Archive for Gennaio, 2022

Omicron ci contagerà tutti? Il Covid diventerà endemico? Le previsioni

giovedì, Gennaio 13th, 2022

di Cristina Marrone

L’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che oltre il 50% degli europei potrebbe essere contagiato da Omicron nelle prossime sei-otto settimane. «Nella prima settimana del 2022 l’Europa ha registrato oltre sette milioni di casi» ha riferito il direttore europeo dell’Oms, Hans Kluge. Secondo Anthony Fauci, immunologo e consigliere per la pandemia per Biden «Omicron alla fine troverà tutti» grazie al suo grado di trasmissibilità senza precedenti. Anche i vaccinati «saranno probabilmente infettati, compresi quelli con terza dose, ma non finiranno in ospedale e non moriranno». Secondo l’immunologo americano Sars-CoV- siamo davanti a un periodo di transizione con la pandemia.

1 – Ci ammaleremo tutti di Covid?
Con un andamento delle curve in una fase che è ancora pandemica,come quella attuale, tante persone verranno contagiate. «Tuttavia anche nelle pandemie più terribili – spiega Paolo Bonanni, epidemiologo – non è mai successo che sia stata colpita tutta la popolazione nel giro di una manciata di mesi. È plausibile che il coronavirus nel tempo diventerà endemico ed è chiaro che, analogamente ai virus con cui conviviamo, come influenza e raffreddori, prima o poi ci toccherà nella vita. Ma non è detto che succeda adesso, può capitare anche tra cinque anni o tra sette». «Adesso non ci ammaleremo tutti – concorda l’immunologa Antonella Viola – ma negli anni tutti entreremo in contatto con il virus, ma non tutti si ammaleranno».

2 – Se il nostro destino è quello di contagiarci prima o poi a che cosa serve portare la mascherina?
«Vista l’alta contagiosità di Omicron la mascherina contribuisce ad evitare di infettarci tutti contemporaneamente. In una società i servizi essenziali devono funzionare: non possiamo permetterci di non avere più medici e infermieri in ospedale, netturbini che raccolgono la spazzatura o macchinisti alla guida dei treni» avverte Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano.

3 – Si può trattare Omicron come un’influenza?
Il premier spagnolo Pedro Sanchez propone di trattare il Covid come una normale influenza dal momento che l’aumento dei casi non è seguito da quello dei decessi, sostenendo che non è più necessario tracciare e confinare chiunque risulti positivo al test ed è arrivato il momento di passare da un quadro di «pandemia» a uno di «malattia endemica» come è appunto l’influenza stagionale. L’Oms ha tuttavia messo in guardia dal trattare l’ultima ondata di Covid come un’influenza stagionale poiché molto ancora resta sconosciuto della nuova variante, in particolare per quanto riguarda la gravità della malattia che potrebbe riguardare le aree con bassi tassi di vaccinazione come alcune zone dell’Europa orientale. «Non siamo ancora pronti a considerare il Covid come un’influenza. Lo si potrebbe fare se fossimo tutti vaccinati ma anche in questo caso ci sarebbe sempre il rischio di mutazioni che bucano la protezione e mettono sotto stress il sistema sanitario» aggiunge Antonella Viola, che è anche docente di Patologia generale all’Università di Padova.

4 – In questa fase ha senso continuare a fare tamponi?
«Facciamo tantissimi sforzi con tamponi e quarantene – riflette Paolo Bonanni, che è anche professore ordinario di Igiene all’Università di Firenze – ma questo non porta a un valore aggiunto particolarmente elevato in termini di prevenzione. Meglio concentrarsi sulle vaccinazioni e fare tamponi solo ai sintomatici anche perché oggi i servizi di prevenzione non sono in grado di tracciare e prendere in carico tutti. Fare così tanti tamponi è come fermare le onde con le mani: dobbiamo essere realisti e fare i conti con le forze che abbiamo».

5 – Quando la curva epidemica rallenterà?
«Non è pensabile che continui a rimanere su questi numeri così elevati perché verrebbero a mancare comunque le persone suscettibili. Con i dati che abbiamo al massimo entro la fine di gennaio la curva dei contagi comincerà a scendere», prevede Bonanni.

6 – Diventeremo dunque tutti immuni?
«Solo temporaneamente» sostiene Antonella Viola. «Abbiamo già visto che le reinfezioni sono possibili soprattutto se il virus cambia, come è accaduto con Omicron». «L’immunità scema nel tempo ma mi aspetto che tra vaccini e contagi avremo un substrato di immunità di base – aggiunge Bonanni – e per un po’ di tempo saremo almeno parzialmente protetti, con una riduzione di complicanze e mortalità».

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Presidente della Repubblica, i danni di un voto protratto

giovedì, Gennaio 13th, 2022

di Paolo Mieli

In passato ci sono state tre elezioni «difficili» del capo dello Stato (quelle di Segni, di Saragat e di Leone) che hanno avuto come effetto un terremoto durato poi un decennio

A questo punto solo uno scatto di reni che porti i principali partiti — anzi tutti i partiti — a identificare e ad eleggere il presidente della Repubblica in una delle prime tre votazioni (quelle che richiedono la maggioranza di due terzi degli aventi diritto al voto) può salvare la politica italiana da un immaginabile marasma. Al massimo, i grandi elettori possono contare su altre due votazioni, la quarta e la quinta. Dopodiché si apriranno le porte dell’inferno. E non perché sia impossibile pescare alla fine un capo dello Stato, anche al ventesimo voto o addirittura oltre. L’esperienza ci dice che prima o poi qualcuno lo si trova. Cioè ovviamente si trova, magari in extremis, un accordo per mandare qualcuno al Quirinale. Ma le macerie lasciate alle spalle di quel voto finale, dopo giorni e giorni di sofferenza, produrranno effetti che una pur felice conclusione difficilmente riuscirà a far dimenticare.

Le votazioni a vuoto saranno state, ognuna, un colpo di martello, sempre più violento, alle fondamenta di un altro edificio, Palazzo Chigi dove come è noto ha sede la Presidenza del Consiglio. L’idea che si possa stare tranquilli, dal momento che a presidiare il palazzo del governo resta Mario Draghi (e che, nel caso, ci penserà Draghi a mettere lo stucco sulle crepe prodotte dalle martellate), potrebbe rivelarsi illusoria. O peggio. Non perché all’ex presidente della Bce manchi l’attitudine a compiere il genere di riparazioni di cui si è detto.

Da più di un mese Draghi dovrebbe essersi reso conto che le sue attuali mansioni sono assai diverse da quelle che Sergio Mattarella gli assegnò nel febbraio del 2021. Adesso si tratta di rassicurare e mettere al passo partiti spaventati dalla prospettiva del salto nel buio delle elezioni che prima o poi verranno. E perciò sospettosi, imbizzarriti, ma soprattutto imprevedibili. Poco propensi per di più a rispettare le regole. Inclini, ove si intraveda una convenienza, a ogni genere di slealtà.

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Il Cts: rivedere il bollettino Covid. Scontro nel governo sul Green pass per i negozi

giovedì, Gennaio 13th, 2022

di Adriana Logroscino

Un vertice per cambiare il calcolo dei positivi e dei ricoverati, su cui si basano le restrizioni. Ed è scontro Brunetta-Giorgetti sulle «attività essenziali» alle quali da febbraio si accederà solo col Green pass

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Cambiare il bollettino che misura il contagio in Italia. Perché il numero esponenziale di tamponi, decuplicati in un anno, forse restituisce una fotografia distorta del contagio. E perché Omicron infetta di più ma fa meno danni. I presidenti di Regione sono in pressing. Il Cts ne discuterà domani. Riconsidererà la mappa su cui si basano le misure per contenere il contagio.

Ma c’è un altro aspetto su cui ieri si è accesa la discussione, questa volta interna al governo: l’elenco dei negozi in cui non si potrà entrare senza green pass dal primo febbraio . La lista, nella bozza messa a punto dal ministero della Funzione pubblica, retto da Renato Brunetta, era stringatissima, ridotta ai soli esercizi essenziali (alimentari e farmacie). Il ministero per lo Sviluppo economico, guidato da Giancarlo Giorgetti, invece, preme perché l’ingresso resti libero in tutti i negozi che rimanevano aperti anche in zona rossa, secondo il decreto di marzo scorso: tabaccherie, librerie, fiorai e negozi di giocattoli, circa 30 tipologie. Sembra una riedizione dello scontro tra rigoristi e aperturisti. Il Dpcm, anticipato dal Corriere, però sarebbe chiuso. Senza possibilità di revisioni: un lungo elenco di eccezioni sterilizzerebbe gli effetti del provvedimento e ne contraddirebbe lo spirito.

Con i positivi sempre molto numerosi e gli ospedali che si riempiono, il passaggio in arancione non è più un’eventualità, è un orizzonte per diverse regioni. Ma la pandemia ha un volto diverso rispetto a quando i criteri sono stati fissati. Per questo i presidenti di Regione chiedono di snellire le norme per gli asintomatici: «Stop al tamponificio, si facciano i test solo a chi sta male», dice Giovanni Toti, presidente della Liguria. Dal Lazio la proposta è che l’isolamento scenda a 5 giorni.

La Lombardia fa da apripista: da domani «per dare una rappresentazione più realistica della pressione sugli ospedali», distinguerà tra ricoverati per Covid e quelli con Covid. Ma ci sono anche sollecitazioni a modificare direttamente le restrizioni, oltre che i parametri su cui si fondano. Per la Liguria, che i numeri da zona arancione li ha raggiunti, l’assessore ai Trasporti, Gianni Berrino, ha chiesto che la capienza dei bus resti all’80 per cento (e non scenda al 50): con le scuole aperte, non sarebbe sostenibile. Anche su questo aspetto, il Cts si pronuncerà nella riunione di domani. Per garantire l’efficienza del trasporto pubblico anche dovendo mantenere il distanziamento, poi, le Regioni chiedono di sbloccare al più presto i fondi stanziati nel 2021 per potenziare il servizio.

Il tema è strettamente legato a quello della scuola: i maggiori utenti di autobus e metro sono gli studenti, gli orari di punta coincidono con quelli della campanella di entrata e uscita. Oggi con il rientro in classe dei ragazzi siciliani, le lezioni in presenza sono di nuovo regola ovunque. Ma tra i mugugni di sindaci e sindacati, preoccupati dai focolai. E lo sciopero annunciato dagli studenti per domani.

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Natalità, istruzione e meritocrazia: i tre ingredienti per l’Italia del futuro

giovedì, Gennaio 13th, 2022

Carlo Cottarelli

Nel mezzo di un’emergenza sanitaria che, seppure non comparabile per gravità a quella dell’anno scorso, non è ancora terminata e del delicato passaggio istituzionale dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica, è inevitabile che l’attenzione politica sia indirizzata a questioni di immediata rilevanza, come le decisioni del governo sugli obblighi vaccinali e le trattative per trovare un accordo sul successore di Mattarella.

In questa situazione, parrà strano se mi dilungo su tre problemi irrisolti della nostra economia e della nostra società. Sono problemi che solo in parte vengono affrontati dal Pnrr, ma che più di tanti altri influenzeranno le tendenze di medio termine del nostro Paese. Riguardano la nostra principale ricchezza, le persone.

Tasso di fertilità

Il primo problema riguarda il numero di persone. Poco prima di Natale l’Istat ha certificato il nuovo calo dei nati nel 2020. Il numero medio di figli per donna di cittadinanza italiana è sceso a 1,17, ma cala la natalità anche nelle famiglie con almeno un genitore straniero. Il declino è continuato nel 2021, quando i nati scenderanno sotto le 400.000 unità. L’Istat ha presentato a novembre il quadro demografico per i prossimi decenni: nel 2070 i residenti in Italia sarebbero meno di 48 milioni. Ma già ora stiamo subendo gli effetti di un calo che ha origini lontane.

Stanno ora raggiungendo l’età lavorativa le generazioni nate all’inizio degli Anni 90. Stanno uscendo quelle nate alla fine degli Anni 50. Lo squilibrio è impressionante. Il saldo tra chi è nato 64 anni fa e chi è nato vent’anni fa è intorno alle 350.000 unità all’anno. Questo saldo raggiungerà le 450.000 unità entro il 2029 rimanendo poi su questi livelli per almeno altri 10 anni.

Il problema non è solo la sostenibilità del sistema pensionistico e dei conti pubblici, ma riguarda l’attività produttiva. Si parla tanto della carenza di medici. Molti vanno in pensione e pochi entrano nella professione. Occorre certo aumentare il numero di borse per la formazione dei medici. Ma non mancano solo medici. Mancano, e mancheranno sempre più, anche ingegneri, insegnanti, idraulici, e così via, semplicemente per un fattore demografico. Il problema è stato alleviato in passato dall’aumento del tasso di occupazione rispetto alla metà degli Anni 90 e da un’immigrazione disordinata (quello che abbiamo visto sulle coste italiane negli ultimi anni è tutto tranne che una politica di immigrazione che è finora mancata).

Scarsi sono stati comunque i risultati in termini di aumento del tasso di fertilità. Occorre un piano specifico di medio-lungo termine che affronti il problema del calo tendenziale della forza lavoro in tutte le sue componenti (natalità, partecipazione al mondo del lavoro e immigrazione).

Serve più ricerca

Il secondo problema riguarda la conoscenza a disposizione delle persone. Per raggiungere il livello di spesa in ricerca e sviluppo della Francia, l’Italia avrebbe bisogno da parte pubblica di circa 5 miliardi addizionali annui rispetto al livello attuale (il doppio per raggiungere il livello della Germania).

Il Pnrr prevede maggiori spese per la componente “dalla ricerca all’impresa” ma solo circa 6 miliardi, da qui al 2026, andranno all’aumento della spesa pubblica per la ricerca, una cifra molto inferiore a quella prevista dal piano Amaldi che chiedeva un graduale ma sostanziale avvicinamento delle nostre spese in quest’area a quelle della Germania.

In generale, le risorse previste per i prossimi anni per la pubblica istruzione dovrebbero essere aumentate. Sarà fondamentale anche la riforma dell’istruzione che, seppure descritta in termini molto generici, deve essere approvata entro fine 2022 secondo il Pnrr.

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Cacciari: “Sul Covid dice bugie, ma Draghi deve restare alla guida del governo”

giovedì, Gennaio 13th, 2022

PAOLO GRISERI

Professore come sta? Effetti collaterali della terza dose?

«Sto bene, sto bene. Ma non è questo il punto. La mia salute non è argomento di discussione».

Qual è il punto?

«Il punto è l’irrazionalità di questa situazione. La gente non vuole capire che questa idolatria della terza dose è infondata».”

Lei l’ha appena fatta la terza dose…

«Certo che l’ho fatta. Io rispetto le leggi».

I no vax si sono arrabbiati con lei. Si sente un voltagabbana?

«Ma io non sono contro il vaccino. Sono contro questo modo di imporlo, sono contro l’obbligo a chi ha più di 50 anni. Ci sarà un motivo se siamo l’unico Paese al mondo ad imporre l’obbligo vaccinale?».

E se sbagliassero gli altri?

«Guardi i numeri degli altri. Sono peggiori dei nostri? O sono come i nostri? E allora se dopo gli obblighi in più che ci siamo imposti in questi mesi i dati ci mettono sullo stesso piano degli altri questo vuol dire che forse quegli obblighi non erano necessari».

Che cosa non la convince dell’obbligo alla terza dose?

«Io non sono un esperto. Mi affido agli scienziati come il professor Mariano Bizzarri che mettono in guardia dai possibili effetti collaterali della terza dose. Gli inviti alla prudenza vengono anche dall’interno del Cts e da migliaia di scienziati europei. E ci sono segnali di un aumento di ricoveri in terapia intensiva di pazienti con la terza dose».

Veramente in terapia intensiva finiscono in gran parte i non vaccinati. Il che, tra l’altro, dimostra che il vaccino qualche effetto ce l’ha…

«Oh, ma come lo devo dire che io non sono contro il vaccino?»

Sa, sembrava…

«Criticare l’obbligo vaccinale non vuol dire essere contro i vaccini, ma mettere in discussione il modo con cui vengono imposti dalla politica. Se uno critica il codice della strada non per questo è contrario alle automobili no?».

Lei pensa che la terza dose sia pericolosa?

«Penso che dobbiamo essere prudenti. Lo so anch’io che il vaccino protegge in parte dall’infezione e riduce la gravità della malattia. Ma si stanno registrando ricoveri in terapia intensiva di persone che sono vaccinate con la terza dose. E sono in aumento. Per questo non avrei imposto l’obbligo vaccinale».

Negli anni Sessanta, quando arrivò il vaccino contro la poliomielite, tutti fummo obbligati a vaccinarci e non si aprì alcun dibattito di alti principi sulla libertà dell’individuo. Come mai?

«Sempre, quando arriva una vaccinazione obbligatoria, quel dibattito si apre. Può avere una risonanza maggiore o minore ma in queste situazioni la discussione è inevitabile».

Una discussione un po’ accesa, non le pare?

«Siamo finiti in una situazione ingovernabile. Ci sono atteggiamenti irrazionali dall’una e dall’altra parte».

Beh, lasci dire, il suo compagno di strada Ugo Mattei non pare un esempio di moderazione..

«Mattei partecipa insieme ad altri all’attività del nostro centro DuPre, Dubbio e Precauzione, che prende posizione con comunicati dai toni moderati in cui esprime dei dubbi e non cavalca atteggiamenti estremi».

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I tanti no per Draghi al Colle, così la corsa del premier verso il Quirinale s’è frenata

giovedì, Gennaio 13th, 2022

Ilario Lombardo

La domanda da farsi, a ormai dieci giorni dall’apertura dei giochi sul Quirinale, è: perché nessuno si sta intestando apertamente la candidatura di Mario Draghi? Capovolgendo il quesito: perché tutti (o quasi, come vedremo) sembrano non volerlo là dove il diretto interessato ha fatto chiaramente capire di volersi trasferire?

Alla vigilia della votazione più enigmatica di sempre il caso Draghi resta un paradosso: è il principale candidato per il Colle ma nell’esercito dei grandi elettori che dovrebbero decretarne l’investitura non sembra avere il consenso necessario. È una fotografia temporanea, che consegna il clima di attesa e di strazio che regna in queste ore. La premessa, infatti, è d’obbligo: da qui a una settimana le condizioni politiche potrebbero cambiare e improvvisamente offrire una discesa inattesa agli eventi. Chi conosce la liturgia del Quirinale sa che tutto si decide all’ultimo, a elezioni già aperte. Ma per il momento, basta agganciare i pochi capannelli alla Camera o al Senato, parlare con i parlamentari, disincantati, smaniosi, rassegnati, oppure fare qualche telefonata ai leader o ai relativi uomini di fiducia, per essere sopraffatti dall’evidenza prepotente di questo dato di fatto: per Draghi la strada si è complicata, e di molto. Le ragioni sono semplici, ma non per tutti così semplici.

La prima è stranota. Draghi è una suggestione che si porta dietro troppi problemi. Sul premier che dovrebbe prendere il suo posto, sul format di governo che verrà dopo (politico o tecnico?), sulla maggioranza che sosterrà l’esecutivo. Il costituzionalista e deputato del Pd Stefano Ceccanti non si stanca di ripeterlo: «Qui in Parlamento Draghi non ha chance». Ogni giorno che passa e più ci si avvicina al giorno delle votazioni, il 24 gennaio, questo scenario mostra la sua problematicità, secondo Ceccanti. A un anno dal voto, con i contagi in costante aumento, con i gruppi spappolati e i parlamentari senza prospettiva di rielezione in un Parlamento che comunque sarà quasi la metà nella sua composizione, Draghi è considerato l’unica garanzia di sopravvivenza del governo ma soprattutto della legislatura.

Per due leader , più di altri, questo è uno scoglio non da poco. Giuseppe Conte ed Enrico Letta hanno capito di essere a rischio di ammutinamento interno. Entrambi ricordano quanto la mossa sbagliata sul Quirinale, nel 2013, costò la leadership del Pd a Pierluigi Bersani. Anche in quel caso il Parlamento si trovò in stallo totale e per uscirne dovette rivolgersi al presidente in carica Giorgio Napolitano, chiedendogli di restare. È la tesi di chi proverà a convincere Sergio Mattarella, nonostante il Capo dello Stato sia contrario a replicare il precedente.

Letta ha ceduto e ha ammesso che «il Mattarella bis sarebbe il massimo». Conte invece sembra voler rispettare anche nella forma le volontà del presidente e, spiegano fonti a lui vicine, non intende fare uno sgarbo a Draghi, creando un solco con il premier. In realtà non hanno valide e concrete alternative, da un punto di vista numerico, a Draghi (o a Mattarella). Detto questo, né lui né Letta hanno incoronato l’ex numero uno della Banca centrale europea. Conte, indebolito dal fronte parlamentare, attende la mossa del segretario del Pd, che a sua volta attende una decisione di Silvio Berlusconi. Il presidente di Forza Italia ha scombussolato i piani di tutti, frapponendosi tra Draghi e il Colle. Finché resterà in piedi il suo desiderio di essere eletto tredicesimo presidente della Repubblica italiana, finché l’illusione dell’aritmetica nelle prime quattro votazioni gli darà speranza, sarà complicato organizzare un piano B per gli alleati del centrodestra e far una mossa di senso politico compiuto per gli avversari.

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Sabino Cassese, tsunami di elettori positivi? “Quirinale, il successore di Mattarella si può votare a distanza”

mercoledì, Gennaio 12th, 2022

Antonio Rapisarda

Né la variante Omicron, che secondo la vulgata rischia di depennare almeno un centinaio di grandi elettori, né tantomeno la riforma costituzionale, che secondo un’altra lettura renderebbe trecento e passa degli attuali parlamentari di fatto “abusivi”, possono compromettere forma e sostanza dell’elezione per il nuovo capo dello Stato. «Nessun problema. La costituzione prevede che il calcolo dei voti si faccia sugli aventi diritto, non sui presenti». Lo assicura in questa lunga intervista a Libero Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, che – con la sua solita schiettezza – non si è sottratto alle nostre domande sul futuro di Mario Draghi, sul presidenzialismo, sull’obbligo vaccinale così come su due nodi fondamentali, rispetto ai quali il celebre giurista non ha dubbi: l’iniquità del sistema sociale rispetto ai «non garantiti» e la «ferita aperta» della giustizia.

Professore, l’eventualità di rinviare il voto sul Colle, dovesse esplodere la curva dei contagi in Parlamento, è da escludere a priori?
«È certamente da escludere. Le votazioni si svolgono dal primo giorno in cui il Parlamento in seduta comune è convocato, anche se vi sono pause tra una votazione e l’altra; e possono solo concludersi con la scelta di un presidente della Repubblica».

Almeno il problema del voto in presenza, inclusi coloro che risultano positivi al tampone, si potrebbe risolvere con l’elezione a distanza. Meno “sacrale” come procedura ma in linea con il diritto dell’emergenza dell’era Covid?
«L’elezione del presidente della Repubblica è una mera votazione, non preceduta da una discussione. Quindi richiede soltanto l’espressione del voto. Se si fanno appositi collegamenti video tra le diverse sedi del Parlamento, i parlamentari possono svolgere la votazione in luoghi diversi e ciascuno dei membri del Parlamento in seduta comune ha la possibilità di controllare visivamente il regolare svolgimento della procedura di elezione».

Le pressioni internazionali – senza scomodare la tesi del “vincolo esterno” – sono orientate a chiedere un bis del duo Mattarella-Draghi. Di certo senza l’attuale premier, sostengono oltre confine, sarebbe a rischio il Pnrr. Non si può fare a meno di Draghi in nessun senso?
«Draghi ha ricoperto una carica, alla Banca centrale europea, che ritengo più importante di quella di presidente della Repubblica italiana. Io preferirei che il Parlamento italiano gli desse la fiducia per lasciarlo sette anni a Palazzo Chigi».

Davvero un bis di Mattarella, dopo quello di Napolitano, sarebbe un “tradimento” della Costituzione?
«La costituzione italiana non prevede un bis, ma non lo esclude. Certamente quello che non sarebbe corretto è un bis a termine».

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Bollette alle stelle? La tabella che ti salva il conto in banca: ecco come azzerare il salasso

mercoledì, Gennaio 12th, 2022

Chi ha un bonus sociale potrebbe arginare l’impatto dei prossimo rincari delle bollette di luce e gas: sono circa 3 milioni le famiglie interessate dagli sconti sulla bolletta elettrica e 2,5 milioni quelle che possono usufruire del bonus gas. Lo rivela l’Autorità per l’energia, le reti e l’ambiente. Seguendo le tabelle pubblicate dall’Autorità si scopre che per le famiglie formate da due soli componenti il risparmio sarà pari a 134,10 euro, che andranno a sommarsi al bonus da 128 euro già garantito. I nuclei con 3-4 componenti beneficeranno invece di una maggiorazione di 163,80 euro (oltre ai 151 già previsti).
Per le famiglie più numerose, oltre i 4 componenti, la compensazione raggiungerà 192,60 euro, che si sommeranno ai 177 già garantiti. Sulle bollette elettriche il beneficio previsto, “per tutti i clienti domestici affetti da grave malattia o i clienti domestici con fornitura elettrica presso i quali viva un soggetto affetto da grave malattia, costretto ad utilizzare apparecchiature elettromedicali necessarie per il mantenimento in vita”, rivela sempre l’Autorità. La compensazione integrativa determinata per la “fascia minima”, cioè fino a 600 kWh annui, sarà pari a 43,20 euro. Per la “fascia media” (quella compresa tra 600-1200 kWh annui) l’incremento sarà di 77,40 euro, mentre le fasce con consumi superiori ai 1200 kWh annui beneficeranno di un aumento di 111,60 euro.

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Così i tre gradi di giudizio rallentano la giustizia

mercoledì, Gennaio 12th, 2022

Giuseppe Pignatone

«Troppe leggi, troppe norme, troppi processi» ha ripetuto anche di recente la ministra Cartabia, individuando con precisione quella che – insieme alla cronica, finora, insufficienza delle risorse – è la causa principale dei tempi lunghi che affliggono la giustizia penale. Ho già sottolineato su questo giornale (Troppi reati frenano la giustizia, 8 ottobre 2019, Tre proposte per la giustizia, 10 maggio 2021) l’importanza del dato quantitativo che rende irragionevole ogni confronto con altri Paesi. Mi limito qui a citare il fatto che le notizie di reato e quindi i procedimenti, che incamera un pm italiano sono otto volte superiori alla media europea. Peraltro, data l’obbligatorietà dell’azione penale scritta in Costituzione, il pm deve trattare ogni singolo fascicolo, sottoponendolo al vaglio di un giudice anche in caso di archiviazione. È un dato numerico che lascia poche speranze e che potrebbe essere ridimensionato solo da una seria depenalizzazione, opzione ancora oggi esclusa dalle forze politiche. Sui “troppi processi” che ne conseguono, la Guardasigilli è già intervenuta introducendo norme per evitare che almeno parte dei procedimenti definiti dalle Procure arrivi al dibattimento. Sapremo nei prossimi anni se e in quale misura sarà stato raggiunto questo risultato.

Tra le concause dei tempi inaccettabili del fare giustizia, vanno considerati anche l’innata litigiosità degli italiani, confermata dalle statistiche, e la storica presenza delle mafie nel nostro Paese. Quelli di mafia sono spesso processi molto complessi e con imputati detenuti: hanno quindi la priorità e rallentano il trattamento di tutti gli altri. Non è un caso che tra le sedi più in difficoltà ci siano proprio quelle di Napoli e di Reggio Calabria. Ma sui tempi lunghi della giustizia incide in modo altrettanto significativo la scelta (del tutto politica) di mantenere nel nostro ordinamento, nonostante l’adozione del rito accusatorio, tre gradi di giudizio (e altri tre gradi previsti per ogni misura cautelare), tutti fondati sull’obbligo di motivazione. Anche in questo caso non sono possibili paragoni con i sistemi di altri Paesi europei. Non solo con quelli anglosassoni, in cui il verdetto è emesso da una giuria senza motivazione, ma anche con altri più simili al nostro come quelli continentali. Vero è che anche questi prevedono i tre gradi di giudizio, ma mentre in Italia a ogni sentenza di condanna possono seguire (e di solito seguono) l’appello e il ricorso in Cassazione, altrove esistono filtri efficaci per ridurre il numero delle impugnazioni. In Francia e in Germania, solo per fare un esempio, gli avvocati abilitati al patrocinio in Cassazione sono rispettivamente 50 e 100 a fronte dei 55mila italiani. Ciò significa che all’estero sono gli stessi avvocati abilitati a fare da filtro e a limitare i ricorsi alle questioni più importanti o sulle quali non esista una giurisprudenza consolidata.

Questo spiega anche perché le sentenze di quelle Corti sono poche migliaia l’anno a fronte delle oltre 50mila emesse dai giudici di Piazza Cavour, costretti a occuparsi anche di processi di importanza trascurabile e di questioni riproposte all’infinito, dato che comunque conviene fare ricorso sperando nella prescrizione (e, in futuro, nella improcedibilità), o in una nuova legge o in un mutamento di giurisprudenza che capovolga il giudizio o almeno mitighi la pena. Una valanga di decisioni che peraltro implica un certo tasso di contraddittorietà e quindi un’erosione di autorevolezza dell’organo che dovrebbe assicurare l’uniformità della giurisprudenza.

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Patrizio Bianchi: “La Dad non è il demonio, ma ci sono regole precise. Sì agli hub nelle scuole”

mercoledì, Gennaio 12th, 2022

NICCOLò CARRATELLI

ROMA. Non fa previsioni, Patrizio Bianchi. Del resto, è impossibile descrivere quale sarà la situazione nelle scuole italiane, da qui a fine mese: «Per ora i problemi riscontrati sono gestibili – dice il ministro dell’Istruzione – e siamo attrezzati per affrontare un eventuale peggioramento del quadro». L’importante è affermare un principio, cioè che «la scuola resta aperta e in presenza, una scelta portante di questo governo», sottolinea Bianchi nell’intervista con il direttore de La Stampa, Massimo Giannini, per la trasmissione 30 minuti al Massimo (versione integrale su lastampa.it). Di fronte al possibile aumento di contagi e assenze tra studenti e docenti, l’indicazione, che suona come un avvertimento per presidi, sindaci e governatori, è chiara: «Il ricorso alla didattica a distanza non può essere indiscriminato, ci sono regole precise da seguire».

Secondo l’Associazione nazionale dei presidi, potremmo ritrovarci con 200mila classi in Dad nel giro di una settimana…
«Guardi, io non escludo né affermo niente, ma siamo pronti ad affrontare tutte le situazioni, anche quelle più estreme. In Italia abbiamo 365mila classi, allo stato attuale non c’è questo scenario, poi può darsi che ci sia un aumento nei prossimi giorni, ma il tema non è se ci sarà o meno un maggiore ricorso alla formazione a distanza. Che, comunque, non è il demonio, ma uno strumento da usare in modo specifico e per un tempo specifico».

Il governo manterrà le promesse su la scuola nella quarta ondata? Il direttore Giannini intervista il ministro dell’Istruzione Bianchi – L’integrale

E qual è, allora, il tema?
«È che abbiamo fatto una norma, il decreto del 5 gennaio, che dà una linea di marcia chiara: la scuola deve essere aperta e, nel caso, deve essere l’ultima a chiudere. E abbiamo definito regole precise per usare la didattica a distanza, che non può essere un provvedimento generalizzato, preso a livello regionale o comunale, e senza giustificazioni. Non può valere per tutti, insomma, ma solo in situazioni specifiche».

Per questo avete fatto ricorso contro l’ordinanza del presidente della Campania De Luca, bocciata dal Tar…
«Ha fatto ricorso anche un gruppo di genitori, che non voleva la chiusura delle scuole. Come governo, ci siamo confrontati fino all’ultimo minuto con i presidenti delle Regioni, poi abbiamo fatto una scelta di unità del Paese».

De Luca ha detto che avete usato gli studenti come cavie. Come risponde?
«Mi permetta di non commentare questa frase, ma penso ci sia il dovere istituzionale di misurare le parole, da parte di tutti. D’altra parte, ricordo che abbiamo avuto il massimo dei contagi quando la scuola era chiusa. E, come ha sottolineato anche il presidente Draghi, non è che, se non vanno in classe, gli studenti restano blindati in casa. Avere la scuola chiusa con i ragazzi in giro sarebbe difficilmente spiegabile».

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