Archive for Gennaio, 2022

Djokovic, l’Australia revoca il visto: dovrebbe essere espulso

venerdì, Gennaio 14th, 2022

L’Australia ha revocato il visto di Novak Djokovic: il tennista dovrebbe essere espulso, salvo sorprese. A rischio la sua partecipazione all’Australian Open

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Il governo australiano ha revocato il visto di Novak Djokovic per la seconda volta. Lo ha reso noto il ministero dell’Immigrazione. Ora il campione di tennis serbo dovrebbe essere espulso dal Paese. A quanto si è appreso rischia un bando di tre anni dall’ Australia. Dallo staff del serbo filtrava già da giorni la volontà di fare appello in caso di decisione sfavorevole.

«Ho esercito il mio potere di annullare il visto che Novak Djokovic aveva ottenuto per motivi di salute ritenendo che non fosse nell’interesse del pubblico», ha fatto sapere il ministro Alex Hawke in una nota, aggiungendo che «il governo Morrison è fermamente impegnato a proteggere i confini dell’Australia, in particolare in relazione alla pandemia di Covid-19».

Il visto di Djokovic era già stato annullato una volta dal governo dello Stato di Victoria (dove si trova Melbourne), il 5 gennaio, ma in seguito la Corte federale aveva annullato la revoca .

Articolo in aggiornamento…

CORRIERE.IT

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Crisanti: “Abbassare la guardia? Solo una strategia ipocrita per non perdere consensi”

venerdì, Gennaio 14th, 2022

FRANCESCO RIGATELLI

«Draghi vuole fare come Boris Johnson senza dirlo. E i presidenti di Regione tentano di non finire vittima dello scaricabarile dei contagi, dei ricoveri e dei morti per evitare di chiudere e non perdere consensi». Per Andrea Crisanti, professore ordinario di Microbiologia all’Università di Padova e all’Imperial College di Londra, «la coda della pandemia sta tirando fuori tutta l’ipocrisia della politica italiana, in cui i problemi si nascondono sotto il tappeto e non si prevengono mai, figurarsi se si affrontano. Guarda caso prima che la variante Omicron sconvolgesse i piani vaccinali, mettendo in luce il ritardo delle terze dosi, nessuno si preoccupava di come venivano conteggiati i positivi».

Per il presidente del Veneto Zaia vanno contate solo le persone con sintomi, non ha senso?

«Dimentica il concetto di malattia trasmissibile, per cui chi è infetto può trasmettere. La verità è che le Regioni stanno facendo di tutto pur di non diventare rosse dopo che il governo non ha chiuso per tempo ristoranti e locali di ritrovo. A questo punto lasciar correre è una strategia comprensibile, ma lo si ammetta chiaramente. Invece il governo fa finta di nulla. Almeno Johnson ci mette la faccia mentre fa correre il virus con un prezzo da pagare di 15mila morti pur di arrivare all’immunità di gregge. E ce l’ha quasi fatta».

E in Italia?

«Il prezzo di vite sarà simile. Il Green Pass del resto non è una misura di sanità pubblica, ma solo una spinta alla vaccinazione. Il concetto veicolato anche dal premier che il certificato garantisca ambienti sicuri non è vero. Ed è un argomento a cui si attaccano i vari No vax e No pass».

Un ambiente di vaccinati con tre dosi non è meglio di uno con non vaccinati?

«È un po’ meglio, ma non dà garanzie».

Non garantisce di non finire in ospedale?

«Sì, ma il Green Pass resta inutile».

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David Sassoli, in migliaia alla camera ardente: il saluto dei cittadini, la commozione di Mattarella e Draghi

venerdì, Gennaio 14th, 2022

È grande e commosso l’abbraccio che il mondo della politica, delle istituzioni, del giornalismo stanno dando idealmente a David Sassoli. Da questa mattina è fitta e silenziosa la fila di quanti hanno deciso di portare un ultimo saluto al Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli scomparso martedì a causa di una malattia al CRO di Aviano, dove era ricoverato dallo scorso 26 dicembre.

Da questa mattina è fitta e silenziosa la fila di quanti hanno deciso di portare un ultimo saluto al Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli scomparso martedì a causa di una malattia presso il CRO di Aviano dove era ricoverato dallo scorso 26 dicembre. In attesa dei funerali di Stato del presidente del Parlamento Europeo David Sassoli e previsti domani nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, a Roma, è stata aperta al pubblico la camera ardente per rendere omaggio a David Sassoli.

Sassoli, camera ardente in Campidoglio: l’arrivo del presidente Mattarella e del premier Draghi

Una lunga coda di persone, commosse e in silenzio, cariche istituzionali e non solo, molti cittadini, si è dapprima formata fuori dal Campidoglio dove, nella sala della Protomoteca, è stata allestita la camera ardente che resterà aperta tutto il giorno. Poi via via le persone sono entrate. Diversi esponenti politici, leader e big dei vari partiti, hanno voluto rendere omaggio stamattina alla camera ardente di David Sassoli in Campidoglio. Tra le istituzioni il primo ad entrare nella sala della Promotoca, accolto dal sindaco Roberto Gualtieri, è stato il capo dello Stato Sergio Mattarella, che si è fermato con la famiglia del presidente dell’Europarlamento ed è apparso visibilmente commosso. Subito dopo è toccato al premier Mario Draghi e poi al presidente della Camera Roberto Fico. La presidente del Senato Elisabetta Casellati, anch’essa visibilmente commossasi è poi raccolta in preghiera per un ultimo saluto al presidente dell’Europarlamento.

Addio a David Sassoli, da Letta a Salvini tutti i leader alla camera ardente in Campidoglio

Ma in Campidoglio hanno voluto dare l’ultimo saluto a Sassoli anche Nicola Zingaretti, il sottosegretario alle Politiche comunitarie Vincenzo Amendola e poi Giuseppe Conte, arrivato con Goffredo Bettini. Un attimo prima è stato Massimo D’Alema a mettersi ordinatamente in fila per esprimere il suo cordoglio alla moglie e ai figli di Sassoli. Forza Italia si è presentato con una delegazione composta da Antonio Tajani e i capigruppo Bernini e Barelli: «Sassoli era una persona perbene, leale. Ci univa la stessa passione politica, il rispetto dei ruoli, del Parlamento e dei valori come la centralità della persona», ha spiegato il coordinatore azzurro. Il segretario del Pd Enrico Letta dopo aver reso omaggio alla salma si è soffermato con i giornalisti: «David Sassoli ha interopretato la buona politica, lui era la buona politica. Il Paese oggi si ferma e riflette sulla buona politica che David ha interpretato». Poi ha aggiunto: «L’ultima volta che ci siamo visti era il 16 dicembre, avevamo parlato di progetto futuri e di cosa avrebbe fatto una volta lasciato l’Europarlamento».

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I centristi: il Cavaliere è la nostra prima scelta

giovedì, Gennaio 13th, 2022

Fabrizio De Feo

Pronti a votare Silvio Berlusconi, ma senza schiantarsi sui numeri. Alla fine la tentazione di rompere il fronte della coalizione e proporre il nome di Mario Draghi per il Quirinale, circolata e dibattuta per alcuni giorni, non trova sponde nel gruppo. L’assemblea di Coraggio Italia – la formazione creata da Giovanni Toti, Luigi Brugnaro, Marco Marin e Gaetano Quagliariello – non rinnega l’appartenenza al centrodestra e l’impegno preso nel vertice di Villa Grande prima delle feste. Ma semina sul terreno alcuni distinguo.

Coraggio Italia è pronto a sostenere la candidatura di Silvio Berlusconi al Colle «se ha possibilità» dice Giovanni Toti nella riunione. «Altrimenti capiremo chi votare ma a larga maggioranza». Concetti che si ritrovano anche nel documento unitario che conferma che «si dovrà partire da una proposta dei partiti e dei gruppi del centrodestra del quale siamo parte integrante» ma bisognerà «lavorare per trovare una convergenza più ampia possibile tra le forze politiche in Parlamento». In mattinata, prima della riunione i vertici del neo partito centrista avevano incontrato Matteo Salvini, in serata invece Brugnaro si è confrontato con Luigi Di Maio.

Le grandi manovre, insomma, sono iniziate. E Coraggio Italia – che ieri ha accolto Lucia Scanu, eletta con il M5s – rilancia un patto federativo con tutte le forze di centro. Un patto di ampio respiro, che parta dal Colle e si allarghi alla riforma elettorale, e possa assicurare continuità al progetto politico di Ci per costruire quella federazione sulla quale si sta ragionando da tempo insieme a Matteo Renzi. Un terzo polo che vada oltre il perimetro del centrodestra, da Italia viva a Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella, e possa attrarre anche eventuali forzisti scontenti. Questo progetto, naturalmente, non può non guardare con interesse anche alla federazione nata ieri tra Azione e +Europa. I leader dei due partiti, Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova, hanno presentato ieri l’alleanza politica insieme con Emma Bonino. L’obiettivo dell’accordo è, anche in questo caso, quello di creare un nuovo polo di centro che possa rappresentare «la quinta forza politica» dopo Partito democratico, Lega, Fratelli d’Italia e Movimento 5 stelle. Azione e +Europa hanno già costituito rappresentanze comuni alla Camera e al Senato.

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Mattarella sceglie il silenzio per non ostacolare Draghi

giovedì, Gennaio 13th, 2022

Adalberto Signore

Il solo fatto che il suo nome aleggi come una sorta di fantasma lo mette a disagio. Non solo perché Mattarella non vede affatto con favore l’ipotesi di un bis che sarebbe il secondo consecutivo dopo quello di Napolitano, a conferma di una vera e propria patologia del sistema che – per due volte consecutive in nove anni – si troverebbe a giocare in difesa e congelare lo status quo. Ma anche perché non vuole diventare il pretesto per impedire a Draghi di tentare, legittimamente, la scalata al Quirinale. D’altra parte, ormai da settimane, che il premier voglia giocarsi le sue carte per provare ad essere il primo presidente del Consiglio che da Palazzo Chigi trasloca direttamente al Colle non è più un mistero. Lo ha chiaramente – e pubblicamente – lasciato intendere l’ex numero della Bce. Ma lo si coglie anche dall’agitazione che si respira in queste ore a Palazzo Chigi, dove negli uffici di diretta collaborazione del premier in molti hanno la percezione che l’esperienza sia agli sgoccioli. Se Draghi non riuscirà nella conquista del Colle, infatti, sono tutti convinti che il caos politico che ne seguirebbe sarebbe ingovernabile. Il premier, peraltro, anche nelle ultime ore ha ricordato nelle sue riflessioni private che quando si elegge un nuovo capo dello Stato il presidente del Consiglio si presenta al Quirinale dimissionario. Certo, trattasi di dimissioni di cortesia, per prassi sempre respinte. Ma il precedente del 1955 (governo Scelba quando venne eletto Gronchi) lascia pensare che il premier contempli anche scenari meno concilianti. Di certo, l’ex Bce non sembra al momento considerare una sua permanenza a Chigi dopo il voto sul Colle. Ovviamente, a meno di un bis di Mattarella.

Scenario, quest’ultimo, che il diretto interessato continua a respingere con forza. Ma che la complessità della situazione torna a riproporre. Se al Quirinale si preparano gli scatoloni da mandare a Palazzo Giustiniani – l’assegnazione delle stanze al futuro ex presidente è stata oggetto di alcune tensioni nell’individuazione dei locali adatti, con una disputa tra piano nobile e ammezzato – a Palazzo Chigi c’è chi nell’entourage ristretto di Draghi ha già chiesto consulenza agli uffici giuridici per capire come cambierebbe il suo contratto in caso di «trasloco» al Colle.

In questo quadro piuttosto caotico e difficile da decifrare, di certo c’è l’intenzione di Mattarella di rimanere in disparte. Perché ha ragione Mastella quando dice che se il Parlamento decidesse di rieleggerlo «non potrebbe certo fare come Celestino V», ma non c’è dubbio che il capo dello Stato guardi a questo scenario come all’ultima ratio. Non è un caso che Mattarella sia sparito dai radar, tanto che in questi primi giorni del 2022 si è limitato a una presenza alla finale di Coppa Italia di pallavolo femminile e a un incontro con l’astronauta Cristoforetti e i vertici dell’Esa. Per il resto, si è inabissato. E continuerà a farlo fino al voto sul suo successore. Anzi, starebbe valutando l’idea di una nota ufficiale come quella con cui Ciampi – era il 3 maggio 2006 – confermò la sua indisponibilità a un settennato bis.

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Ci sono due Cacciari: dell’inizio e della cosa ultima

giovedì, Gennaio 13th, 2022

Che Massimo Cacciari sia uno dei più importanti filosofi italiani, una delle nostre più brillanti intelligenze, non vi sono dubbi. Come non ho mai dubitato, neppure per un attimo, che potesse non vaccinarsi. Ieri, in fila per la terza dose, ha salutato le telecamere con il pollicione in evidenza e dichiarato: “Alle leggi si obbedisce. Socrate insegna. Chi può, vada a vaccinarsi”.

Be’, Socrate insegna anche tante altre cose, soprattutto ad ascoltare. Le ospitate televisive, che non si prestano al ragionamento filosofico, insegnano invece a parlare tanto, forse troppo. E, parlando troppo, si può anche finire fuori strada, in quella terra di nessuno dov’è possibile incontrare scontenti e rivoltosi e, talvolta, alimentarne la rabbia. La costante riflessione filosofico-politica di Cacciari, però, non poteva impedirgli di prendere posizione sulla continua emergenza del Paese, sui rinnovati provvedimenti che, in qualche modo, lo bloccavano, facendo del Covid l’unico tema su cui discutere e (non) vivere. Si è trovato anche in compagnia, lungo la strada, di chi ha avuto il torto imperdonabile di evocare Auschwitz, Hitler, stato d’eccezione, di ricorrere a metafore infelici, mentre i morti venivano seppelliti a migliaia, medici e infermieri tentavano di salvare vite e molti di loro perdevano la propria.

Ci sono due Cacciari, potrei dire, citando due dei suoi libri migliori, editi da Adelphi: “Dell’inizio” e “Della cosa ultima”. Il filosofo dell’inizio ha commesso diversi errori di comunicazione, pur avendo legittimamente segnalato alcune forzature, quella torsione volontaria di chi è stato chiamato, e continua a essere chiamato, a decisioni impopolari ma necessarie e inevitabili. Il filosofo della cosa ultima, al contrario, ha dato dimostrazione di intelligenza, facendo l’unica cosa che l’intelligenza detta: vaccinarsi e invitare a vaccinarsi.

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Sul Quirinale ancora non si parte ma siamo già alla quinta votazione

giovedì, Gennaio 13th, 2022

In un moto di sincerità Matteo Salvini fa sapere che il “nome per il Colle” si saprà tra “quindici giorni”, che non è un modo di dire per prendere tempo, ma una data, cioè mercoledì 26 gennaio, dopo che saranno andate a vuoto le prime tre votazioni, in cui serve la maggioranza qualificata. E non ci vuole Frate indovino per ricondurre quel nome a Silvio Berlusconi, di fronte alla cui determinazione i baldi giovanotti del centrodestra nostrano, pur pensando che trattasi di un testardo capriccio, non hanno il coraggio, la forza o l’animo di dire di no, per ora. Perché, in questa confusione, tante volte si andasse al voto, pur sempre in coalizione col Cavaliere si devono presentare per competere con questo sistema elettorale.

E dunque, come in un deja vu – ricordate i vertici a palazzo Grazioli, i giornalisti assiepati sul marciapiede, i vertici a pranzo e le pennette tricolori – venerdì tutti a Villa Grande con i giornalisti sull’Appia antica, il pranzo e il Quirinale come menù. Nell’anno del Signore 2022 (sic!). Senza neanche aspettare la direzione del Pd, segno che c’è non la ricerca di condivisione, come pure richiederebbe lo spirito con cui si elegge un capo dello Stato, il contesto di un governo di larghe intese da non terremotare, un paese da tenere unito in questa situazione. Ma c’è in campo uno scherma predefinito e rigido, fino al momento in cui salterà. In questa gara di furbizia però già si intuisce dalle dichiarazioni di Riccardo Molinari, capogruppo leghista alla Camera, sulla necessità di “piano b” cosa pensi Salvini. E cioè che, pagato lo scotto di fedeltà al Cavaliere, dalla quinta votazione sarà lui il king maker, con l’obiettivo di un nome di centrodestra “meno divisivo”. Per la serie: ti abbiamo accontentato, ora tocca a noi la proposta e a te adeguarti.

Come ogni volpe, parafrasando i classici, anche Salvini rischia di finire in pellicceria perché non è scritto da nessuna parte che, a quel punto, Berlusconi, ferito nell’orgoglio, non giochi a impallinare la Moratti o il Frattini di turno proposto da Salvini o chissà chi, secondo la nota linea del “muoia Sansone con tutti i filistei”. Si sa, l’uomo che pensa di essere l’incarnazione del centrodestra, difficilmente può incoronare qualcun altro all’infuori di sé, a meno di non trarne un clamoroso vantaggio. E infatti nell’inner circle più stretto sussurrano che in questo momento lui un “piano b” non lo prende neanche in considerazione ma, se proprio lo dovesse prendere, le sue preferenze andrebbero su Giuliano Amato ma ancor di più sulla presidente del Senato, Elisabetta Casellati perché è l’unica che potrebbe nominarlo senatore a vita. E c’è infatti tutto un chiacchiericcio attorno alla presidente del Senato, con qualche altra volpe che pensa di sedurre il Pd offrendo a Luigi Zanda la presidenza del Senato, o meglio di sedurre Zanda in modo che sua volta seduca il Pd, ingolosito dall’idea.

E pure il Pd, come noto, aspetta che si consumi fino in fondo il tentativo di Berlusconi perché vani sembrano anche gli sforzi di Gianni Letta, tesi a favorire un suo passo indietro, proponendo Mario Draghi, favorendone l’elezione nei panni del vero padre della Patria. Non sapendo a che santi appellarsi, il Pd invoca Mattarella in buona fede, rischiando però di produrre una singolare eterogenesi dei fini perché se il capo dello Stato uscente diventa la bandiera di una parte è più difficile che poi diventi un elemento di convergenza di tutti. Insomma, si brucia pure Mattarella. Il che potrebbe essere un elemento involontario o, ad essere maliziosi, un modo per arrivare, quando e se mai finirà questa fase di propaganda, al vero candidato di Enrico Letta, ovvero Mario Draghi.

In fondo al segretario del Pd non dispiacerebbe andare a votare, sia perché pensa di potersela giocare sia perché, in ogni caso, rinnoverebbe i gruppi sancendo che il Pd è il primo partito. Nessuno può dirlo perché si spaventano gli attuali parlamentari ma, nel Pd c’è una robusta corrente di pensiero di chi pensa che convenga votare in pandemia perché (come si è visto alle amministrative) è un contesto che penalizza la destra: vuoi mettere ora una campagna elettorale all’insegna dei vaccini rispetto a quando, tra un anno, si parlerà di ripresa imponente dell’immigrazione o di un’Europa meno generosa in tema di debito pubblico.

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“No a un presidente di parte”, l’assurda pretesa di Letta

giovedì, Gennaio 13th, 2022

Franco Bechis

A pochi giorni dalla complicata elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale ha fatto breccia una strana pretesa, cavalcata soprattutto dal segretario del Pd Enrico Letta: «inaccettabili candidature di parte». È il suo no all’ipotesi della candidatura di Silvio Berlusconi che a quanto sembra sarà lanciata dal centrodestra, leader politico che evidentemente non gli piace.

Non gradire una scelta e quindi opporvisi è ovviamente un diritto di Letta, come ipotizzare il suo voto per personalità che mai abbiano preso parte alla vita politica italiana, né mostrato una scelta o una preferenza di campo. Certo si riduce molto il campo e viene difficile trovare un’ampia rosa di papabili con queste caratteristiche. Ma dire che un presidente della Repubblica «non può essere stato di parte» né «leader di partito», è ben altra cosa, in assoluto contrasto con la nostra storia repubblicana e in fondo inaccettabile. Sarebbe anti-politica da quattro soldi, a cui non è mai sceso nemmeno il Movimento 5 stelle. Ed è offensiva anche per la storia personale di chi oggi assai apprezzato siede ancora al Quirinale.

Dote e in fondo quasi dovere di un presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano è spogliarsi di qualsiasi appartenenza precedente e avere come bussola solo il bene comune e l’unità della Nazione. Mattarella è stato impeccabile in questo, ma in tutta la sua storia politica precedente è stato legittimamente «di parte». Non solo ha militato prima in un partito politico, concorrendo con successo alle elezioni sfidando avversari politici, ma addirittura ha «inventato» con la sua creatura più celebre – la legge elettorale che porta il suo nome – il concetto stesso di «schieramento politico», rendendo doveroso essere di parte per potere concorrere alle elezioni politiche generali e vincerle.

Come abbiamo visto in questi sette anni quella esperienza vissuta di politico con le sue idee profondamente di parte non ha impedito a Mattarella di spogliarsi con grande capacità e onestà di quegli abiti indossando l’abito super partes richiesto a un garante della Costituzione. C’è chi è riuscito a farlo più o meno bene nella storia repubblicana, e ognuno ha i suoi giudizi sui vari settennati. Personalmente non riesco a paragonare gli anni impeccabili di Mattarella con il settennato precedente, che ha prestato il fianco a molti dubbi o con quello ad esempio di Oscar Luigi Scalfaro che non riuscii ad apprezzare allo stesso modo. Ma si tratta di giudizi personali. È un fatto storico però che alla presidenza della Repubblica siano stati eletti sempre uomini chiaramente di parte, con la sola eccezione di Carlo Azeglio Ciampi. In un caso – quello di Giuseppe Saragat – fu eletto addirittura il capo e leader indiscusso di un partito. Fosse stato per Letta, che evidentemente all’epoca non era ancora folgorato da esigenze terziste, avremmo avuto presidente della Repubblica anche Romano Prodi, che certo non poteva essere definito «super partes», essendo stato nell’Italia bipolare il leader di uno dei due schieramenti politici.

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Revocati gli assessori, Musumeci azzera la giunta e sfida i franchi tiratori

giovedì, Gennaio 13th, 2022

Francesco Storace

Il Colle fa ballare anche la Sicilia. L’assemblea regionale ieri ha fatto mancare un gruzzolo di voti al presidente eletto dai siciliani, Nello Musumeci, per i grandi elettori da mandare a Roma per l’elezione del Capo dello Stato.

Sette-otto voti in meno della maggioranza. Musumeci non si è fatto intimidire e in diretta facebook ha annunciato l’azzeramento della giunta regionale siciliana. Se si approfitta del voto segreto per tentare di delegittimare istituzionalmente il governatore, è evidente che c’è il dovere di reagire e verificare chi ci sta e chi no a proseguire con lui la parte finale della legislatura.

Chi sono i franchi tiratori che hanno pensato di punire Musumeci piazzandolo in terza posizione fra i tre grandi elettori dell’isola? Il governatore non ne fa ancora i nomi, ma probabilmente si tratta anche di contese interne ai gruppi parlamentari della regione siciliana, che comunque bolla come «ricattatori» che approfittano di «mezzucci come il voto segreto».

Di qui l’azzeramento della giunta regionale. Musumeci chiederà ai partiti rose di nomi per gli assessorati, mantenendo nelle sue mani il timone del governo regionale. In buona sostanza, alla faccia di chi ne chiedeva le dimissioni, non lascia ma raddoppia.

Nel suo messaggio via social ai siciliani, Musumeci ha riferito che per quel tipo di votazione, «di solito il presidente dell’Assemblea è il più votato, come è normale che sia, poi c’è il presidente della regione che prende i voti della sua maggioranza e poi il rappresentante dell’opposizione che prende i voti dell’opposizione. Al presidente della Regione sono mancati 7-8 voti circa.

Sono stato eletto lo stesso ma il dato politico rimane. Perché mancano questi 7-8 voti? Se il voto fosse stato palese avrei avuto più voti, ma perché questi voti sono mancati? Perché alcuni deputati hanno pensato di compiere nei miei confronti quello che in gergo giudiziario si chiama atto di intimidazione. Si tratta di una sorta di resa dei conti». Che una persona seria come il governatore non può evidentemente tollerare, in una terra che troppo spesso ha sopportato una politica che si ricatta.

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Covid, Abrignani: «Picco a gennaio, per i vaccinati sarà come l’influenza»

giovedì, Gennaio 13th, 2022

di Margherita De Bac

L’immunologo Sergio Abrignani: «Omicron non è come il raffreddore, il raffreddore non uccide. La nuova normalità? Alcuni Paesi ci stanno pensando, in Italia bisogna domandarsi se siamo pronti ad accettare altri morti»

Il Covid diventerà leggero come un raffreddore?
«Non scherziamo. Il virus del raffreddore non uccide», respinge l’accostamento Sergio Abrignani, immunologo dell’università Statale di Milano (leggi qui un’opinione diversa).

Allora diventerà un’infezione simile all’influenza?
«Questo è probabile però dobbiamo distinguere tra vaccinati e non vaccinati. Solo per i primi essere contagiati dal Sars-CoV-2 potrebbe essere come prendere l’influenza che infetta ogni inverno milioni di persone, è letale in circa lo 0,1% (1 per 1.000) dei casi ed è pericolosa sopratutto per gli ultra 70enni con patologie croniche importanti».

Chi all’inizio della pandemia, nel gennaio 2020, paragonava il Covid all’influenza si è dovuto rimangiare le sue affermazioni. Non teme che possa succedere anche a lei azzardando il paragone?
«No, i numeri parlano. Fino alla primavera del 2021, prima dell’uso estensivo dei vaccini, il Covid in Italia era letale nel 2-3% dei casi, avevamo al picco ogni giorno 30-40 mila infezioni e 700-900 morti . Oggi 12 gennaio, con circa il 94% della popolazione ultra60enne vaccinata con almeno due dosi e molti con tre, e con la variante Omicron che ha preso il sopravvento, la media settimanale è di 172.500 casi e 216 morti al giorno, quindi una letalita dello 0,12% ».

La Lombardia e altre Regioni vorrebbero cambiare il sistema di conteggio dei dati separando i pazienti ricoverati per Covid da quelli ricoverati per altre patologie che poi risultano positivi, un terzo del totale. È d’accordo?
«Non mi pronuncio perché non so quanto sia semplice cambiare i codici dei ricoveri. So però che l’impatto del numero dei malati Covid in area medica con una modalità di conteggio diversa si ridurrebbero del 30%. I passaggi di colore di una Regione dipendono dalla percentuale dei posti occupati da questi pazienti qui e in terapia intensiva».

I pazienti infettati da Omicron, oltre che meno gravi, se vaccinati, vengono dimessi prima rispetto ai contagiati dalla variante Delta?
«Come numero assoluto i pazienti colpiti da Omicron sono tanti di più perché questo virus è molto, molto più trasmissibile di Delta, ma sembrerebbe che sia causa di una malattia meno aggressiva. Non possiamo dare la risposta definiva in quanto i dati sono preliminari (leggi qui l’intervista al virologo Palù)».

Si sta facendo largo tra gli scienziati occidentali un ripensamento sulla politica di contenimento. Al presidente Usa Biden viene suggerita una strategia nuova, orientata a condurre una vita normale col virus anziché tentare di spazzarlo via.
«Anche Spagna, Portogallo e la Gran Bretagna stanno andando verso questa direzione. Molti Paesi, chi più chi meno, stanno razionalizzando la possibilità di un ritorno a una nuova normalità di vita con meno restrizioni e un certo numero “accettabile” di morti. Siamo pronti in Italia, dopo il picco atteso per fine gennaio (quando la curva dei contagi dovrebbe scendere), a tollerare 3-4mila decessi per Covid al mese per 4-5 mesi l’anno in cambio di una vita di nuovo “normale”?».

Israele sta vaccinando con la quarta dose tutti gli ultra 60enni e alcuni parlano di un richiamo vaccinale ripetuto ogni pochi mesi, che ne pensa?
«Sulla base delle conoscenze immunologiche scaturite dallo studio in 50 anni dei moderni vaccini, non ha molto senso ripetere una quarta dose a 2-3 mesi dalla terza con un preparato non aggiornato. Anzi, le immunizzazioni ripetute in tempi ravvicinati a volte producono lo spegnimento della risposta immunitaria. Vediamo i dati di Israele, quando arriveranno, e poi decidiamo. Diverso sarebbe fare una quarta dose di vaccino disegnato contro la variante Omicron. Sarebbe agire come per l’antinfluenzale: lo cambiamo ogni inverno e non si parla di terze o quarte dosi ma di nuovo vaccino».

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