Archive for Gennaio, 2022

Quirinale, infilzato un candidato all’ora. E sullo sfondo resta Draghi

venerdì, Gennaio 28th, 2022

Franco Bechis

Si velocizza la corsa al Quirinale. Se alla vigilia delle votazioni i possibili candidati resistevano almeno lunghe ore, per poi essere impallinati magari la notte o il mattino dopo, ieri non si faceva in tempo manco a proporli, che nel giro prima di qualche mezz’ora e alla fine addirittura qualche minuto venivano infilzati. Sono così nate, cresciute e rapidamente tramontate le candidature di Silvio Berlusconi, Andrea Riccardi, Carlo Nordio, Letizia Moratti, Maria Elisabetta Casellati, Antonio Tajani, Marcello Pera, Elisabetta Belloni, Franco Frattini, Giulio Tremonti, Pierferdinando Casini e l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Basta semplicemente essere lanciati in volo per essere due secondi dopo colpiti sia dal fuoco nemico che da quello amico che magari non ti aspettavi nemmeno. Sembra di assistere a un rito voodoo, su cui oggi scherziamo nel fotomontaggio di copertina, mettendo lì anche il beneficiario finale: l’attuale premier Mario Draghi che sulla carta nessuno vuole al Quirinale, ma che alla fine diventa sempre di più il muro in cui si andrà a sbattere. Naturalmente il povero Draghi non c’entra nulla con autorevoli personalità infilzate: il presidente del Consiglio è lì fermo in attesa di eventi che non dipendono da lui. Ma c’è un partito trasversale di suoi sostenitori che una mano a infilzare ora quello ora quell’altra la sta dando all’interno di ogni partito, magari versando benzina su quel focherello che si vede provvidenzialmente acceso.

Intendiamoci, i partiti e i loro leader hanno una bella responsabilità nel produrre il caos a cui stiamo assistendo anche perché sulla carta ci sono due schieramenti l’un contro l’altro armato, in realtà le contrapposizioni sono anche e soprattutto interne alle stesse coalizioni o addirittura ai singoli partiti.

Di sicuro in questo modo un nuovo presidente della Repubblica non si riesce ad eleggere, tanto è che ieri dopo quattro giorni buttati via si era tornati al punto di partenza: un bis di Sergio Mattarella (che non lo vuole e l’ha fatto capire e detto apertamente in ogni modo) o appunto Draghi, con tuttii problemi sul governo che comporta il suo trasloco al Colle. Enrico Letta l’altro giorno ha avuto una buona idea: chiudiamoci tutti in conclave a pane ed acqua, e non ne usciamo fin quando non si trova il nuovo presidente della Repubblica. Solo che lui ha in mente i conclavi che si fanno da lustri nel centrosinistra per ripulirsi l’anima in qualche abbazia  dove c’è il pane, l’acqua, ma pure vino e prezioso companatico. Passano ore e giorni a fare discussioni infinite che gratificano gli oratori, danno a tutti la convinzione di avere contribuito a risolvere i problemi del mondo e in realtà terminano con un nulla di fatto.

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Quirinale, la rabbia di Renzi contro il centrodestra: “Sono irresponsabili, basta bambinate”

venerdì, Gennaio 28th, 2022

È un Matteo Renzi particolarmente duro con il centrodestra, quello che ha lasciato la Camera dei Deputati dopo aver votato per l’elezione del presidente della Repubblica. “Davanti a questa situazione di difficoltà – ha affermato il leader di Italia Viva – trovo irresponsabile questo atteggiamento del centrodestra di non partecipare al voto. È un atteggiamento non all’altezza delle istituzioni, profondamente ingiusto verso i cittadini”. “Trovo scandaloso che oggi il centrodestra abbia fallito l’esame di maturità che aveva – ha aggiunto – Speriamo che per domani si recuperi saggezza, è finito il tempo delle bambinate”.

  di Camilla Romana Bruno e Francesco Giovannetti

LA STAMPA

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Politici e tecnici: l’inutile distinguo

venerdì, Gennaio 28th, 2022

di Aldo Cazzullo

Un’esperienza sul campo, nelle aziende, all’estero, nella grande finanza, nelle grandi università, non è in antitesi con la politica; è la forma moderna della politica

Dagli umori di Montecitorio, e dalle interviste dei veterani — De Mita, Formica — che hanno avuto la fortuna o la condanna della longevità, emerge un tema: lo scontro tra politica e tecnocrazia. Un tema interessante, ma a volte mal posto. La diffidenza dei parlamentari verso i «tecnici» non è immotivata. Molti tra loro hanno memoria del tempo in cui esistevano le sezioni di partito, le scuole di partito, i giornali di partito. Ma quel tempo è passato, e non tornerà. Oggi i partiti sono fatti da correnti e comunità mediatiche. Che vanno rispettate; ma non esauriscono il campo della politica. Andare in Germania a presiedere la Banca centrale europea e dire no alla Bundesbank, difendendo la moneta unica — come ha fatto Mario Draghi —, significa fare politica. Reggere la Farnesina, dalle unità di crisi al governo delle ambasciate — come ha fatto Elisabetta Belloni —, significa fare politica. Politica intesa nel modo moderno — relazioni internazionali e gestione delle crisi — che è stato di Carlo Azeglio Ciampi, che portò l’Italia nell’euro, e di Mario Monti, che a suon di multe milionarie fece rispettare alla Microsoft di Bill Gates le regole dell’antitrust.

Il parlamentare semplice, insomma il peone, insultato sui social e blandito dai clientes, sorvolato dai voti di fiducia e irriso dai giornali, va compreso. Questi giorni rappresentano il suo riscatto: il capo dello Stato lo sceglie lui; non i mercati, i tedeschi, il Financial Times. Giusto: finché l’elezione non sarà affidata ai cittadini, funziona così. Ma anche il parlamentare semplice avverte quello che il presidente della Puglia Michele Emiliano nella sua apparente naïveté chiama «il fiato del Paese», e che Simone de Beauvoir chiamava «la forza delle cose». Non è vero che gli italiani siano contro la politica, anzi, l’elezione del presidente della Repubblica è sentita come un momento solenne, apicale. Proprio per questo l’impreparazione dei partiti, la manfrina dei veti incrociati, financo la burla dei voti per Terence Hill e Nino Frassica è vissuta come una ferita, una mancanza di rispetto, un’offesa al senso dello Stato e all’amor di patria, al lavoro e al risparmio (il Parlamento nasce per decidere come spendere le tasse versate dai cittadini).

Non esiste e non è mai esistito un muro tra la politica e la società, l’economia, la vita. Wilson, il presidente che fece vincere all’Intesa la Grande Guerra, era il rettore di Princeton; Reagan, il presidente che fece vincere all’Occidente la guerra fredda, era un attore. De Gaulle era un generale, il suo primo ministro e successore Pompidou era un banchiere. Il primo presidente della Repubblica eletto per sette anni, Luigi Einaudi, non era uomo di partito; era un professore di scienza delle finanze dell’università di Torino, che un giorno si vide entrare in ufficio il figlio di un droghiere, venuto a chiedergli un articolo per la sua piccola rivista, specificando che non poteva pagare. Un barone di oggi l’avrebbe messo alla porta. Einaudi rispose: «Certo, volentieri, mi dica la lunghezza che le serve». La rivista era «La rivoluzione liberale», il figlio del droghiere si chiamava Piero Gobetti; gli restavano pochi anni di vita, segnati dalle bastonature dei fascisti.

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Guerra o pace: in Ucraina sceglierà Putin

venerdì, Gennaio 28th, 2022

Stefano Stefanini

A metà dicembre la crisi ucraina è passata dalla cottura a fuoco lento all’ebollizione con l’ultimatum russo di due trattati con Usa e Nato. È diventata crisi fra Russia e Occidente (Usa, Nato e Ue), oltre che fra Mosca e Kiev. I russi non si accontentavano di discuterne a voce. Volevano risposte scritte. Ora le hanno ricevute da entrambi. Non potevano che ripetere il no orale alle richieste russe e la proposta di un negoziato sulla sicurezza di tutti – della Russia che teme di essere minacciata dalla Nato, ma anche dell’Ucraina che è minacciata dalla Russia. Non sappiamo il contenuto delle risposte scritte, se non che confermano l’offerta di negoziare reciproche misure di controllo e riduzione armamenti, in particolare sui missili con testate nucleari a medio raggio, e altre misure di de-escalation militare in Europa. Più dello scritto sarebbe interessante sapere cosa si sono detti a voce americani e russi negli incontri bilaterali – se si sono detti qualcosa che vada appena al di là delle posizioni ufficiali. Perché, fermo restando il no alle richieste russe, un percorso negoziale esiste.

Lo si può immaginare in tre stadi collegati: il primo è appunto quello di negoziati su forze nucleari intermedie e convenzionali, cui bisognerebbe aggiungere lo spazio extra-atmosferico un codice di condotta cyber; il secondo l’avvio, o ripresa via Consiglio Nato Russia, di un permanente dialogo di sicurezza con la Russia che possa poi sfociare in una nuova architettura di sicurezza europea; il terzo, il più difficile, riguarda il rapporto Russia-Ucraina. L’accordo Minsk II è un punto di partenza ma va aggiornato (è del 2015). Nulla vieta poi all’Ucraina – una volta sollevata dalla minaccia russa – di rinunciare alla Nato barattando neutralità per indipendenza e sicurezza. Con le garanzie del caso, beninteso. Ma lo deve fare l’Ucraina, non la Nato o gli Usa. Intanto però Mosca continua ad alzare la temperatura militare. Sta inviando (altre) truppe in Belarus per un’esercitazione militare congiunta – Determinazione Alleata 2022 – che schiererà dalla 60 alle 80mila unità. Lontano dal Donbas conteso ma a poco più di 300 km in linea d’aria da Kiev. Sta spostando verso il Mediterraneo un’ingente flotta, compresi mezzi da sbarco. La tenaglia intorno all’Ucraina continua a stringersi. Forse non sarà usata ma non è un bluff. E’ una pesante minaccia tesa a uno scopo. Le mete di Putin sono la zona d’influenza russa in Europa, il ritorno dell’Ucraina sotto l’ala di Mosca e il ritiro della Nato. La risposta americana apre prospettive negoziali che possono spingersi fino a metà strada: una stabilizzazione della sicurezza in Europa, meno truppe della Nato ai confini della Russia in cambio di meno truppe della Russia a quelli della Nato, un’Ucraina che sia libera di scegliere altre formule di sicurezza – per il momento, comunque, l’ingresso di Kiev nell’Alleanza è in altissimo mare. La Russia lo sta usando come pretesto. Le condizioni per negoziare dunque ci sono. Se negoziare è quello che Mosca vuole. Aspettiamoci due-tre settimane di diplomazia.

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Conte teme il ritorno a Draghi e minaccia l’uscita dal governo

venerdì, Gennaio 28th, 2022

Federico Capurso

Un’altra giornata di incontri, di telefonate tra leader, di nomi bruciati. E alla fine, un’altra fumata nera. I fedelissimi di Giuseppe Conte osservano lo stallo e iniziano a temere che la strada che porta Mario Draghi al Quirinale sia destinata a riaprirsi. In mattinata, quando il premier telefona a Silvio Berlusconi, ancora ricoverato al San Raffaele, per molti di loro la paura diventa quasi una certezza: «Draghi si sta muovendo. Per noi è un disastro». Timori che non trovano conforto nemmeno quando, in serata, il coordinatore degli azzurri Antonio Tajani esce da palazzo Chigi dopo aver incontrato il premier, confermando «la posizione di Forza Italia, per cui Draghi deve proseguire alla guida del governo». Si tratta di un altro no alla corsa del premier al Colle, dopo quello dell’asse Conte – Salvini, ma non basta perché quasi tutte le alternative stanno saltando, una dopo l’altra, affossate dai veti incrociati. Conte, in serata, si mostra spazientito: «Questo è il momento di trovare una soluzione condivisa, non di complicare ulteriormente il quadro. Confido che le forze di centrodestra accettino al più presto un confronto». E se invece si finisse di nuovo sul nome di Draghi – avvertono i big M5S più vicini al leader –, a quel punto «non potremmo votarlo, anche a costo di tornare all’opposizione o al voto».

Eppure, nessuno è davvero sicuro di quanti parlamentari siano pronti a seguire l’ex premier, una volta messi davanti a un bivio. I voti convogliati sul nome di Sergio Mattarella – che già ieri venivano interpretati come un avvertimento a Conte a non scegliere opzioni indigeste ai gruppi di Camera e Senato – sono cresciuti fino ad arrivare a quota 166. Un numero ascritto in gran parte a parlamentari alla seconda legislatura, ribelli, cani sciolti, ma anche a uomini vicini a Luigi Di Maio. I fedelissimi del ministro degli Esteri, d’altronde, fanno di tutto per non nascondere, passeggiando in Transatlantico, di aver votato per l’attuale Capo dello Stato. Un modo per contarsi. Perché l’ex capo politico dei Cinque stelle è ancora convinto che di questo passo si andrà a finire sul nome di Draghi e che, per il Movimento, questo veto sul premier si rivelerà un disastro politico. I suoi uomini hanno fissato come quartier generale l’ufficio del deputato campano e segretario d’Aula Luigi Iovino dove discutono della strategia finora fallimentare di Salvini, visto muoversi come «un rabdomante», incastrato tra la volontà di tenere unita la coalizione di centrodestra e, al tempo stesso, la maggioranza. Servirebbe, insomma, un nome condiviso da tutti, dalla sinistra di Leu alla destra di Fratelli d’Italia, e la ricerca – agli occhi del ministro degli Esteri – li ha condotti in un labirinto senza uscita. Troppi nomi di peso, per Di Maio, sono stati usati in modo strumentale, da quello del capo del Dis Elisabetta Belloni (che definisce «una sorella») a quello di Sergio Mattarella. «Vanno protetti», spiega ai suoi. Dal centrodestra, poi, devono arrivare proposte fattibili, come sottolinea il suo braccio destro, la viceministra Laura Castelli, che di fronte all’ipotesi della candidatura di Franco Frattini avverte: «Così si spacca la coalizione di centrosinistra e di conseguenza anche la maggioranza. È segno che non c’è volontà di trovare una soluzione».

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Se i parlamentari fossero davvero liberi, confermerebbero il tandem Mattarella-Draghi

venerdì, Gennaio 28th, 2022

Federico Geremicca

Che questa guerra non possa vincerla nessuno, ora lo dicono tutti: al centro, a destra e a sinistra. Ma si sapeva da mesi. Averla dunque cominciata a petto in fuori – invocando presidenti “senza tessera pd”, per sentirsi polemicamente rispondere ce ne vuole uno “europeista” o peggio ancora un “Presidente patriota” – è stato un errore: e recuperare la rotta giusta sta portando via tempo prezioso.

Che la partita del Quirinale non potesse prevedere vincitori (e dunque sconfitti) era constatazione legata non solo ai voti a disposizione dei diversi schieramenti, ma anche ad una ovvia valutazione politica: in presenza di un governo di larga unità, una rottura sull’elezione del nuovo Capo dello Stato non avrebbe potuto non avere conseguenze sulla tenuta dell’esecutivo e – probabilmente – della legislatura.

Dunque, a meno che qualcuno dei leader in campo (oltre ovviamente a Giorgia Meloni) non puntasse o punti tutt’ora ad elezioni anticipate, è da lì che bisognerebbe ripartire: da quel famoso “patto di legislatura” che metta in sicurezza il governo e le Camere, e permetta ai partiti di individuare assieme il miglior Presidente possibile. Anche perché, al di la di ogni altra considerazione, si fatica a immaginare questo Parlamento mentre elegge un Capo dello Stato che poi sarà costretto a indire elezioni anticipate…

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Quirinale: la resa dei conti

venerdì, Gennaio 28th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

ROMA. «Se pensano di continuare a giocare così coi nomi, non hanno capito che stiamo andando tutti a sbattere. E che non ci sarà alternativa a una crisi di governo e al voto anticipato». Luigi Di Maio ha il passo svelto e un nugolo di parlamentari 5 stelle impensieriti accanto a sé quando lascia gli uffici della Camera dei deputati, nel gelo di un giovedì passato sull’ottovolante. «Hanno iniziato a giocare con Elisabetta Belloni, un profilo altissimo, una mia cara amica», dice il ministro degli Esteri smentendo chi invece descrive una distanza tra i due. «Nessuno può strumentalizzare una candidatura del genere: se c’è la volontà di votarla la si voti subito, con un accordo blindato tra tutti. Ma se poi un partito si tira indietro significa che quel che si vuole è solo spaccare la maggioranza. Portando inevitabilmente alle urne».

Dice, Di Maio, che non si fanno «tatticismi con profili così alti. O si punta a fare un accordo serio con tutte le forze di maggioranza, oppure si rischia». Perché quello che è accaduto al mattino su Belloni è successo poi a sera sul presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini e forse su Giampiero Massolo. Certo, prima, su Sabino Cassese. Matteo Renzi ha detto – con una durezza inaspettata – che sembra X Factor. Enrico Letta, che ha passato il pomeriggio chiuso ad attendere segnali seri mentre Conte spariva per ore dopo pranzo e Salvini rilasciava le ennesime dichiarazioni contrastanti, a sera è esploso parlando di “scarsa serietà” e “provocazioni”. «Siamo in mano ai pazzi», dice ai suoi il leader di Italia Viva. «Dove vuole andare a parare Giuseppe?», si chiede sempre più preoccupato il segretario pd. E’ arrivato il momento del tutti contro tutti.

Le montagne russe sono cominciate quando Giuseppe Conte e Matteo Salvini hanno pensato di dover fare da soli. Di dover trovare loro, un nome, per evitare quello su cui entrambi hanno posto un veto: Mario Draghi. Nella disperazione di non sentirsi capito dal Partito democratico, creduto fino in fondo, con i gruppi che danno segnali di fedeltà più a Di Maio che alla loro legittima guida (120 dei 166 voti su Mattarella sarebbero stati coagulati dal capo della Farnesina), il presidente M5S ha cercato di stringere il più possibile un patto con l’ex nemico, l’uomo di cui aveva giurato non si sarebbe fidato mai più. E’ su quest’asse che è nata in una notte la candidatura di Elisabetta Belloni, accettata da Enrico Letta, ma poi subito ripudiata da un pezzo di gruppi parlamentari del Pd, degli stessi 5 stelle, di Italia Viva. Al Senato, si riuniscono i senatori pd. Andrea Marcucci è il più ostile, ma non è la sua opinione a colpire, quanto quella di un veterano come Luigi Zanda. «Belloni tra tutti i dirigenti dello Stato che ho conosciuto è quella di maggiore livello, ma stiamo molto attenti a metterla a scrutinio segreto a camere riunite. Se venisse bocciata, sarebbe un pasticcio gigantesco. Non solo non avremmo risolto il problema del Quirinale, ma avremmo bruciato il capo dei nostri servizi segreti. Non sono cose su cui scherzare. Non sono proposte sulle quali si può agire da dilettanti».

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Obbligo di vaccino a 50 anni: in quasi due milioni rischiano una sanzione da lunedì

venerdì, Gennaio 28th, 2022

di Fabio Savelli

Alcune stime li indicano in almeno 1,6 milioni a rischio sanzione dal primo febbraio. Over 50 non vaccinati, tanto meno esenti, neanche guariti dal Covid negli ultimi sei mesi, situazione che conferirebbe loro un’immunità temporanea e il relativo green pass rafforzato. La contabilità però risulta difficoltosa e la banca dati deputata a chiarirlo la gestisce la controllata del Tesoro, Sogei, tramite il sistema della tessera sanitaria, la carta a cui sono agganciate tutte le credenziali compreso il codice fiscale. Nell’ultima settimana poi le prime dosi per le fasce d’età più a rischio sono scese del 25,6% tra il 19 e il 25 gennaio rispetto ai sette giorni precedenti, tanto che al momento risultano privi di copertura vaccinale quasi in 2 milioni dai 50 anni in su. Numero a cui però bisogna fare la tara sottraendo chi ha contratto l’infezione negli ultimi mesi e chi ha ottenuto un certificato di esenzione dal vaccino per patologie che ne sconsigliano la somministrazione.

Le due categorie sommano, secondo alcuni fonti, circa 400mila persone ma si tratta di un numero destinato ad aumentare vista l’alta trasmissibilità della nuova variante che ha ormai assunto un carattere endemico. In crescita dunque la platea dei guariti da infezione anche perché l’ondata Omicron ha coinvolto molti over 50 di cui una parte è responsabile della pesante congestione del sistema ospedaliero, tra ricoveri ordinari e terapie intensive. Nell’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore il dato di quanti over 50 hanno contratto il Covid non è facilmente individuabile perché le platee anagrafiche sono divise per ventennio e quella tra i 40 e i 59 anni contempla anche chi tra i 40 e i 49 anni non è sottoposto all’obbligo vaccinale. Tuttavia nel periodo compreso tra il 17 dicembre e il 16 gennaio in circa 77mila over 60 non vaccinati si sono infettati e altri 105 mila circa tra i 50 e i 59 anni. Al netto dei decessi si tratta di persone che dunque sventano l’obbligo vaccinale per i prossimi sei mesi salvo probabilmente doverci rientrare a scadenza. Per loro la sanzione da 100 euro non sarà erogata dall’Agenzia delle Entrate e Riscossione, sotto forma di cartella esattoriale, anche se non rientrano nella lista dell’anagrafe vaccinale alimentata dai dati delle regioni.

La spinta alle prime dosi per gli over 50 nei giorni successivi all’adozione del decreto, il 5 gennaio scorso, aveva avuto un forte scossone ma ora si sta affievolendo. Una lieve flessione è fisiologica. La platea di non vaccinati si restringe sempre di più ed intercettare gli ultimi riottosi alla puntura è esercizio sempre più complicato.

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Quirinale, sul tavolo restano le carte Casini e Draghi. Gli sms di Casellati ai leader del centrodestra: «Votatemi»

venerdì, Gennaio 28th, 2022

di Francesco Verderami

Il vertice di centrodestra terminato a notte fonda anticipa un’altra fumata nera oggi. Ma il passaggio della quinta votazione avrà un valore politico, sarà la prova chiesta dalla Meloni per tenere salda l’alleanza prima di arrivare a quella che si prospetta come la chiama decisiva: quella di domani. La leader di Fdi ha chiesto di contarsi in modo da verificare i numeri della coalizione, e il capo della Lega ha accettato la richiesta. Sarà l’ultimo giro di giostra, l’ennesima contorsione di una corsa al Colle che finora è parsa una sciarada.

Ieri Salvini aveva passato la giornata nel disperato tentativo di sfuggire alla forza di gravità, facendo suo lo slogan di Conte, secondo il quale bisognava «trovare rapidamente un nome per evitare il nome di Draghi». Così nel pomeriggio — dopo una performance da dimenticare per il centrodestra alla quarta votazione — il segretario del Carroccio aveva rilanciato su Frattini, figura condivisa giorni fa con il leader del Movimento. Già allora era stato sommerso da una valanga di no. Compreso quello dell’Ambasciata americana, che era sobbalzata al nome dell’ex ministro degli Esteri considerato un «filo russo». Al secondo tentativo, si è beccato anche il veto della sua coalizione e sottovoce persino quello dei suoi compagni di partito.

Qui trovate il «calcola maggioranze». Qui invece il link per iscriversi alla newsletter «Diario Politico» (è quotidiana, e gratuita)

Era stata l’ennesima mossa per resistere alla forza di gravità e all’insistenza della Meloni, perché l’operazione per Salvini resta rischiosa. Più che per i rapporti con il centrosinistra, per lo stato di disgregazione che emerge nel centrodestra, dove i franchi tiratori sono pronti a colpirlo insieme al candidato. Se così stanno le cose, non si capisce come mai per tutto il giorno la Casellati abbia inondato i cellulari di (quasi) tutti i maggiorenti della coalizione con lo stesso, stringato messaggio: «Mi dovete votare». E la sua richiesta è stata esaudita.

In effetti è complicato guidare una trattativa, se oltre alle difficoltà di trattare con gli avversari bisogna gestire le ambizioni degli alleati. Ma un kingmaker non può limitarsi a sostituire una terna di nomi con un’altra nel giro di pochi giorni, senza fare i conti con il principio di realtà. E Salvini ieri ha dovuto constatare la debolezza della linea Maginot costruita assieme a Conte per evitare l’ascesa di Draghi al Colle. È a questo che Di Maio si è riferito quando ha contesta il modo in cui si è giocato con «figure di spessore» come la responsabile del Dis Belloni, finita nel tritacarne dei candidati anche con la complicità di una parte dei democratici. Perché pure nel Pd fino a ieri mattina si era smarrito il senso delle istituzioni, inserendo nella lista dei quirinabili il capo dei Servizi segreti.

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Elisabetta Belloni al Quirinale, “la sorpresa nella notte”. Il terzo nome di Letta e Salvini, una grossa incognita

giovedì, Gennaio 27th, 2022

Il nome jolly calato nella notte è quello di Elisabetta Belloni. Sarà la diplomatica alla guida del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, secondo il Corriere della Sera, “il terzo uomo” nella corsa al Quirinale che Enrico Letta presenterà al centrodestra. Un nome super partes, da aggiungere a quelli che sembrano gli ultimi due possibili candidati: Pier Ferdinando Casini, che però raccoglie freddezze sia nel Movimento 5 Stelle sia nel fronte Lega e Forza Italia, e Mario Draghi. Il premier è tornato d’attualità dopo 24 ore in disparte, anche se il suo nome complicherebbe le trattative aggiungendo sul tavolo il tema del nuovo governo. Sullo sfondo, come estrema ratio, il bis di Sergio Mattarella. La mossa della disperazione da non escludere vista la palude in cui si sono infilati i leader, tra veti incrociati e assenza di un vero “king marker”. 
Nelle prossime ore si capirà se lo stallo è stato superato. Quasi impossibile che si arrivi al voto già oggi, per la quarta tornata. Il segretario del Pd Letta, ai suoi, mercoledì sera ha annunciato ancora scheda bianca e “una giornata di dibattiti”. Il centrodestra si sta riunendo in questi minuti e qualcosa potrebbe venir fuori, anche se le perplessità sulla Belloni restano. Non tanto per il suo “standing” o per il passaggio, delicato, dai servizi segreti al Colle, quanto per la sua figura “tecnica” che doppierebbe quella di Draghi, imbullonato a Palazzo Chigi. Un doppio smacco per la politica, che teme di fatto il commissariamento totale. 

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