli ultra cinquantenni. E fermo nel denunciare ancora una volta le responsabilità dei non vaccinati nella diffusione del virus e nella continuazione dell’emergenza.

Perfino il quadro descritto è del tutto differente da quello più rassicurante fornito prima di Natale. E non perché allora, nel riassumere una situazione tutto sommato sotto controllo, l’avesse sottovalutata. Ma perché in venti giorni tutti i sintomi della pandemia di sono aggravati, dal numero dei contagi in crescita esponenziale agli ospedali ormai in sofferenza, alla necessità di accelerare la campagna vaccinale tenendo aperti anche la notte gli hub dedicati alle somministrazioni. La linea del governo non cambia e il rigore anti-Dad tenuto sulla riapertura delle scuole in presenza lo conferma: Draghi è convinto che occorra fare di tutto per non rassegnarsi alle chiusure e per evitare di veder di nuovo avvitarsi l’economia italiana. Ma dietro questi impegni, convalidati nel corso della conferenza stampa dai ministri dell’Istruzione Bianchi e della Salute Speranza e dal capo del Cts Locatelli (il dato più inquietante: ricoverati negli ospedali ci sono ventitré no-vax per ogni vaccinato), Draghi ha ammesso che il clima nella maggioranza è mutato e la ricerca dell‘unanimità tra le diverse forze che sostengono il governo è più complicata. Lo sforzo che lo ha costretto per due giorni a mediare prima di varare l’ultimo decreto ha cercato di riportarlo – non sempre riuscendoci in modo convincente – al normale compito del presidente del Consiglio. “Il governo va avanti”, ha detto e ripetuto. Ma la strada è in salita.

Proprio perché non ha voluto affrontare, sfiorando talvolta un tono autoritario che non gli si addice, l’argomento Quirinale, le domande rimaste in sospeso dopo un’ora di botta e risposta giravano intorno a quello. È stato contrario a discuterne perché si ritiene ancora in corsa, o perché, avendone parlato, ha involontariamente dato la stura a tutte le reazioni contrarie all’ipotesi di una sua elezione? Per rispondere si può solo riprendere il filo del suo ragionamento. Se il 22 dicembre aveva disegnato un bilancio positivo del governo, aggiungendo che sarebbe potuto andare avanti “indipendentemente” da lui, stavolta ha elencato una serie di lavori in corso che rendono più difficile immaginare che di qui a due settimane – tante ne mancano al 24 gennaio in cui sono convocate le Camere in seduta comune per eleggere il Presidente della Repubblica – Draghi possa lasciare il timone a chicchessia senza preoccuparsi del contraccolpo che ne seguirebbe.

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Omincron spinge 5 milioni di italiani in smart working, consumi in picchiata

martedì, Gennaio 11th, 2022

PAOLO BARONI

Torna a impennarsi il lavoro da casa. Non solo aumenta il numero delle persone in smart working, ma questo si fa anche molto più intenso rispetto ai mesi scorsi. In parallelo, in questo inizio anno, i consumi degli italiani cadono a picco e si riducono drasticamente non solo gli spostamenti ma anche gli acquisti e soprattutto la frequentazione di bar e ristoranti. Omicron ha praticamente ritrascinato il Paese in un lockdown «di fatto» e il ritorno dalle vacanze invernali, quest’anno, è un «non rientro» segnala un sondaggio condotto da Ipsos per Confesercenti che la Stampa è in grado di anticipare. «Non siamo in un lockdown ufficiale perché non ci sono provvedimenti di chiusura generalizzati delle attività economiche. Ma purtroppo è innegabile che per tantissime imprese di fatto si sia già tornati in zona rossa» commenta la presidente Patrizia De Luise.

Solo metà in presenza

L’aumento dei contagi, stando al campione di 800 italiani rappresentativo della popolazione nazionale sondato per l’occasione da Ipsos, in queste settimane spinge il lavoro a distanza ai massimi livelli tanto che il 48% dei datori di lavoro del settore privato ha già deciso di proseguire con lo smart working, prevede di tornarci o di attivarlo a breve. Si tratta di una quota pari a circa 5,5 milioni di lavoratori, e di questi circa un milione (ovvero il 15%) inizia per la prima volta a lavorare a distanza. E lo fa in maniera a sempre più intensa: l’11% – oltre 600mila persone – lavora infatti esclusivamente da remoto, cui si aggiunge un altro 24% per cui lo smart working è davvero «strong» (visto che lavora in presenza solo una o due volte a settimana), mentre è «soft» per un altro 16% che presta la sua opera in presenza 3-4 volte in una settimana.

La paura del contagio

Si tratta di uno «stay-at-home» di massa, evidenzia insomma il sondaggio Ipsos realizzato lo scorso 5 gennaio, fenomeno che avrà un forte impatto sui pubblici esercizi nei centri città e nei quartieri di uffici e che Confesercenti arriva a stimare in 850 milioni di euro al mese di minori consumi.

Ovviamente, non sono solo i pubblici esercizi a soffrire. Il ritorno del clima di incertezza e della paura del contagio sta infatti tornando a incidere in maniera significativa su tutti i comportamenti degli italiani. Comportamenti personali, innanzitutto: nelle ultime due settimane il 57% ha infatti osservato più attentamente le distanze personali, in luoghi e trasporti pubblici; il 55% ha lavato più spesso mani/oggetti, il 40% ha limitato i contatti con i familiari, il 7% ha invece ridotto la frequenza dei figli a scuola/asilo.

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Ragazze aggredite in piazza Duomo, ecco il branco: 18 identificati tra Milano e Torino

martedì, Gennaio 11th, 2022

Perquisizioni sono in corso, tra Milano e Torino, a carico di 18 giovani ritenuti, a vario titolo, coinvolti nelle aggressioni a sfondo sessuale perpetrate ai danni di una decina di ragazze la notte di Capodanno, in piazza Duomo a Milano. Lo ha comunicato la Polizia di Stato. Si tratta, secondo le prime informazioni della Questura di Milano, di 15 ragazzi maggiorenni e di 3 minorenni, di età compresa tra i 15 e i 21 anni, sia stranieri sia italiani di origini nordafricane. L’attività investigativa, basata sulla visione delle immagini dei sistemi di sorveglianza, sulle testimonianze di passanti, sui racconti delle vittime nonché sull’analisi dei social network, ha condotto alle individuazioni dei presunti appartenenti al ‘branco’ di ragazzi che ha molestato sessualmente 9 ragazze.  L’inchiesta ha  chiamato in campo poliziotti specializzati nell’utilizzo di software per il riconoscimento facciale. Le indagini sono state condotte dalla Squadra mobile della Questura di Milano e dal Commissariato Centro, e coordinate dalla Procura della Repubblica di Milano e della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Milano, con la partecipazione dei poliziotti della sezione di Polizia giudiziaria milanese, della Squadra mobile della Questura di Torino e dei reparti Prevenzione crimine Lombardia e Piemonte .

LA STAMPA

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Draghi e il segnale al Parlamento sul Quirinale

martedì, Gennaio 11th, 2022

di Francesco Verderami

Nei primi mesi di governo, quando partecipava ai dibattiti parlamentari, attendeva di sentire quella formula fintamente elogiativa che un pezzo della sua maggioranza gli tributava ogni volta: «Lei si sta muovendo in continuità con l’azione del suo predecessore». Allora sorrideva e sussurrava: «Il solito giochetto di prestigio». Ieri il premier ha voluto confutare una volta per tutte questa tesi e rispondere a quanti nel Palazzo sostengono che, per pensare al Quirinale, abbia smesso di governare. Perciò ogni dato che ha presentato — dal calo dell’incidenza di mortalità per il virus alla ripresa dell’economia — è stato accompagnato dallo stesso inciso: «Al contrario del passato».

E c’è un motivo se è arrivato al punto di sottolineare il modo in cui ha imposto la decisione di riaprire le scuole, se ha ricordato che «anche sulla giustizia» aveva ricercato l’unanimità della sua vasta maggioranza: Draghi ha inteso così rivendicare il suo ruolo e il modo in cui lo esercita, e allo stesso tempo smentire di aver cambiato postura per rendere più agevole il suo cammino verso il Colle. Semmai ha cambiato approccio sul tema rispetto alla conferenza stampa di fine anno, quando — con toni inusuali — volle vedere quale reazione avrebbe suscitato nelle forze politiche. È vero che ieri si è formalmente trincerato dietro un «non posso rispondere», ma è anche vero che ha mandato un chiaro segnale al Parlamento. Lo ha fatto appellandosi «all’unità» e sottolineando come l’Italia abbia «saputo superare altri momenti difficili grazie alla collaborazione tra i cittadini e le istituzioni».

Per il Quirinale, l’ex presidente della Bce resta candidato senza esserlo. Lo sanno i partiti che pure avrebbero in mente altre scelte. Lo sa Berlusconi che poco prima della conferenza stampa del premier ha ribadito di non voler far parte di altri governi se non ci fosse più questo governo. Lo sanno Letta e i parlamentari del Pd, che nelle chat interne riversano la preoccupazione di chi vorrebbe evitare di votare Draghi e il timore di non sapere per chi altro votare. Lo sa Salvini, che vede spaccarsi il pezzo centrista della sua coalizione. Lo sanno Conte e il Movimento, che — per dirla con l’ex Di Battista — «pur essendo la forza di maggioranza relativa non è neppure in grado di esprimere un candidato».

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Mario Draghi e la direzione di marcia

martedì, Gennaio 11th, 2022

di   Massimo Franco

Per il momento, Mario Draghi fa il capo del governo. E fino a quando rimarrà a Palazzo Chigi, continuerà a farlo con un obiettivo rivendicato con orgoglio e, a tratti, con durezza: andare avanti con le vaccinazioni per tenere l’Italia aperta, a partire dalle scuole; e fare capire chiaramente ai no vax che il loro atteggiamento non danneggia solo loro: comporta costi alti per tutti, e sempre meno accettabili. Il premier non ha esorcizzato le diversità presenti nella sua coalizione. Anzi, le ha riconosciute, rivendicando la volontà e l’esigenza di mediare per arrivare all’unanimità: sempre, però, che la mediazione abbia un senso.

Un «atto riparatorio»: Draghi ha definito la sua conferenza stampa di ieri sera con parole inusuali, e chiedendo scusa per avere sottovalutato le attese di chi voleva capire la direzione di marcia dopo le decisioni del Consiglio dei ministri della settimana scorsa. Ma tanto è stato prodigo di spiegazioni su scuola, bollette, vaccini, fondi europei, quanto è stato prudente fino alla reticenza sulle voci che lo riguardano di qui a una manciata di giorni. «Non rispondo a domande su futuri sviluppi, sul Quirinale o altro», sono state la premessa e la promessa. E le ha mantenute.

L’intento evidente è stato quello di proteggere l’esecutivo dai contraccolpi di una confusione e di uno stallo crescenti sulla successione a Sergio Mattarella; di non concedere spazi a quanti lo aspettavano al varco per additarlo come premier insostituibile o candidato al Quirinale, magari col calcolo inconfessabile di escluderlo da entrambe le cariche. L’impressione è che Draghi si sia ancorato al presente per non compromettere i «futuri sviluppi» ai quali ha fatto cenno: dovunque possano portarlo.

Certamente, nel riferimento alla mediazione «se ha un senso», si può leggere in filigrana un avvertimento alle forze politiche: soprattutto a quelle che già minacciano di uscire dalla maggioranza se Draghi diventasse capo dello Stato. È sembrato un modo indiretto per dire che anche come premier sarebbe disposto a continuare soltanto se fosse salvaguardata l’unità di questi undici mesi; e che, pare di capire, considera essenziale in ogni passaggio istituzionale: tanto più in una fase come l’attuale. Lo ha fatto con un piglio sicuro, e insieme con la consapevolezza di essere accompagnato da malumori trasversali della propria coalizione.

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È morto David Sassoli, il presidente del Parlamento europeo aveva 65 anni

martedì, Gennaio 11th, 2022

di Laura Zangarini e redazione Online

Dal 26 dicembre era ricoverato in ospedale a causa di una grave complicanza dovuta ad una disfunzione del sistema immunitario

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Imagoeconomica

È morto David Sassoli . Il presidente del Parlamento Europeo è deceduto all’1.15 della notte, a 65 anni, a causa di una grave complicanza dovuta ad una disfunzione del sistema immunitario .

Era ricoverato dal 26 dicembre scorso nel centro oncologico di Aviano, in provincia di Pordenone. A dare la notizia del decesso il suo portavoce, Roberto Cuillo.

Lo scorso dicembre Sassoli aveva annunciato l’intenzione di non ricandidarsi alla guida del Parlamento europeo.

La sua «ultima preoccupazione era stata qualche giorno fa che tutto funzionasse bene nel passaggio istituzionale tra un presidente e l’altro alla prossima plenaria» del Parlamento europeo «a Strasburgo» ha detto Cuillo a Sky Tg24.

Giornalista, conduttore televisivo, vicedirettore del Tg1, Sassoli era entrato in politica come europarlamentare del Partito democratico nel 2009.

Appresa la notizia del ricovero, nella giornata di lunedì 10 gennaio, numerose erano state le manifestazioni di affetto espresse da tutto l’arco parlamentare, da rappresentanti delle istituzioni, colleghi di partito e amici in Europa e nel nostro Paese.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è detta «profondamente rattristata dalla morte di un grande europeo e italiano. David Sassoli è stato un giornalista appassionato, uno straordinario Presidente del Parlamento europeo e soprattutto un caro amico». «I miei pensieri vanno alla sua famiglia. Riposa in pace, caro David» ha aggiunto, su Twitter.

L’ultimo messaggio pubblico di Sassoli è arrivato nella giornata di ieri, quando aveva voluto esprimere il «cordoglio» per la morte di Silvia Tortora, primogenita di Enzo Tortora e sorella di Gaia, che la vicedirettrice del Tg La7.

Nella notte tra il 14 e il 15 settembre scorsi, il presidente del Parlamento Ue era stato ricoverato a Strasburgo per una polmonite e non aveva potuto presiedere la seduta plenaria nella quale la presidente della Commissione Ue von der Leyen aveva pronunciato il discorso sullo stato dell’Unione. Sassoli in un video messaggio su Twitter aveva spiegato di essere stato «colpito in modo grave da una brutta polmonite da legionella: ho avuto febbre altissima, sono stato ricoverato all’ospedale di Strasburgo, poi sono rientrato in Italia per la convalescenza.

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Vignaroli spara col kalashnikov, la Raggi fa il tampone incappucciata: gaffe a 5 Stelle

lunedì, Gennaio 10th, 2022

di FRANCESCO GHIDETTI

Virginia Raggi in fila a Roma per il tampone
Virginia Raggi in fila a Roma per il tampone

Roma – Chiamale, se vuoi, figuracce. O gaffe. O, nel migliore dei casi, “bizzarre parole”. L’universo grillino, nonostante l’ultima spolverata moderata dell’ex premier Giuseppe Conte, ne ha collezionate milioni di milioni. Con la lingua e coi comportamenti. Ora c’è quello che spara col fucile a Malagrotta. O l’ex prima cittadina della Capitale che non s’è capito se ha fatto o no il vaccino e viene beccata (impietosamente) mentre, tutta imbacuccata e ansiosamente compulsante il cellulare, è in fila in una piazza del quartiere romano della Balduina per farsi un tampone. Per non parlare del parlamentare (oggi ex grillino) che, di fronte alle forze dell’ordine che bloccano una manifestazione non autorizzata dei No vax, scandisce (dopo aver minacciato azioni in Parlamento) “non è una manifestazione, ma una marcia. E la marcia è una disciplina olimpica”. Casi estremi, direte. Eppure, l’elenco è talmente lungo e antico che viene il dubbio: ma non sarà un problema di Dna? Ricordate il sanguinario dittatore Pinochet collocato in Venezuela invece che in Cile dall’allora vicepresidente della Camera Luigi Di Maio (peraltro già deboluccio sui congiuntivi o certo di aver sconfitto la povertà dal balcone di Palazzo Chigi?).

Del resto in pochi avranno dimenticato le celeberrime “scie chimiche“. Rammentate? C’erano aerei che volavano per emettere sostanze che cambiavano il clima. E poi c’era la (complicatissima) questione dei pomodori antigelo. Non facile da spiegare. Proviamoci. In sostanza, avrebbero fatto un pomodoro che non marcisce più incrociandolo col pesce (per la precisione merluzzo del mare del Nord) attraverso il Dna.
Per non parlare del deputato Paolo Bernini che teorizzò come, complotto dei complotti, negli Stati Uniti avrebbero inserito dei microchip nei corpi umani per tenere sotto controllo la popolazione. E l’ex deputata Tatiana Basilio che sosteneva l’esistenza delle sirene?

Certo, nessuno è al riparo da errori o gaffe. Magari anche chi le denuncia mettendo alla gogna il malcapitato, specie se personaggio pubblico. Però, tornando alla stretta attualità, c’è da dire che gli ultimi giorni non sono stati avari di notizie per l’appunto, bizzarre. Suscita un mare di polemiche (e richieste di dimissioni) il video postato su Facebook dal deputato grillino Stefano Vignaroli, 45 anni, presidente della Commissione parlamentare Ecomafie in cui spara colpi di kalashnikov uno dietro l’altro al poligono. In sottofondo scorrono le note di Mother Russia degli Iron Maiden, band di spicco della musica “dura“, l’heavy metal. C’è chi chiede a Vignaroli di dimettersi. Lui si difende e casca dalle nuvole: “Ero con gli istruttori del poligono di Malagrotta, tutto in perfetta sicurezza, non capisco questo clamore. Si tratta di mera retorica e non ho fatto nulla di cui vergognarmi”. L’esponente grillino ha un regolare porto d’armi, per la precisione.

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Sulla scuola due anni di bla bla. Il lunedì nero si poteva evitare

lunedì, Gennaio 10th, 2022

di GABRIELE CANÈ

Partiamo da una osservazione, quasi un’ovvietà: non c’è organizzazione della nostra società altrettanto complessa della scuola. Istituzione fatta di strutture materiali, personale di diverse categorie, oltre a elementi non trascurabili come gli alunni e le loro famiglie, variabile quest’ultima spesso più incontrollabile di una Omicron. Istituzione attorno a cui ruota in stretta connessione il mondo dei trasporti, quello della sanità, per non parlare della politica. Se ci metti pure un’epidemia, è chiaro come il ritorno in aula porti con sé una quantità di problemi. Ma anche un interrogativo.

Né aule né FFp2 e molti docenti tifano Dad

Non era possibile fare in modo che questa quantità di problemi fosse minore, e che oggi si vivesse solo un giorno difficile e non quello dell’apocalisse? La risposta, onestamente, è si. Intanto ribadiamo che la scuola si fa a scuola (è successo anche in guerra) e che troppa didattica è già stata fatta a distanza. Un nodo che pare essere sfuggito agli ultimi governi. Che hanno provveduto ai banchi a rotelle, ma non agli impianti di areazione o a fornire le necessarie mascherine FFP2. Roba che costa, certo. Ma come disse Draghi, c’è il debito buono e quello cattivo. Questo sarebbe stato sicuramente buono. E se un nodo sono le cattedre vuote causa Covid, sono vuote sia per la presenza, sia per la Dad. O no?

Semmai c’è da osservare come il personale della scuola sia particolarmente fragile se i presidi ipotizzano 100 mila assenze (80 mila docenti) il 10 per cento di tutta la categoria. Può darsi che in questa fragilità giochi anche il dato che spesso ricorda l’economista Giuliano Cazzola: in Italia gli allievi sono soprattutto al Nord, e gli insegnanti vengono soprattutto dal Sud. Il che provoca difficili transumanze e altrettanto difficili rientri, in particolare in coda ai periodi festivi come questo.

False promesse. I bus supplementari nessuno li ha visti

Quanto a transumanze, anche gli studenti (e i pendolari) ne sanno qualcosa. Certo i mezzi pubblici non possono essere moltiplicati come i pani e i pesci; ma quei pochi autobus in più messi in servizio negli orari di punta, orari non a sorpresa, ma sempre quelli e sempre nelle stesse tratte, dunque programmabili, non hanno sciolto il nodo affollamento. Anche gli stuart alle fermate sono stati un filtro relativo. Insomma, diciamo che le arterie che hanno collegato casa e scuola sono rimaste troppo intasate, quasi a rischio collasso. Certamente a rischio pandemia

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Berlusconi inizia lo scouting per giocarsi la Presidenza della Repubblica

lunedì, Gennaio 10th, 2022

Pietro De Leo

E da oggi parte la giostra. Sul serio. Silvio Berlusconi dovrebbe rientrare a Villa Grande, a Roma, per dare l’accelerata alla madre di tutte le battaglie, quella per la conquista del Quirinale. Anticipata da un bel colpo messo a segno ieri. Alla vigilia dell’accensione della ripresa politica, infatti, su “il Giornale” è comparsa un’intervista ad Antonio Lopez segretario del Partito Popolare Europeo.
Qualche assaggio: «Una presidenza di Silvio Berlusconi con un capo del governo come Mario Draghi sarebbe imbattibile e promuoverebbe l’Italia ancora più della già alta posizione di cui gode. Berlusconi e Draghi farebbero dell’Italia il Paese leader per motivi ovvi: dalla competenza al modo di fare». E ancora: «Silvio Berlusconi è senz’altro, e non da oggi, la più grande risorsa e massima competenza nei rapporti internazionali».
Parole che, oltre al tambur battente di Forza Italia a mezzo agenzie, suscitano il plauso del diretto interessato: «Grazie al mio amico Antonio Lopez per le parole che ha voluto riservarmi».

Non è in realtà la prima volta che dal Ppe arrivano parole di sostegno all’eventualità di un Berlusconi Capo di Stato, anche il Presidente Manfred Weber si era espresso in tal senso. Ma che la cosa possa aprire scenari di un protagonismo nuovo per l’Italia in campo internazionale lo suggerisce un’uscita del Presidente russo Vladimir Putin, qualche settimana fa, quando ha invocato un ruolo italiano per facilitare il dialogo tra Mosca e l’Occidente. In pratica un riferimento indiretto allo schema di Pratica di Mare, di cui Berlusconi fu realizzatore.
Questa è la prospettiva. Di mezzo c’è la partita da vincere. Con l’«operazione scoiattolo», nome in codice per l’opera di convincimento da esercitare, lavorando di telefono, sul mare magnum dei parlamentari del Misto, soprattutto quelli di provenienza pentastellata, iscritti o meno nelle componenti. Il termine deriva da un analogo tentativo che venne esperito all’inizio della legislatura, quando il centrodestra, avendo la maggior quota di consenso elettorale ma non avendo superato il 40%, aspirava a ricevere l’incarico per formare il governo e trovare in Parlamento i voti mancanti. Su quel punto si mossero le manovre preliminari, ma c’era un contesto del tutto diverso.

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Un Parlamento staccato dalla realtà genera l’inaccettabile stato d’emergenza

lunedì, Gennaio 10th, 2022

Massimo Cacciari

L’elezione di un Presidente della Repubblica dovrebbe rappresentare una buona occasione per discutere sullo stato di salute della nostra democrazia, per ritornare a discuterne dopo tanti penosi fallimenti, con diagnosi e terapie che magari non avranno la fondatezza scientifica di cui in altri campi si possono vantare, ma qualche ragionevolezza magari sì. Di fronte al fatterello che un Parlamento non riesce ormai da oltre dieci anni a esprimere un premier che non venga de facto nominato dal Presidente della Repubblica è ancora possibile ripetere il mantra: «Signori, pazienza, tutto regolare, è il parlamentarismo, che volete»? Come quei disincantati uomini di mondo che davanti agli aspetti più odiosi di sfruttamento e ingiustizia che il villaggio globale presenta, alle nuove forme di controllo e dominio esercitate dal sistema economico-finanziario, ci ricordano che «è il capitalismo, bambini – non avete letto Karl Marx?».

Napolitano, in un memorabile discorso subito dimenticato, avvisò il Parlamento che eravamo giunti ai supplementari, che la sua impotenza a decidere avrebbe condotto per forza, senza una reazione profonda e consapevole, a un mutamento sostanziale delle forme di governo. Non solo nessuna reazione è avvenuta, ma le crisi successive hanno non spogliato, scorticato il Re.

Nessuna emergenza, che non sia forse una guerra-guerra, può giustificare lo stato di un Parlamento che non discute davvero neppure nel momento della conversione in legge dei decreti del Consiglio dei ministri. Credo che il futuro Presidente dovrà riprendere i moniti di Napolitano, chiedendosi tuttavia quali siano le cause storiche di una crisi tanto radicale. Io penso che esse stiano essenzialmente nello sfascio delle forme autonome di organizzazione della società civile, dei suoi corpi intermedi. Questi non sono riusciti a comprendere la grande trasformazione avvenuta a partire dalla fine della «guerra fredda» e a rappresentare le nuove faglie nel corpo sociale, le contraddizioni e i soggetti nuovi che ne emergevano. Una massa di individui non può partecipare realmente alla res publica, ai processi decisionali che la interessano. Una massa di individui può delegare e basta. Al Parlamento è finito con l’andare qualcuno di questa massa, e il Parlamento ha cessato di essere la scena di un confronto tra strategie e anche, perché no, visioni del mondo, confronto da cui soltanto possono nascere vere élite politiche. Mucchi di interessi particolari si rovesciano, senza mediazione, nel lavoro parlamentare – e la situazione può reggersi fino a quando non si presentano drammatiche emergenze, terrorismo una volta, crisi finanziaria un’altra, pandemia-endemia ora, e chissà cosa domani.

Allora l’impotenza si fa palese, interviene il Presidente, il Presidente cerca l’uomo forte, l’uomo forte decide, il Parlamento converte. Come può un Parlamento legiferare senza che le sue parti siano radicate nelle parti della società? Se manca questa relazione risulta inevitabile, e salutare a volte, la concentrazione del potere nell’Esecutivo.

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