Archive for Gennaio, 2022

Rivolta in Kazakistan, arrivano le truppe russe e dei Paesi alleati. Ci sono morti e oltre mille feriti

giovedì, Gennaio 6th, 2022

Ieri, alla vigilia dell’Epifania, Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, aveva assicurato: il Kazakistan può risolvere i suoi problemi da solo ed è importante che nessuno interferisca dall’estero (fonte Ria Novosti). Oggi, alle prime luci dell’alba, la Russia – con una nota ufficiale di Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca – annuncia ufficialmente l’invio di truppe russe e paracadutisti in Kazakistan.

Il Paese è stato teatro per tutta la notte di scontri e proteste, facendo diventare sempre più drammatico il bilancio della rivolta del gas nel Paese. Con la repressione legata all’invio di truppe da Mosca. Palazzi del potere presi d’assalto dai manifestanti. Secondo quanto riferito dalle forze di polizia, «decine di manifestanti sono stati uccisi». Il presidente, Kassym-Jomart Tokayev, si è rivolto direttamente a Putin. Le autorità del Paese hanno annunciato l’avvio di una «operazione antiterrorismo contro i saccheggiatori e i rivoltosi condotta in modo congiunto da forze di sicurezza ed esercito». 

Più di un migliaio di feriti
Il Kazakistan sta vivendo le più forti proteste di piazza che il Paese abbia visto da quando ha ottenuto l’indipendenza tre decenni fa. Decine di manifestanti sono stati uccisi nelle proteste della notte ad Almaty. Gli edifici governativi sono stati dati alle fiamme e almeno otto agenti delle forze dell’ordine sono stati uccisi. Il bilancio attuale sarebbe, oltre alle vittime, di oltremille persone ferite nel Paese nelle manifestazioni. Lo ha annunciato alla tv pubblica il Ministero della Salute: «Circa 400 sono state ospedalizzate e 62 sono in terapia intensiva».

Arrivate prime truppe russe
La Russia ha confermato l’invio di truppe per stabilizzare la situazione in Kazakistan, sconvolto dalle rivolte esplose per il caro. «Una forza collettiva di peacekeeping dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto) e’ stata inviata in Kazakistan per un periodo limitato al fine di stabilizzare e normalizzare la situazione», indica una nota dell’alleanza diffusa su Telegram dalla portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova.

Le prime truppe russe sarebbero già giunte secondo l’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva (Csto), composta da sei ex repubbliche sovietiche guidate da Mosca. I militari russi stanno venendo trasportati in Kazakistan per via aerea e il contingente già atterrato ha avviato le operazioni. La Csto riferisce che il suo principale sarà la protezione degli edifici governativi. All’operazione, spiega la nota, stanno partecipando effettivi di tutti i Paesi appartenenti all’alleanza che – oltre a Russia e Kazakistan – includono Armenia, Bielorussia, Kirghizistan e Tagikistan.

Mosca, missione pace potrebbe richiedere un mese
La missione in Kazakistan dell’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva (Csto), guidate dalla Russia potrebbe, «richiedere circa un mese» ha riferito il vicepresidente della Commissione Difesa della Duma. Il compito delle truppe sarà «contribuire a neutralizzare gli istigatori della violenza e mettere in sicurezza le infrastrutture strategiche» ha spiegato.

Circondati due ospedali ad Almaty
Intanto le manifestazioni proseguono. Secondo le ultime notizie, rivoltosi armati hanno circondato due ospedali della città kazaka di Almaty, intralciando il transito dei feriti. Lo riferisce la televisione di Stato di Nur-Sultan. Secondo i media ufficiali, i «terroristi» stanno utilizzando civili come «scudi umani», il che sta complicando le operazioni per ristabilire l’ordine.

Ripreso il controllo aeroporto Almaty
Nel frattempo le forze di sicurezza kazake hanno ripreso il controllo dell’aeroporto di Almaty, occupato dai manifestanti. Durante i disordini, esplosi per un rincaro del carburante, i rivoltosi hanno inoltre dato fuoco alla residenza presidenziale e alla sede del municipio.

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Covid: nell’epoca del rischio

giovedì, Gennaio 6th, 2022

di   Dario Di Vico

La variante Omicron sta mettendo alla frusta non solo i sistemi sanitari ma l’intera capacità di risposta che le autorità avevano dato alle precedenti fasi di avanzata del Coronavirus. Veniamo da semestri tremendi nei quali non avevamo né le mascherine né i vaccini e quindi dovremmo essere testati nella capacità di affrontare l’espansione del contagio, eppure oggi si ha come la sensazione di un affaticamento generale, di un rallentamento di quella spinta propulsiva che ha portato a vaccinarsi circa il 90% degli italiani. Un traguardo sul quale nessuno avrebbe scommesso un centesimo conoscendo la tradizionale cultura individualista dei nostri concittadini e una certa refrattarietà ad assecondare le risposte di sistema.

La novità introdotta da Omicron sta nell’allargamento del ventaglio della richiesta di sicurezza e nella sua frammentazione. In fondo quando si usa l’espressione «convivere con il virus» si dice proprio questo, che dovremmo imparare a far funzionare la nostra macchina, fatta nella buona sostanza di Pil e consumi, in un contesto in cui l’epidemia non è debellata e conserva ancora una capacità di danno. Ma evidentemente ancora una volta tra il dire e il fare c’è di mezzo il famoso mare.

E di fronte a quel tratto identitario di Omicron, che a un profano può sembrare addirittura una contraddizione (più contagiosità e minore pericolosità), i sistemi di risposta rischiano di andare in fuori gioco. Non avevamo capito del tutto che «convivere con il virus» in concreto vuol dire governare una richiesta di sicurezza asimmetrica tra cittadino e cittadino e quindi fare i conti con una differenziazione tra categorie e tra persone per certi versi inedita. Il vaccinato con tre dosi colpito da Omicron, quello con due, il no vax pentito, i minori sotto i 12 anni vaccinati con una dose, i debolmente positivi, i minori non vaccinati, il positivo al tampone della farmacia, il negativizzato che non riesce a fare il controllo e via di questo passo. Il catalogo delle varianti sociali di Omicron è lungo e basta un giro di telefonate con amici e parenti per estenderlo ancora.

Come si fa dunque a dare una risposta omogenea a uno sventagliamento delle esigenze di protezione sanitaria così ampio? Come si riesce negli input amministrativi a compattare il corpo sociale e non a dividerlo? Fino a ieri ci sembrava che l’unica divaricazione fosse quella, per altro abissale, tra no vax e sì vax, oggi vediamo maturare in virtù delle caratteristiche di Omicron molte nuove piccole divergenze. Da qui l’evidente difficoltà del governo nel predisporre una ricetta unica, un provvedimento passepartout che risponda ai bisogni di quell’ampio catalogo di cui sopra. Infatti già nei giorni scorsi le norme emanate in materia di articolazione delle quarantene non solo sono parse burocratiche ma addirittura difficili da memorizzare. Se poi aggiungiamo che non è stata debellata la tendenza delle forze politiche o di singoli ministri a concepire le misure anti-virus come tanti messaggi in bottiglia mandati alle loro constituency elettorali il quadro di una piccola Babele è completo. E rischia di produrre confusione e deludere quel popolo dei sì vax che ha rappresentato il «grande pavimento» del Paese.

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Djokovic respinto alla frontiera australiana: il suo ricorso rinviato a lunedì, ma l’esito sembra scontato

giovedì, Gennaio 6th, 2022

di Gaia Piccardi

Il giudice Anthony Kelly ha fissato la nuova udienza al 10 gennaio. Ha anche avvertito gli organizzatori degli Open d’Australia che non è detto comunque che la causa finisca prima dell’inizio del torneo come loro avevano chiesto

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Un anno fa se n’era andato da Melbourne da padrone, fresco del nono titolo dell’Australian Open, più di quelli di Roger Federer e Rafa Nadal messi insieme, i rivali che insegue da una vita. Quanto prima ( a meno che non gli dia ragione il giudice Anthony Kelly della corte federale a cui i suoi avvocati si sono appellati e che ha rinviato la causa a lunedì, in tal senso il magistrato ha avvisato gli organizzatori degli Open d’Australia che non è detto che il procedimento finisca prima dell’inizio del torneo) sarà costretto a lasciare l’Australia come un ladro, dopo l’interrogatorio lungo una notte della severissima dogana dell’aeroporto internazionale Tullamarine: documentazione insufficiente a provare l’esenzione dal vaccino obbligatorio per partecipare al primo torneo dello Slam, visto negato, deportazione inevitabile.

Fuoriclasse del tennis con la straordinaria capacità di mettersi nei guai, Novak Djokovic è rimasto prigioniero di un conflitto di competenza tra governo federale dello Stato di Victoria, la cui capitale è Melbourne, e governo australiano centrale, nessuno dei quali voleva prendersi la responsabilità di ammettere un cittadino serbo di 34 anni con 20 Slam a carico, abbottonatissimo sul suo status vaccinale, nel Paese reduce da 262 giorni consecutivi di lockdown. Prima di scoprire che lo staff del re del tennis aveva chiesto un visto d’entrata sbagliato e che l’esenzione medica ottenuta da Tennis Australia non aveva gambe su cui reggersi. Una figura barbina interplanetaria, un danno d’immagine incalcolabile, una leggerezza inaudita da parte di un super professionista dello sport. Pensava che la parte difficile del viaggio down under, dove il 17 gennaio scatta l’Australian Open, fosse stata procurarsi il via libera dall’obbligo del vaccino, il Djoker, la legge è uguale per tutti ma ha maglie larghe per pochi: delle 26 richieste di «medical exemption» ricevute da Tennis Australia e affidate alla valutazione di una doppia commissione medica, solo una manciata erano state accettate, inclusa quella di Djokovic, motivata — è una supposizione, in assenza di patologie in corso, condizioni mediche acute e reazioni allergiche alla prima dose (il campione serbo si è sempre dichiarato no vax) — dall’aver avuto il Covid negli ultimi sei mesi, dopo essere rimasto contagiato già nel giugno 2020, quando aveva organizzato uno scellerato torneo itinerante che aveva acceso un focolaio nei Balcani.

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Rientro a scuola: ecco le nuove regole. Alle medie e superiori Dad al secondo contagio ma solo per i non vaccinati

giovedì, Gennaio 6th, 2022

di Gianna Fregonara

Asili nido e scuole dell’infanzia

Nel decreto approvato nel consiglio dei ministri non cambiano le norme che garantiscono la sicurezza per i bambini più piccoli che frequentano gli asili nido e le scuole dell’infanzia. La gestione dei contagi resta rigorosa, come già previsto dal protocollo di novembre: in presenza di un caso positivo nella sezione o nel gruppo classe, l’attività viene interrotta per dieci giorni. Tutti a casa perché i bambini non sono vaccinati e, a scuola, non devono portare né mascherina né altri dispositivi di protezione che potrebbero fare da barriera alla diffusione del virus. Per garantire la sicurezza dei loro insegnanti, sono previste mascherine Ffp2 per tutto il personale che è a contatto con i bambini più piccoli: da lunedì le distribuirà alle strutture scolastiche direttamente il servizio del commissario Figliuolo.

Scuola primaria

Per quanto riguarda gli alunni delle scuole primarie nel caso di un positivo in classe si applica la sorveglianza con un test antigenico rapido o molecolare da svolgere subito e da ripetere dopo 5 giorni, secondo la tempistica già prevista attualmente dal protocollo di novembre. In presenza di due casi o più la classe va in Dad per dieci giorni. Si è deciso di non intervenire alleggerendo il protocollo nelle scuole elementari – anche se si prevede la possibilità di test rapido e non solo molecolare – perché la percentuale di vaccinati è ancora troppo bassa. Iniziate a metà dicembre, le somministrazioni dai 5 agli 11 anni, hanno interessato per ora intorno al 10 per cento dei bambini, una quota troppo bassa che rende questa parte della popolazione ancora particolarmente vulnerabile dal contagio del Covid nella sua variante Omicron.

Scuole medie e superiori

Per gli studenti di medie e superiori si alleggerisce il protocollo. Con circa l’80 per cento di vaccinati in questa fascia, la quarantena e la Dad sono previste al secondo caso di positività per i compagni non vaccinati o i vaccinati e i guariti da più di 120 giorni, mentre per gli altri (compreso chi ha ricevuto il booster) la Dad per dieci giorni scatta soltanto al terzo caso di positività in classe, quando cioè si è in presenza in quello che si considera un focolaio. Con un caso la classe è in autosorveglianza, con obbligo di mascherina Ffp2. Fino al 28 febbraio gli studenti di medie e superiori potranno fare il test di tracciamento gratuitamente presso le farmacie presentando la ricetta del medico di base (o del pediatra), senza appesantire le Asl. Per questo il governo ha stanziato 92 milioni di euro che serviranno a finanziare il tracciamento con i test.

CORRIERE.IT

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Obbligo vaccinale per gli over 50: il nuovo decreto Covid. Tutte le misure

giovedì, Gennaio 6th, 2022

di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini

L’obiettivo del nuovo decreto per contenere la corsa del Covid e di Omicron è «rallentare» la crescita dei contagi e proteggere le categorie più esposte, che per gli scienziati hanno un rischio maggiore di sviluppare malattia grave e finire in ospedale. Il provvedimento introduce fino al 15 giugno l’obbligo vaccinale per tutti gli italiani — e gli stranieri residenti in Italia — che hanno compiuto i 50 anni. Chi ha un lavoro, a partire dal 15 febbraio dovrà mostrare il green pass rafforzato. L’obbligo scatta anche per il personale universitario, indipendentemente dall’età.

Obbligo vaccinale: per chi, e quando scatta

È previsto l’obbligo vaccinale per tutti i cittadini, anche per gli stranieri che sono residenti in Italia, che hanno dai 50 anni in su. Palazzo Chigi ha chiarito che l’obbligo decorre subito e se non ci si vaccina entro il 1° febbraio scatta la sanzione. I lavoratori con un’età superiore ai 50 anni sono tenuti a immunizzarsi e devono avere il green pass rafforzato — che viene rilasciato sia ai vaccinati sia ai guariti — dal 15 febbraio. La data è stata stabilita partendo dal presupposto che devono trascorrere 15 giorni dal momento in cui è stata somministrata la prima dose. Il governo ha introdotto l’obbligo vaccinale per il personale universitario, una misura che si aggiunge a quella che era già stata prevista ed è già in vigore per il personale scolastico, per gli operatori sanitari, per gli uomini delle forze dell’ordine e per i lavoratori esterni che entrano nelle residenze per anziani.

Per quali negozi diventa obbligatorio il green pass?

L’obbligo di avere il green pass base (che si può ottenere con la prima dose, con un tampone antigenico valido 48 ore o con un tampone molecolare valido 72 ore) già in vigore per tutti i lavoratori, viene esteso anche ai clienti dei seguenti esercizi:

Dal 20 gennaio per accedere in tutti i negozi che svolgono servizi alla persona:
– parrucchieri
– barbieri
– estetisti.
Dal 1° febbraio:
– pubblici uffici
servizi postali, bancari e finanziari
attività commerciali, fatte salve eccezioni che saranno individuate con atto secondario per assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie della persona.
Saranno esclusi gli alimentari e le farmacie.

Quali multe prende chi non ha il pass o non si vaccina?

Chi ha più di 50 anni e viene sorpreso senza green pass rafforzato rischia 100 euro di multa. I lavoratori che non hanno il green pass base oppure rafforzato hanno cinque giorni di assenza giustificata e dopo scatta la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio. Chi viene sorpreso al lavoro senza green pass rischia una multa da 600 a 1.500 euro. Stessa sanzione anche per i lavoratori con più di 50 anni. Chi deve controllare i dipendenti e non ottempera a questa funzione rischia una multa da 400 a 1.000 euro. La stessa sanzione scatta anche per i clienti di esercizi commerciali, bar e ristoranti, ma anche di luoghi dello spettacolo sorpresi senza green pass. Per i locali pubblici che non controllano la certificazione rafforzata dopo tre sanzioni può scattare anche la chiusura fino a dieci giorni.

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Lavoro e scuola, Draghi non si incaponisca: i fatti hanno la testa dura

giovedì, Gennaio 6th, 2022

Domenica sono andato a farmi somministrare la terza dose e, benché fossi prenotato per le 17.40, me l’hanno somministrata alle 19.55. S’era deciso di aprire a nuove prenotazioni così quelli prenotati come me per le 17.40 erano una trentina, e altrettanti i prenotati per dieci minuti prima e dieci minuti dopo, e l’intasamento, vorrei dire l’assembramento, è stato l’esito naturale. Si cominciano a vedere sui giornali foto di code agli hub vaccinali e stamattina leggo di Milano, addirittura di assalti, tanto da indurre Letizia Moratti a invocare i milanesi di restarsene a casa fino a ufficiale convocazione.

Intanto che ci occupiamo di no vax con progressivo risentimento sino ai confini dell’isteria (incantevole il caso di Novak Djokovic), c’è la smisurata maggioranza di sì vax che deve aspettare mentre omicron infuria: è l’inscenamento del ritardo di almeno un paio di settimane dell’avvio della campagna per la terza dose. Noi, fedeli a Mario Draghi come alla Madonna pellegrina, e come la Madonna pellegrina ce lo porteremmo stasera al Quirinale, dobbiamo dirlo, è stato un errore e non lieve: la prepotenza di omicron non è una sorpresa, ha ricordato stamattina sulla Stampa il fisico ed epidemiologo Alessandro Vespignani. Da molte settimane avevamo informazioni precise sull’andamento del virus e il «decisore», termine pudico speso da Abrignani per indicare la presidenza del Consiglio, era dotato degli elementi necessari per prendere tempestive contromisure.

Un errore è un problema ma incaponirsi è un disastro e l’impressione è che, insistendo sulla normale ripartenza delle scuole e su una formale opposizione allo smart working, il governo si stia incaponendo. Sullo smart working ieri sera il ministro Renato Brunetta (un amico di Huffpost e ci auguriamo una sua lunga vita al ministero) ha diffuso qualche utile precisazione: il lavoro agile c’è già, continuerà a esserci e la polemica è un po’ fuori luogo. Senz’altro vero, ma con un milione e 265 mila positivi, con un numero di nuovi contagi costantemente sopra i centomila, con una quantità di decessi tornata all’enormità (ieri 259), coi reparti negli ospedali che ricominciano a essere chiusi per ospitare i malati di covid, e col picco ancora lontano dall’essere raggiunto, ci si aspetterebbe che lo smart working fosse incoraggiato, e infatti è già il rifugio estremo delle aziende private.

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Draghi non fa più Draghi e subisce la mediazione

giovedì, Gennaio 6th, 2022
Italy's Prime Minister Mario Draghi attends a joint news conference with Italy's Economy Minister Daniele...
Italy’s Prime Minister Mario Draghi attends a joint news conference with Italy’s Economy Minister Daniele Franco (not pictured) on the government’s new fiscal targets in Rome, Italy, September 29, 2021. REUTERS/Yara Nardi

Secondo l’antico adagio che “piuttosto che niente” è meglio “piuttosto”, le norme varate con grande fatica dal consiglio dei ministri sono comunque un passo in avanti nella direzione di restringere il campo dei non vaccinati, complicando non poco la vita, gli spazi di socialità e di benessere per chi il vaccino non ce l’ha. E per la prima volta viene sdoganato l’obbligo: varca la soglia dei luoghi del lavoro, sia pur per gli “over 50”, misura tutt’altro che indolore anche a livello simbolico, ma per questa fascia d’età vale anche in assoluto. Insomma, nel confronto con gli altri paesi europei la legislazione italiana resta tra le più severe e rigorose. Però, al tempo stesso, rappresentano un passo indietro rispetto alle intenzioni di Mario Draghi che, solo una settimana fa di fronte al cedimento verso una parte della sua maggioranza, aveva manifestato la ferma intenzione di estendere il Super Green pass all’intero mondo del lavoro, senza distinzioni tra pubblico e privato, under e over.

In spiffero, veritas. “Non è un compromesso politico” viene fatto filtrare alle agenzie da palazzo Chigi nel pomeriggio. Parole che suonano come la classica excusatio non petita, in cui c’è l’essenza dell’accaduto, in un pomeriggio segnato da classico tira e molla da litigioso governo di coalizione, tra una cabina di regia slittata al primo pomeriggio e un consiglio dei ministri protrattosi quasi al limite della famosa “ora Conte”. Quella del favor delle tenebre e del disordine istituzionale. E cioè un compromesso tra chi chiedeva l’obbligo per tutti (il Pd), chi per nessuno (i Cinque stelle), chi per gli over 40 (Brunetta), chi per gli over 60 (la Lega). Che, davanti alla minaccia di non votare il provvedimento, riesce pure a far togliere la norma che rende obbligatorio il super Green pass per chi deve andare in banca o alle poste, all’estetista o al parrucchiere o al centro commerciale.

Peraltro il terzo di compromesso in tre settimane: dopo il decreto di Natale sugli autobus e quello di Capodanno col rompicapo sulle quarantene, arriva la “strettina della Befana”, proprio mentre il grosso del mondo scientifico invoca l’obbligo e nelle ultime quarantotto ore si è registrato il picco di 400 morti, un numero di contagi come non se ne registrava da aprile, una crescente apprensione per la confusione sui tamponi e terze dosi.  

Si procede dunque, di settimana in settimana, con una parcellizzazione normativa di regole e regolette cui è complicato stare dietro, che rischiano di produrre incomprensione anche nella maggioranza vaccinata e disciplinata, di indispettire le minoranze già riottose, rafforzandone il pregiudizio, e anche di introdurre elementi di frantumazione nell’ambito del vasto popolo che ha seguito le scelte del governo, tra chi ha 49 anni e chi 51, soggetti a norme diverse pur condividendo la stessa scrivania. Magari in questo step è già incorporato, quantomeno nelle intenzioni, il prossimo, che abbassa la soglia dell’obbligo a trenta, quaranta, o quarantacinque anni, ma la domanda nasce spontanea: se prima o poi lì si deve arrivare, ovvero all’estensione erga omnes, perché farlo poi e non prima, secondo la logica di una limpida assunzione di responsabilità?

Per la risposta non ci vuole Cassandra o chissà quale sapienza politologica: perché costa, politicamente. Un prezzo caro quanto il Quirinale. Draghi dell’inizio, sceso in terra a miracol mostrare, con la forza della sua autorevole terzietà, che è un tutt’uno con una visione autonoma dell’interessa nazionale, aveva nei primi mesi domato, con piglio e carattere, financo i leghisti restii a mascherine e vaccini, che andavano in piazza contro il Green Pass e che volevano riaprire tutto e subito. Draghi che sostanzialmente si è candidato al Colle sembra subire il ritorno della politica perché è diventato parte in causa del Great Game quirinalizio. Si fa concavo e convesso, e accetta la “politicizzazione” della pandemia, intesa come dominio della mediazione politica.

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