Archive for Gennaio, 2022

Pnrr, monito dell’Europa: “Cambiare piano si può ma poi il debito crescerà”

giovedì, Gennaio 27th, 2022

Gian Maria De Francesco

«Solo in casi eccezionali un Paese dell’Ue può chiedere una revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza». Un portavoce della Commissione Ue ieri si è affrettato a far sapere al governo italiano che cambiare le carte in tavola del Pnrr è una procedura complessa. Per quanto il ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, abbia palesemente confermato che la strategic review è più di un’ipotesi visto che l’inflazione ha fatto esplodere i costi delle costruzioni, passare dalle parole ai fatti sarà tutt’altro che semplice.

«Lo Stato deve dimostrare che non può più attuare il Piano o parte di esso a causa di circostanze oggettive», spiegano a Bruxelles, sottolineando che a una simile richiesta seguirebbe «una rigorosa valutazione». Se quest’ultima avesse esito positivo, in quel caso la Commissione proporrebbe una nuova bozza di decisione attuativa che dovrebbe essere successivamente adottata dallo stesso Consiglio europeo». Insomma, l’iter è lungo e ritarderebbe non solo l’execution del Piano stesso ma, si legge tra le righe, anche l’erogazione stessa dei prestiti e dei finanziamenti a fondo perduto. Vi sarebbe un percorso alternativo. Il differenziale tra costi previsti e spese finali può essere colmato con una nuova richiesta di prestiti purché «in una misura inferiore al 6,8% del reddito nazionale lordo». Per l’Italia si tratterebbe di 12,2 miliardi di euro all’incirca, poco più della metà dell’impatto massimo dell’inflazione sulle infrastrutture previste dal Pnrr (20 miliardi), una cifra recuperabile anche spostando fondi europei da altri programmi al Piano nazionale.

Questa ipotesi, tuttavia, è poco praticabile giacché il Pnrr impegna anche risorse comunitarie «tradizionali» e ulteriori trasferimenti scoprirebbero i fondi di coesione, il settore agricolo, quello delle politiche per il lavoro (ad esempio la nuova Garanzia di occupabilità dei lavoratori è finanziata con le risorse di React Eu). Il Paese membro, infine, può colmare il gap» tra finanziamenti e costi previsti «con fondi nazionali». In questo caso, anziché indebitarsi con l’Europa o ridimensionare altri progetti di sviluppo, ci si indebita con il mercato rischiando l’applicazione di tassi di interesse più elevati. Eppure, il governo proprio su questo fronte sta intervenendo in attesa di una decisione definitiva. In un’intervista al Corriere il ministro Giovannini ha spiegato che il decreto Sostegni ter «prevede un meccanismo di aggiustamento dei prezzi in corso d’opera molto meno penalizzante per le imprese». Si abbasserà la franchigia del 10% sui rincari e la quota eccedente sarà rimborsata in misura più sostenuta rispetto all’attuale 50 per cento. Inoltre, i bandi terranno conto di una ricognizione Istat sui prezzi dei materiali da sottoporre alla Conferenza delle Regioni per i prezziari regionali.

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Quella telefonata segreta tra il premier e Casini. “Pier, non avverso nessuno”. Il consiglio del Cav a Renzi

giovedì, Gennaio 27th, 2022

Yoda

Ieri a metà pomeriggio Silvio Berlusconi ha ricevuto una telefonata da Matteo Salvini nella sua suite al San Raffaele per fare il punto sul Quirinale. I due hanno parlato dello scrutinio del mattino in cui la coalizione che il Cav ha fondato si è presentata divisa, della difficoltà di portare avanti una candidatura targata centrodestra, dell’esigenza di mantenere Draghi a Palazzo Chigi per non mandare all’aria il governo in una fase così difficile e della possibilità di trovare un’intesa con il centrosinistra su un nome. Il Cav ha salutato il suo interlocutore con una frase piena di saggezza: «Ricordati Matteo: un pareggio è sempre meglio di una sconfitta».

Al mattino altro dato di cronaca importante: sempre sul filo del telefono, Mario Draghi ha avuto un chiarimento con uno dei papabili per il Colle, Pier Ferdinando Casini. Una chiacchierata per cancellare gli screzi che accompagnano la competizione tra due persone che si conoscono da quarant’anni. Casini gli ha chiesto se avesse dei problemi sul suo nome e il premier, da uomo di potere avvezzo a conversazioni di questo tipo, gli ha risposto: «A me andrebbe bene un Mattarella bis, una presidenza Amato, come qualsiasi altro. Ti posso assicurare che non avverso nessuno».

Addirittura, poi, c’è stata un’ipotetica telefonata che se ne è portata indietro un’altra nel rispetto della tradizione grillina in cui tutto è confuso. È uscita la notizia che Beppe Grillo avesse ordinato sul filo di lana a Luigi Di Maio di sponsorizzare la candidatura di Draghi al Quirinale. Conte, per sincerarsene, ha chiamato al telefono l’Elevato, che sempre nel rispetto della storiografia 5stelle gli ha detto tutto il contrario: «Draghi deve restare dov’è».

C’era uno spot pubblicitario di una compagnia telefonica che recitava «una telefonata allunga la vita». Invece, nel gioco impazzito di queste giornate, sul filo telefonico, pardon sulle onde magnetiche dello smartphone, si elegge il nuovo capo dello Stato. Ovviamente, le telefonate sono molteplici, registrano alti e bassi, a volte non sono vere, altre restano segrete, di certo però hanno sostituito nel terzo millennio gli incontri riservati. Più semplici, più veloci. Specie quando il rebus è complicato come l’elezione di un presidente della Repubblica dove i colpi di scena sono all’ordine del giorno. Ieri, ad esempio, nessuno si aspettava il colpo basso che la Meloni ha rifilato al centrodestra, presentando unilateralmente un suo candidato, Guido Crosetto. Un’operazione che ha mandato all’aria la strategia della coalizione che Matteo Salvini aveva pianificato. Il leader della Lega aveva in mente di presentare un candidato del centrodestra, magari la Casellati, portarlo in aula e se bocciato presentare un’ipotesi di mediazione con il centrosinistra, tipo Pier Ferdinando Casini. «Prima proviamo con lei – aveva spiegato il giorno prima – se riesce portiamo a casa un successo storico come coalizione. Se non riesce passiamo a un nome di compromesso. Casini o altri». La sortita della Meloni ha reso molto rischiosa l’operazione.

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Il Quirinale e il Mattarella fuggente che tutti acclamano

giovedì, Gennaio 27th, 2022

Ugo Magri

Le 125 schede con su scritto il nome di Mattarella ricordano per certi versi l’ultima scena de L’Attimo fuggente, quando gli studenti si ribellano agli ordini e salgono in piedi sui banchi per congedarsi dal professore che se ne va. Diversamente da Robin Williams, il presidente della Repubblica non è stato cacciato, anzi proprio lui ha scelto di auto-escludersi dalla corsa alla successione. Però l’insistenza a sostenerlo comunque, contravvenendo alle direttive dei rispettivi partiti che volevano scheda bianca, segnala almeno due circostanze. Anzitutto sarebbe sbagliatissimo trattare il Parlamento come un «parco buoi» (espressione coniata nel 1993 da Bettino Craxi), perché la sua base è ancora in grado di dare sorprese; insomma, un avviso ai naviganti. Indica inoltre che per molti «grandi elettori» Mattarella rappresenta un modello da cui faticano a separarsi. Di più: quasi un santo protettore vista l’immaginetta che circola in Transatlantico di san Sergio con l’aureola intorno alla fronte e la formula propiziatoria «Ovunque proteggimi». E pure questo dovrebbe far riflettere chi conduce le trattative sul Quirinale.

Di qui poi a immaginare che, sull’onda dell’affetto manifestato dai «peones», soprattutto Pd e Cinque stelle, Mattarella possa tornare sui suoi passi concedendosi al bis, sul Colle nessuno lo crede. Ancora ieri mattina, mentre il Parlamento votava, il presidente veniva ripreso in un video mentre sovrintendeva personalmente al suo trasloco: mobili prelevati nei giorni scorsi dalla casa di Via Libertà a Palermo e scaricati nell’appartamento preso in affitto dalle parti della Salaria, strategicamente collocato tra le abitazioni dei figli. A 80 anni i piani di vita non si fanno e disfano come quando si è giovanotti, tornare indietro sarebbe un problema. Del resto, a chi bazzica il Quirinale non è sfuggito che i Corazzieri stanno già facendo le prove per accogliere il nuovo inquilino. La Lancia Flaminia presidenziale ha controllato la tenuta delle gomme e dei freni in vista delle prossime cerimonie. Lo scambio delle consegne è dietro l’angolo.

A volte Mattarella dà quasi l’impressione di non voltarsi indietro per rispetto della parola detta più volte, pubblicamente. Insomma per non contraddirsi, in omaggio alla coerenza. Sbagliato però considerarlo un punto d’onore o, se si preferisce, un puntiglio. Semmai è un prendere atto della realtà; l’atteggiamento del presidente discende da ragioni oggettive che tali resterebbero perfino se – per assurdo – domani cambiasse idea e finalmente si dichiarasse disponibile a un secondo mandato facendo felici i suoi supporter. La prima ragione è che il centrodestra per ora non lo vuole. Ferocemente contraria Giorgia Meloni, com’è nel suo temperamento. Altrettanto ostile Matteo Salvini. Mancano dunque le premesse per un appello corale dei partiti, al di là degli schieramenti, condizione necessaria perché Mattarella possa quantomeno rifletterci. Ma c’è dell’altro.

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Quei valori che forgiano la nostra coscienza

giovedì, Gennaio 27th, 2022

MASSIMO GIANNINI

«Quando Mattarella fu eletto alla più alta carica dello Stato la prima cosa che fece fu recarsi alle Fosse Ardeatine a rendere omaggio alle vittime della barbarie nazifascista. Ecco, mi auguro che il prossimo o la prossima presidente saprà dimostrare analoga cura nel fare della memoria e dei valori antifascisti qualcosa che non ammuffisce nella retorica delle celebrazioni ufficiali, ma forgia sempre più saldamente la nostra coscienza popolare e nazionale». Non esistono parole più giuste per celebrare la Giornata in cui il mondo celebra la più spaventosa tragedia del Novecento e l’Italia aspetta che il Parlamento elegga il nuovo Presidente della Repubblica. Le ha pronunciate Liliana Segre, con la forza immensa e serena del suo sorriso di donna che le ferite dell’Olocausto le porta nel corpo e nel cuore. Oggi vogliamo gridarle insieme a lei, perché siamo convinti che mentre la nostra attenzione è assorbita dalla politica e dai suoi errori, abbiamo il dovere di ricordare la Storia e i suoi orrori. La Shoah è un abisso nel quale forse non ricadremo. Ma l’odio razziale e l’antisemitismo sono ancora tra noi. Lo dimostra l’ultimo episodio accaduto a Livorno: due ragazzine di 15 anni che minacciano un bambino di 12 di ricacciarlo “nei forni”. Abbiamo il dovere di coltivare la Memoria. Lo dobbiamo ai 6 milioni di ebrei che in quei forni sono morti davvero. Lo dobbiamo a noi stessi e ai nostri figli. Perché senza memoria non siamo niente.

LA STAMPA

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La villa dei bambini. Le storie di 25 piccoli sopravvissuti che furono affidati alla figlia di Freud

giovedì, Gennaio 27th, 2022

Viola Ardone

«Se solo il mio cuore fosse pietra» è una frase tratta da uno dei più celebri romanzi di Cormac McCarthy, La strada, in cui un padre e un figlio avanzano in un mondo desolato e abitato da sopravvissuti. Ed è forse per questo che Titti Marrone la sceglie come titolo per il suo nuovo lavoro (Feltrinelli, pp. 240, € 17,50), perché sono dei sopravvissuti i 25 ragazzini scampati all’orrore dei lager nazisti, protagonisti della vicenda che rievoca. È una storia vera di cura e rinascita, di amore e dedizione, che viene riportata alla luce dalla scrittrice e giornalista con il coraggio di chi affonda le mani in una ferita che non ha smesso mai di sanguinare.

Tutto ha inizio nel 1945, la guerra è appena finita e le atrocità commesse nei campi non sono ancora del tutto conosciute al mondo: la verità, com’è noto, ha bisogno di tempo per emergere e per farsi strada. La villa di sir Benjamin Drage, a Lingfield, nella campagna inglese, viene trasformata in una residenza per piccoli reduci da campi di sterminio, orfanotrofi o nascondigli (in cui i genitori li avevano lasciati durante la guerra), per iniziativa di Anna Freud – figlia di Sigmund e psicologa infantile – e Alice Goldberger, una delle sue più fidate collaboratrici. Ne arrivano 25, tra i quattro e i 15 anni. Le loro giovani, giovanissime esistenze, sono un concentrato di orrori, sono vite segnate, certamente, eppure ancora in boccio. Il lavoro di Alice e di tutta l’équipe del centro è orientato in una duplice direzione: la prima è tentare di ricongiungere i bambini con i loro familiari, laddove ve ne siano ancora, o trovare un nucleo adottivo pronto ad accoglierli. È un impervio lavoro di indagine che consiste nel rimettere insieme l’identità di un bambino a partire da pochissimi frammenti. La seconda riguarda la possibilità per questi bambini di recuperare anche solo uno spicchio di infanzia, nonostante i traumi subiti, spesso incancellabili. L’universo concentrazionario si disvela a poco a poco attraverso i racconti dei giovani ospiti, ma più spesso tramite le loro azioni e reazioni, i loro disegni, i loro silenzi, i sogni e soprattutto i gli incubi. Ci vuole pazienza perché tutto riemerga, ci vuole temerarietà per confrontarsi con il male, quando il male si è andato a cacciare negli occhi di un bambino, ci vuole fiducia, non solo nella psicoanalisi, ma proprio nella natura umana.

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Quirinale, l’ultima trattativa: Salvini e Meloni rischiano di rompere, mentre Letta e Renzi si sfidano

giovedì, Gennaio 27th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

«Giorgia, hai visto Matteo? Sai dov’è finito?». Il sole è già tramontato quando Enrico Letta chiama la leader di Fratelli d’Italia per cercare di capire cosa stia succedendo. È passata qualche ora dal momento in cui – al mattino – tutti chiamavano tutti. È calato un silenzio strano. Il cellulare del segretario leghista è spento. Il Nazareno entra in allarme. Ma anche nel centrodestra sanno poco. Girano vorticosi sull’intero Parlamento – intento a votare contandosi e mandando segnali (Mattarella! Crosetto!) – due nomi su tutti: quello di Mario Draghi, ancora. Quello di Pier Ferdinando Casini, di nuovo.

Il tentativo di spallata del centrodestra, con l’aiuto di pezzi di Italia Viva e di 5 stelle, oltre che del sempre numeroso gruppo misto, è tramontato nel momento in cui Salvini si è fatto sentire per dire che no, non porterà in aula il nome di Maria Elisabetta Casellati come Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni lo spingevano a fare. Già il fatto che siano loro a proporre di spingere sulla presidente del Senato gli fa pensare che sia più per mandarlo a sbattere, che per sperare in una comune vittoria. Così manda a Letta e Conte il segnale concordato: la mossa è sventata. Poi però scompare.

Ci sono almeno due squadre in tutti i principali partiti protagonisti di questa storia (tre nel Pd, ma non è una novità). E ci sono duelli interni che si combattono senza lanciare il guanto di sfida. La candidatura di Casellati non scompare solo – sempre che Salvini stia i patti – per la richiesta di Giuseppe Conte ed Enrico Letta di non spaccare tutto, altrimenti si va al voto. Ma perché su quel nome ci sarebbero più franchi tiratori di Forza Italia che sostegni esterni. D’altro canto, se la Lega nella notte dirà il suo sì alla candidatura di Casini, dovrà spezzare la catena che la vincola a Giorgia Meloni tentando però di portarsi dietro Forza Italia. Non è una scelta semplice e potrebbe non essere immediata. Si potrebbe cioè prima tentare di votare un candidato di centrodestra, quanto meno per dimostrare di volerci provare. È di questo che Salvini intende parlare nel vertice che però è stato spostato a stamattina. Solo lì si capirà chi vincerà il primo dei tre derby in corso.

Il secondo è tra due vecchi avversari, Enrico Letta e Matteo Renzi. Entrambi fanno notare di stare marciando uniti. Insieme hanno affossato la candidatura del presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini. Ma sebbene l’uno dica all’altro, «Draghi o Casini, a me vanno bene entrambi purché ci si arrivi in un quadro condiviso», la verità è che nel primo caso Letta potrebbe rivendicare di aver vinto (rivincita?) contro un asse Renzi-Franceschini che in passato gli ha già fatto del male. Se a spuntarla fosse invece il senatore eletto nelle file del Pd, con un passato nel centrodestra di Silvio Berlusconi e origini ultrademocristiane, il trofeo di kingmaker cui tutti sembrano ambire, come se l’elezione del presidente della Repubblica fosse diventata una corsa di cavalli, andrebbe al leader di Italia Viva. Con appena 50 grandi elettori.

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I sussurri di Draghi: il premier suggerisce ai leader di trovare un accordo sul governo

giovedì, Gennaio 27th, 2022

Ilario Lombardo

ROMA. Mario Draghi si è assentato meno del solito, ieri, da Palazzo Chigi. Un modo per evitare di aprire interrogativi su chi avrebbe incontrato e dove, e per lasciare alla politica il palcoscenico totale di questa ronda impazzita di nomi. Ciò non vuol dire, però, che si è semplicemente accomodato nel suo ufficio da spettatore. Ha tenuto i contatti con il leader al telefono. Ha parlato con il segretario del Pd Enrico Letta, il suo più forte alleato al momento, e ha sondato le intenzioni, imperscrutabili a molti, del segretario della Lega Matteo Salvini.

Il prezzo della trattativa sul Quirinale è ancora il governo. Senza un accordo, e una prospettiva chiara di legislatura, Draghi non ha chance di trasferirsi al Colle. È l’unico dato di verità ormai chiaro a tutti. A partire dal premier. La speranza dell’ex banchiere è tutta nell’attesa che anche oggi la giornata evapori in una fumata nera e tante schede bianche. In questo modo si terranno in vita i negoziati. E magari si aprirà finalmente un tavolo dei leader, come spera Draghi. Il capo del governo non può che suggerire questa soluzione: un patto sui ministri, su chi farà il presidente del Consiglio, sulla formula migliore per il governo, ma totalmente costruito e gestito dalle forze politiche. Il confronto dettagliato con il premier partirebbe solo in un secondo momento. Con lui al Quirinale e non più a Palazzo Chigi. C’è una linea rossa che ha fissato Draghi ed è questa, ribadita ancora ieri ai leader. «Le forme della Costituzione vanno rispettate». È il presidente della Repubblica ad avere la prerogativa di indicare un presidente del Consiglio e di nominare su sua proposta i ministri. Questo non vuol dire che non sia stata manifestata totale disponibilità da parte dei collaboratori del premier alle richieste di ministeri e sottosegretari di Lega, Italia Viva e Coraggio Italia. Una trattativa sotterranea c’è da settimane e continuerebbe, anche se Draghi dovesse salire al Quirinale, nei giorni naturali della crisi.

Ci sono ancora degli ostacoli da superare, però. Molto più difficili del coro di no alla candidatura del premier che quotidianamente viene raccolto in Transatlantico. Uno su tutti è il veto di Silvio Berlusconi. Confermato al telefono, a quanto pare, anche a Matteo Salvini. Qualcosa però non torna. Da due giorni Palazzo Chigi smentisce che ci sia stata una telefonata di Draghi all’ex premier, ricoverato all’ospedale San Raffaele. Risulta che ci sarebbero stati dei tentativi andati a vuoto, e uno scambio di messaggi tra collaboratori. Ma perché Berlusconi risponde al telefono a Salvini e non a Draghi?

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Quirinale, l’intesa necessaria

giovedì, Gennaio 27th, 2022

di Massimo Franco

Prende forma un accordo, forse oggi spunterà l‘identikit del possibile successore di Mattarella

Forse, almeno metodo e profilo sono stati abbozzati. Dunque, una candidatura in grado di rassicurare il Parlamento che non sarà sciolto prima del 2023; concordata in modo tale da evitare tentazioni di sfondamento della maggioranza che finora ha garantito il sostegno a Mario Draghi; e in grado di non compromettere la credibilità dell’Italia sul piano internazionale. Probabilmente, l’identikit spunterà oggi. Le riunioni notturne sarebbero servite a togliere di mezzo almeno alcuni dei veti, evidenti o nascosti, disseminati nei giorni scorsi. E la terza votazione a vuoto di ieri ha rivelato l’impazienza dei grandi elettori per una soluzione rapida: sebbene a tarda sera qualunque accordo apparisse ancora in bilico. Le preferenze sparse tra le centinaia di schede bianche sono state una sorta di geroglifico offerto ai leader come un alfabeto da interpretare per arrivare a una designazione che raccolga più consensi possibili. I voti al capo dello Stato uscente, Sergio Mattarella, hanno rappresentato un messaggio di nostalgia non solo nei suoi confronti, ma a favore della stabilità e dell’imparzialità che ha incarnato e garantito nel suo settennato: sebbene non possano essere considerati come l’anticamera di una sua ricandidatura, da lui esclusa ripetutamente.

Quanto a quelli raccolti dall’ex parlamentare Guido Crosetto, di Fratelli d’Italia, doppi rispetto alla consistenza del partito di Giorgia Meloni, sembrano soprattutto il riflesso della competizione per il primato nel centrodestra; e una smentita della «rosa» dei tre candidati annunciati appena ventiquattr’ore prima dai leader di quello schieramento. La lievitazione anomala dei consensi a Crosetto è suonata soprattutto come un avvertimento degli alleati al capo leghista Matteo Salvini: come se gli dicessero che il suo ruolo di regista non è affatto scontato.

Forse è stato anche quel voto anomalo a scoraggiare l’azzardo di una candidatura di schieramento che avrebbe ottime probabilità di schiantarsi; e comunque segnerebbe una pericolosa forzatura. Hanno colpito di più le schede, cinquantadue, spuntate col nome di Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera, senatore eletto nelle liste del Pd. E le due appena a favore di Draghi. Non è chiaro se si sia trattato di una sorta di «no» preventivo dei grandi elettori al premier, o della protezione offerta a una candidatura comunque incombente. Forse, la notte di trattative che si è consumata dopo l’incontro dei segretari con i propri gruppi parlamentari porterà alla persona individuata come prossimo presidente della Repubblica.

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Crisi Ucraina, cosa può convincere Vladimir Putin a fermarsi?

giovedì, Gennaio 27th, 2022

di Paolo Valentino

Un compromesso potrebbe arrivare dal “congelamento” del processo di adesione dell’Ucraina alla Nato per il prossimo decennio

DAL NOSTRO INVIATO
BERLINO — C’è una via d’uscita dalla crisi in Ucraina, che non sia quella dello scontro armato? Mentre le forze russe ormai circondano il Paese su tre lati e la Casa Bianca pianifica l’invio di migliaia di soldati nell’Europa orientale, il rischio che la situazione sfugga di mano si fa ogni giorno più concreto. È significativo che diversi Paesi occidentali (Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia in testa) e la stessa Russia abbiano cominciato a rimpatriare i loro diplomatici da Kiev. Una soluzione diplomatica non è al momento sul tavolo. Non sono accettabili le pretese di Vladimir Putin che l’Ucraina non entri mai nella Nato, l’Alleanza rinunci per sempre a espandersi e Mosca si veda di nuovo riconosciuta una sfera di influenza come al tempo della Guerra Fredda. Ma non tutto è come appare.

Intanto perché la brinkmanship, la diplomazia sull’orlo dell’abisso del capo del Cremlino, ha già prodotto il risultato sperato: mai dalla caduta dell’Urss, Mosca è si è vista concedere l’attenzione e il rango che rivendica nel concerto internazionale. Ma soprattutto perché Putin non può permettersi una guerra di aggressione, che farebbe della Russia per anni un paria della comunità delle nazioni oltre a caricarla di costi economici insostenibili.

Da ogni crisi però, si esce soltanto se a ognuno dei contendenti è consentito di non perdere la faccia. «Ci vuole molta creatività», ha detto pochi giorni fa al Corriere l’ambasciatore Richard Burt, l’uomo che negoziò con l’Urss il Trattato Start per la riduzione dei missili strategici. Lo snodo cruciale sono le garanzie di sicurezza richieste da Putin. Il punto di caduta sarà probabilmente nel riconoscimento che l’Ucraina non ha i requisiti per essere accettata come membro della Nato e probabilmente non li avrà per il prossimo decennio: corruzione diffusa, scarsa democrazia, conflitti interni e situazione critica delle minoranze sono ostacoli insormontabili. È stato lo stesso Joseph Biden a definire «improbabile» l’ingresso di Kiev nell’Alleanza, segnalando che su questo «c’è spazio di manovra». Ma nulla di più. Gli Usa e la Nato riconfermerebbero la politica delle «porte aperte», che dà a ogni Paese il diritto di chiedere l’adesione, perché nessuno, tantomeno Putin, può ipotecare il futuro di una nazione sovrana.

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Presidente della Repubblica, oggi la quarta votazione per il Quirinale: la diretta

giovedì, Gennaio 27th, 2022

L’elezione del Presidente della Repubblica entra nel suo quarto giorno: i leader di partito continuano le trattative per cercare un esito positivo, dopo le fumate nere dei giorni scorsi. E dalle 11 si torna a votare

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Quarto giorno di seduta per l’elezione del Presidente della Repubblica, con il quorum che scende a 505 voti. Le prime tre votazioni, come previsto, si sono chiuse con un nulla di fatto: sono cresciuti molto i consensi a favore di Sergio Mattarella mentre va registrato anche l’exploit di Guido Crosetto. Il confronto tra Matteo Salvini, Enrico Letta e Giuseppe Conte sembra concentrato su tre nomi: Mario Draghi e Pier Ferdinando Casini, con in più Elisabetta Belloni, la diplomatica ora alla guida del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Dalle 11 si torna a votare. Qui trovate il link per iscriversi alla newsletter «Diario Politico» (è quotidiana, e gratuita). Di seguito il racconto della giornata, in diretta.

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Ore 8.48 – Renzi: «Io credo che non si chiuderà oggi»
A Radio Leopolda Renzi smorza gli entusiasmi per una possibile conclusione odierna: «Io credo che non si chiuderà oggi, ma si chiuderà domani» ha detto il leader di Italia Viva.

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